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Manuela Soldi — Università Iuav di Venezia

siglio delle donne italiane, che riunisce le Federazioni di opere di attività femminili di diverse città, cui aderiscono le stesse patronesse.

L’esposizione della primavera del 1902 è infatti tra le prime attività Sezione lavoro della Federazione di Roma [4], nata nel 1899 come emanazione locale dell’International Council of Women, con il quale le italiane hanno contatti almeno dal 1893, quando Cora Savorgnan di Brazzà cura la prima mostra dedicata all’artigianato femminile italiano all’estero, nell’ambito dell’Esposizione internazionale di Chicago [5].

La mostra romana censisce scuole e laboratori nati sul territorio italiano nei decenni precedenti per promuovere l’artigianato e l’emanci- pazione economica tra le fasce più povere della popolazione femminile, istituendo tra loro contatti, favorendo il miglioramento della qualità dei prodotti, il loro smercio e la loro comunicazione, e costituendo un nucleo espositivo permanente nella capitale, aperto dalle IFI nel 1904. Nel di- cembre 1902, una nuova mostra è allestita anche in piazza Esedra a Roma (appuntamento ricorrente), a testimoniare l’urgenza di valorizzare della produzione dei laboratori coinvolti [6].

Fig. 1 — Tutte le immagini in questo contributo sono tratte dal catalogo della mostra tenuta dalla cooperativa nazionale IFI nel Padiglione delle arti decorative all’Esposizione internazionale del Sempione (Milano, 1906), e distrutta da un incendio nell’ago- sto 1906. Quì una veduta del salone centrale della mostra.

L’evento risponde dunque all’esigenza di coinvolgere laboratori già esistenti, che investono sulla formazione professionale delle lavoranti trasmettendo loro tecniche artigianali, talvolta rudimenti di disegno, in alcuni casi abbinati a pratiche e insegnamenti morali e religiosi. L’attività delle espositrici è convogliata in categorie che escludono le arti “mag- giori” e i lavori che esulano da finalità decorative. Colpisce che non si azzardi un allargamento ad arti figurative, professioni e società come invece avevano tentato (con scarsi risultati) in mostre precedenti, peraltro organizzate da uomini.

Un approccio multidisciplinare è invece previsto dal testo Opero-

sità femminile, in due sezioni distinte: La donna letterata e professionista,

che ospita analisi, testi letterari e saggi teorici di carattere generale, e La

donna nella società e nella filantropia, più legata alla mostra, che illustra

i risultati del censimento dei laboratori. Quest’ultima pone le premesse teoriche anche per la mostra della cooperativa all’Esposizione del Sem- pione del 1906, il cui catalogo differisce però dal volume del 1902 per il ricco apparato iconografico [7]. Operosità femminile forse esplicita un contrasto latente, che emerge dal carteggio della segretaria Amelia Ros- selli, tra il comitato esecutivo della mostra romana e l’editore Rosy Ama- dori, che sperava di dare l’avvio, con questo “numero unico”, a una rivista dal titolo Verso la luce. Amadori, già collaboratrice di Emilia Mariani e Lidia Malnati, è probabilmente di idee più radicali delle nuove colleghe romane. Comunicazioni pubbliche e private la qualificano spesso come «promotrice dell’iniziativa» [8], ma alcune bozze di circolari pesante- mente corrette dal comitato denotano una richiesta di maggior collegia- lità. Dissidi che probabilmente causano una divaricazione tra l’iniziativa espositiva e quella editoriale, che pure presentano punti di contatto.

Nella prima sezione di Operosità femminile la socialista Ines Oddone descrive l’operaia come «vittima dell’avidità industriale e dell’e- goismo maschile» da sottrarre «al lavoro deprimente delle grandi indu- strie»per porla direttamente in relazione con il mercato, e sottolinea il legame tra produzione e scelte di consumo definendola «martire […] dei mille nonnulla di cui si compiace la delicatezza patrizia». Se l’industria borghese sembra combattere «contro la raffinatezza dell’arte», ricamo, merletto e altri semilavorati preservano eleganza, bellezza e, applicati alla moda, contribuiscono alla ricchezza nazionale; sono pertanto da sal-

vaguardare e rendere appetibili evitando lo sfruttamento delle maestran- ze [9]. Oddone, pur di idee socialiste, non ritiene ghettizzante l’impiego delle donne in un sistema per la moda che prevede un lavoro dall’alto valore etico ed estetico. La scrittrice Vernon Lee sprona invece la donna «cittadina» a influenzare la politica attraverso il marito – che detiene il diritto di voto – e il mercato attraverso propri acquisti, citando Ruskin a proposito dell’orientamento dell’economia attraverso un consumo etico [10]. In entrambi gli scritti consumo e moda sono strettamente legati: l’abbigliamento costituisce una parte minima della produzione delle IFI, inserita però in un contesto di reazione identitaria ed economica allo strapotere della moda francese. Nella seconda sezione, Anna Maria Mozzoni porta dati sulla presenza femminile in tutti i settori produttivi e un’esauriente analisi della meccanizzazione delle lavorazioni tessili [11]. Un investimento sulle “industrie casalinghe” [12] appare dunque urgente e redditizio per costruire l’indotto di un’industria che può diventare red- ditizia per il paese. A queste esigenze rispondono le IFI, guadagnando in breve un prestigio tale da rappresentare il lavoro femminile italiano all’Esposizione internazionale del Sempione del 1906.

Fig. 2 — Camera per bambini allestita dalla sezione friulana delle IFI all’interno della mostra.

Il lungo cammino verso la moda

Rosa Genoni, che nel 1906 presenta la sua proposta di moda italiana, nota intan- to come l’idea risalga a prima dell’unità nazionale, quando le rivendicazioni patriottiche avevano un peso maggiore rispetto alle problematiche economiche [13]. A esse si abbina l’enfasi sulla tradizione artistica italiana, in primo luogo quella rinascimentale, e la cre- scente considerazione per le arti popolari. Una lunga costruzione retorica che si con- denserà nel concetto di Made in Italy [14]. L’unità politica e le problematiche identitarie che ne scaturiscono alimentano nella seconda metà dell’Ottocento un fervente dibattito e sperimentazioni atte a rinvigorire un tessuto produttivo già avvertito come possibile fondamento di un sistema della moda nazionale caratterizzato da manodopera essen- zialmente femminile. Già negli anni settanta si riflette di musei nazionali e fiere cam- pionarie [15]. Unite alla crescente meccanizzazione, queste istanze generano sentimenti ambivalenti verso una modernità che facilita processi prima quasi interamente manuali, ma mina un patrimonio di tradizioni e tecniche artigianali profondamente interconnesso alla cultura e al paesaggio italiano. In questa diatriba la cooperativa si inserisce difen- dendo strenuamente la manualità e il sodalizio tra classi sociali diverse. Le patronesse sottolineano però spesso come i prodotti di questo recupero debbano corrispondere, in termini estetici e funzionali (per lo più sul piano igienico), alle esigenze della vita mo- derna, che loro stesse incarnano come donne eleganti, impegnate e inserite nella società. Non arrivano però a propugnare una semplificazione dell’abbigliamento femminile, sconveniente per le varie industrie dei semilavorati da esse sostenute.

— Patronesse

Non sono solo le fasce più deboli della popolazione femminile a essere lambi- te dal fenomeno: un numero crescente di donne prese le redini di iniziative a metà tra filantropia e imprenditoria, ordendo una complessa campagna di comunicazione e di giustificazione su base etica ed estetica del revival di tecniche e iconografie antiche. Tra le più presenti sono le sorelle Maria Pasolini Ponti e Antonia Suardi Ponti, Bice Antona Traversi Tittoni, Lavinia Taverna e Cora Slocomb Savorgnan di Brazzà. Que- sta, prima presidentessa della cooperativa IFI, giunse in Italia dopo il matrimonio con Detalmo Savorgnan di Brazzà, esponente di una illustre famiglia che si muoveva tra i possedimenti friulani e Roma. La sua attività a favore delle contadine friulane, per le quali fonda nel 1891 la prima scuola presso il Castello di Brazzà (Moruzzo, UD), è orien- tata alla scena internazionale, come emerge dalla testimonianza sulle loro condizioni di vita rilasciata al Women’s Congress di Chigago (1893) e dalla mostra curata in quell’oc- casione. Cora di Brazzà intende avvicinare all’artigianato italiano i mercati danarosi

d’oltreoceano, sollecitando un consumo nel settore del lusso solidale verso le contadine italiane.

Anche Maria Pasolini Ponti fornisce elementi teorici a supporto dell’impresa. Nel 1898, per esempio, in una conferenza a favore della conservazione del patrimonio artistico presso l’Associazione artistica tra i cultori di architettura in Roma, afferma l’opportunità di un’arte industriale moderna alimentata da quella antica, come in Francia e Gran Bretagna. Nel 1913 sostiene l’insegnamento del disegno alle artigiane, trattando anche del taglio e della decorazione dell’abito e assumendo implicitamente che l’attività delle IFI sia organica al settore [16].

Bice Tittoni invece è la delegata ufficiale delle IFI al primo Con- gresso nazionale delle donne italiane (Roma, 1908), nella sezione Arte e letteratura, accanto a Rosa Genoni – già cliente di alcuni dei laboratori della cooperativa – che fa un appello per la moda italiana. La relazione di Tittoni ruota attorno a tre temi: igiene, contro la malsana vita degli opifici, salario, e moralità. Per quanto riguarda i salari, nello stesso congresso giunge però l’ammonimento di Carolina Amari, patronessa della scuola di Trespiano, sulla necessità di paghe più alte e tempestive, che dimostra un parziale insuccesso su questo fronte, nonostante le IFI si propongano anche di scoraggiare l’emigrazione fornendo integrazione al reddito alle più povere. La moralità delle lavoranti è tra gli obiettivi pri- mari di molte scuole, come la Scuola dei merletti di Burano. Antesignana era stata infatti la contessa Andriana Marcello, animatrice di quest’ulti- ma, mancata nel 1893. A lei giungono riconoscimenti anche da contesti estranei all’associazionismo femminile come l’Esposizione retrospettiva e contemporanea di tessuti e merletti presso il Museo d’arte applicata di Roma nel 1887. Idealmente Cora di Brazzà, che prende l’esperienza bura- nese a modello, ne raccoglie il testimone nel 1893 a Chicago. Nello stesso anno Vittorio Stringher propone il modello cooperativo per valorizzare le industrie femminili, enfatizzando il ruolo di patronesse come lei e le sorelle Ponti [17].

L’archetipo è la regina Margherita, descritta quale patrona delle arti femminili e associata anche a rivendicazioni postunitarie relative alla moda italiana. Margherita visita spesso la sede IFI di via Minghetti, ed è informata sull’andamento dei lavori, come testimoniano lettere di Cora di Brazzà presenti nell’Archivio della Real Casa.

Fig. 3 — Immagine di contadine friulane, oggetto dell’inter- vento di Cora di Brazzà al Congresso femminile di Chicago del 1893.

Una vocazione internazionale

Tra le patronesse sono presenti molte straniere, dalla formazio- ne internazionale, spesso spose di aristocratici italiani. Tra queste, oltre a Cora di Brazzà: Alice Hallgarten, sposa del barone Leopoldo Franchetti e definita «dolce anima imbevuta di spirito ruskiniano» [18], che nel 1904 apre il laboratorio Tela Umbra a Città di Castello; Romeyne Roberts Ra- nieri di Sorbello, che ne ricama i prodotti nel laboratorio Arti decorative italiane da lei fondato nel 1904 a Passignano sul Trasimeno; Etta de Viti de Marco, che nel 1901 fonda la Scuola di Casamassella con la cognata Carolina.

Il loro coinvolgimento era connesso alla volontà di aprire «vie internazionali ai prodotti femminili italiani». Emblematica in tal senso la traduzione di un articolo «Da un giornale di Boston» imprecisato, data- bile al 1914 circa, tra le carte della Società cooperativa Aemilia Ars, che descrive l’andirivieni di signore e manufatti tra Europa e America, dove non sono solo selezionati negozi a proporre trine e ricami italiani, ma anche facoltose signore che esportano dall’Italia nuclei di oggetti per ri- venderli privatamente negli Stati Uniti [19]. Tra loro probabilmente anche un personaggio noto all’epoca, la cantante Tryphosa Bates-Batcheller, autrice di alcuni libri di memorie. In Glimpses of Italian Court Life. Happy

Days in Italia Adorata, che racconta l’incontro con l’aristocrazia italiana,

torna più volte sull’operato delle IFI, della quale diviene socia, poiché nella capitale frequenta Bice Tittoni, Cora di Brazzà e Antonia Suardi. Interessante il suo colloquio con la regina Margherita:

«Her Majesty asked me several questions about the Industrie Femminili [l’autrice ne visiterà l’esposizione permanente], and seemed very much pleased and interested when I told her I had planned to take some of the work back to America with me». [20]

La descrizione della visita della regina Elena alla stessa mostra permanente sottolinea come entrambe le regine si prendano cura delle produzioni femminili e della questione della moda italiana.

Il legame con l’America emerge anche nell’apertura di un labo- ratorio a New York per le immigrate italiane, gestito da Carolina Amari, formidabile animatrice di altre realtà in Italia.

Fig. 4 — Sala da pranzo allestita dalle sezioni di Firenze e Pisa.

Le IFI saranno però presenti anche in Europa. Legami con l’area tedesca sono favoriti forse da un vertice femminile internazionale previsto per il 1904. Nell’esposizione del 1902 è coinvolta la Granduchessa di Sasso- nia-Weimar e nel 1908 le IFI esporranno a Berlino, nell’ambito dell’Esposi- zione di arte popolare organizzata dal Lyceum Club [21].

Nel 1907 si tiene una mostra a Londra, in contemporanea con una dedicata interamente alla Scuola di Casamassella curata da Etta de Viti de Marco; sono forse favorite dall’attività diplomatica di Bice Tittoni altre mostre a Londra e Parigi [22], dove la cooperativa esporrà al Louvre nel 1911 e sarà aperta una succursale delle IFI, direttamente coinvolte anche nell’apertura nel 1928 dello spazio Boutique italienne, gestito da Maria Monaci Gallenga, Carla Erba e Tittoni stessa [23].

Per intercettare un pubblico cosmopolita e seguire la clientela abituale durante l’estate, sono inoltre organizzate vendite negli alberghi romani e presso stazioni di villeggiatura (tra queste certamente Viareg- gio, Rimini, Salsomaggiore, ma anche Camaldoli e i laghi lombardi).

I rapporti con le istituzioni

La promozione della creatività italiana all’estero svolta dalle IFI ne fa un partner appetibile anche per le istituzioni, che forniscono un so- stegno più o meno evidente. La mostra romana del 1902 riceve elargizioni di enti e ministeri ma il comitato, per realizzare il progetto di mostra

Fig. 5 — Tessuti umbri prodotti dalla sezione IFI di Perugia.

permanente, invita anche i privati a sottoscrivere azioni emesse a questo scopo [24]. Tra i sostenitori nel 1902 anche la Banca d’Italia, nonostante questa non eroghi solitamente «somme per atti di beneficenza e iniziati- ve di interesse pubblico» poiché non dispone più di un fondo a tali scopi destinato [25]. Il rapporto prosegue con la trattativa per il terreno per la sede delle IFI, ed è documentato anche dal fatto che presso la Banca d’I- talia si tengono le riunioni degli azionisti [26]. Anello di congiunzione, e forse elemento di controllo, è la presenza ai vertici delle IFI di Lucia Ca- nali, sposa nel 1891 di Bonaldo Stringher, dal 1893 Direttore della Banca d’Italia e poi suo primo governatore [27].

Il già citato Vittorio Stringher, fratello di Bonaldo, bibliotecario presso il Ministero di Agricoltura industria e commercio, favorisce forse i rapporti con questo ente. A latere dell’Esposizione didattica delle scuole industriali e commerciali (Roma, 1907), curata dal Ministero, giunge alle IFI la richiesta di assumere una sorta di direzione artistica della produzio- ne delle scuole professionali femminili del regno [28]. Vincenzo Magaldi, funzionario dello stesso ente, lancia inoltre un appello al VII Congresso delle banche popolari tenuto a Cremona nel settembre 1907, chiedendo a tutte le banche popolari e le casse di risparmio italiane di sottoscrivere azioni delle IFI per sostenere il loro progetto [29].

Il lascito

Le IFI contribuiscono certamente alla visibilità internazionale di ricami e merletti italiani, spronando alla creazione di nuove tecniche laddove mancava una tradizione. L’impegno di valorizzazione nel primo dopoguerra è condiviso con l’Ente nazionale artigianato e piccole indu- strie (ENAPI), istituito nel 1925, quando esce anche Ricami italiani antichi

e moderni di Elisa Ricci, che ritiene la nascita delle IFI il fatto più impor-

tante dell’ultimo trentennio. Una recensione del volume sottolinea inoltre il loro ruolo nell’integrazione al reddito durante il primo conflitto. L’attività prosegue: a eccezione di Cora Savorgnan di Brazzà, ritiratasi per motivi di salute poco dopo la nascita delle IFI, gran parte del gruppo fondatore è ancora attivo. I singoli laboratori che ne fanno parte, pubbli- cati su riviste come Domus e La casa bella, hanno maggiore visibilità. Il clima è però cambiato, si mira alla sopravvivenza delle tecniche rinno- vandone l’iconografia. Un intervento di Gio Ponti in Domus, poco dopo la

chiusura della cooperativa, afferma energicamente molti degli ideali che ne erano alla base, senza mai nominarla [30]. Ponti considera l’artigiana- to femminile un autonomo linguaggio d’espressione, che può orientarsi al moderno con il supporto di artisti e architetti, oltre il recupero filolo- gico. Un approccio promosso anche dall’ENAPI, che culmina forse nella mostra di ricami e merletti curata da Fabrizio Clerici alla Triennale di Milano del 1940.

Lucia Petrali Castaldi – insegnante, scrittrice per ragazzi e colla- boratrice di Mani di Fata – fornisce informazioni tarde sulla cooperativa. In L’opre leggiadre. I lavori femminili nelle regioni italiane (Milano, Vallar- di, 1929), compilata grazie a segnalazioni delle lettrici di Mani di Fata, menziona le IFI fin dall’introduzione e descrive i laboratori a esse affi- liati. Denota un radicamento nella prassi produttiva la presenza di molte delle tecniche recuperate o elaborate ex novo da questi laboratori tra le voci del Dizionario enciclopedico dei lavori femminili (Milano, Vallardi, 1941). Anche alla «potente cooperativa» IFI è dedicata una breve voce che ricorda la mostra del 1906, non registrando però la chiusura dell’ente. Le sopravvivono molte delle produzioni locali, alcune oltre il secondo dopo- guerra, tramandando alle future generazioni un saper fare che rischiava di perdersi. Le IFI e i loro sostenitori dunque, con molti limiti, riescono a tutelare e promuovere una nicchia di produzioni ausiliarie il cui peso nel successo della moda italiana del Novecento è da indagare.

Fig. 6 — Merletti pro- dotti dal laboratorio di Pescocostanzo.

— NOTE

[1] Amelia Rosselli, segretaria del Comitato ese- cutivo, conserva parte della documentazione relativa alla mostra. ASFI, Archivio Rosselli, Archivio familiare, Amelia Rosselli, Amelia. Attività periodo romano (esposizione lavori femminili), Federazione romana delle opere fem- minili (Sezione del lavoro). Esposizione di arte e di lavori femminili. Programma, 1902; Rosselli Amelia (1902). La nostra Esposizione, Operosità femminile italiana, pp. 146-148. Roma: Editrice Rosy Amadori. Il Comitato è composto da Cora Savorgnan di Brazzà (presidente), Amelia Rosselli (segretaria), Liliah Ascoli Nathan (cas- siera), Carolina Amari, Virginia Nathan, Rosa Amadori, Louise Broadwood, Dora Melegari, Giorgia Guerrazzi Costa, Lavinia Taverna, Maria Pasolini Ponti, Antonia Suardi Ponti, Maria Misciatelli.

[2] Sulla sua genesi si veda: Buseghin Maria Luciana (2005). I volti diversi del lavoro femminile: modelli di comportamento e pratica imprenditoriale nelle opere tessili tra Ottocento e Novecento. In Barbara Curli (a cura di), Donne imprenditrici nella storia dell’Umbria. Ipotesi e percorsi di ricerca, pp. 111-166. Milano: Franco Angeli.

[3] Archivio Scuola Merletti Burano, Scatola B13, fasc. Esposizione artistico industriale pel 1892. 23 Piazza di Spagna-Roma, opuscolo a stampa Società per l’esposizione artistico-industriale (Arts Crafts & Industries).

[4] La Federazione romana riunisce 36 opere di attività femminile esistenti in città. Prima presidentessa è Lavinia Taverna.

[5] Slocomb di Brazzà Cora A. (1893). Old and New Lace in Italy, Exhibited at Chicago in 1893. Chi- cago: W. B. Conkey Co. Slocomb Savorgnan di Brazzà Cora (1894). Life of the Italian Woman in the Country. In Mary Kavanaugh Oldham Eagle (a cura di), The Congress of Women: Held in the Woman’s Building, World’s Columbian Exposition Chicago 1893, pp. 697-703. Chicago: Monarch Book Company.

[6] Archivio Storico dei Musei Civici d’Arte Antica (ASMCAA), Archivio del Museo del Tessuto e della Tappezzeria (AMTT), Fondo Cavazza-A- emilia Ars, scatola 8, Ely (1902), “Le artefici del ricamo”, Il giornale d’Italia, 25 dicembre [ritaglio rassegna stampa].

[7] Cooperativa IFI (1906). Le industrie femminili italiane. Cooperativa nazionale. Catalogo della mostra. Milano: P. Rocco e C.

[8] Amadori Rosy (1902). Prefazione. In Operosità, cit., p. 8.

[9] Oddone Ines (1902). La donna operaia. In Operosità, cit. pp. 58-61.

[10] Lee Vernon (1902). La donna come cittadina. Lettera aperta di Vernon Lee a Maria Pasolini Ponti. In Operosità, cit., pp. 120-121. Sulla citazione di John Ruskin: Bianchi Bruna (2015). “Arte, lavoro, domesticità. Il pensiero di John Ruskin interpretato dalle donne e dagli uomini del suo tempo (1860-1930)”. DEP. Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile, 27, 23-47.

[11] Mozzoni Malatesta Covo Anna Maria (1902). La donna nelle industrie, negli studi, nelle profes- sioni e negli impieghi in Italia. In Operosità, cit., pp. 195-215.

[12] Savorgan di Brazzà Cora (1902). Le industrie casalinghe. In Operosità, cit., pp. 216-225. [13] Se ne ricostruisce la tradizione otto-novecente-

sca in Soldi Manuela (2019). Rosa Genoni. Moda e politica: una prospettiva femminista fra ’800 e ’900. Venezia: Marsilio.

[14] Sullo sviluppo ottocentesco del concetto: Belfanti Carlo Marco (2019). Storia culturale del made in Italy. Bari-Roma: Laterza. [15] Si veda per esempio: Archivio Centrale dello

Stato, Fondo Ministero Istruzione Pubblica, Divisione Antichità e Belle Arti, Serie Esposi- zioni congressi mostre e conferenze 1860-1894, b. 6, fasc. Esposizione Nazionale dei Lavori Femminili in Firenze, Lettera di Demetrio Carlo Finocchietti al ministro Correnti: “Tra- smissione di carte relative al Museo Nazionale