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SAN FRANCESCO D’ASSISI IN ORAZIONE NEL DESERTO

Nel documento Francesco Beccaruzzi (pagine 107-111)

5. L’ATTIVITA’ ARTISTICA

6.7. Opere attribuite

6.7.6. SAN FRANCESCO D’ASSISI IN ORAZIONE NEL DESERTO

Venezia, Museo del Settecento Veneziano - Ca’ Rezzonico, collezione Mestrovich Olio su tela, 192 x 125 cm

Provenienza: 1817 Venezia, chiesa dei Santi Giovanni e Paolo; Venezia, collezione

Caregiani; Venezia, collezione Mestrovich; 2001 Venezia, Museo del Settecento Veneziano - Ca’ Rezzonico, donazione Mestrovich

Il San Francesco esposto a Ca’ Rezzonico è stato per lungo tempo proprietà di collezionisti privati e per questo rimasto sconosciuto al pubblico e agli studiosi. In seguito alla donazione di alcune tele da parte di Ferruccio Mestrovich al Museo del Settecento Veneziano con sede a Ca’ Rezzonico, Venezia, Filippo Pedrocco ha pubblicato una guida di presentazione dei nuovi dipinti entrati a far parte delle collezioni (2001). Il San Francesco d’Assisi in orazione

nel deserto è presentato come inedito e la corretta attribuzione a Francesco Beccaruzzi,

appoggiata da Pedrocco, è suggerita dallo stesso Ferruccio Mestorvich.

Studiando più attentamente le pubblicazioni relative all’artista emerge che l’opera non è inedita e già dall’Ottocento aveva suscitato interesse negli storici e studiosi che hanno trasmesso le informazioni a loro disposizione.

Il punto di partenza per lo studio delle opere di Beccaruzzi è il saggio di Botteon (1913) nel quale viene ricordato un dipinto con un soggetto simile: “75). – Venezia S. Giovanni e Paolo – S. Francesco di Assisi stigmatizzato – Nella guida massima di Venezia (1864) è ricordato questo quadro del Beccaruzzi, come posto in questa chiesa. Ora non si trova più. Si dice che sia stato trasportato nel deposito delle R. Gallerie di Venezia. Lo descrive lo Zanotto nella sua Pinacoteca veneta” (Botteon, 1913).

Nell’indicazione dei dipinti Botteon non fornisce molte informazioni, ma fortunatamente per questa tela dà alcuni riferimenti bibliografici importanti, in particolar modo il testo di Francesco Zanotto del 1860 che, oltre a dare una descrizione sommaria del dipinto, fornisce anche un’incisione del dipinto eseguita da Buttazon su disegno di Rebellato.

La realizzazione dell’incisione è importante perché ha permesso di trasmettere l’immagine del dipinto ritenuto disperso da Botteon ma riemerso dopo secoli nella collezione Mestrovich. Dal confronto risulta evidente la derivazione dell’incisione dal dipinto dal quale si diversifica solo nei lineamenti del volto del santo e nella realizzazione della croce (nel dipinto si vede solo in braccio inferiore mentre nell’incisione è bene riconoscibile).

Le differenze tra i due manufatti sono giustificate dal loro diverso utilizzo: l’incisione era rivolta a un pubblico vasto, pensata per un’ampia diffusione e quindi doveva essere ben leggibile e chiara nel messaggio, per questo la croce è riconoscibile; mentre la pala, elaborata su precisa indicazione del committente, non necessitava ulteriori specificazioni.

Le prime notizie certe sul dipinto lo ricordano posto sulla parete di destra della cappella di San Pio V nella chiesa dei santi Giovanni e Paolo di Venezia (Soràvia, 1822; Zanotto, 1856). Il luogo originario per cui fu pensato e realizzato questo dipinto non è facile da rintracciare; per Francesco Zanotto (1860) raggiunse Venezia in seguito alle soppressioni napoleoniche assieme al San Francesco riceve le stigmate e sei santi, con il quale condivide anche il luogo di provenienza, la chiesa di San Francesco di Conegliano (oggi demolita). La sua ipotesi non è però confermata dagli storici locali; non si trovano riferimenti al dipinto né nel Catalogo di Malvolti (1774), né nell’elenco fornito dall’Anonimo del 1794, e nemmeno nel più esaustivo inventario delle opere presenti nella chiesa di San Francesco di Conegliano redatto da Fra Robero Bertini nel 1773 su richiesta di Malvolti (Baldissin Molli, 1980).

Sempre Botteon riferisce che molto probabilmente il dipinto, tolto dalla chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, viene spostato nei magazzini delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Nel catalogo di Sandra Moschini Marconi (1962) San Francesco in orazione nel deserto non è indicato, ma viene citato in riferimento ad una tela raffigurante San Lorenzo e attribuita a Parrasio Micheli, oggi collocata nella chiesa di San Lorenzo di Vicenza (scheda 6.8.50). Secondo quanto riferisce Moschini Marconi i due dipinti erano esposti in coppia nella seconda stanza del Magistrato del Monte Nuovissimo del Palazzo dei Camerlenghi, ma anche questa ipotesi non è sufficientemente supportata da indicazioni storiche e la provenienza è giustificata con la sola coincidenza delle misure e dei soggetti nominati da Marco Boschini nelle Miniere della Pittura (1664).

Secondo quanto scrive Moschini Marconi anche il San Francesco d’Assisi in orazione nel

deserto è attribuito a Parrasio Micheli da von Hadeln (1912), attribuzione che non è smentita

ma nemmeno accettata, si limita infatti a riportare le opinioni degli altri storici, anche perché il dipinto era ancora ritenuto disperso.

Con l’apertura al pubblico della collezione Mestrovich il dipinto, studiato da Pedrocco, viene assegnato a Francesco Beccaruzzi in base a confronti stilistici con altre opere unanimemente attribuite all’artista, in particolar modo con il San Francesco riceve le stigmate e sei santi (scheda 6.3.2.) del Duomo di Conegliano. Un preciso riferimento, per quanto riguarda il panneggio del saio, si riscontra nella figura di sant’Antonio (Pedrocco, 2001), al quale

aggiungerei anche la somiglianza dei lineamenti del volto anche se colti con angolazioni diverse.

Fondamentale per la realizzazione di questo dipinto è, secondo Pedrocco, lo studio della cappella Malchiostro. Alcuni storici sostengono la collaborazione di Beccaruzzi con Pordenone per il completamento degli affreschi in seguito alla sua partenza per Cremona, e dal periodo di cooperazione riprende alcuni elementi tipici della pittura di Pordenone. A lui rimanderebbe la monumentalità dell’unica figura raffigurata nella tela centinata, elemento effettivamente riscontrabile almeno in un’altra opera, l’Incontro dei santi Gioacchino e Anna nel Duomo di Castelfranco Veneto (scheda 6.7.16.). Sorprendente è anche l’utilizzo di un modello simile per la realizzazione dei corpi di san Francesco e sant’Anna che differiscono solo nella posa delle braccia e nella gamba d’appoggio.

In quest’opera Beccaruzzi non si limita a recepire soluzioni pordenoniane e a rielaborare propri modelli, ma prende degli spunti anche da opere di Tiziano dimostrando ancora una volta la sua attenzione verso i contemporanei e l’integrazione nella comunità artistica nonostante la sua costante attività “provinciale”.

Il contatto con le opere del maestro veneziano avviene per lo più in modo indiretto, probabilmente tramite incisioni e disegni, con un’unica certa eccezione: la cappella Malchiostro. La cappella che già era un punto di riferimento per i pittori trevigiani riveste un ruolo ancora più importante dopo la collocazione sull’altare della pala dell’Annunciazione di Tiziano (imm. 5). Anche Beccaruzzi deve averla studiata a lungo fino a renderla propria e il risultato si vede sempre nel san Francesco della collezione Mestrovich, dove l’inclinazione della testa e la mano destra sono elaborati sul modello tizianesco. Quindi la ripresa di Tiziano riveste un ruolo maggiore rispetto a quanto già delineato da Pedrocco che limitava l’influenza alle sole dita della mano destra (Pedrocco, 2001).

Un generico riferimento al grande maestro può e deve esser letto nella scelta dell’ambientazione, essenziale, scabra e quasi inospitale che Tiziano continuerà ad elaborare fino alla sua morte raggiungendo l’apice nel San Girolamo, del Monasterio de San Lorenzo de El Escorial a Madrid (1575). Lo studio di Tiziano della natura come elemento avverso all’uomo era già iniziato con la pala raffigurante il Martirio di san Pietro da Verona, presente nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, ma andato distrutto nell’incendio del 1857, che Beccaruzzi doveva conoscere e più volte in passato fu messa in relazione con il San Francesco riceve le stigmate e sei santi di Conegliano.

La ripresa della rupe scoscesa è evidenziata da Pedrocco (2001) ma già Zanotto (1860) aveva notato come l’atmosfera generale del dipinto, la luce soffusa del sole, i toni dei colori molto

caldi e l’espressione serena nonostante la penitenza e sofferenza del santo, derivassero da Tiziano e qualificandolo di conseguenza come un suo “fido seguace”.

BIBLIOGRAFIA

BOSCHINI,1664, p. 276; ZANETTI, 1733, p. 283; SORÀVIA, 1822, p. 100; ZANOTTO, 1856, p. 293; ZANOTTO, 1860, p. 82; VON HADELN, 1912, pp. 156 – 157; BOTTEON, 1913, p. 511; RAMBALDI, 1913, p. 36; MOSCHINI MARCONI, 1962, p. 143; PEDROCCO, 2001, pp. 18 – 19; SOLIGON, 2003, p. 144

6.7.7. MADONNA IN TRONO CON IL BAMBINO TRA I SANTI ELENA E TIZIANO E

Nel documento Francesco Beccaruzzi (pagine 107-111)