2.2: L’interpretazione degli studiosi: Ijtihād e Iṣlāḥ
3.3 La mancanza di risposte ai giovan
Nei paesi arabi, dove credere in Dio è al limite dell’automatismola società islamica prevede che tutti i suoi membri credano e cerca di proteggersi da qualsiasi dubbio possa minare la sua unità religiosa. Le questioni sociali riguardo problematiche definite impensabili come la mancanza di fede vengono considerate come “impensabili”, “improponibili” o “frutto di tentazioni sataniche”. Non se ne parla e vengono evitate.
Nonostante quello che può pensare la collettività, scegliere di vivere senza Dio non è una decisione improvvisa. Si tratta del risultato prodotto da un insieme di ragioni sociali, razionali o logiche. Numerose testimonianze concordano sul fatto che è frutto di un profondo travaglio culminante con una sorta di liberazione. Per potersi sviluppare completamente, le conversioni richiedono coraggio, determinazione e conoscenza dei rischi che si corrono. Alcune sono rimaste a metà.
I fattori che entrano in gioco nel processo sono molti e si susseguono negli anni. Il primo passo verso l’ateismo o una nuova religione è la curiosità. I futuri apostati iniziano a porre domande alle quali veniva risposto in modo sfuggente o collerico. Ancor prima dei rimproveri ricevono le botte. Non venendo soddisfatte, le ricerche continuano per conto proprio e in segreto. Una volta che si insinua il dubbio, sorge una sorta di tarlo su una questione religiosa specifica al quale si accompagna un peregrinare tra biblioteche, dotti, su Internet per trovarne la soluzione. Questi passi iniziali sono fiduciosi verso una risposta. Quando la “caccia di sapere” prosegue senza successo i dubbi diventano sempre maggiori. L’ambiente, soprattutto se rigido e conservatore, è molto importante nella costruzione della nuova identità. La religione è una miccia verso l’ateismo: la maggior parte dei “miscredenti” ha vissuto in un ambiente religioso. Essendo il processo verso l’ateismo lungo e assetato di conoscenza, paradossalmente un ateo conosce molto di più di un credente la religione.
Oltre all’ambiente vi è il grado di istruzione. Chi è amante della conoscenza la esercita in tutti i campi attraverso lo studio e la ricerca. Dunque giungere all’ateismo implica prima uno studio per soddisfare quei dubbi ai quali la famiglia o gli esperti non sanno rispondere e non vogliono affrontare. Le domande più frequenti, ad esempio, sono “Cos’è Dio? Cosa rende una persona buona o cattiva? Perché Dio permette questo anche se è ingiusto? Come possono
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certe persone andare all’inferno se sono buone? Perché questo è proibito?”. Le persone interpellate reagiscono con orrore. Nel libro “I cristiani venuti dall’Islām” di Camille Eid e Giorgio Paolucci sono raccolte una serie di testimonianze di musulmani che si sono convertiti al cristianesimo e si ripercorre tutto il travaglio che li ha portati a ricevere il battesimo. I nomi degli intervistati sono fittizi per proteggere la privacy vista la condizione delicata.
“Il giorno che a scuola decisi di dire ad alta voce quelle domande che da tempo mi frullavano in testa presi una sonora ramanzina e uno schiaffo dall’insegnante -Cosa vai pensando ragazzo? Chi ti ha messo in testa certe cose? Come ti permetti di mettere in discussione quello che insegna la nostra religione? - Piansi tutto il giorno di rabbia e di paura. Anzichè aiutarmi a rispondere alle domande che mi portavo dentro, il professore le troncava sul nascere dandomi del piccolo miscredente se osavo riproporle.”116
Un imam risponde:
“Certe cose è meglio non chiedersele, bisogna soltanto ubbidire e sottomettere la
nostra volontà a quella dell’Altissimo e Misericordioso. Altrimenti le nostre domande ci potrebbero deviare dalla retta via e spingerci sul sentiero di coloro che sono incorsi nella sua ira e degli sviati.”117
La reazione di un padre quando “Antuan” di origini turche, non riesce più a nascondere il suo progetto di cambiare religione per diventare prete:
“Un giorno presi il coraggio a due mani e ne parlai con mio padre. Fu un disastro:
mi guardò sgranando gli occhi incredulo, sul suo viso prese forma una smorfia di disgusto. Urla, imprecazioni e schiaffi (...) Minacciò di uccidermi se avessi continuato a coltivare il mio proposito e di fare del male ai frati che mi avevano messo certe idee in testa.”118
Pochi giorni dopo Antuan rassicura suo padre promettendo, solo a parole, di interrompere il suo cammino. Alla fine riuscirà a farsi prete e il padre si arrenderà.
Una delle protagoniste, Amina, figlia di un musulmano e di una cristiana, sottolinea nel libro una cosa importante:
“Il cuore del mio problema non era l’esistenza di Dio, qualcosa che personalmente
non ho mai esitato ad ammettere ma la sua presenza nella mia vita, una presenza capace di
116 G.PAOLUCCI, C.EID, Op. Cit. p.61 117 G.PAOLUCCI, C.EID, pg. 78 118 G.PAOLUCCI, C.EID, pg. 85
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cambiare le mie giornate. Che me ne facevo di un Dio che esiste ma che non c’entra con me? Non ero alla ricerca di folgorazioni, visioni mistiche o cose del genere. Cercavo piuttosto una risposta convincente alle mie domande sulla vita, qualcosa di ben diverso da quell’insieme di regole, permessi e divieti che era diventata per me la religione islamica.”119
A grandi linee vi sono quattro passaggi che più o meno consciamente vengono attraversati per diventare atei:
1. il punto di partenza: il senso onnipresente del divino 2. dubbi sulla presenza di Dio
3. rifiuto del divino
4. uscire alla scoperta come ateo120
L’ultimo punto non è sempre raggiunto in quanto ancora molti atei vivono il loro stato in privato, senza rivelarlo a nessuno. Gli stessi passaggi sono replicabili per un apostata.
Le conversioni sono vissute spesso con un senso di profonda realizzazione personale e pace interiore. Ma quello che mi preme sottolineare in questo capitolo è il contesto che vive il miscredente, apostata o ateo che sia, prima di trovare la pace effettiva.
Le idee controcorrente vengono reputate “semi del male” e discutere di certe cose è un vero e proprio affronto. Perdere la fede viene considerata una tragedia, un lasciapassare per la disperazione o la pazzia. Il “colpevole” viene insultato quasi fosse solo incappato in una leggerezza tipica della gioventù.
La mancanza di risposte a quelle domande esistenziali porta a una grande solitudine, interiore ed esteriore. Spesso i ragazzi vanno via di casa per i clima troppo pesante o continuano nella finzione. Tentare altre discussioni non aiuta e il disagio diventa sempre più alto: al conflitto interiore si unisce un ambiente molto devoto ma incapace di chiarire i dubbi.
La maggioranza delle risposte consiste nella minaccia del castigo infernale eterno al minimo cedimento.
Alcuni apostati mantengono la loro condizione segreta a prescindere, consci dell’impossibilità di discutere in modo proficuo. Sanno che per la mentalità islamica abbandonare la religione è qualcosa di inconcepibile. Con il passare degli anni nel dubbio,
119G.PAOLUCCI, C.EID, pg. 119
120 SMITH, JESSE M: “Becoming an Atheist in America: Constructing Identity ans Meaning from the Rejection
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prima di uscire allo scoperto, vi è un senso di colpa: le domande non sono solo sulla questione di Dio, ma si aggiungono anche quelle della coscienza.
L’ambiente ostile è un forte incentivo a demordere in percorso apparentemente senza uscita e ai limiti del masochismo.
Allo stesso tempo si deve fare i conti con l’insofferenza che subentra verso l’insoddisfazione e l’incertezza, la precettistica asfissiante. Decidere di uscire dall’Islām dunque è un altro primo passo. Ne segue l’emigrazione, l’abbandono della famiglia d’origine, contatti interrotti con amici e parenti perché un apostata è motivo di pericolo e disonore. Come accennavo in precedenza, non tutte le conversioni vanno a buon fine e ancora tanti giovani vivono in clandestinità la loro reale opinione sulla religione. Ciò condanna a stare sempre a cavallo tra due fedi, tra la realizzazione di sè e il conformismo. In una tale condizione ibrida si finisce per perdere se stessi.
Nessuno dei testimoni dei libri da me esaminati si considera un traditore dell’Islām. Anzi, sono fieri di essere riusciti a portare a termine, nonostante le grandi difficoltà, l’obiettivo e il periodo islamico fa comunque una parte importante nella loro vita. L’approdo all’ateismo o a un’altra religione è il compimento di quanto queste persone non erano riuscite a trovare nell’Islām.
Alcuni apostati raccontano di aver avuto l’approvazione e la comprensione dei genitori solo quando questi ultimi erano in punto di morte. La felicità alternativa e disarmante che vedevano nei figli (spesso ritornati in patria solo per assistere i genitori anziani o prossimi al funerale) nel raccontare la loro rinascita lasciava cadere ogni disappunto.
Questi lieto fine aprono un discorso più ampio sui rapporti umani. Una persona non appartiene a una religione o qualsiasi altra definizione sociale e nessun figlio è uno strumento che esegue la volontà dei genitori. Realizzare la propria vita seguendo gli ideali che più ci appartengono è importante e l’amore di un genitore non è ammonire i figli dalle fiamme dell’Inferno ma accettare che essi possano realizzarsi in una strada totalmente diversa e che li appaghi totalmente.
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