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1.

Negli anni Settanta del IV secolo, all’interno della città di Arras (Nemetacum), in un’area precedentemente occupata da una schola di dendrofori329, sorge un complesso di strutture a

carattere cultuale con tutte le caratteristiche del santuario330.

Si tratta di un vasto quadrilatero di 57 m di lunghezza e 43 di larghezza, addossato all’angolo nord- occidentale della cinta muraria tardoantica; ad est e a sud – sui due lati, cioè, che non fiancheggiavano le mura – lo spazio risultava delimitato da un argine di 6 m di spessore, con un passaggio che permetteva l’accesso all’area cultuale (figg. 11 e 12). Questa si estendeva per circa 1700 m2 e sembra si fosse organizzata fin dall’inizio intorno a una sorta di punto focale, una

collinetta di 4 m di diametro, nelle cui vicinanze è stato rinvenuto un deposito di offerte di circa 300 m2 contenente attrezzi legati all’attività artigianale o agricola – come scalpelli, punteruoli, falcetti,

zappe, macine, oppure oggetti di uso più personale e domestico, come vasellame in bronzo o in terracotta, pettini, fibule, ciondoli e anche armi (nello specifico un fodero di spada in bronzo, un’ascia e due punte di lancia), ritualmente piegate o spezzate prima di essere deposte insieme con le altre offerte.

Ma ciò che maggiormente ha attirato l’attenzione degli archeologi è una fossa dalle considerevoli dimensioni di 3,25 m di lunghezza, 2,60 m di larghezza e 1,40 m di profondità posizionata nel prolungamento settentrionale di questo deposito votivo. Non soltanto l’interno della fossa (chiamata F30) era accuratamente ricoperto di assi di legno per evitare il cedimento delle pareti, ma la fossa stessa risultava altresì protetta da un muretto di circa 1 m di altezza e da un tetto in paglia sorretto da una struttura composta da quattro pali; non è difficile supporre che la grande cavità ricoprisse un ruolo significativo all’interno del santuario, al punto da richiedere la costruzione di alcuni – per quanto elementari – accorgimenti architettonici che ne proteggessero il contenuto dagli agenti atmosferici o da eventuali razzie di animali.

329 Artigiani del legno adepti della divinità orientale Attis, cfr. RE V, coll. 216-219.

330 Per una descrizione dettagliata, cfr. soprattutto A. Jacques, M. Tuffreau-Libre, E. Belot, Les fouilles de la rue Baudimont à Arras en 1985, in Revue du Nord 68 (1986), pp. 75-99; A. Jacques, Les sanctuaire germanique. Phase IIIa et b, décennies 370 et 380, in E. Belot, J. Blondiaux (éd.), Les cultes à Arras au Bas- Empire, Arras 1990, pp. 74-92; Id., La présence militaire à Arras au Bas-Empire, in F. Vallet, M. Kazanski

(éd.), L’armée romaine et les Barbares du IIIe au VIIe siècle, Rouen 1993, pp. 195-199; Id., Arras ville

antique. Aux origines d’une cité bimillenaire, Arras 2000, pp. 67-75; Id., Le sanctuaire germanique d’Arras. Les fouilles de la rue Baudimont, in Compatangelo-Soussignan, Schwentzel, Étrangers dans la cité romaine,

pp. 221-238; Id., Arras-Nemetacum, chef lieu de cité des Atrébates. Bilan des recherches 1984-2002, in R. Hanoune (éd.), Les villes romaines du Nord de la Gaule. Vingt ans de recherches nouvelles, in Revue du

Al centro della fossa sono stati ritrovati tre crani umani. Il primo, quello di un bambino di cinque anni, era accompagnato da una costola di bovino e da un blocco di pietra calcarea; il secondo, riconducibile a un individuo adulto di età compresa tra i venti e i quarant’anni, era inserito all’interno di un recipiente in bronzo cerchiato di ferro e ricoperto da un pezzo di stoffa; il terzo, posto in mezzo agli altri due, apparteneva anch’esso a un bambino di circa cinque-sette anni. All’interno della fossa sono stati ritrovati anche una costola e un femore umani. Particolare interessante, tutti e tre i crani erano stati deposti in posizione rovesciata, vale a dire appoggiati sulla calotta superiore – così come pure un altro cranio, appartenente a un suide di età compresa tra i dieci e i sedici mesi, rinvenuto insieme con la mandibola corrispondente in prossimità dei crani umani. L’interno della fossa ha restituito inoltre dei frammenti di ceramica, delle tracce di tessuto, legno e vegetali, oltre che i resti di una bardatura decorata con appliques in bronzo, alcuni oggetti metallici e il fodero di una spada – ritrovato anch’esso piegato allo stesso modo delle armi rinvenute nel grande deposito votivo.

Ma accanto alla fossa F30 altre fosse erano presenti nell’area cultuale, e nel loro insieme esse permettono di farsi un’idea più precisa dello svolgimento e del significato dei riti eseguiti nel santuario di Arras. Vediamo.

La fossa F20 fu abbandonata in corso di utilizzo: essa conteneva i resti di due persone, lo scheletro di un bambino di età compresa tra i cinque e i sette anni (di cui solo una parte della membra inferiori si è conservata) e lo scheletro di una ragazza di circa tredici anni, ritrovato in posizione flessa e adagiato sul fianco destro e sprovvisto della testa.

La fossa F32 ha restituito un cranio umano, dei frammenti di ceramica e lo scheletro in connessione di un cane, privo tuttavia della zampa anteriore destra, ritrovata all’interno della fossa principale F30. Altre fosse di dimensioni minori rispetto a quelle finora descritte, e collocate nella zona meridionale, più periferica, del santuario hanno restituito un contento del tutto simile: pezzi di ceramica, utensili vari, ossa umane e animali (fig. 13).

Un dato sorprende e s’impone all’attenzione: l’analisi dei materiali ossei rinvenuti nelle fosse del santuario, tanto di quelli umani quanto di quelli animali, non ha rilevato segni di morte violenta, e neppure di un successivo smembramento del cadavere con strumenti da taglio: la circostanza è singolare, e naturalmente merita un approfondimento.

In mancanza di indizi che possano chiarire in che modo sia avvenuto il decesso, è possibile ipotizzare che il prelevamento del cranio e di altre parti del corpo sia stato effettuato su individui morti per cause naturali. È bene sottolineare però che l’assenza di segni traumatici non permette di escludere a priori la possibilità di una morte violenta (l’avvelenamento, il soffocamento o l’annegamento non lasciano infatti tracce archeologiche). Comunque sia, si ammetta o meno

l’ipotesi di uccisioni rituali, quel che è certo è che nel santuario di Arras venivano praticati la manipolazione e il trattamento di resti umani: la comparsa nel cuore stesso di una cittadina gallo- romana, negli ultimi decenni del IV secolo, di un rito così marcatamente anomalo rispetto alle pratiche religiose di tipo ellenistico-romano, è la questione su cui è necessario interrogarsi.

Il particolare stato di conservazione delle ossa suggerisce anche una seconda considerazione: se l’assenza di segni di arma da taglio non aiuta a stabilire con sicurezza le cause del decesso, essa può tuttavia fornire indicazioni preziose sul genere di trattamento cui venne sottoposto il cadavere. In effetti, la mancanza delle mandibole e delle vertebre cervicali nei crani rinvenuti nelle fosse (la cui presenza è invece assicurata in caso di decapitazione) indica chiaramente che i corpi devono essere passati attraverso una fase più o meno lunga – cinque o sei mesi – di decomposizione prima di subire lo smembramento e prima che fossero prelevate le parti anatomiche considerate importanti dal punto di vista rituale (in primis, la testa) – operazione che, scomparsi i legamenti tendinei e muscolari, rendeva superfluo l’utilizzo di strumenti da taglio, che avrebbero sicuramente lasciato dei segni sulle ossa. In ogni caso, questo particolare tipo di trattamento del cadavere sembra non fosse riservato esclusivamente ai soggetti umani ma – a giudicare dallo scheletro di canide sepolto nella fossa F32, la cui zampa anteriore destra è stata ritrovata nella fossa principale F30 – esso doveva essere altresì impiegato anche nel caso di vittime animali.

A questo punto possiamo già provare ad avanzare una prima ipotesi di ricostruzione del rituale compiuto in questo santuario sui generis: esso doveva prevedere una prima fase di decomposizione del cadavere in una delle fosse periferiche del santuario, il successivo prelevamento di alcune parti dello scheletro e, infine, una seconda inumazione di queste in una delle fosse principali331.

Per quanto riguarda il significato di questi rituali, una prima risposta riguarda evidentemente il loro carattere ctonio: le fosse e la fase di decomposizione dei cadaveri lasciano infatti supporre un rito rivolto a qualche divinità sotterranea, legata probabilmente a un culto dei morti e della fertilità332.

Una conferma potrebbe provenire dalla piccola statua (60 cm) rozzamente scolpita, raffigurante una divinità maschile itifallica, ritrovata all’interno del santuario. Non è possibile stabilire con sicurezza di quale divinità si tratti, tuttavia le sue caratteristiche rimandano chiaramente a un dio della fertilità, la cui presenza non pare fuor di luogo in un contesto come quello del santuario, dove sono stati ritrovati numerosi oggetti legati all’attività agricola deposti come offerta nella grande area votiva333.

331 Cfr. Jacques, La présence militaire à Arras, pp. 196-197; Id., Arras ville antique, pp. 71-73.

332 Cfr. A. Kaliff, Ritual and Everyday Life – The Archaeologist’s Interpretation, in M. Stausberg (Hrsg.), Kontinuitäten und Brüche in der Religionsgeschichte. Festschrift für Anders Hultgård zu seinem 65. Geburtstag, RGA-E Band 31, Berlin-New York 2001, p. 454.

Questo però non spiega ancora la scelta di una modalità di esecuzione assolutamente atipica, unica in ambiente romano334, e non chiarisce a quale autorità o volontà vadano ricondotti questi riti. Per

cercare di rispondere è necessario allargare di molto lo sguardo, ben oltre il contesto provinciale di Arras – anche se è da qui che dobbiamo necessariamente partire, dalla società nella quale poté impiantarsi il santuario oggetto della nostra indagine.

2.

Situata sul versante meridionale della collina Baudimont, alla confluenza dei fiumi Crinchon e Scarpe, la città di Arras-Nemetacum deve con ogni probabilità la sua fondazione negli ultimi decenni del I secolo a.C. all’iniziativa di Augusto, che ponendo mano con Agrippa alla riorganizzazione della provincia della Gallia Belgica dopo la conquista cesariana, elevò Arras a capoluogo di una delle diciasette civitates che componevano allora la nuova provincia – quella degli Atrebati335. Nel corso dei successivi due secoli e mezzo la città poté usufruire dell’accresciuto

volume dei traffici con le aree circostanti – in particolare con la Britannia e le province germaniche – oltre che dell’approvigionamento dell’esercito stanziato lungo il confine renano, i cui proventi fornirono le risorse necessarie a trasformare un piccolo agglomerato di case in legno e terra in una città pienamente romana, con domus comode e spaziose ornate di affreschi e mosaici, strade larghe e quasi tutte lastricate, acqua corrente336.

Nel corso del III secolo, tuttavia, la profonda crisi militare e politica che seguì la fine della dinastia severiana ebbe tra i suoi effetti più evidenti quello di lasciare diverse regioni dell’impero esposte alle incursioni delle popolazioni barbariche: anche la Gallia Belgica dovette subire ripetuti attacchi da parte dei barbari provenienti di là dal Reno (particolarmente grave risultò l’invasione franca degli anni 275/6)337. Una prima e immediata conseguenza di questo nuovo stato di cose fu la

costruzione in molte città e vici di una possente cinta muraria: benchè non sembri che Arras abbia subito distruzioni di una qualche rilevanza, la città scelse, al pari delle altre, di dotarsi di un circuito difensivo che venne realizzato nei decenni 270/80 – senza tuttavia inglobare la totalità dell’abitato altoimperiale ma limitandosi a circondarne il cuore civile e religioso. La successiva riforma dioclezianea suddivise l’antica Gallia Belgica in due province distinte: la Belgica Prima, con

334 Cfr. M. Kazanski, P. Périn, Identité ethnique en Gaule à l’époque des Grandes Migrations et des Royaumes barbares: étude de cas archéologiques, in Antiquités Nationales 39 (2008), pp. 193-195; Id., Identity and Ethnicity during the Era of Migrations and Barbarian Kingdoms in the Light of Archaeology in Gaul, in R.W. Mathisen, D. Shanzer (eds.), Romans, Barbarians, and the Transformation of the Roman World: Cultural Interaction and Creation of Identity in Late Antiquity, Farnham 2011, pp. 312-313.

335 Jacques, Arras ville antique, p. 14. 336 Jacques, Arras ville antique, pp. 19-26.

337 Cfr. J.R. Mertens, La fin de l’Antiquité dans le nord-ouest de la Gaule Belgique – Quelques réflexions, in

M. Lodewijckx (ed.), Archaeological and Historical Aspects of West-European Societies (Acta Arch. Lovaniensia, Monographie 8), Leuven 1996, p. 231.

capitale Treviri, e la Belgica Secunda, con capitale Reims; di quest’ultima faceva parte anche Arras338.

La tempesta sembrava passata: l’Edictum de pretiis, promulgato da Diocleziano nell’anno 301, fissa il prezzo delle lane “atrebatiche” a duecento denari la libbra, testimonianza della vitalità economica della città di Arras-Nemetacum al principio del IV secolo339. Ma anche se in maniera forse meno

distruttiva rispetto a quanto si era soliti ritenere fino a non molto tempo fa, le invasioni del III secolo – e con esse le misure adottate dall’autorità imperiale per scongiurare un nuovo crollo del limes – incisero profondamente sulla mentalità e sugli stili di vita della popolazione.

La mappa dei tesoretti monetali rinvenuti in Gallia – una guida utile per orientarsi nei cambiamenti di quegli anni – mostra che verso la metà del III secolo essi tendono a concentrarsi nella parte orientale; si tratta di un fenomeno che non ha nulla di particolarmente notevole e che non esclude motivazioni diverse rispetto a quella, ripetuta molte volte, che lega direttamente i ritrovamenti monetali di questo periodo alle invasioni: si possono infatti ipotizzare anche altre motivazioni, come il desiderio di tesaurizzare moneta pregiata, fare delle offerte votive a qualche divinità o altro ancora. Il quadro però cambia decisamente nel corso degli anni Sessanta e Settanta: nel periodo di più acuta crisi militare e istituzionale della compagine romana la concentrazione di tesori monetali nell’area compresa tra il Reno e la Senna (e, nello specifico, tra il Reno e la Somme) cresce in maniera esponenziale, fino a costituire da sola la quasi totalità dei ritrovamenti per quegli anni nell’intera regione gallica. L’impressione è che esista un collegamento preciso tra l’aumento vertiginoso del numerario sotterrato e il precipitare degli eventi bellici in quegli stessi anni, quando la Gallia settentrionale è attraversata da un clima di insicurezza generale, esposta ai pericoli provenienti da oltrereno e costretta a fare affidamento per la difesa alle sue sole forze340.

La restaurazione imperiale condotta da Aureliano prima e, sul finire del III secolo, da Diocleziano e Massimiano poi restituì alla regione una relativa tranquillità dopo anni di disordini – ma al prezzo di una massiccia riconversione delle strutture civili, dello stile di vita e delle abitudini dei suoi abitanti. Quella cui si assiste in Gallia settentrionale è infatti una vera e propria militarizzazione di ampi strati della società, coinvolti in maniera più o meno diretta negli eccezionali sforzi profusi dall’amministrazione centrale per ristabilire la sicurezza dei confini renani ed impedire il ripetersi di nuove devastanti incursioni nell’entroterra gallico; ma anche in questo caso, data la posizione assolutamente strategica della regione all’interno del sistema difensivo occidentale, la militarizzazione della società si manifestò con tratti decisamente più accentuati nell’area belgica,

338 Jacques, Arras ville antique, pp. 31-32; 61-65.

339 Jacques, Arras ville antique, p. 32: «Cette mention implique donc un redémarrage des activités d’élevage

et de fabrication, mais aussi la présence d’un reseau efficace de distribution».

nella quale i segni dei profondi cambiamenti si resero ben presto evidenti, tanto nelle città quanto nelle campagne341.

Se nei primi secoli dell’impero solo pochissime città erano già provviste di una cinta muraria, negli ultimi anni del III secolo e nella prima metà del IV, invece, quasi tutte le città del Nord-Est della Gallia si dotarono di mura, anche possenti: non si tratta di una ostentazione di prestigio e di potenza ma della necessità di protezione da eventuali attacchi esterni. Le mura che circondano Arras e i centri di Amiens, Tournai, Bavai, Noyon, Soissons, Reims, Verdun, Metz, Toul, Beauvais, Châlons e altri ancora non vengono progettate per includere la totalità della superficie abitata ma soltanto una parte di essa, quella centrale, escludendo interi quartieri342. Così provviste di fortificazioni e

ridotte presumibilmente nel numero degli abitanti, le città della Gallia nord-orientale diventano sempre più dei fortilizi. La presenza al loro interno o nelle immediate vicinanze di truppe facenti parte dei nuovi reparti di comitatenses (l’esercito mobile) contribuisce a questa trasformazione: alcuni centri come Bayeux, Evreux, Lisieux e anche Rouen – che nei primi secoli dell’impero era stata una città fiorente, con una considerevole popolazione urbana – sembrano addirittura perdere ogni funzione di carattere civile e ridursi a semplici avamposti militari343.

Nelle campagne la discontinuità risulta forse ancora più evidente: il numero delle villae diminuisce infatti in misura drastica già a partire dal III secolo; le poche strutture che rimangono nel secolo successivo sono spesso utilizzate soltanto parzialmente – locali ed interi edifici sono lasciati cadere in rovina o sono rioccupati dalla popolazione rurale – e non mostrano più i segni di benessere e di lusso tipici del II secolo e della prima metà del III; il ricorso sempre più generalizzato a materiali deperibili come il legno è indicatore di una complessiva situazione di difficoltà economica. Solo in alcune isolate aree – intorno ai grandi centri di Treviri e Colonia, ad esempio – sembra sussistere una certa continuità con le forme abitative aristocratiche del passato; per il resto, nella Gallia nordorientale la villa non costituisce più il luogo privilegiato per l’autorappresentazione ed esaltazione dei grandi proprietari terrieri, i quali scelgono di destinare le proprie risorse ad altri scopi, soprattutto per far fronte ad esigenze di tipo militare. Questi cambiamenti appaiono tanto più significativi in quanto nulla – o quasi nulla – di tutto ciò sembra verificarsi nella Gallia centrale e meridionale, dove l’antico sistema delle villae rimane intatto ancora per il III e per tutto il IV secolo

341 P. Van Ossel, Insécurité et militarisation en Gaule du Nord au Bas-Empire. L’exemple des campagnes, in Revue du Nord 77 (1995), pp. 27-36; Id., P. Ouzoulias, Rural settlement economy in Northern Gaul in the Late Empire: an overview and assessment, in Journal of Roman Archaeology 13 (2000), pp. 133-160;

Wickham, Un pas vers le Moyen Âge?, pp. 555-567; Id., Framing the Early Middle Ages: Europe and the

Mediterranean, 400-800, Oxford 2005, pp. 44, 331-332.

342 A Tongeren la cinta muraria tardoantica racchiude un terzo dell’abitato altoimperiale, ad Amiens dei 140

ettari coperti dal reticolo viario della città nel III secolo solo venti ettari vengono racchiusi dalle nuove mura; su questi e altri esempi, cfr. E.M. Wightman, Gallia Belgica, Berkeley-Los Angeles 1985, pp. 221-227; Esmonde Cleary, Roman West, pp. 68-71.

e dove si registrano addirittura nuove fondazioni o ampliamenti di strutture preesistenti: la contrapposizione tra le regioni a nord e a sud della Loira è in questo senso netta344.

A lungo si è cercato di spiegare il drastico calo delle villae nelle aree settentrionali come una conseguenza diretta delle incursioni barbariche del III secolo; in realtà, le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato che si tratta di una spiegazione insufficiente, anzitutto perché solo poche di queste villae mostrano effettivamente segni di distruzione, ma soprattutto perché il processo di abbandono prende avvio già nella prima metà del III secolo, cioè prima dell’inizio delle grandi invasioni345. Si

tratta, evidentemente, di un fenomeno difficile da spiegare nella sua interezza; non si andrà tuttavia troppo lontano dal vero nell’interpretare il calo delle villae nelle Gallia settentrionale come il risultato dell’azione congiunta di una molteplicità di fattori, come ad esempio la fine della fase di espansione agricola cominciata già prima della conquista romana (con conseguente riallineamento delle forze produttive) o l’intervento sempre più consistente dell’apparato imperiale nel controllo della produzione agricola346.

Tutto questo non implica che le invasioni non abbiano giocato un ruolo importante nei mutatamenti sociali che si verificarono nella Gallia settentrionale tra III e IV secolo: al contrario, esse sono state decisive per l’elaborazione di nuovi modelli di autorappresentazione aristocratica, caratterizzati in misura preponderante dalla componente militare347. Uno di questi modelli potrebbe essere

all’origine del costume di seppellire i defunti con un ricco corredo composto in prevalenza di armi.

3.

Sull’origine di questa usanza – estranea al resto della Gallia e alle altre regioni occidentali dell’impero348 – si è sviluppato un lungo e vivace dibattito che non può ancora dirsi ad oggi

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