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Manifestazioni non istituzionali della volontà popolare

Appendice: le claque

III. La comunicazione pubblica

2. Manifestazioni non istituzionali della volontà popolare

L e contiones offrivano ai cittadini l'opportunità di far sentire la propria voce: i presenti fischiavano ed applaudivano, rispondevano a domande dirette, interrogavano a loro volta, e a volte qualcuno aveva addirittura la chance di arringare i concittadini. Tale partecipazione, benché attiva e addirittura creativa, aveva però un importante limite nella selezione dell'argomento su cui si esercitava; questo era infatti scelto e “somministrato” unilateralmente dal magistrato che convocava la contio: era il presidente che decideva il tema di discussione e solo su di esso si svolgeva il dibattito, solo su di esso il popolo poteva far sentire la propria opinione.

Per alcuni casi specifici, il sistema contemplava dei percorsi istituzionali attraverso cui i cittadini potevano agire per ottenere soddisfazione: si è visto come nel 171 i centurioni, perché la politica recepisse nelle proprie scelte la sofferenza dei soldati esausti, invocarono l'auxilium dei tribuni, grazie ai quali la faccenda fu politicizzata e sottoposta a dibattito; analogo è il caso dei publicani che invocarono l'auxilium per impugnare gli appalti concessi dai censori del 169, ottenendo che i tribuni promulgassero una rogatio per l'annullamento del decreto censorio e la creazione di nuove condizioni d'appalto774. Tuttavia il ricorso all'auxilium dei tribuni era possibile solo quando si verificava un abuso da parte di un altro

770Cf. cap. II p. 134 con Cic. Cluent. 77, 112.

771Cic. Cluent. 111: Et iam querimur saepe hominibus nouis non satis magnos in hac ciuitate esse fructus?

Nego usquam umquam fuisse maiores.

772Cf. cap. II p. 125 con Quint. inst. VI 3 105.

773Si ricordi che i primi cinque libri ab urbe condita furono probabilmente pubblicati tra il 27 e il 25: Bayet Baillet 1940: xvi-xxii; Syme 1959: 42-50; Luce 1965: 210s., 238.

magistrato775.

Non sempre, inoltre, una istanza può o vuole essere razionalizzata e canalizzata nel linguaggio ordinamentale: a volte la sua estrinsecazione e condivisione avvengono in maniera troppo disorganica perché si formi un movimento d'opinione strutturato e autocosciente, e così il malcontento detona in maniera improvvisa e incontrollata, talvolta violenta; in altri casi, la scelta di manifestare pubblicamente un'istanza è senz'altro dettata dalla consapevolezza che in tal modo si sensibilizza l'opinione pubblica, si ottengono consensi e si hanno perciò maggiori possibilità di fare pressione sulla classe dirigente776. In alcuni casi, infine, la protesta o l'approvazione non configurano una richiesta precisa, ma vogliono significare la direzione verso cui il popolo vuole che si agisca: così fischiando o applaudendo un personaggio in teatro, oppure accompagnandolo fino a casa, il popolo a Roma manifestava il proprio gradimento per la sua attività e lo invitava ad adeguarsi alla sua volontà.

Come si è visto nel primo capitolo, quest'ultimo genere di manifestazioni prediligeva per la sua espressione alcune situazioni in cui la visibilità pubblica era massima e in cui la commistione dei vari livelli della società era consueta: il teatro era diventato per questa ragione, come si è visto, una succursale para-istituzionale della vita pubblica, o meglio un catalizzatore di tensioni politiche, che venivano evocate dagli attori o suscitate automaticamente dall'ingresso in teatro dei protagonisti della scena politica. Molto spesso, negli studi che si occupano della comunicazione pubblica nella Repubblica romana, viene citato un passo ciceroniano in cui l'oratore mette il teatro insieme alle contiones e ai comizi tra i luoghi in cui la volontà e l'opinione del popolo possono esprimersi con la massima efficacia:

Etenim tribus locis significari maxime de <re publica> populi Romani iudicium ac uoluntas potest, contione, comitiis, ludorum gladiatorumque consessu777.

775Per una lista completa cf. Bleicken 1955: 79-81 per i casi dal 287 al 133, Thommen 1989: 223-41 per i casi dal 133 in poi.

776Solo parzialmente riteniamo condivisibili le riflessioni di Imhof 2012: 62, secondo cui gli “attori non stabiliti”, la plebe nel caso della società romana, devono sostituire la loro mancanza di legittimità e di potere di definizione, nonché l'impossibilità di disporre dei canali comunicativi, con azioni spettacolari che permettano loro di conseguire un'attenzione politicamente rilevante.

777Cic. Sest. 106. Poco più avanti, nella stessa orazione, Cicerone afferma che l'orientamento di tale volontà è più facilmente riconoscibile a teatro e nei ludi gladiatorii che nelle contiones, poiché nel primo caso la falsificazione operata dalle claque non può essere tale da distorcere l'espressione dell'integra multitudo:

Comitiorum et contionum significationes sunt interdum uerae, sunt non numquam uitiatae atque corruptae; theatrales gladiatoriique consessus dicuntur omnino solere leuitate non nullorum emptos plausus exilis et raros excitare; ac tamen facile est, cum id fit, quem ad modum et a quibus fiat, et quid integra multitudo faciat uidere (Sest. 115).

A questo passo, che dà anche l'impressione di una cadenza abituale di questo genere di manifestazioni popolari, va affiancato un secondo, proveniente dalla prima Filippica, in cui Cicerone, oltre a confermare tale valenza del teatro, indica anche altri modi e occasioni in cui una stessa istanza può essere manifestata all'élite: nel 44, oltre che ai ludi Apollinares, i cittadini, dice Cicerone, hanno manifestato il loro sostegno alla causa dei cesaricidi attraverso i clamores dei ludi gladiatorii, diffondendo ritornelli popolari, applaudendo alla statua di Pompeo:

Populi quidem Romani iudicia multa ambo habetis, quibus uos non satis moueri permoleste fero. Quid enim gladiatoribus clamores innumerabilium ciuium? quid populi uersus? Quid Pompei statuae plausus infiniti? […] parumne haec significant incredibiliter consentientem populi Romani uniuersi uoluntatem? Quid? Apollinarium ludorum plausus uel testimonia potius et iudicia populi Romani parum magna uobis uidebantur?778.

È di grande rilievo che in questo passo l'oratore si dica disgustato dal fatto che i senatori non abbiano ancora preso provvedimenti pur essendo la volontà del popolo inequivocabile. Tale risentimento (per quanto retorico) chiama in causa la ricettività della classe dirigente rispetto alle istanze mosse dal basso, argomento che sarà trattato nel dettaglio tra qualche pagina; per il momento è importante soffermarci sul fatto che l'uso di ciascuna delle

communication agencies menzionate da Cicerone trova puntuale riscontro nelle fonti

letterarie, anche in connessione con altri episodi. La diffusione di versi polemici di fattura popolare e il loro apparentamento con le scritture graffite sono stati trattati nel primo capitolo; si ricorderanno i versi che biasimavano l'apertura del senato ai Galli voluta da Cesare e, tra le attestazioni di graffiti, quelli incisi per invocare l'impegno di Ti. Gracco in soccorso del ceto agricolo; strettamente connesso (e talvolta confuso) con quello dei graffiti è anche il fenomeno degli opuscoli o reclami appesi, come quelli diffusi per lamentarsi della carestia in corso nel 6 d.C779. Anche l'uso delle statue nella costruzione di una semiotica popolare è già stato oggetto di analisi in altre sezioni di questo lavoro: si ricorderà che le statue furono scelte come strumento di espressione dell'opinione popolare per manifestare il gradimento per la legge monetaria di Gratidiano e che il tumulto dei cesariani guidati da Amazio era culminato

778Cic. Phil. I 36. 779Cf. pp. 31 e 67.

nella collocazione di una statua (o comunque un monumento) nel foro780.

Ma accanto a quelle elencate da Cicerone, altre occasioni e modalità espressive si possono indicare con cui la voce della collettività provava a farsi sentire; alcune di queste dimostrazioni sono già state menzionate e analizzate nelle pagine precedenti, come nel caso degli assembramenti di folla al di fuori della Curia. Fu la stessa logica per cui una manifestazione popolare prediligeva l'adunanza del senato per esprimersi, ovvero la possibilità di un confronto diretto con la classe dirigente, a far sì che i funerali fossero talvolta teatro di exploit popolari. È noto poi come queste cerimonie, per la forte connotazione politica di cui si caricavano attraverso l'uso di simbologie e allusioni, e per il senso di coinvolgimento e partecipazione che infondevano nelle masse invitate a parteciparvi, stimolassero accessi di emotività che spesso assumevano coloritura politica: nell'ultimo secolo sono numerose le occasioni in cui le esequie di un personaggio pubblico si trasformano in occasione di dimostrazioni popolari, anche irruente. Si consideri il caso più estremo, quello dei funerali di Clodio, in cui in un'escalation di impudenza la folla arriva a dare alle fiamme la Curia con il feretro del suo paladino781. Il caso di Clodio non è isolato: il popolo si impossessò anche del corpo della figlia di Cesare, Giulia, e celebrò il rito funebre in contrasto con la tradizione, sordo alle accuse di sacrilegio del console L. Domizio Enobarbo782.

Uno dei gesti di protesta pacifica tradizionali nella cultura politica romana era l'esibizione dei segni del lutto, modalità solitamente in uso entro la classe dirigente quando una fazione voleva manifestare la propria contrarietà rispetto ad una proposta, ma a volte presa in prestito anche nell'ambito di manifestazioni collettive popolari: nel 103 l'aristocrazia fece quadrato intorno a Q. Servilio Cepione, il console del 106 accusato dal tribuno della plebe C. Norbano di aver disatteso gli ordini del console in battaglia e aver condotto l'esercito al disastro di Arausio; durante l'assemblea presieduta da Norbano, alla quale altri due tribuni fedeli al senato avrebbero opposto il veto, migliaia di cittadini si presentarono vestiti a lutto783. In

780Un altro esempio si ha nel caso di un edile del 74, M. Seio, che in tempi di crisi del prezzo degli alimenti aveva imposto la vendita di grano e olio a basso costo per tutto l'anno: in tale occasione il popolo gli dedicò delle statue sul Campidoglio e sul Palatino (Plin. NH XVIII 16). Del resto, a dimostrazione che l'erezione non autorizzata di statue doveva essere pratica largamente diffusa sta il fatto che di quando in quando si doveva procedere alla rimozione di quelle collocate sine populi aut senatus sententia: Plin. NH XXXIV 30; Liv. XL 51 3; Cass. Hem. apud Non. 346 M.

781Ascon. Mil. 42 C; Plin. NH XXXIV 21; Liv. per. 107; App. BC II 21; Cass. Dio XL 49 1-3.

782Cf. infra. Si noti che già ai funerali di Lucullo il popolo aveva tentato di convincere i nobili a far cremare il corpo del generale in Campo Marzio, senza riuscire a convincerli (Plu. Pomp. 43 2-3): questa volta

l'autorizzazione non sembra essere più un vincolo.

783Cic. de orat. II 167, 197-201. Quando il veto fu proclamato, la folla pervenne alla violenza e i due tribuni furono trascinati a forza giù dalla tribuna; nel disordine generale un sasso raggiunse il princeps senatus, Emilio Scauro.

alcuni casi la protesta poteva assumere forme molto familiari all'uso moderno, come quando il dissenso o il disagio si esprimevano attraverso la chiusura delle attività commerciali: Appiano riferisce che durante la carestia provocata dal blocco degli approvvigionamenti inferto da Sesto Pompeo il popolo fa chiudere le botteghe ed impedisce ai magistrati curuli di prendere posto sui loro scranni, per significare che in una città ormai in preda al brigantaggio e all'anarchia non c'era bisogno di autorità né di mestieri784. Altre volte la protesta poteva affidare la propria promozione a gesti particolarmente creativi ed eclatanti, come quando la folla, che chiedeva ad Augusto di perdonare sua figlia, diede risalto e visibilità alla sua richiesta gettando nel Tevere fiaccole accese785.

Vanderbroek redasse, allargando la lista di casi di violenza politica fornita da Andrew Lintott786, un catalogo dei casi in cui le fonti registrano una qualche forma di azione collettiva in un contesto pubblico per il periodo tra il 78 e il 49. L'elenco conta 92 episodi, incluse le reazioni della platea nel corso di contiones. Come si è già ricordato, lo studioso olandese ipotizzò la sistematica connessione tra il collective behaviour e la mobilitazione di un leader, direttamente o attraverso loro agenti787, e ritenne che tale sistematicità sia confermata dal riscontro numerico che questa lista offre: secondo lo studioso, solo due riots possono essere considerati con certezza spontanei, in tutti gli altri casi sarebbe invece riscontrabile o ricostruibile la presenza di un leader. Le due “eccezioni” sono rappresentate dalle contestazioni suscitate dalla decisione del senato di mettere fuori legge, nel 58, il popolare culto di Iside (Tertul. ad nat. I 10 17-8, apol. 6 8) e dall'intervento della plebe ai funerali di Lucullo nel 57 (Plu. Luc. 43 2-3)788. Vanderbroek ammette la possibilità che le fonti abbiano

teso a obliterare gli episodi meno spettacolari o che non coinvolgessero personaggi importanti e che perciò i movimenti spontanei siano stati tralasciati nella maggior parte dei resoconti antichi; d'altra parte, ritiene che solo in presenza di un leader un movimento potesse sperare di

784App. BC V 18; cf. Tac. Ann. II 82: al diffondersi della voce che Germanico era morto, prima ancora che fosse confermato ufficialmente, i cittadini interruppero le attività commerciali, abbandonarono i tribunali e si chiusero in casa. Cf. Yavetz 1969: 13. Non bisogna esagerare il confronto con gli scioperi dell'età moderna, il cui obiettivo è quello di sottolineare la gravità della protesta provocando un disagio: nel caso antico la valenza è soprattutto simbolica, e richiama lo stato di massimo allarme proclamato dalle istituzioni con la chiusura delle tabernae.

785Cass. Dio LV 13.

786Lintott 1968: 209-16; questa lista include anche i casi attestati dal 287 al 78.

787Per le caratteristiche e le strategie della mobilitazione si veda Vanderbroek 1987: 106ss.. Lo studioso, in particolare, evidenzia come l'affiatamento del leader con il popolo fosse creato facendo leva su alcuni slogan, variabili a seconda del momento storico, ma gravitanti per lo più intorno alla sfera della libertas e dei

commoda; slogan che si accompagnavano sempre ad iniziative di legge particolarmente popolari, come largitiones e distribuzioni agrarie.

avere successo, come sarebbe testimoniato per periodi più recenti e meglio documentati. In realtà, a volte a Vanderbroek basta la semplice presenza di un leader nel contesto in cui un'azione collettiva ha luogo per interpretarla come caso di mobilitazione, anche se nella fonte tale rapporto non è esplicitato. Inoltre, per alcune particolari tipologie, come le acclamazioni a teatro, lo studioso dà per scontata la riconducibilità delle manifestazioni ad una sollecitazione esterna, benché nella fonte tale collegamento non sussista789. Tra i casi “forzati” mi pare si

possano individuare l'aggressione ai consoli nel 75 da parte di una folla in tumulto per il caro dei viveri, ricordata da Sallustio nelle Storie, e le acclamazioni in lode di Pompeo nel 70, ricordate da Plutarco790. Non c'è traccia di agitatori di elevata estrazione neanche nell'attacco

premeditato, con grida e lancio di oggetti, di cui fu vittima Catone da pretore nel 54 per aver fatto emanare un decreto senatoriale contro le pratiche corruttive dei candidati, da cui molti traevano profitto791. Nel settembre del 54 il corpo di Giulia viene tumultuosamente traslato e

cremato dalla folla in Campo Marzio: Plu. Pomp. 53 4 spiega tale gesto con la pietà del popolo per la giovane donna, mentre Cassio Dione, che afferma di non sapere se l'iniziativa fosse stata organizzata da qualche amico dei triumviri (XXXIX 64), sostiene che l'obiettivo della folla era, comunque, di rendere onore a Cesare e Pompeo.

In sostanza, mi pare che le conclusioni di Vanderbroek possano essere per lo meno ridimensionate: da una parte, non c'è dubbio che alla fine della repubblica il confronto tra i politici che si sfidano per il consenso degli elettori degenerasse spesso in una contrapposizione spregiudicata tra leader carismatici, in cui la ricerca per il consenso era sostituita dalla mobilitazione di squadracce e il confronto dialettico dallo scontro violento, in un contesto in cui erano i rapporti di forza e non la libertà di scelta a determinare il vincitore; d'altra parte, per quanto sempre più radicato, questo stile non riuscì ad affermarsi in maniera stabile e la fiducia di poter ottenere soddisfazione alle proprie istanze attraverso una sollecitazione pacifica non tramontò mai del tutto. Così, quando nel 57 il popolo assiepato fuori dalla curia protestava contro la crisi degli approvvigionamenti, accanto agli squadristi clodiani, i quali gridavano che responsabile era da considerarsi Cicerone, dovevano essere

789Mi riferisco ai seguenti casi: i fischi dalla cavea contro Otone, che aveva fatto votare la legge che assegnava posti separati agli equites in teatro (Plu. Cic. 13 2-4); Gabinio viene fischiato ai suoi stessi giochi nel 59 (Cic.

Att. II 19 3, 24 3; notare che fu comunque eletto console l'anno dopo); manifestazioni all'indirizzo di

Pompeo, Cesare e Curione ai ludi Apollinares del luglio 59 (Cic. Att. II 19 3; Val. Max. VI 2 9); applausi ai senatori e fischi a Clodio quando entrano in teatro dopo la decisione del senato per il rientro di Cicerone nel 57 (Cic. Sest. 116-23); applausi per Sestio e fischi per Appio Claudio ai ludi gladiatorii del maggio 57 (Cic.

Sest. 124-6); Milone viene applaudito in teatro nel 54 (Cic. Q. fr. III 1 13).

790Sall. hist. II fr. 45 M; Plu. Pomp. 22 3-6.

presenti anche cittadini non “arruolati”, ancorché schierati in favore dell'ex console: fu infatti questa parte della folla, certamente, a gridare che proprio a Cicerone fosse assegnato il compito di fare richiesta al senato perché fossero assegnati poteri straordinari a Pompeo792.

Vanderbroek osserva giustamente che la predisposizione di gruppi fortemente solidali ad agire in modo unitario favoriva la mobilitazione delle organizzazioni plebee da parte dei leader793; d'altra parte si è visto come lo spirito di gruppo di corporazioni e organizzazioni

consociative favorissero anche la spinta all'iniziativa autonoma, come mostra l'erezione delle statue per Gratidiano, che non risulta da nessuna fonte essere stata promossa da un leader. L'ipotesi di Vanderbroek appare esasperata anche se confrontata col passo in cui Cicerone descrive come solitamente nascono le sedizioni, in cui la sollecitazione di un leader neppure compare tra le possibili scintille d'innesco:

ex pertinacia aut constantia intercessoris oritur saepe seditio, culpa atque improbitate latoris commodo aliquo <proposito> imperitis aut largitione, oritur ex concertatione magistratuum, oritur sensim ex clamore primum, deinde aliqua discessione contionis, uix sero et raro ad manus peruenitur794.

La sedizione è descritta come fenomeno spontaneo ed improvviso, che scaturisce dalla contrarietà della folla ad un'azione politica, elaborata autonomamente e sviluppata collettivamente. Le scissioni si manifestano nel momento stesso dell'assemblea, il che ci riporta ai circuli e alla partecipazione attiva, elaborativa, dei presenti al dibattito pubblico.

Si noti anche che, a quanto dice Cicerone, la degenerazione della protesta in scontro armato sarebbe stata circostanza che si verificava raramente795. In realtà, come è noto, negli

anni in cui la pro Sestio fu scritta l'impiego di bande armate, con funzione intimidatoria ma pronte a scatenare la guerriglia, cominciava a divenire endemico e la violenza a breve avrebbe paralizzato la vita pubblica. Se questi eccessi degenerativi non erano considerati normali né accettabili, un certo uso dimostrativo della violenza, invece, non era biasimato; a questo proposito sono interessanti gli argomenti usati da M. Antonio nella sua arringa a sostegno di

792Cicerone, in dom. 11-2 e 14-6 dice espressamente che l'adunanza era frutto di un movimento spontaneo, animato dalla paura della fame, entro il quale agivano anche gli infiltrati di Clodio per cercare il pretesto di una rivolta.

793Vanderbroek 1987: 112-6 e 139.

794Cic. Sest. 77.

795Cf. ibid.: lapidationes persaepe uidimus, non ita saepe, sed nimium tamen saepe gladios: caedem uero tantam, tantos aceruos corporum exstructos, nisi forte illo Cinnano atque Octauiano die, quis umquam in foro uidit?

C. Norbano, nel processo da lui intentato a Q. Servilio Cepione nel 103, cui Flaig invita a prestare attenzione796:

Omnium seditionum genera, vitia, pericula conlegi […] ita, ut dicerem, etsi omnes semper molestae seditiones fuissent, iustas tamen fuisse non nullas et prope necessarias. [...] neque reges ex hac civitate exigi neque tribunos plebis creari neque plebiscitis totiens consularem potestatem minui neque provocationem, patronam illam civitatis ac vindicem libertatis, populo Romano dari sine nobilium dissensione potuisse; ac, si illae seditiones saluti huic civitati fuissent, non continuo, si quis motus populi factus esset, id C. Norbano in nefario crimine atque in fraude capitali esse ponendum. Quod si umquam populo Romano concessum esset ut iure incitatus videretur, id quod docebam saepe esse concessum, nullam illa causa iustiorem fuisse797.

La manifestazione del dolor iustus, grazie alla quale erano stati cacciati i re, erano stati limitati i poteri dei consoli e si era ottenuto il diritto alla prouocatio, era considerabile alla stregua di un'azione politica legittima. Si direbbe dunque che la cultura politica repubblicana