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Negli ultimi secoli dell’impero romano e nei primi tempi dell’Alto Medioevo i travestimenti da animali in occasione dei festeggiamenti per l’inizio del nuovo anno sono documentati in diverse zone dell’Europa occidentale. Nonostante le dure condanne espresse all’epoca dagli uomini di Chiesa – che consideravano queste mascherate intollerabili manifestazioni di culti pagani – oggi la critica è pressoché concorde nel ritenere tali pratiche una semplice forma di aggregazione sociale, priva di connotazioni religiose686. Scopo di questo capitolo sarà invece di rileggere i travestimenti

zoomorfi documentati dalle fonti – in modo particolare il travestimento da cervo – collocandoli all’interno di un contesto assai più ampio di quello dell’Europa occidentale, e di interpretarli come un’espressione altamente significativa di un sottofondo mitico e rituale eurasiatico che ha attraversato i secoli ma che risulta ancora straordinariamente attivo nell’Alto Medioevo. Nei travestimenti si ricompongono le lettere di un alfabeto simbolico che doveva essere già ben conosciuto tanto dai popoli nomadi provenienti da Est quanto dai popoli sedentari dell’Occidente: molti degli elementi principali e costitutivi di questo simbolismo si erano sì sviluppati in maniera autonoma a Oriente come a Occidente ma l’impronta di un passato condiviso li rendeva comprensibili e assimilabili ogni volta che essi tornassero a riproporsi, anche a grande distanza di tempo, grazie ai contatti prodotti da migrazioni, invasioni, conquiste.

1.

Sul finire del IV secolo d.C., il vescovo di Barcellona Paciano (m. 390 ca.) scrive per lamentarsi che l’opera da lui espressamente composta per reprimere l’abitudine di travestirsi da animali (nello specifico da cervo) durante i festeggiamenti per il nuovo anno ha sortito l’effetto contrario: non solo chi si travestiva non ha smesso di farlo, ma chi ancora non era a conoscenza di questa usanza ha finito per apprenderla e ha così cominciato a travestirsi a sua volta. Le parole di Paciano, benché venate di ironia, non nascondono una certa amarezza:

686 Cfr. da ultimo L. Grig, Interpreting the Kalends of January: A Case Study for Late Antique Popular Culture?, in Ead., Popular Culture in the Ancient World, Cambridge 2017, p. 245: «despite the recurrent list

of ‘pagan’ and ‘superstitious’ practices that recur again and again in ecclesiastical attacks on the Kalends, it is clear that the problem with the Kalends was not really ‘paganism’. ... That the Kalends was not really ‘pagan’ is not a new assertion»; Markus, The End of Ancient Christianity, pp. 103-106; Klingshirn,

Caesarius of Arles, pp. 216-218; A. Kaldellis, The Kalends in Byzantium 400-1200 AD: A New Interpretation, in Archiv für Religionsgeschichte 13/1 (2012), pp. 187-203. Un’eccezione significativa è

rappresentata da MacMullen, Christianity and Paganism, p. 38: «Though they [the bishops] were no anthropologists, they were clear that the rites were not just a big party; rather, an act of worship».

A questo infatti ritengo sia maggiormente servita quella mia opera intitolata Cervulus: che venisse praticato con tanto maggior zelo ciò che con più forza veniva rimproverato; e pure che tutto quel biasimo rivolto contro un obbrobrio allestito e spesse volte ripetuto non sembri aver represso questi eccessi, ma anzi, li ha resi più edotti. Povero me! Che crimine ho commesso? Avrebbero continuato a ignorare che cosa fosse ‘fare il cervo’, se io non glielo avessi mostrato criticando quell’usanza687.

In uno scritto più o meno degli stessi anni anche il vescovo di Milano, Ambrogio, allude alla pratica di travestirsi da cervo al principio del nuovo anno – sebbene i suoi toni siano assai meno drammatici rispetto a quelli usati dal collega di Barcellona. Agli occhi del dotto Ambrogio quel costume doveva apparire come uno spasso popolare, un divertimento bizzarro per gente semplice, e nulla più; al termine di un lungo passaggio dedicato al tema del cervo come figura di Davide e di Cristo688, posto proprio in apertura del suo sermone, il vescovo di Milano, quasi scusandosi per

essersi dilungato troppo, conclude con un mot d’esprit:

Ma ormai questo cervo ha già scorrazzato abbastanza nell’esordio del nostro sermone, proprio come suole fare all’inizio dell’anno secondo l’usanza popolare. Passiamo ad altro689.

Non lontano da Milano ci si continuava a travestire da animali ancora verso la metà del V secolo, come attesta un sermone di Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna; dalle sue parole si apprende che le mascherate zoomorfe erano parte di un più complesso rituale in cui comparivano altre figure, nello specifico quelle degli dèi classici, impersonati anche in questo caso mediante l’uso di una maschera690.

687 Pac. Bar., Paraenesis sive exhortatorius libellus ad poenitentiam 1 (PL 13.1081).

688 Nell’antichità si credeva che il cervo fosse nemico mortale dei serpenti, che stanava da sottoterra con il

suo fiato e poi uccideva schiacciandoli sotto gli zoccoli (come riportato, ad esempio, da Plinio e Plutarco). In ambito cristiano l’immagine del cervo nemico dei serpenti venne ben presto associata a quella del cervo assetato del Salmo 42 (Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te,

Deus): in questo modo il cervo divenne simbolo di Cristo, che con la sua venuta ha sconfitto l’antico

serpente, il diavolo (cfr. B. Domagalski, Hirsch, in RAC 15 (1991), col. 576; W. Heizmann, Hirsch, in RGA 14 (1999), pp. 600-601).

689 Ambr., De interpellatione Iob et David 4 [2].1.5 = CSEL 32.2.271 (ed. C. Schenkl).

690 Cfr. Petr. Chrys., Serm. 155 (PL 52.611): qui se bestiis compararunt, exaequarunt iumentis, aptaverunt pecudibus, daemonibus formaverunt; Id., Homilia de pythonibus (PL 65.27 = Serm. 155bis): Figurant Saturnum, faciunt Iovem, formant Herculem, exponunt cum vernantibus suis Dianam, circumducunt Vulcanum verbis anhelantem turpitudines suas, et plura, quorum, quia portenta sunt, nomina sunt tacenda; quorum deformitates, quia natura non habet, creatura nescit, fingere ars laborat. Gli accenni contenuti nel

sermone del Crisologo fanno pensare che a Ravenna, capitale imperiale dal 402, sia avvenuta una sorta di coalescenza tra il rito delle mascherate animali – di carattere, per così dire, più privato – e le cerimonie collegate alla nuncupatio votorum, la solenne presa degli auspici da parte dei magistrati per il benessere dello stato e dell’imperatore, celebrata il 3 gennaio. Quello era anche il giorno in cui avevano inizio i caratteristici

ludi, i giochi organizzati dalle grandi famiglie aristocratiche per festeggiare degnamente l’entrata in carica di

un loro membro in qualità di console: i giochi erano inaugurati da una solenne processione, la pompa

circensis, nel corso della quale erano fatte sfilare le statue degli dèi – un particolare che manca nella

Da Ravenna alla Gallia, i travestimenti zoomorfi sembrano essere una costante delle celebrazioni per il nuovo anno: in pieno VI secolo e in un contesto altamente romanizzato come quello della Provenza ostrogota (la Provincia per antonomasia), il vescovo di Arles, Cesario, sente il dovere di includere – tra le varie usanze ancora largamente diffuse tra la popolazione e che promanano a suo vedere da una paganorum profana observatione – anche la sordidissimam turpitudinem de annicula vel cervulo exercere691. In un altro sermone, Cesario rincara la dose: chi non voglia rendersi

partecipe dei peccati commessi da uomini sacrilego ritu insanientibus, non lasci avvicinare alla propria dimora cervulum, sive anniculam, aut alia quaelibet portenta692.

Se il significato di cervulum appare chiaro, assai meno perspicuo è quello del sostantivo annicula. Qualcuno ha proposto di considerare il termine una corruzione di anicula, “vecchietta”, anche in riferimento al ben noto costume di “bruciare la vecchia” in occasione del nuovo anno – un simbolo apotropaico da contrapporre alla forza rigeneratrice simboleggiata dalle maschere animali693. In

effetti, in un altro sermone dedicato alle calende di gennaio Cesario fa menzione, oltre che dei consueti travestimenti animaleschi, anche di travestimenti da donna, praticati da uomini non erubescentes tunicis muliebribus inserere militares lacertos694. Sappiamo da un’omelia pronunciata

il primo gennaio del 400 da Asterio, vescovo di Amasea (nel Ponto), che durante le carnevalate tipiche delle calende di gennaio era abitudine tra i soldati eleggere un falso re che, fornito di un seguito e montato sopra un carro, veniva portato in processione per l’accampamento come una parodia dell’imperatore. Questo falso re aveva a sua disposizione un intero harem, composto da soldati grottescamente travestiti da donna695. Nella prima metà del V secolo anche il vescovo di

Torino Massimo si era scagliato contro quanti avevano l’abitudine di mutare, per mezzo di travestimenti, la propria natura umana in pecudes aut in feras e contro quanti, nella medesima

l’uso di maschere, le divinità del pantheon tradizionale, cfr. M. Meslin, La fête des kalendes de janvier dans

l’empire romain. Étude d’un rituel de Nouvel An, Bruxelles 1970. La parziale sovrapposizione di due rituali

– le mascherate animali e la pompa circensis – ascrivibili a tradizioni diverse seppur riconducibili al medesimo contesto celebrativo, può in un certo senso dar conto della giustificazione, forse non del tutto fittizia, addotta dall’immaginario interlocutore del Crisologo al quale quest’ultimo rimprovera la partecipazione a cortei e cerimonie che odorano di paganesimo: col prendere parte alle mascherate – si difende l’anonimo – non si vuole certo ripetere l’errore della gentilitas, ma semplicemente partecipare ai festeggiamenti collettivi all’interno di un contesto ufficiale: vota sunt haec iocorum. Il Crisologo la pensa però diversamente: Non sunt ioca: sunt crimina.

691 Caes. Arel., Serm. 13.5. Per Cesario (Serm. 193.1) il travestimento in animali costituiva un imperdonabile

svilimento dell’uomo (homo ad imaginem Dei et similitudinem factus), che diventava in questo modo

sacrificium daemonum, cfr. Hornung, Apostasie, p. 227. 692 Caes. Arel., Serm. 193.2.

693 Cfr. Meslin, Kalendes de janvier, pp. 82-84; G. Rohlfs, Die anniculae bei Caesarius von Arles, in Studia neophilologica 21 (1948-49), pp. 42-46.

694 Serm. 192.2.

695 Hom. 4 adv. Kalendarum Festum (PG 40.216-25); F. Graf, Roman Festivals in the Greek East: From the Early Empire to the Middle Byzantine Era, Cambridge 2015, pp. 138-140.

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