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MARIA DISCEPOLA DI GESÙ ED EDUCATRICE DEL CRISTIANO

1. Da madre a discepola di Gesù

La rivelazione neotestamentaria presenta Maria in atteggiamento di ascolto, di stupore, di riflessione, di interrogazione e infine di fede-ob-bedienza nei confronti della Parola, alla quale consacra l’intera sua esi-stenza: «Ecco la serva del Signore, mi avvenga secondo la tua parola» (Lc 1,38). Ella ha creduto, ha accolto il dono di Dio con tutta la capacità del suo essere umano e femminile,1 ma la fede non si esaurisce in un’opzione fondamentale operata una volta per tutte. Essa interpella continuamente e in maniera sempre nuova chi si mette sui misteriosi sentieri di Dio.

L’umile fanciulla di Nazaret non comprende tutto né subito (Lc 2,50): è chiamata a riflettere ed interiorizzare (Lc 2,19.51b), a mettersi in discus-sione, a ripetere con sempre maggior coscienza il suo sì. Ella è la povera con gli occhi rivolti al Signore in attesa di un cenno della sua mano (cf Sal 123[122], 2); è figura di un’altra Maria, quella di Betania, che seduta ai piedi del Maestro ne ascolta la parola (Lc 10,39); è come Giovanni, il Battista, che ascolta Gesù ed «esulta di gioia alla voce dello sposo», il quale deve crescere e lui diminuire (cf Gv 3,29-30).

La Vergine è beata per aver creduto (cf 1,45; 11,28); ma insieme con la gioia e la letizia del cuore – come Geremia (cf Ger 15,16ss) – ella spe-rimenta un’intima, lacerante sofferenza. È il dolore per aver smarrito il Figlio, che percorre sentieri sconosciuti (cf Lc 2,43-46); per non averne compreso il misterioso messaggio; per non conoscere abbastanza quel fanciullo che in realtà non le appartiene.

1 Cf Redemptoris Mater, n. 13.

La scena dello smarrimento di Gesù mette in luce, in maniera non se-condaria, anche lo smarrimento della madre e del “padre”. E alla ricerca affannosa compiuta a ritroso verso Gerusalemme corrisponde, in profon-dità, la ricerca non meno difficile e sofferta dell’identità profonda di quel fanciullo che si rivela Figlio del Padre. In tale impegnativa “ricognizione”

Maria è impegnata non solo in quella particolare circostanza, ma sempre, come ogni credente. Non a caso Luca ripropone l’immagine della Vergine in atteggiamento meditativo – con verbi all’imperfetto, tempo della conti-nuità perseverante – intenta a scrutare e confrontare eventi e parole con-cernenti il Figlio (cf Lc 2,19.51b). La sua vita è colma di beatificante stu-pore (cf Lc 2,33), ma insieme sottoposta all’incessante fatica del credere.

Ella è totalmente a disposizione della Parola sempre nuova che le viene rivolta e di quel Figlio in cui tutte le parole si concentrano ed acquistano definitivo significato.

Anche l’unico tratto, «ed era loro sottomesso» (Lc 2,51), che sembra riservare ai genitori un ruolo attivo, sottolinea il mistero sconcertante di quel fanciullo che, pur essendo Figlio del Padre, ridiscende a Nazaret per sottomettersi a coloro che non sono in grado di comprenderlo. Non è sen-za significato constatare che, a partire dal v. 43b, è il ragazzo il protago-nista della scena del tempio; e anche nel v. 51 è lui il soggetto dei verbi.

Al contrario, l’atteggiamento della madre è di incomprensione – non solo nel v. 50 – e di stupore (v. 48) seguito da intensa riflessione (v. 51b). Lu-ca insiste nel presentare Maria in ascolto: è lei la discepola e il Figlio il Maestro.

La centralità della figura di Gesù emerge non solo nella pericope del ritrovamento al tempio, ma in tutti gli episodi dei vangeli dell’infanzia.

Pur nella loro diversità, i racconti di Matteo e di Luca sono testi eminen-temente cristologici, nei quali non si elabora una mariologia diretta ed esplicita: la madre di Gesù è contemplata alla luce e in riferimento al Fi-glio. Tutto è al servizio della rivelazione di Gesù, il Cristo discendente davidico e l’Emmanuele Figlio di Dio.

• All’origine della narrazione di Mt 1-2 si possono intravedere alcuni in-terrogativi circa l’identità del Bambino e le circostanze della sua venuta nel mondo. Sembra si voglia rispondere anzitutto a due domande fondamentali, quis? e quomodo?: chi sia Gesù e come sia avvenuta la sua nascita. Alla prima domanda si dà risposta presentando Gesù come “figlio di Davide” in base alla genealogia (Mt 1,1-17), e come Dio-con-noi, nel quale si compie la profezia isaiana dell’Emmanuele (Is 7,14; Mt 1,22-23).

In risposta alla seconda domanda, riguardante il “come” della nascita del discendente davidico, l’evangelista rivela che egli è stato concepito per opera dello Spirito Santo ed è nato da una madre vergine, sulla base del medesimo annuncio di Isaia (cf Mt 1,18-25). Maria, per conseguenza, è la madre del Re-Messia davidico e la madre-vergine dell’Emmanuele, Dio-con-noi.

Alle domande precedenti se ne possono aggiungere altre due, pure importanti, che intendono illuminare la figura di Gesù e per conseguenza quella della madre. Esse sono ubi? e unde?, riguardanti il luogo della na-scita e la provenienza del Messia. La risposta al primo interrogativo è as-sicurata dalla profezia di Michea rivolta a Betlemme (Mic 5,1.3), città del casato del re Davide; per il secondo quesito Matteo introduce un oscuro riferimento a Nazaret da cui tradizionalmente si ritiene provenga Gesù.

Alla luce di queste risposte fornite in funzione cristologica, la Vergine as-sume il volto della partoriente di Betlemme, madre del Pastore del suo popolo, e poi – con un netto, paradossale contrasto – quello dell’umile donna di Nazaret che condivide le origini e la condizione del profeta che viene dalla periferica, oscura cittadina di Galilea.

Come si vede, la figura della madre è plasmata sull’immagine del Fi-glio. Il “discepolato” di Maria nei confronti di Gesù è costitutivo, per così dire, della sua identità. Il legame inscindibile con il Figlio, caratterizzante la figura di Maria, nella sua condizione unica di madre-vergine – segno di totale reciproca appartenenza – è messo in piena luce dalla formula icasti-ca e chiaramente intenzionale “il bambino e sua madre” ripetuta ben cin-que volte nello spazio d’una decina di versetti (Mt 2,11.13-14.20-21). A ulteriore conferma si rifletta sul coinvolgimento di Maria nel destino del Figlio, oggetto di rifiuto e di persecuzione da parte del suo popolo.

In Mt 1-2 la madre di Gesù non parla mai: è avvolta in un alto silenzio meditativo di attonito stupore dinanzi agli eventi grandiosi di cui è parte-cipe e di doloroso smarrimento di fronte alle sofferenze del Figlio. Ella è in atteggiamento di ascolto e di totale disponibilità ai segni offerti da Dio e alle decisioni prese da Giuseppe per salvare la vita del Bambino. Al centro dell’attenzione c’è Lui: la madre è l’umile serva e la fedele disce-pola.

• In Lc 1-2 il dato cristologico è messo accuratamente in luce da una serie di annunci-rivelazioni e mediante il parallelismo delle scene e dei personaggi tra i quali emerge sempre la figura di Gesù. Particolare atten-zione meritano gli annunci a Maria e ai pastori, nei quali si rivela a chiare lettere il mistero di Cristo: discendente davidico (Lc 1,32-33), Figlio di

Dio generato per opera dello Spirito Santo (1,35), Salvatore, Cristo, Si-gnore (2,11).

Parallelamente al Figlio viene messa in luce sempre più piena la figura della madre. Si pensi alle parole di Elisabetta in cui la Vergine è inscindi-bile dal Figlio che dimora in lei e che viene già celebrato come il Signore.

Degne di nota sono pure le rivelazioni di Simeone e della profetessa An-na, che a gara parlano del bambino annunciandone il mistero di gloria e di sofferenza e il diretto coinvolgimento della madre. Al vertice di tutto si colloca l’autorivelazione di Gesù stesso (Lc 2,49), con la conseguente incomprensione da parte della madre, che appare come non mai l’umile discepola del Figlio, la cui sapienza sorprende i dottori del tempio e su-scita lo stupore di tutti quelli che l’ascoltano (cf 2,46-47).

In Lc 1-2 – a differenza di quanto avviene nei racconti dell’infanzia di Matteo, in cui appare silenziosa e stilizzata – Maria è una figura piena di vita che ascolta, si turba, interpella, risponde, si mette in viaggio, canta, dà alla luce il Figlio di Dio in una stalla, è colma di stupore per le gran-diose rivelazioni e attonita di fronte ai misteriosi presagi di sofferenza...;

su tutto ritorna con il silenzio contemplativo del sapiente, che medita su-gli eventi scrutandone il senso e la finalità. Il sì iniziale alle parole del-l’angelo inaugura per lei un itinerario di fede a motivo del Figlio e accan-to a Lui; l’intera sua vita è ormai una scuola di ascolaccan-to, di servizio e di te-stimonianza.

Si tratta d’un itinerario non facile: la fatica che sosterranno i discepoli per entrare nel mistero di Gesù è anticipata in qualche modo nel-l’itinerario di fede di Maria,2 la quale ben prima di loro aveva ricevuto la chiamata e l’invito del Maestro a seguirlo.3 Come Abramo, che partì sen-za sapere dove andava (cf Eb 11,8), ella cammina alla luce di una Parola per sentieri sconosciuti.

• Il discepolato di Maria nei confronti del Figlio, già constatabile nei vangeli dell’infanzia, diventa esplicito, anzi assume un rilievo par-ticolare nei vangeli sinottici. In essi si sottolinea il faticoso cammino di fede di tutti i discepoli e dunque anche della madre di Gesù. A questo scopo ci soffermeremo brevemente sul ben noto testo di Marco 3,31-354 nel confronto con i testi paralleli di Matteo 12,46-50 e Luca

8,19-2 Cf Redemptoris Mater, nn. 12-19.

3 Cf ivi 20.

4 Cf il volume monografico di Theotokos 2 (1994)2; VALENTINI A.,Chi è mia ma-dre, chi sono i miei fratelli? (Mc 3,31-35), in Marianum 148 (1995) 645-684.

21.

Per ambientare la nostra pericope, intendiamo mettere in luce una ca-ratteristica del vangelo di Marco presente in un brano che precede di poco il nostro testo.

Nell’elezione dei Dodici – a differenza di Matteo e Luca che eviden-ziano altri aspetti – il secondo evangelista annota che Gesù li scelse anzi-tutto perché «stessero con lui», e poi «per inviarli ad annunciare e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (3,14s). Egli cerca di formarsi una comunità di persone – anche oltre i Dodici – che stiano con lui, che siedano attorno a lui, distaccati da coloro che lo seguono in maniera gene-rica e occasionale come le folle, o gli stessi compaesani e parenti che non comprendono la sua missione ed anche la ostacolano.

In tale contesto, Marco colloca la scena della madre e dei fratelli che vanno a trovare Gesù (Mc 3,31-35) e stando fuori lo mandano a chiamare.

In risposta a coloro che gli annunciano la presenza dei familiari, Gesù domanda chi siano in realtà i membri della sua famiglia. In tal modo, egli mette in questione i vincoli di parentela e – guardando quelli attorno a lui – afferma che sua madre e i suoi fratelli sono coloro che fanno “la volontà di Dio” (Mc 3,35) / “la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 12,50).

In queste parole è indicato il criterio fondamentale di appartenenza a Ge-sù, valido per tutti i discepoli, compresi ovviamente i parenti. Per la ma-dre di Gesù e per i fratelli – come per tutti gli Israeliti ai quali appartiene Gesù secondo la carne (cf Rm 9,3) – si richiede di andare oltre i vincoli del sangue per entrare nella condizione di discepolato, mediante la dispo-nibilità a compiere la volontà di Dio. Solo così si può essere fratello, so-rella e madre di Gesù, il quale per primo ha messo la propria vita al servi-zio dei progetti del Padre.

Questa, in sostanza, è la prospettiva di Marco e Matteo. Nei confronti di essa, la redazione di Luca introduce alcuni significativi cambiamenti.

Anzitutto, il terzo evangelista colloca l’episodio della madre e dei fra-telli dopo – non prima, come fanno Marco e Matteo – la parabola del se-me e dell’accoglienza da parte dei diversi tipi di terreno: ciò gli offre l’opportunità di applicare alla madre e ai fratelli la lezione inculcata dalla parabola stessa.

In secondo luogo, Luca omette la domanda discriminante di Gesù cir-ca i suoi veri parenti: ciò elimina quel senso di contrapposizione che le parole di Gesù potrebbero creare tra lui e i suoi familiari.

In terzo luogo, sostituisce o meglio precisa la condizione per far parte della sua parentela: egli parla non di compimento della volontà di Dio, ma

di ascolto e pratica della parola, del seme da accogliere in terra buona per un frutto abbondante (cf Lc 8,8).

Alla luce della redazione lucana, l’episodio appare molto più positivo:

non si tratta di escludere la famiglia terrena a vantaggio di quella spiritua-le, ma di invitare i parenti ad entrare nella cerchia dei discepoli mediante l’ascolto e il compimento della parola. Per quanto riguarda in particolare la madre, è noto che Luca presenta ripetutamente Maria come la credente, la donna proclamata beata per la sua fede (cf 1,38.45; 11,28). Nella reda-zione lucana della pericope sinottica concernente i familiari di Gesù si può scorgere pertanto un implicito elogio della fede della madre, che lo stesso Gesù un giorno – correggendo il grido spontaneo d’una donna della folla – proclamerà beata (cf 11,28).

In ogni caso, a livello di redazione sinottica, nel nostro episodio è piuttosto evidente un climax: dalla posizione essenziale e per certi versi

“ambigua” di Marco (a causa dell’influsso indiretto dei vv. 3,30-35) a quella più lineare di Matteo (12,46-50) fino alla presentazione lucana che non solo indica l’itinerario di fede della madre di Gesù, ma ne fa intrave-dere il compimento e l’approdo.

In sintesi, la logica sinottica del discepolato si esprime, secondo Mar-co, in un invito ai familiari e a tutti ad entrare nella cerchia della famiglia di Gesù, costituita da coloro che compiono la volontà di Dio; secondo Matteo, similmente, si tratta di diventare discepoli facendo la volontà del Padre che è nei cieli, Padre di Gesù e di tutti coloro che gli appartengono;

secondo Luca, ad essere terra buona e feconda che accoglie la Parola di Dio con fede e porta frutto nella perseveranza. In tal modo, il terzo evan-gelista sottolinea che la vera parentela con Cristo poggia sui vincoli della fede. Appunto come Maria che ha accolto il Figlio di Dio prima nella fe-de e poi nel grembo, ed è divenuta la vera madre fe-del Signore (cf Lc 1,43).