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MADONNA IN TRONO CON IL BAMBINO TRA I SANTI GIOVANNI BATTISTA E FRANCESCO D’ASSISI E ANGELO MUSICANTE

Nel documento Francesco Beccaruzzi (pagine 102-107)

5. L’ATTIVITA’ ARTISTICA

6.7. Opere attribuite

6.7.5. MADONNA IN TRONO CON IL BAMBINO TRA I SANTI GIOVANNI BATTISTA E FRANCESCO D’ASSISI E ANGELO MUSICANTE

Conegliano, chiesetta della Madonna delle Grazie Olio su tela, 348 x 191 cm

Iscrizioni: cartiglio sorretto dagli angeli in volo “QVEM CELI CAPERE NON POTERAN

TVO GREMIO CONTULISTI”; cartiglio croce di san Giovanni Battista “ECCE AGNUS DEI ECCE QVI TOLLIT PCCA MUNDI”; margine inferiore “VCINIS HUIC EMPLO SALAMACA ANTONIUS HOK[?]OS DONAVIT PULCHRAM HANC VERGINIS EFFIGIE”

Provenienza: Conegliano, chiesa di Santa Maria delle Grazie (demolita); 1763 incamerata e

spedita a Venezia; 1763 – 1777 Conegliano, chiesa di San Giovanni; 1777 - 1918 Conegliano, chiesetta della Madonna delle Grazie; 1917 – 1921 trafugata dagli austriaci e rintracciata a Udine; 30 luglio 1921 Conegliano, chiesetta della Madonna delle Grazie

Restauri: prima del 1774; 1920 / 22, Sanfiori; 1981 (Fossaluzza, 1993)

L’opera, attribuita a Beccaruzzi, rappresenterebbe, per alcuni motivi, un unicum all’interno del suo corpus artistico: la presenza di iscrizioni in latino, sicuramente volute dal committente, e il ricco fondale architettonico, studiato in tutti i particolari e molto articolato (Soligon, 2003).

I personaggi seguono il tipico schema piramidale con vertice il gruppo Madonna – Bambino e alla base i santi Giovanni Battista e Francesco d’Assisi con al centro un angelo musicante. Tutti sono assorti in una profonda contemplazione e non riescono per questo a comunicare tra loro, ma grazie alla posizione dei volti e alla gestualità l’osservatore riesce a riconoscerne l’unità spirituale.

Il punto d’inizio di queste relazioni è Maria, collocata su un trono in pietra sopraelevato grazie ad un alto basamento, con la mano sinistra regge Gesù Bambino, che sta ritto in piedi sul bordo del poggiolo lapideo. Maria deve aver da poco interrotto la lettura, nella mano destra ha un libro chiuso, e reclina il capo dolcemente verso destra, guidandoci verso san Giovanni Battista. Il Bambino, in posizione eretta perché è rialzato – risorto (Soligon, 2003) assume una posa speculare a quella della madre volgendo lo sguardo verso san Francesco. Tra i due si pone il crocifisso, attributo del santo, ma che in questo caso serve a ribadire alcuni elementi quali: la morte in croce di Gesù; la riflessione del santo e la sua

stigmatizzazione; quindi l’equiparazione Gesù – san Francesco. Il Bambino inoltre stringe nella mano sinistra un piccolo cardellino, con le ali aperte, a ricordare ancora una volta il suo futuro martirio.

Dalla parte opposta del dipinto troviamo san Giovanni Battista, rappresentato rispettando l’iconografia tradizionale. La nostra attenzione è guidata, seguendo il braccio nudo ben delineato dal punto di vista anatomico, nuovamente sul Gesù Bambino. La sua funzione di precursore è sottolineata maggiormente dall’esile croce in giunco arricchita da un sottile e lungo cartiglio. Ai suoi piedi, rispettando le proporzioni, è rappresentato l’agnello, ulteriore attributo iconografico collegato al verso riportato nel cartiglio: “ECCE AGNUS DEI ECCE QVI TOLLIT PCCA MUNDI”.

I molti rimandi alla morte in croce di Gesù sono in parte mitigati dalla presenza delle ciliegie e dalla Madonna, che qui è rappresentata come la Madonna delle Grazie. Il Bambino tiene nella mano destra le ciliegie per ricordare che come da un unico fiore di ciliegio nascono molti frutti, così da un unico sacrificio, la sua morte, gli uomini ottengano molti “benefici”. A ricordare le molte grazie di Maria ci sono anche altri dettagli come: la ghirlanda in pietra sotto il trono in onore del trionfo sul peccato originale; il cartiglio portato in volo dagli angeli che ricorda come il suo intervento aiuti la redenzione delle anime (Soligon, 2003).

Alle spalle dei personaggi in primo piano si apre un fondale variegato: sulla sinistra un massiccio edificio chiuso in fronte da colonne composite che incorniciano la figura di san Giovanni Battista; al centro lo sguardo può spaziare in un paesaggio collinare illuminato da una calda luce; sulla destra invece si scorge la porzione di un palazzo signorile preceduto, probabilmente, da un giardino chiuso entro le alte mura. Alle finestre del palazzo si affacciano personaggi, resi come macchiette di colore, caratterizzati dal turbante che li connota come Turchi. Soligon propone piuttosto di leggerli come Giudei riuniti all’interno del Tempio di Salomone, visto che il muro racchiude un giardino, un Hortus Conclusus, con allusione alla Vergine e alla sua discendenza da Iesse, Davide e Salomone (Soligon, 2003). Vicino al muro sono però presenti due colonne spezzate, contrapposte alle due integre dell’edificio sulla sinistra, che vogliono far riflettere, le prime, sulla fine del mondo giudaico, mentre le seconde sulla solidità e sicurezza della nuova chiesa alle cui basi ci sono Gesù e la Vergine (Soligon, 2003). Il fondale così riccamente elaborato e articolato architettonicamente viene collegato, da Fossaluzza, alle influenze di Pordenone, così come il modellato della figura di san Giovanni Battista (Fossaluzza, 1981).

Il progetto iconografico si presenta articolato, l’ideatore è da riconoscere nel vescovo Antonio Salamanca Hoyos ricordato nella scritta a caratteri capitali sul lato inferiore della

pala, che lo connota come il committente. La scritta è stata letta e interpretata in due modi diversi da due storici dell’arte locali: Fossaluzza legge V(ER)GINIS HUIC T(E)MPLO SALAMA(N)CA ANTONIUS (HC/OS) DONAVIT PULCHRAM HANC VERGIN(I)S EFFICIE (Fossaluzza, 1993) mentre Soligon V(I)CINIS [V(IR)GINIS] HUIC TEMPLO SALAMA(N)CA ANTONIUS HOYOS BONAVIT PULCHRAM HANC VIRGINIS EFFIGIE(M) (Soligon, 2003). Antonio Salamanca era stato vescovo di Gurk in Carinzia, e all’epoca spiccava come personaggio colto, raffinato e ben voluto dalla gente.

Non si tratta di un’opera documentata o firmata dall’artista e le fonti più antiche non la attribuiscono a lui, ma Fossaluzza che la data a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta la riferisce alla mano di Francesco Beccaruzzi (Fossaluzza, 1993).

Malvolti la ricorda in cattive condizioni nella chiesa di San Giovanni di Conegliano, collocata provvisoriamente qui dopo la soppressione e demolizione della chiesa dei padri riformati, in attesa che venisse costruito il nuovo edificio per poi ricollocarla sull’altare maggiore assieme ad altre due tele salvate dall’espatrio a Venezia. La definisce di “eccellente mano” anche se “ritoccata da mano poco esperta” (Malvolti, 1774). Anche l’Anonimo di Padova apprezza il dipinto, che nel frattempo è stato ricollocato al suo posto nell’Oratorio della Madonna delle Grazie, e lo definisce di “ottima scuola veneta e ricorda la buona maniera del Bordon” (Anonimo, 1794). Anche Francesco Scipione Fapanni nel suo testo dedicato alle chiese e luoghi pubblici di Ceneda, Serravalle e Conegliano lo ricorda come un buon dipinto del XVI secolo senza però fare alcuna ipotesi attributiva (Fapanni, 1856). Solamente nel 1864 Giovanni Battista Alvise Semenzi lo inserisce nel catalogo di Beccaruzzi, seguito poi da Berenson (1897 e ss.) e ripreso da Botteon che sottolinea la bravura dell’esecutore aggiungendo che alcuni “critici la fanno di pittore più valente del Beccaruzzi” (Botteon, 1913). Menegazzi, nel commento al Catalogo del Malvolti, riporta la notizia ma afferma anche che l’ipotesi avanzata è da accertare (Menegazzi, 1964). Alfredo De Mas riferisce un’altra attribuzione: nella seconda metà del Settecento i coneglianesi credevano fosse un’opera di Pordenone (De Mas, 1966; 1972). Si può affermare però che dagli anni Ottanta del Novecento il dipinto è riconosciuto generalmente come opera di Francesco Beccaruzzi e databile intono al 1535, solo Lucco (1985) lo inserisce nel catalogo di Ludovico Fiumicelli, smentito però a più riprese da Fossaluzza nei suoi contributi su Beccaruzzi (Fossaluzza, 1981; 1993). In uno di questi sottolinea l’utilizzo della luce che sembra derivare dalla visione delle opere di Lotto (Fossaluzza, 1981) mentre qualche anno dopo riferisce che l’artista dimostra un interesse per la pittura tizianesca, in particolare per il filone accostabile a Bonifacio Veronese, che poi proseguirà per tutto il decennio e che

include anche l’opera di Castelfranco, l’Incontro di Gioacchino e Anna (scheda 6. 7.16.) (Fossaluzza, 1993).

Liberali loda l’opera della Madonne delle Grazie per la tonalità calda e la fusione dei colori, molto vicina ai gusti lotteschi; per il trattamento sfumato e morbido dei volumi e per la nobiltà dell’espressione e del disegno. Compara san Giovanni Battista con quello della pala di Vazzola, Madonna con il Bambino in gloria incoronata dagli angeli con i santi Giovanni

Battista e Macario vescovo (oggi al Museo Diocesano di arte sacra di Vittorio Veneto,

scheda 6.7.13.), affermando che, nonostante siano identici, il secondo “è orrendo”mentre san Francesco somiglia molto a quello del Duomo di Conegliano, San Francesco riceve le

stigmate e sei santi (scheda 6.3.2.) (Liberali, 1945).

La storia di questo dipinto è molto interessante e in parte è emersa dalle fonti già citate. L’opera, collocata sull’altare maggiore della chiesa di Santa Maria delle Grazie, tra gli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento, vi rimase fino al 1763, anno della soppressione del convento da parte della Serenissima. Tutte le opere vennero incamerate e trasportate a Venezia, ma la protesta dei cittadini fece sì che tre di queste tornassero in città (la pala qui trattata; San Floriano vescovo di Oderzo riceve le chiavi della sua chiesa e indica san

Tiziano come suo successore (scheda 6.7.18.), opera attribuita a Beccaruzzi; e un dipinto

citato dalle fonti come la Santissima Trinità). Il convento annesso alla chiesa venne venduto a privati, il conte Altan di Serravalle e don Domenico Celotti, l’11 luglio 1772 con l’obbligo di lasciare a disposizione dei fedeli le tre pale rientrate da Venezia. I due compratori si assunsero l’impegno, dopo la demolizione avvenuta nel 1773, di riedificare la chiesa e di ricollocare le tre opere al suo interno, che nel frattempo erano provvisoriamente ospitate nella chiesa di San Giovanni a Conegliano. Nel 1775 due di queste erano già state riposizionate nel luogo d’origine, mentre la Madonna in trono con il Bambino tra i santi

Giovanni Battista e Francesco d’Assisi e angelo musicante dovette attendere altri due anni,

cioè finché l’edificio non fu ritenuto idoneo. Il 5 marzo 1777, grazie anche alle insistenze di Malvolti, l’opera fu riposizionata sull’altare maggiore ove rimase fino alla prima guerra mondiale, quando intorno al 1917/1918, gli invasori austriaci la requisirono. Nel 1922 venne rintracciata a Udine, e dopo il restauro da parte di Sanfiori, venne ricollocata in chiesa dove si trova tutt’oggi (Fossaluzza, 1993). Vital e De Mas riferiscono il 30 luglio 1921 come data del ritorno in città (Vital, 1926; De Mas, 1966; 1972).

BIBLIOGRAFIA

MALVOLTI, ms., 1774 b, c. 6; ANONIMO, ms., 1794; SEMENZI, 1864, p. 257; FAPANNI, ms., 1856, p. 685; BERENSON, 1897, p. 88; BERENSON, 1907, p. 88; BERENSON, 1910, p. 88; BOTTEON, 1913, p. 507; VITAL,1926, p. 32; MOSCHETTI, 1932, p. 49; VITAL, ms., 1944, ff. 12, 125 – 127, 329; LIBERALI, ds., 1945, p. 27; BERENSON 1957, I, p. 27; BERENSON, 1958, p. 87; MENEGAZZI,1964,p. 10;DE MAS, 1966, p. 126; FALDON,1968,p. 72; DE MAS 1972, pp. 154 – 156; FOSSALUZZA, 1981, p. 75; BALDISSIN MOLLI,1982, pp. 15, 26 - 27; LUCCO, 1985, p. 145; CANIATO – BALDISSIN, 1987, p. 136; FOSSALUZZA, 1993, pp. 116, 125, nota 92; FOSSALUZZA, 1998, p. 643; SOLIGON, 2003, pp. 104 – 108; BEVILACQUA, 2006, pp. 79 - 80.

Nel documento Francesco Beccaruzzi (pagine 102-107)