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Rossella Bonito Oliva

7. Lo spirito dei tempi: un’altra voce

In un componimento in cui è già del tutto in uno stato di follia e si firma Scardanelli, Hoelderlin traccia in pochi versi lo spirito del tempo che chiama gli uomini all’ardua prova del principio di realtà.

«Trovansi gli uomini nel mondo a vivere, come anni sono ed età in alto tese, quanto è il mutare tanto è il ver che dura,

che sortisce durata da anni vari: sì compatta vien Compiutezza in vita che l’alto sforzo uman a lei s’adegua»35.

Un’età in cui si richiede all’individuo lo sforzo di superare il senso di precarietà rinunciando al destino e alla consolazione, per adeguarsi ad un tempo che lo trascende e lo sacrifica. Hoelderlin finisce i suoi giorni in una torre sottratto ad una casa di cura che lo stava privando degli ultimi bran- delli di umanità. Forse Scardanelli lo salva, ridà voce alla poesia, crea un personaggio che gli permette di rifuggire da un’età e da un tempo in cui non si riconosce e da cui non è riconosciuto. Scardanelli è l’ultimo appro- do di una fuga dall’ipocrisia e dal conformismo del suo tempo, secondo Walser che condivide con Hoelderlin uno stato di disagio mentale: Hoel- derlin non offre una servitù volontaria al mondo normale. Persiste per Hoelderlin in quella che chiama la compiutezza inapparente, un’altra pos- sibilità per l’uomo di mettersi all’ascolto, interrompendo il discorso conti- nuo della sana ragione.

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35 F. Hoelderlin, Poesie della torre, a cura di M. Schneider, tr. it. di G. Celati, Milano, Fel-

trinelli, 1993, p. 139.

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Difficile dire se Hoelderlin, pur provandosi non abbia trovato l’imma- gine filosofica per leggere il disorientamento, o se Hegel, che pure sente la spina della malattia dello spirito, non abbia ceduto allo sdoppiamento. Fa pensare la confessione della lettera citata, fa pensare l’uso di figure come la notte spaventosa e il calice spumeggiante in cui Hegel cede il passo all’arte e fa dire all’arte ciò per cui la filosofia non trova parole. All’inizio e alla fi- ne si offre nella ricerca dell’intero all’uomo finito, all’animale malato, è una forza in-finita, all’inizio magica e oscura, alla fine spumeggiante e dionisia- ca, che lo trascende e lo spinge, ma in ogni caso, nella notte dell’inconscio e nella piena luce del sapere assoluto, lo riporta alla sospensione tra oscuri- tà e luminosità, tra desiderio e creazione. In entrambe i casi e per vie appa- rentemente diversificate, il Moderno giunto al suo pieno dispiegamento mette in scena una soggettività tragica, sovraesposta e responsabilizzata, più per mancanza di approdi che per malattie mortali.

In forma poetica e in stato di sofferenza mentale Hoelderlin traduce la tensione di un’epoca: dar figura e ordine all’umano. Quella che Hegel chiama «mitologia della ragione» raccoglie in sé le istanze delle disavventu- re di una virtù senza ricompense. In questo orizzonte poesia e filosofia intrecciano uno stesso discorso sull’uomo cercando carne e sangue per so- stenere il peso del dover essere, regole e principi per dare misura al caos di passioni, aspirazioni liberate dai vincoli dell’autorità. La via della cono- scenza porta l’uomo sull’orlo di un abisso tra una natura lasciata alle spalle e una libertà senza determinazione. Forse per questo Stendhal ritiene che per diventare un grande poeta sia necessario «conoscere la testa e le pas- sioni»36 per una «teoria interiore»37 che guidi il suo desiderio di diventare “un grande poeta”, animato non a caso da una smodata passione per la gloria. E se l’obiettivo del grande scrittore è dare godimento al lettore, egli non può esimersi dal «costruire il carattere dei suoi interlocutori» come in una commedia. Anche Stendhal apre un doppio fronte lasciando lavorare l’immaginazione accanto alla fantasia, la “teoria interiore” accanto ad una visione morale. Il risultato non diverso da quello che ha ritrovato nel trat- tamento morale di Pinel deve portare a «mostrare il vizioso infelice e il vir- tuoso felice»38. Non si stenta a rintracciare in questa filosofia nova il tratto di un’autobiografia tesa a esplorare il magma delle passioni per valutarne l’efficacia nel raggiungimento di una quieta tranquillità fatta di abitudine e ripetizione, di un sano pragmatismo. Una cura di sé che crea immagini per

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36 Cfr. Stendhal, Filosofia nova (scritto postumo), tr. it a cura di G. Pasquinelli, Milano,

SE, 1990. 11, 12 e passim.

37 Cfr. id., Vita di Henry Brulard, tr. it. a cura di G. Pirotta, Milano, Adelphi, 1964. 38 Id., Filosofia nova, cit., p. 103.

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una pace interiore, distraendo dalla pretesa eccessiva, dallo sbilanciamento verso obiettivi che si conoscono solo per la propria ambizione. Descrivere un «difetto della testa» è solo di un cattivo poeta, mentre scegliere tra i sentimenti naturali in modo da produrre un effetto sull’anima degli spetta- tori significa «sublimare» ovvero disporre alla salute, curando il più scru- polosamente possibile39.

Anche Stendhal è un nome fittizio, un “signor me stesso” di cui testi- monia un’autobiografia, anch’essa rapsodica come la filosofia nova. Stendhal afferma: «Questo io, isolato dalla passione e che io cercavo, non è forse altro che il desiderio della felicità che giudica tutto, persino la passione»40. Un percorso che non smette di perdersi nei meandri di un’interiorità oc- cupata da libri, impressioni di viaggio, nei personaggi e nei loro autori. Un mondo artificioso se non altro perché filtrato da letture, conoscenze alla ricerca di una verità e di una virtù che solo vite già vissute possono testi- moniare. Una sorta di “malìa del passato” per contenere la smodata ambi- zione alla gloria, la ricerca di un principio di realtà per trattenersi dal deli- rare, un “curarsi più scrupolosamente possibile” per non smarrirsi nel pensiero di una salute. Ancora una volta un’ansia senza nome che registra uno scomporsi dell’uomo alla ricerca di un’eternità perduta e non riprodu- cile nella sua carne. Se Hegel alla fine della Fenomenologia immagina una “galleria” che raccolga il duro e lento calvario dal finito all’infinito, dall’e- sperienza al sapere, Stendhal lascia una miriade di appunti su una collezio- ne incalcolabile di libri conservati in luoghi diversi. Segni del tempo che nonostante ogni sapere e ogni collezione sfuggono di mano e spingono a ricercare all’interno compensazioni al fuggire del tempo, allo scarto tra de- siderio e soddisfazione. Alla fine personalità, personaggi sono i segnavia dell’unica meta possibile per l’uomo, che vi sia almeno un piacere della vir- tù. Proprio quello che Pinel nel trattamento morale ha imparato a cercare e fatto vedere, restituendo realisticamente all’uomo l’unica salute possibile nella passione per la virtù.

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39 Ivi, pp. 104-105. 40 Ivi, p. 23.

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“È una malattia che presenta tutti i sintomi e nessu-