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1.

Sul battesimo del re franco Clodoveo è stato detto e scritto molto – anzi, moltissimo. Non soltanto perché lo stato frammentario della documentazione continua a rendere l’evento cronologicamente sfuggente (ben quattro date sono state infatti proposte nel corso del lungo dibattito storiografico426),

ma anche perché – proprio come è accaduto a proposito di un’altra, famosa conversione, quella cioè di Costantino – il valore simbolico dell’evento ha ben presto sopravanzato il fatto storico427.

Al di là delle divergenze, anche molto profonde, tra gli studiosi circa il momento esatto in cui il battesimo ebbe luogo e le motivazioni ultime che lo dettarono, la critica ha in generale ridimensionato il carattere originale dell’episodio, interpretandolo piuttosto come l’esito di un processo in corso da tempo e in qualche modo prevedibile nelle sue conclusioni, data la profonda influenza culturale che l’impero – già da molti anni ufficialmente cristiano – avrebbe esercitato sui Franchi prima e dopo il loro stanziamento in Gallia428.

426 Quella tradizionale, che si ricava dal racconto di Gregorio di Tours, è il 496; ma a partire dall’articolo di

F. Vogel, Chlodwigs Sieg über die Alamannen und seine Taufe, in Historische Zeitschrift 56 (1886), pp. 385- 403 – che propone la data del 506 – la critica si è divisa tra i sostenitori di una datazione ante 500 (nello specifico 496 o 498/9) e post 500 (506 o 508, con una preferenza per quest’ultima); qui non è ovviamente possibile dar conto della sterminata bibliografia che si è originata sull’argomento (tanto che G. Tessier, Le

baptême de Clovis, Paris 1964, pp. 124-125, e Id., La conversion de Clovis, pp. 166-169, pur propendendo

per un anno anteriore al 500, ha proposto una tregua, sostenendo che la data esatta non è poi così importante, ma con scarso seguito); si vedano comunque i seguenti studi per un’idea più precisa sull’argomento: B. Krusch, Zwei Heiligenleben des Jonas von Susa; II. Die ältere Vita Vedastis und die Taufe Chlodovechs, in

Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung 14 (1893), pp. 385-448, soprattutto 427-

428 (propone la data 507/508); A. van de Vyver, La victoire contre les Alamans et la conversion de Clovis, in Revue belge de philologie et d’histoire 15 (1936), pp. 859-914, e 16 (1937), pp. 35-94 (appoggia la tesi di Vogel del 506); E. Stein, Histoire du Bas-Empire, 2 voll., Paris 1949-1959, II, p. 148 (498/9) J.M. Wallace- Hadrill, The Long-Haired Kings, London 1962, pp. 63-65, 167 n. 1, 168 n. 2 (506); M. Reydellet, La royauté

dans la littérature latine de Sidoine Apollinaire à Isidore de Séville, Rome 1981, pp. 94-95 (496); I.N.

Wood, Gregory of Tours and Clovis, in Revue belge de philologie et d’histoire 63 (1985), pp. 249-272 (508); P. Périn, L.-C. Feffer, Les Francs, 2 voll., Paris 1987, I, pp. 150-156 (tra il 496 e il 499), similmente M. Spencer, Dating the baptism of Clovis, 1886-1993, in Early Medieval Europe 3 (1994), pp. 97-116; A. Dierkens, Die Taufe Chlodwigs, in von Welck et al., Die Franken, pp. 183-191 (508); M. Rouche, Die

Bedeutung der Taufe Chlodwigs, in ibid., pp. 192-199 (498); D. Shanzer, Dating the baptism of Clovis: the bishop of Vienne vs the bishop of Tours, in Early Medieval Europe 7 (1998), pp. 29-57 (508).

427 Il paragone con Costantino dovette presentarsi con ogni probabilità già ai contemporanei; in ogni caso

esso è reso esplicito nel racconto di Gregorio di Tours, HF 2.31; cfr. Wood, Gregory of Tours and Clovis, p. 251; Y. Hen, Clovis, Gregory of Tours, and Pro-Merovingian Propaganda, in Revue belge de philologie et

d’histoire 71/2 (1993), pp. 271-276; L.E. von Padberg, Herrscher als Missionare. Spätantike und frühmittelalterliche Zeugnisse zur Rolle der Königsmacht im Christianisierungsprozess, in D. Hägermann et al. (Hrsg.), Akkulturation: Probleme einer germanisch-romanischen Kultursynthese in Spätantike und frühem Mittelalter, RGA-E Band 41, Berlin-New York 2004, pp. 311-312.

Una conferma di questa interpretazione sembra provenire da un documento di eccezionale valore, la lettera che il vescovo di Reims, Remigio, volle indirizzare allo stesso Clodoveo in occasione della sua successione al padre nel 481/2429. Le parole del vescovo risultano assai significative:

Rumor ad nos magnus pervenit, administrationem vos Secundae Belgicae suscepisse. Non est novum, ut coeperis esse, sicut parentes tui semper fuerunt.

E poco dopo continua:

Consiliarios tibi adhibere debes, qui famam tuam possent ornare. Et beneficium tuum castum et honestum esse debet, et sacerdotibus tuis debebis deferre et ad eorum consilia semper recurre; quodsi tibi bene cum illis convenerit, provincia tua melius potest constare430.

Remigio si congratula dunque con il giovanissimo Clodoveo – che ha allora sedici anni – sotto la cui autorità si trova ora la provincia romana della Belgica Secunda, di cui è parte anche Reims; non si tratta affatto di un accadimento imprevisto (non est novum), in quanto anche il padre di Clodoveo, Childerico, aveva ricoperto il ruolo di amministratore di quella provincia, ed è perciò del tutto naturale che l’incarico sia passato al figlio. Ma c’è di più: benché all’epoca della lettera Clodoveo fosse ancora ben lungi dal convertirsi alla religione cristiana, Remigio lo esorta a stabilire dei buoni rapporti con i vescovi (tuis sacerdotibus) e a ricorrere sempre ai loro consigli, poiché da questa collaborazione non può che derivare prosperità alla provincia.

Benché il linguaggio sia ancora saldamente quello della tradizione, non si può non notare che le parole di Remigio dipingono una realtà per molti versi anomala: nell’assimilare la posizione di comando di Clodoveo a quella di una normale magistratura romana, il vescovo di Reims sembra infatti non accorgersi che tanto la giovanissima età di Clodoveo quanto il carattere ereditario dell’investitura mal si conciliano con la tradizionale pratica politica. Ma può ben darsi che questa discontinuità non fosse del tutto presente alla coscienza dei contemporanei: come è stato suggerito, non è improbabile che nella lettera il vescovo di Reims si richiamasse a un qualche tipo di accordo – di cui tuttavia non è rimasta traccia nelle fonti – siglato da Childerico (o dai suoi predecessori) con un rappresentante del governo imperiale – verosimilmente Aezio; in base a questo foedus i

429 La lettera è stata tuttavia datata anche al 486, cioè in occasione della presa di Soissons da parte di

Clodoveo; cfr. Wood, Merovingian Kingdoms, p. 41, e J. Vanderspoel, From Empire to Kingdoms in the

Late Antique West, in Rousseau, Companion to Late Antiquity, pp. 430-431, per lo status quaestionis; la data

del 481 sembra però preferibile, cfr. Wallace-Hadrill, Long-Haired Kings, p. 166; Geary, Before France and

Germany, p. 82; E. James, The Franks, Oxford 1988, p. 65; P. Périn, La progression des Francs en Gaule du Nord au Ve siècle. Histoire et archéologie, in Geuenich, Franken und Alemannen, p. 63; A. Dierkens, P.

Périn, The 5th-century advance of the Franks in Belgica II: history and archaeology, in E. Taayke et al.

(eds.), Essays on the Early Franks, Groningen 2003, p. 170-171.

430 Domino insigni et meritis magnifico, Hlodoveo regi, Remegius episcopus, ed. W. Gundlach, MGH Epp. 3,

Franchi si sarebbero vista riconosciuta la possibilità di risiedere nella Belgica Secunda in cambio di un sostegno militare, e questo spiegherebbe anche il riferimento fatto da Remigio ai parentes di Clodoveo431. Il vescovo gli si rivolgerebbe dunque come legittimo rappresentante dell’autorità

politica e militare nella regione, essendosi nel frattempo mantenuti, almeno nominalmente, i termini dell’accordo con un impero che continuava dopo tutto a esistere nella sua parte orientale432.

2.

Considerata in questa prospettiva, l’esortazione rivolta al pagano Clodoveo di ricorrere ai consigli dei propri vescovi risulta meno sorprendente. Non è facile dire quanto di questa fosse un tentativo di influenzare l’opinione del giovane sovrano e quanto si riferisse invece a un uso già da tempo consolidato: in ogni caso, è più che probabile che nel corso del V secolo i predecessori di Clodoveo – anche di fronte alla crescente autorità dei vescovi – abbiano scelto di perseguire una politica conciliante nei confronti delle autorità religiose cristiane, mantenendo con esse quei rapporti di collaborazione che nella sua lettera il vescovo Remigio si augura possano continuare anche con l’erede della stirpe merovingia433.

Questa ipotesi pare d’altronde essere suggerita da un passo importante della Vita di Genoveffa, redatta – come sembra – al principio del VI secolo, pochi anni dopo la morte della santa: in essa si afferma che, benché pagano, il padre di Clodoveo – Childerico – avrebbe riconosciuto le virtù straordinarie della vergine parigina, riservandole gli onori di un’autentica venerazione. Del

431 Cfr. Demougeot, La formation de l’Europe, II, p. 490. Sulla situazione politica della Gallia settentrionale

negli anni intorno alla caduta dell’impero romano, cfr. Wood, Merovingian Kingdoms, pp. 35-41; E. Ewig,

Die Merowinger und das Frankenreich, Stuttgart 20065, pp. 14-18; Becher, Chlodwig, pp. 144-152.

432 Più o meno negli stessi anni in cui Remigio compose e indirizzò la sua famosa lettera a Clodoveo, un altro

vescovo, Auspicio di Toul, si rivolse in termini molto simili al conte di Treviri Arbogaste (discendente dell’omonimo generale che diresse l’usurpazione di Flavio Eugenio negli anni 492-4 e fu poi costretto al suicidio dopo la sconfitta al fiume Frigido contro l’imperatore Teodosio). Come Childerico, anche Arbogaste si trova in una situazione di quasi autonomia per quanto concerne la regione posta direttamente sotto il suo comando – e proprio come Remigio con Childerico, anche Auspicio esorta Arbogaste a governare in sintonia con i propri vescovi (cfr. B. Dumézil, Le modèle royal, pp. 135-136; per l’edizione della lettera di Auspicio, cfr. MGH Epp. 3, III: Epp. Austrasicae, pp. 135-137). Lo stesso Arbogaste risulta altresì destinatario di una lettera scritta intorno al 470 da Sidonio Apollinare; in essa Sidonio lo elogia per la sua raffinata cultura letteraria, rivolgendosi a lui come a uno degli ultimi bastioni di Romanitas in quelle terre galliche, vicine al

limes renano, sommerse ormai dagli eserciti barbarici (cfr. Sid., Ep. 4.17.2: Quocirca sermonis pompa Romani, si qua adhuc uspiam est, Belgicis olim sive Rhenanis abolita terris in te resedit, quo vel incolumi vel perorante, etsi apud limitem Latina iura ceciderunt, verba non titubant).

433 Sul ruolo politico dei vescovi nella Gallia merovingia, cfr. Prinz, Die bischöfliche Stadtherrschaften; G.

Scheibelreiter, Der Bishof in merowingischer Zeit, Wien 1983, soprattutto pp. 172-180; G.M. Berndt, Der

Rex Francorum Childeric, die Umstrukturierung der Macht in Gallien und ein Grab in Tournai – Indizien für einen Wechsel der Religion?, in N. Krohn, S. Ristow (Hrsg.), Wechsel der Religionen – Religionen der Wechsel. Tagunsbeiträge der Arbeitsgemeinschaft Spätantike und Frühmittelalter, Hamburg 2012, pp. 184-

fondamento storico di questa notizia è senz’altro lecito dubitare; degna di nota è invece la caratterizzazione assolutamente positiva che la Vita riserva al re franco434.

Childerico aveva d’altronde finito con l’assumere il profilo più di un generale romano che di un capo barbarico: per quanto difficile da ricostruire nei dettagli, la sua attività politica e militare pare infatti essere sempre stata all’insegna dell’alleanza con l’impero e i suoi ultimi rappresentanti in Gallia. Nel 463 la sua partecipazione alla battaglia di Orléans al fianco del magister militum Egidio – secondo le fonti, un fervente cattolico – fu decisiva nel determinare la sconfitta dei Visigoti e arrestare i loro progetti espansionistici. Nel 469, insieme con il comes Paolo (successore di Egidio) combatté contro i Sassoni che si erano insediati alle foci della Loira e stavano assediando Angers; anche dopo la morte di Paolo in combattimento, Childerico riuscì comunque a respingerli, rivolgendosi poi da lì contro gli Alani ribelli nella regione di Orléans. È possibile che a un certo momento egli abbia addirittura concluso un patto con Odoacre, aiutandolo a combattere gli Alamanni che avevano invaso l’Italia435.

La lunga fedeltà di Childerico può dunque spiegare perché il vescovo Remigio si rivolga a Clodoveo considerandolo alla stregua di un magistrato romano; inoltre, i buoni rapporti che il padre – in qualità di rappresentante del potere imperiale – sembra aver intrattenuto con le gerarchie cattoliche (e, a quanto pare, con santa Genoveffa) giustificano ampiamente l’invito a ricorrere ai sacerdotes nel governo della provincia. In questo quadro, come si vede, la conversione di Clodoveo appare del tutto coerente, soltanto l’ultimo passo per portare a compimento quel processo di integrazione già sostanzialmente concluso con Childerico436.

434 Vita Genovefae virginis Parisiensis 26 (ed. B. Krusch, MGH SRM 3): Cum esset gentiles Childericus rex Francorum, veneratione qua eam dilexit effari nequeo ... Sull’autenticità di questa Vita, cfr. M.

Heinzelmann, J.-C. Poulin, Les vies anciennes de sainte Geneviève de Paris: Études critiques, Paris 1986, soprattutto pp. 3-49, 121-126, 147-182. Sui rapporti amichevoli tra Genoveffa e Childerico, cfr. James,

Franks, p. 66; Daly, Clovis, pp. 625-630; G. Hartmann-Petersen, Genovefa von Paris – Person, Verehrung und Rezeption einer Heiligen des Frankenreiches, Hamburg 2007, pp. 62-64; Becher, Chlodwig, p. 130,

sospetta che i buoni rapporti tra Childerico e Genoveffa possano spiegarsi anche con l’origine “mista” della santa, figlia di un generale romano «germanisch-fränkischer Abstammung».

435 Secondo Ewig, Merowinger, pp. 16-17, Childerico compì tutto questo non in qualità di re dei Franchi, ma

di generale federato di Roma; così anche Wallace-Hadrill, Long-Haired Kings, p. 162 e Daly, Clovis, p. 627: «As a capable and loyal general, he ... became the mainstay of what was left of Roman power in northern Gaul». Sulle imprese militari di Childerico, cfr. Périn, Feffer, Les Francs, pp. 106-109; James, Franks, pp. 64-65, Wood, Merovingian Kingdoms, pp. 38-40. D. Quast, Der Vater, ein fränkischer König im Gallien des

5. Jahrhunderts, in Id. (Hrsg.), Das Grab des fränkischen Königs Childerich in Tournai und die Anastasis

Childerici von Jean-Jacques Chifflet aus dem Jahre 1655, Mainz 2015, p. 233, vede Childerico come il “contrappeso” imperiale all’azione aggressiva dei Visigoti. Diversa invece è l’interpretazione che dà D. Frye,

Aegidius, Childeric, Odovacer, and Paul, in Nottingham Medieval Studies 36 (1992), pp. 1-14, secono il

quale nella battaglia di Orléans del 463 Childerico avrebbe combattuto contro Egidio; tuttavia, anche in questo caso Childerico sarebbe rimasto fedele al patto con Roma, combattendo in qualità di «imperial candidate» (p. 9) per riconquistare il Nord della Gallia.

436 La fedeltà dimostrata da Childerico al patto con Roma risalta ancora di più se messa a confronto con

3.

Quest’immagine di Childerico fu rafforzata, in maniera spettacolare e inattesa, dalla scoperta avvenuta a metà del Seicento della sfarzosa sepoltura del sovrano franco nella città di Tournai, in Belgio, dove Childerico aveva posto la sua residenza.

Il 27 maggio 1653 fu rinvenuta nei pressi della chiesa di Saint-Brice una tomba di eccezionale ricchezza: essa era situata a 200 metri dalla riva destra del fiume Schelda, e a una profondità di 2 metri e mezzo. La tomba si presentava intatta; essa fu subito riconosciuta come il luogo di sepoltura del sovrano della stirpe merovingia grazie al ritrovamento al suo interno dell’anello sigillare del re, provvisto del suo ritratto e della scritta retrograda Childirici regis. Gli scavi furono tuttavia condotti in maniera affrettata e poco rigorosa, cosicché non possediamo alcune importanti informazioni – l’orientazione della sepoltura o la posizione degli oggetti che si trovavano al suo interno, per esempio – ed è altresì presumibile che una parte del corredo funerario sia stata trafugata nel corso delle operazioni, di modo che non possiamo essere certi che i reperti che compaiono riprodotti nella pubblicazione che seguì a breve distanza dal ritrovamento della tomba corrispondano in maniera precisa a quelli che vennero effettivamente deposti con il corpo al momento della sepoltura.

La resurrezione di Childerico I re dei Franchi (Anastasis Childerici I. Francorum regis) è il titolo dell’opera che Jean-Jacques Chifflet, medico dell’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Asburgo, governatore dei Paesi Bassi spagnoli, pubblicò nel 1655, due anni dopo la scoperta archeologica437,

con l’aggiunta di una serie di raffigurazioni che si sarebbero rivelate d’importanza fondamentale alla luce degli eventi successivi: i reperti associati alla sepoltura reale, infatti, portati in un primo momento a Vienna, furono di lì a poco offerti, nel 1665, al re di Francia Luigi XIV, che ne chiedeva (logicamente) la consegna in ragione dell’immenso valore simbolico rappresentato da quegli oggetti per la monarchia francese. Essi vennero dunque collocati all’interno della Biblioteca Reale di Parigi dove rimasero fino al 1831, quando furono rubati insieme a molti altri reperti nel corso di un’effrazione notturna. Anche se qualcosa della refurtiva poté essere recuperato, molti oggetti andarono irrimediabilmente perduti, tra cui lo stesso anello sigillare che aveva permesso

il primo fu accusato di aver scritto una lettera al re visigoto Eurico, incoraggiandolo a rompere l’alleanza con l’imperatore Antemio e a dividersi la Gallia con i Burgundi (Sid., Ep. 1.7.4); al secondo venne invece rinfacciato di aver consegnato una parte del territorio romano ai Goti (Sid., Ep. 7.7.2). Arvando venne esiliato, Seronato giustiziato; cfr. J.D. Harries, Sidonius Apollinaris, Rome and the barbarians: a climate of

treason?, in Drinkwater, Elton, Fifth-century Gaul, pp. 298-308; H.C. Teitler, Un-Roman activities in late antique Gaul: the cases of Arvandus and Seronatus, ibid., pp. 309-318.

437 Anastasis Childerici I. Francorum regis, sive thesaurus sepulchralis Tornaci Nerviorum effosus, & commentario illustratus. Auctore Ioanne Iacobo Chifletio, Equite, Regio Archiatrorum Comite, & Archiducali Medico Primario, Antverpiae 1655.

l’identificazione di Childerico; cosicché conosciamo gran parte corredo della tomba soltanto grazie alle riproduzioni eseguite nel Seicento da Chifflet438.

Per quanto si distingua nettamente dalle altre sepolture coeve per la ricchezza senza paragoni del corredo, la tomba di Childerico presenta tuttavia alcune significative analogie con le tombe ad armi che abbiamo analizzato nel precedente capitolo. Anche nel corredo funebre di Childerico, infatti, le armi occupano un posto di assoluto rilievo, sia per il numero che per la qualità dei materiali e della lavorazione, a testimonianza del rango sociale del defunto. Oltre alla caratteristica ascia da guerra – la cosiddetta francisca – furono rinvenute anche una lancia, una spada lunga (spatha) e il tipico coltello a un solo taglio di derivazione germanica, detto scramasax. L’elaborata decorazione del fodero – come anche quello della spatha – mostra un’influenza quasi certamente romana439. Di

produzione sicuramente romana è poi la fibula cruciforme in oro (andata perduta nel furto del 1831) che doveva con ogni probabilità fermare sulla spalla destra di Childerico il prezioso paludamentum, ovvero il mantello corto di colore rosso porpora indossato dai generali romani che compare nel ritratto del sovrano e che egli doveva probabilmente indossare anche al momento della sepoltura – simbolo ufficiale del suo potere militare440.

Nella tomba furono inoltre rinvenute circa trecento monete romane, delle quali un centinaio d’oro e circa duecento d’argento; ma mentre il primo gruppo costituiva un insieme omogeneo, composto da solidi d’oro risalenti tutti al V secolo (dal regno di Valentiniano III a Zenone), il gruppo delle monete d’argento comprendeva invece esemplari anche molto diversi tra loro, distribuiti lungo un arco cronologico molto ampio, dal I sec. a.C. al IV d.C. Torneremo su questo tra poco; per il momento basterà dire che i solidi d’oro potrebbero in origine aver fatto parte della somma ricevuta da Childerico come ricompensa delle numerose campagne militari combattute in Gallia a fianco dell’impero441.

438 Su tutto questo cfr. K. Böhner, Childeric von Tournai, in RGA 4, Berlin-New York 1981, pp. 440-460;

M. Kazanski, P. Périn, Le mobilier funéraire de la tombe de la tombe de Childeric Ier. État de la question et

perspecitves, in Revue Archéologique de Picardie 3-4 (1988), pp. 13-38; A. Gietzen, Jean-Jacques Chifflet (1588-1660) und die Anastasis Childerici I Francorum regis, in Quast, Das Grab des fränkischen Königs Childerich, pp. 3-16; D. Quast, Der Quellenwert der Anastasis Chifflets, ibid., pp. 71-73; Id., Lage und Entdeckung des Childericgrabes, ibid., pp. 97-98; P. Périn, Der Diebsthal des “Schatzes des Childerich I.” aus der königlichen Bibliothek von Paris in der Nacht vom 5. Zum 6. November 1831, ibid., pp. 111-116. 439 Kazanski, Périn, Mobilier funéraire, p. 14, 21; cfr. anche D. Quast, Die Grabbeigaben – ein kommentierter Fundkatalog, in Id., Das Grab des fränkischen Königs Childerich, pp. 165-207.

440 Böhner, Childeric, p. 452. Un significato affine doveva poi avere la fibula cruciforme, generalmente

concessa alle più alte cariche civili e militari dell’impero, come testimoniano alcune rappresentazioni artistiche più o meno contemporanee alla tomba di Childerico, tra le quali il famoso dittico consolare di Stilicone e il mosaico di Giustiniano nella chiesa di San Vitale a Ravenna, cfr. Kazanzki, Périn, Mobilier

funéraire, p. 21 n. 19.

Nell’elenco degli oggetti andrà poi senz’altro ricordato un bracciale in oro massiccio (dal peso di 300 grammi) che l’archeologo tedesco Joachim Werner ha dimostrato far parte di quei simboli ufficiali che presso alcune popolazioni germaniche definivano il rango principesco, se non addirittura regale, di chi li portava442; Michel Kazanski e Patrick Périn, dal canto loro, hanno

sottolineato il carattere per così dire internazionale di questo particolare tipo di bracciali, ritrovati in contesti funerari diversissimi – dall’Afghanistan, alle regioni del Volga, alla Siria – circostanza che

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