Gli Stati che si sono succeduti all’Impero Ottomano (a eccezione della Turchia) hanno conservato, la sua eredità di lui, il “regimi comunitario”, in virtù del quale, in materia di status personale, il diritto canonico di ciascuna comunità si applica attraverso i suoi organi giudiziari aglistessi, la legge musulmana conserva quindi un primato di principio che implica numerose conseguenze di fatto. Non si trascura tuttavia lo Stato moderno si affianca
a quei paesi, nonostante le modifiche al regime comunitario, cioè passando dall’identificazione di ciascuna delle minoranze nei parlamenti all’identificazione netta a gruppi religiosi di insieme ( musulmani da una parte, cristiani dall’altra), (Audibart, A., 1960, 127).
In effetti, come riferimento si tiene conto la Costituzione dell’Impero Ottomano del 1876 che all’art. 11 stabilisce: «L’islamismo è la religione dello Stato. Pur garantendo questo principio, lo Stato protegge il libero esercizio di tutti i culti riconosciuti nell’Impero e mantiene privilegi religiosi accordati alle varie comunità, a condizione che essi non siano contrari all’ordine pubblico o ai buoni costumi» . 33
Dunque, a partire dalla legislazione dell’Impero ottomano che si trova una manifestazione giuridica del precetto islamico classico e che si ripeterà anche nello stato repubblicano teocratico dell’Iran rispetto alle minoranze religiose rivelate e dopo riconosciute, secondo “l’istituzione classica islamica della dhimma: secondo questa istituzione, i credenti nelle altre religioni del Libro o monoteiste (in particolare ebrei, cristiani, zoroastriani, ma anche gli indù), che sono considerati appartenenti a Comunità identificate dalla religione, hanno il diritto di vivere e di praticare il loro credo e i loro costumi in Stati governati da musulmani (nell’impero otto- mano ogni Comunità religiosa applicava le proprie norme di diritto privato). I «protetti» dalla dhimma godono peraltro di minori diritti nel campo politico (per esempio non possono diventare capi di Stato, anche se possono diventare ministri o parlamentari) e a loro non è permesso fare proselitismo” ( Campanini, M. 2006, 364).
Dal dhima allo statuto personale nei sistemi giuridici musulmani, se ne ritrova nei singoli stati riconoscimento all’interno delle Costituzioni, come nel caso dell’Iran, del Libano, o della Giordania, o precisamente nella legislazione civile più precisamente nell’ambito della famiglia e delle successioni:
Università di Torino: Dipartimento di Scienze Giuridiche, Archivio delle Costituzioni Storiche,
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Costituzione dell'Impero Ottomano del 23 Dicembre 1876, http://www.dircost.unito.it/cs/paesi/ turchia.shtml
La stessa espressione statuto personale, in arabo al-ahwccl al-sakhsiyya, nasce dall'evoluzione recente dei sistemi giuridici arabi. Non appartiene al vocabolario giuridico tradizionale, ma è creata come calco nel 1875 dal giurista egiziano Muhammad Qadrî Bàsà. Il carattere "personale" dello statuto può dar luogo a equivoci. Esso non si riferisce in origine all'oggetto delle norme, e in particolare non va inteso nel senso che all'espressione dà il diritto internazionale privato: accanto alle questioni di stato e di capacità della persona, vi si comprendono infatti il matrimonio, i rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi, i rapporti di parentela e gli obblighi alimentari connessi, la tutela e la curatela, le donazioni, le successioni, gli atti di ultima volontà e in genere gli atti efficaci dopo la morte dell'autore e le fondazioni pie (wagf). La "personalità" rimanda piuttosto all'applicabilità su base personale di questo gruppo di norme. La shari`a è applicata ai musulmani dal giudice musulmano, lasciando che i non musulmani vengano retti dai diritti loro propri, amministrati dai rispettivi giudici confessionali. L'espressione viene mantenuta però anche quando, in genere dopo che il singolo paese raggiunge l'indipendenza, per costruire una forte identità nazionale si unifica il diritto applicabile nel territorio. Allora il diritto musulmano codificato è applicato, nella sua totalità o in parte, all'insieme dei cittadini a titolo di diritto unico dello stato. E' quanto avviene nei paesi del Nord Africa, con la sola eccezione dell'Egitto, dove l'unificazione è limitata all'ambito delle successioni e dell'atto di ultima volontà. Lo statuto personale è dunque una partizione caratteristica dei sistemi giuridici arabi, e più in generale islamici, che si è definita storicamente come l'ambito di massima resistenza opposta dal diritto musulmano ai progetti di modernizzazione, di occidentalizzazione e di riforma giudiziaria e sostanziale. Vi sono ricomprese quelle materie rispetto alle quali la shari`a non ha mai cessato di pretendere effettiva applicazione. L'origine sciaraitica è dunque ciò che separa, all'interno di ogni singolo ordinamento, le regole dello statuto personale dalle regole civilistiche; ed è al contempo ciò che accomuna, attraverso i confini degli stati, le regole in materia famigliare e successoria . 34
Aluffi, R., Dall'Introduzione a "Le leggi di famiglia dei Paesi arabi del Nord Africa", Torino,
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Fondazione Giovanni Agnelli,http://www.olir.it/areetematiche/pagine/documents/ News_1196_Islam.pdf
Il Libano rappresenta, all’interno del gruppo degli eredi dell’Impero Ottomano, e dopo la sua indipendenza dalla Francia, un Stato non confessionale ma non laico; piuttosto uno Stato caratterizzato dal pluralismo giuridico basato sullo status personale religioso erede del regime comunitario imperiale per il quale le diverse comunità religiose sono riconosciute (art. 11 della Costituzione dell’Impero Ottomano), in particolare quelle cristiane, musulmane e quella giudaica.
Nel preambolo della sua Costituzione (a partire dalla riforma costituzionale di 1990) si definisce come uno Stato arabo, parte della Lega degli Stati Arabi, ed anche membro fondatore e attivo delle Nazione Unite e Stato parte della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo; una repubblica democratica parlamentaria, basata sulla libertà di opinioni e di credenze (Preambolo).
Gli articolo 9 e 10 della Costituzione del Libano del 1926 garantiscono la libertà di coscienza e la libertà delle comunità religiose (art. 9), così come la libertà d’insegnamento nella scuola di queste comunità (art. 10).
Le comunità religiose riconosciute legalmente si trovano anche menzionate in relazioni alle attribuzioni del Consiglio Costituzionale (art. 19 della Costituzione, riformato costituzionalmente in 1990), in virtù del quale loro possono sollevare una richiesta di controllo di costituzionalità sulla legge che violi lo status personale, la libertà di coscienza, l’esercizio del culto e la libertà di insegnamento religioso.
Con la caduta dell’Impero Ottomano, dove il Califfo non è stato mai il Pontefice, gli Stati come il Libano, l’indipendenza dalla Francia, configurarono un’esperienza di riconoscimento delle diverse comunità; tuttavia, bisogna ricordare che tra gli Stati orientali, il Libano non ha mai ha avuto come religione predominante quella musulmana nonostante la sua presenza e la partecipazione dei credenti musulmani nel governo sia attiva.Ciò si spiega perché in questo paese, vi è un equilibrio dei poteri delle altre religione rivelate, attraverso un mutuo riconoscimento, il riconoscimento delle comunità cristiane sia
cattoliche che ortodosse, protestante evangelica e musulmana (Sunnita, Shiita, Drusa e Alawita) e, infine, una comunità israelitica. Ciò ha avuto come conseguenza logica che in quel paese, insieme al riconoscimento della libertà di coscienza si sia affermato che lo Stato rende omaggio al “Dio Onnipotente” e che per questo rispetta le religioni e il personale status corrispondente alle stesse, anche riconoscendo i tribunali delle comunità religiose, soggetti soltanto alla supervisione della Corte di Cassazione (art. 9 della Costituzione di 1926 che è anche l’attuale) (Gallala - Arndt, I., 2015, 835-836). Tuttavia il cambiamento della religione non comporta il predominio della legge di una comunità sull’altra, a differenza di quanto accade negli altri paesi della regione orientale, difatti, a livello amministrativo, si richiede soltatnto l’autorizzazione dell’autorità religiosa della comunità che accoglie e non anche quella dell’autorità di provenienza (Caprara, L., 2015).
Il sistema libanese si caratterizza per un principio di uguaglianza assoluto tra le diverse comunità, ciò rende la sua esperienza quasi unica. Il motivo si ritrova nel fatto che lo stesso rimane ancora troppo legato alle condizioni storiche e, quindi, ad un sistema permanente del regime comunitario, che rende difficile l’instaurazione di uno status personale laico offerto alla libera scelta dei cittadini senza essere condizionato dall’appartenenza ad una comunità, al fine di garantire anche i diritti, innanzitutto di famiglia e al fine di garantire la partecipazione alle cariche pubbliche che si trovano soggette alle comunità religiose divise tra cristiani e musulmani (art. 24 della Costituzione) dalle quali dipende anche la carica del capo dello Stato.