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che al presente alcuni tra i migliori urbanisti italiani stanno lottando contro 1 anarchia dello sviluppo urbano conseguente alla mancanza di una efficiente pianificazione.

5. La pianificazione urbanistica di una comunità, che viene qui considerata come 1 anello di congiunzione tra piano regionale e piano regolatore cittadino, non può essere intesa come un sistema di passivo adeguamento di schemi spa­ ziali a processi di mutamento sociale. Ma deve presentarsi come la forma che un piano generale di trasformazioni sociali ed economiche assume al livello morfologico ed ecologicoi. Oltre ad essere espressione di un mutamento coordinato la pianificazione urbanistica va vista anche come un fattore di tale mutamento, la cui spinta non e minore di quella dei fattori economici, tra i quali, in un certo senso, anch essa rientra. Perciò la pianificazione urba­ nistica della comunità non consiste soltanto, come dice Louis Wirth, « nel creare, con sistemi razionali, la forma fisica che consenta agli uomini di rea­ lizzare con notevole approssimazione la soluzione dei loro problemi e il com­ pimento delle loro speranze, nella misura concessa dalle loro risorse, dalla loro fantasia creativa e dalla loro disciplinata intelligenza » 4 5; ma dovrà esser anche un mezzo per sviluppare una organizzazione spaziale della comunità che possa meglio contribuire aH’aumento delle sue risorse, a stimolare la sua fantasia, e ad usare la sua intelligenza per controllare la direzione dei mutamenti cul­ turali derivanti da una nuova visione sociale applicata a nuove risorse. Da un punto di vista sociologico, l’influenza dell’organizzazione spaziale su questo triplice processo e forse assai piu elevata di quanto non credano alcuni urba­ nisti. Si deve inoltre osservare che per valutarla e comprenderla adeguata- mente gli urbanisti dovranno quasi completamente capovolgere la prospettiva in cui operano quando devono pianificare zone urbane-rurali altamente svi­ luppate.

Progresso econom ico, m utam ento culturale e sistem a d ei ruoli

6. Come e stato messo in evidenza da Parsons e Smelser, per attuare dei mutamenti quantitativi di grande portata occorre sempre realizzare dei mu­ tamenti o delle modifiche strutturali del sistema in esame 6 7. Non si può rag­ giungere il progresso economico di una comunità storica ove non se ne mo­ difichi ampiamente il sistema socio-culturale. I sociologhi che insistono sulla necessita di trasformazioni socio-culturali nelle zone sottosviluppate al fine di promuovere il progresso economico sono spesso accusati di « etnocentrismo », ma simile accusa sembra essere influenzata da una errata interpretazione delle realta economiche. Con l’attuale disponibilità di risorse mondiali e di mezzi di produzione, alcune strutture sociali risultano più efficienti di altre per rag­ giungere fini di progresso economico 1. Ma una volta che si sia riconosciuta fa necessita di profonde trasformazioni nel sistema sociale si deve avvertire che all’inizio tali trasformazioni sono più urgenti in alcuni strati di esso, e cioè

4 Ad rian o Ol i v e t t i. L ’ordine politico delle comunità, Ivrea, 1945, p. 180.

5 Louis Wi r t h, op. cit., p. 285.

6 Ta l c o t t Pa r s o n s and Ne i l J. Sm e l s e r. Econom y and Society, Londra, 1956, p. 246.

7 Di particolare interesse in proposito è S. F. Na d e l. T he Theory o f Social S tradare,

nella struttura dei sotto-sistemi che lo compongono. Se è vero che l’incremento della produttività individuale e globale nella comunità si presenta come il più importante fattore di progresso economico, lo strato della realtà sociale che per primo va considerato è quello della struttura del sistema dei ruoli. Un duraturo aumento della produttività non può fondarsi, in effetti, soltanto su una più vasta e nuova attrezzatura tecnologica della comunità, ma deve diventar parte essenziale di una nuova struttura dei ruoli sociali, ed economici in particolare.

7. Visto sotto l’aspetto sociologico, un aumento della produttività comporta che i ruoli sociali subiscano un processo di specializzazione funzionale. Più esattamente, i ruoli economici devono venir distinti dagli altri ruoli sociali e devono differenziarsi tra loro. Per ruoli economici intendiamo qui, con le pa­ role di Nadel, « ruoli che comportano la prestazione di servizi nei confronti di terzi », dove per servizi s’intende « una ” produzione ” capace di soddisfare esigenze o bisogni, che incontra i secondi in una specie di mercato aperto » 8. In una comunità storica i ruoli economici sono solitamente confusi con diversi altri ruoli sociali: essi sono segmentali (come dice Durkheim) e personalizzati. Contrariamente alla specializzazione funzionale (che implica una differenzia­ zione) la segmentazione indica una molteplicità di ruoli che sono funzional­ mente e strutturalmente quasi equivalenti; inoltre la personalizzazione signi­ fica che essi sono, per così dire, caratterizzati dalla biografia individuale, e si pone con ciò come l’elemento contrario a quello che Nadel riassume nel con­ cetto di « mercato aperto ». Il passaggio da una struttura del sistema dei ruoli dove prevalgono la segmentazione e la personalizzazione ad una struttura di personalizzazione funzionale equivale a una trasformazione nel senso duna maggior efficienza operativa9, una più elevata capacità di sfruttamento delle risorse, e pertanto una maggior produttività.

La specializzazione funzionale dei ruoli economici esige ovviamente ben più che una semplice divisione del lavoro. Essa richiede innanzitutto che si passi da un genere di solidarietà meccanica fondata sulla affinità ed omogeneità delle unità sociali che compongono la comunità storica, ad un genere di soli­ darietà organica fondata sulla diversità ed eterogeneità delle unità sociali che caratterizzano le società complesse. Mentre il primo genere di solidarietà pone ciascun individuo in rapporto con persone affini, il secondo implica un rap­ porto con persone differenti: la rigida stratificazione in poche classi sociali lascia il posto ad un’ampia mobilità verticale entro un gran numero di strati sociali10. Questo genere di mutamento strutturale è un fenomeno di lungo periodo e deve essere attivato da molteplici fattori che non si possono qui illustrare, tranne uno: la riorganizzazione spaziale della comunità.

Il progresso econom ico e la riorganizzazione spaziale della comunità 8. Come si è rilevato all’inizio, la comunità storica ha conservato, nella mag­ gior parte dei casi un’organizzazione spaziale ben equilibrata, che contrasta con l’anarchica utilizzazione dello spazio propria delle comunità industria-8 S. F. Na d e l, op. cit., p. 76.

9 Pa r s o n s and Sm e l s e r, op. cit., p. 104.

10 Per una vista d’insieme dell’argomento si veda: Re n e Ko n ig. « Arbeitsteilung », in

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lizzate che mancano di adeguata pianificazione. Si tenga però presente che si tratta di un’organizzazione spaziale molto semplice, contraddistinta da un basso indice di produttività, e sia nelle città che nella campagna è raro trovare una regola definita per quanto riguarda l’uso del terreno. Le attività, resi­ denziali, rurali, piccolo industriali, artigianali e amministrative sembrano di­ stribuite a caso su tutta l’area della comunità. Allorché intervengono fattori di grande rilievo, capaci di stimolare lo sviluppo economico della comunità, tale organizzazione spaziale viene sconvolta da convulse, esplosive tensioni dirette a stabilire nuove utilizzazioni del terreno. Nella cittadina la lotta per accaparrarsi le ubicazioni migliori, che in precedenza non s’era quasi mai ma­ nifestata, s inasprisce in pochi anni. Solitamente questi mutamenti vengono ritenuti nocivi e dannosi, ma in effetti la maggior parte di essi costituiscono la manifestazione di un processo naturale di adattamento che surroga alla mancanza di una intelligente pianificazione, e tramite il quale la superficie morfologico-ecologica della comunità si modifica per tentativi in direzione di una piu alta (e non più bassa) efficienza e produttività globale. Pertanto il problema degli urbanisti è quello di favorire il passaggio da una equilibrata, ma scarsamente complessa organizzazione spaziale, ad una organizzazione territoriale egualmente equilibrata ma di un elevato grado di complessità, evitando quella relativa anarchia e quegli sprechi che spesso si accompagnano e contraddistinguono la fase di transizione, e che possono consolidarsi perma­ nentemente ove lo sviluppo della comunità non sia pianificato. Si può osser­ vare allora che la nuova organizzazione territoriale deve: a) essere in grado di dare un forte stimolo alla specializzazione funzionale dei ruoli economici; b) portare alla specializzazione funzionale di tutte le unità ecologiche esistenti nella zona; c) promuovere la miglior utilizzazione sia dello spazio che delle risorse umane.

9. Come si e già accennato, la pianificazione urbanistica di comunità storiche in una prospettiva di progresso economico esige una radicale modifica di alcuni ben consolidati criteri di pianificazione. Contrariamente a quanto è giusto fare allorché si tratta di aree metropolitane altamente industrializzate, di fronte alle comunità storiche gli urbanisti devono riconoscere che è neces­ sario raggiungere attraverso un’adeguata pianificazione un incremento con­ trollato della concentrazione urbana, un accentramento delle funzioni e un aumento della popolazione. E ’ anzi da mettere in evidenza come l’aumento della popolazione nella cittadina centrale costituisca il fattore principale per la specializzazione funzionale e la differenziazione dei ruoli economici, poiché soltanto in grandi aggregati umani si può trovare un « mercato aperto » ca­ pace di assorbire e di remunerare a breve periodo ogni attività che porti ad una specificazione dei ruoli. Inoltre il sistema dei ruoli, come diversi altri sotto-sistemi della comunità, è spinto ad assumere una maggior complessità e interdipendenza delle sue parti, dato che l’aumento della popolazione esige una maggior efficienza di tutte le operazioni sociali che devono attuarsi entro la stessa zona. Come fece notare Simmel più di cinquantanni or sono, la con­ correnza determinata dalla concentrazione urbana costituisce un altro fattore di specializzazione funzionale, in quanto costringe gli uomini a specializzarsi in compiti che rendano difficile la loro sostituzione con altre persone. Lo svi­ luppo economico comporta sempre un processo di concentrazione urbana, specialmente quando nel territorio circostante sia in corso un progresso

tecno-logico dell’agricoltura che favorisce l’emigrazione verso la città: e nelle co­ munità storiche gli urbanisti dovranno favorire questo fenomeno anziché scoraggiarlo, come è invece giusto fare quando si tratta di aree metropolitane etero genetiche.

D’altro canto la sociologia e l’ecologia urbana hanno da tempo dimostrato che l’accentramento delle funzioni in determinati quartieri urbani costituisce un fattore di primaria importanza per stimolare sia la specializzazione ecolo­ gica della cittadina, sia l’incremento della produttività globale attraverso una più rapida e migliore utilizzazione del terreno e delle risorse umane. In se­ guito alla concentrazione in un’area ristretta d’un sempre maggior numero di attività differenziate, le unità ecologiche si specializzano nel compierne sol­ tanto alcune parti specifiche, e diventano in tal modo meno autosufficienti n. Così lo sviluppo di un quartiere direzionale è al tempo stesso una conseguenza e un fattore di aumento della divisione del lavoro sociale nella comunità, poiché in esso s’incontrano forzatamente solo i ruoli economici maggiormente produttivi. La cosiddetta « frizione dello spazio » spinge le attività economi­ che ad ubicarsi tanto più vicino al centro ecologico della città (che nel nostro caso è anche il centro della comunità) quanto più i vantaggi di tempo e di costo offerti dall’ubicazione compensano i maggiori fitti o prezzi del terreno che esse devono pagare. Quando sia controllato da adeguate norme di piani­ ficazione urbanistica (e legali), il processo di adattamento che ne deriva si presenta molto spesso come economicamente sano e vantaggioso, dato che il terreno sarà utilizzato soltanto dalle attività che possono sfruttarlo nel modo più intensivo, e l’onere che graverà sulla comunità a causa della « frizione dello spazio » sarà ridotto al minimo11 12. Qui gli urbanisti dovranno porsi il problema di quali siano, tra le attività che possono utilizzare più intensiva­ mente il terreno, le più adatte per promuovere il progresso economico della comunità nel suo insieme. Un altro problema fuor di discussione dovrebbe poi essere la necessità di spostare al di fuori del centro storico cittadino, entro cui solitamente si trovano nelle comunità storiche, il centro ecologico e quello delle comunicazioni, fin dall’inizio dello sviluppo economico.

Un accentramento e concentrazione controllati sia degli abitanti che delle funzioni entro la cittadina centrale della comunità si presenta necessaria anche per raggiungere una più rapida mobilità ed una più rapida utilizzazione delle risorse umane. Soltanto una cittadina di medie dimensioni può offrire un mer­ cato del lavoro abbastanza ampio per produrre la mobilità orizzontale che è necessaria affinchè ogni mutamento del livello di impiego e della composi­ zione professionale della popolazione sia seguito da un rapido riadattamento. La disoccupazione o la sottoccupazione di lavoratori specializzati o qualifi­ cati o di professionisti costituisce in una comunità in sviluppo una perdita che incide su tutti, quando vi sia in qualche parte della comunità un lavoro disponibile per loro, e solo un certo grado di concentrazione urbana può ri­ durre al minimo tali danni. La produttività e l’efficienza del mercato delle merci dipende inoltre in misura considerevole dalla disponibilità e dalla mo­ bilità di grandi quantità di persone e di beni, che si attuano entrambe più facilmente in cittadine di medie dimensioni.

11 Ja m e s A. Qu in n. Human Ecology, New York, 1950, p. 306.

158 LU(CIANO GALLINO L ’organizzazione spaziale e l’orientam ento collettivo degli atteggiam enti 10. E’ evidente che il differenziare i ruoli economici dai ruoli sociali perso­ nalizzati, tradizionali, comporta anche una modifica dei comportamenti pro­ pri e di quelli che ci si attende dai propri co-agenti; comporta, cioè, una mo­ difica nei poli di orientamento degli atteggiamenti. Adattando liberamente gli schemi alternativi di valori orientativi elaborati da Parsons in The Social System, Bert F. Hoselitz ha più volte mostrato come lo sviluppo economico di aree sottosviluppate sia strettamente connesso con una modifica dei poli collettivi di orientamento degli atteggiamenti, e cioè (per usare i termini di Parsons) con un passaggio dal particolarismo all’universalismo, dall’attribu­ zione alla prestazione, dalla genericità alla specificitàI3. Sebbene uno schema concettuale del genere abbia forse limitata validità per altre zone d’Europa, esso può indubbiamente adattarsi alle comunità storiche dell’Italia meridio­ nale, ed anche qui un grado controllato di concentrazione urbana quando lo sviluppo economico sia avviato, e una marcata specializzazione delle unità ecologiche può costituire un fattore preminente delle trasformazioni per­ seguite.

I primi tre poli di orientamento sopra indicati possono anche definirsi rurali- tradizionali, mentre i secondi sono prevalentemente urbani. Si tenga presente, ad esempio, che per realizzare un costante incremento sia della produttività globale che individuale e raggiungere un progresso economico quale è stato sopra delineato, i posti di lavoro remunerati devono, di regola, venir assegnati a) a chiunque possa dimostrare di avere un’adeguata preparazione per occu­ parli (principio universalistico); b) soltanto alle persone qualificate per prece­ denti prestazioni culturali e/o professionali (principio della prestazione); e infine c) tra queste ultime soltanto a coloro che siano capaci di svolgere rego­ larmente in date condizioni ruoli economici altamente specificati (principio della specificità).

In varie comunità storiche socialmente isolate si verifica invece proprio il contrario. I posti di lavoro che vengono creati da variabili esogene, quale può essere una riforma fondiaria, vengono tendenzialmente assegnati a persone che appartengono a gruppi di potere o di prestigio (principio particolaristico), e solitamente la scelta vien fatta sulla base della clientela, del patrocinio o dello status (principio dell’attribuzione), senza richiedere alcuna differenzia­ zione o specializzazione di ruoli economici (principio della genericità). Basta ciò a convalidare l’affermazione che l’organizzazione delle unità ecologiche della cittadina centrale della comunità dovrà tendere ad una struttura in cui unità notevolmente differenziate e organicamente eterogenee siano stretta- mente dipendenti l’una dall’altra. Una rapida e intensa circolazione di uomini che svolgono ruoli diversi, di beni e di simboli sociali, attivata dalla diffe­ renziazione e dalla organica integrazione di unità ecologiche di ogni genere, costituisce infatti lo strumento migliore per indebolire l’influenza dei gruppi tradizionali di potere e di prestigio, per infrangere gravosi vincoli di clientela e di patrocinio, e in conclusione per promuovere la necessaria trasformazione degli atteggiamenti collettivi. Quanto più sarà omogenea la manodopera in una nuova fabbrica, o la popolazione in un nuovo quartiere residenziale, o 13 Tra i lavori di Bert F. Hoselitz che trattano di tale problema è particolarmente utile

la massa dei consumatori che frequentano un centro commerciale (omogeneità che 1 urbanistica moderna può fare molto per evitare), tanto più dura, lunga e costosa sarà la resistenza contro il mutamento socio-culturale, e tanto più lento sarà il progresso economico della comunità u.

Quanto detto sopra pone forse in luce alquanto dubbia l’utilità di progettare delle cosiddette « unità di vicinato » (pseudo) autosuiBcienti e chiuse in se stesse, secondo i principi proposti trentanni or sono da Clarence Perry, al fine di alloggiare la popolazione che dalle zone rurali è spinta verso la citta­ dina centrale nelle comunità storiche in fase di sviluppo. La dimensione di queste cittadine è spesso ben lontana dalle dimensioni in cui le « unità di vicinato » cominciano ad offrire sostanziali economie di tempo e di sforzi; se poi si considera quale genere di vita e di relazioni sociali possa venir sti­ molato da unita di vicinato autosufficienti e socialmente chiuse, vediamo che tale struttura ecologica offre all’immigrato qualcosa di molto affine alla vita di villaggio da cui è fuggito per venire in città, e inoltre continua ad imporgli quel genere di relazioni sociali e quai legami di cui egli deve necessariamente sbarazzarsi prima di entrare a far parte d’un sistema sociale di maggior com­ plessità.

L ’organizzazione spaziale e la personalità sociogenica

11. L e vedute espresse in questo scritto in merito alla pianificazione ur­ banistica delle comùnità storiche si possono riassumere in questi ter­ mini; dal punto di vista sociologico il miglior servizio che gli urbanisti (supponendo che essi dispongano del necessario aiuto da parte delle altre scienze sociali, abbiano ampi poteri di programmazione e siano soste­ nuti da adeguate disposizioni legislative) possono rendere per il progres­ so economico sta nel dotarle di una città veramente moderna, capace di svolgere tutte le funzioni socio-economiche generative che soltanto le città moderne sanno svolgere. Essi devono saper volgere a servizio della comunità tutti i vantaggi propri della concentrazione urbana, con­ trollandone al tempo stesso i pericoli potenziali.

Per chiarire ulteriormente il nostro argomento dobbiamo aggiungere al­ cune osservazioni intorno a quello strato della realtà sociale cui diamo nome di personalità sociogenica, intendendo con ciò quei tratti della personalità evidenti in gran numero di persone appartenenti a un mede­ simo sistema, e che possono essere spiegati facendo riferimento a in­ fluenze selettive o condizionanti deH’ambiente sociale. Per esempio si ri­ tiene in genere che la specializzazione funzionale promossa e talvolta forzata dalla vita urbana abbia Feffetto di uniformare e unificare i com- 14 14 Per la resistenza che la omogeneità della manodopera induce nei confronti dei mutamenti culturali, si veda: Be r t F. Ho s e l i t z. « The City, thè Factory, and Economie Growth », in

Cities and Society, a cura di Paul K. Hatt e Albert J. Reiss Jr., Glencoe, 1957 (ed. riv.),

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portamenti individuali, rendendoli abitudinari, ma questa opinione de­ riva dal confondere specializzazione funzionale con la divisione tecnica del lavoro (ovvero con l’organizzazione scientifica del lavoro). Mentre la prima si presenta come un processo motivato dal sorgere di nuovi e più complessi bisogni della società, e pertanto tende a rendere gli uo­ mini (come dice Simmel) non equiparabili tra loro e indispensabili l’un l’altro, la seconda è invece un espediente per poter facilmente sostituire un uomo all’altro e rendere non indispensabile ciascuno di loro. Come scrisse W irth, la città, nel corso della sua storia, « non soltanto ha tol­ lerato ma ha ricompensato le differenze individuali. Essa ha riunito uo­ mini provenienti dai quattro angoli della terra proprio perchè erano di­ versi e pertanto utili l’un l’altro » 15. E ’ fuor di dubbio che le personalità sociali sono molto più ricche entro i gruppi urbani (anche se si tratta di una prima generazione di abitanti della città) che non entro i gruppi rurali. Inoltre le remunerazioni che la vita cittadina offre alle differenze individuali costituiscono un grande fattore di sviluppo della personalità individuale, di aumento dell’agio, di libertà nella scelta nel modo di vivere, e delle occasioni di vivere in rispondenza alle proprie aspirazioni e alle proprie vocazioni professionali. Il principio sociologico di cui la

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