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109 Cit. da Baldi 1993, 674.

110 «Un buon esempio dell’adattamento delle teorie neoplatoniche a un ti-

po di discorso meno sostenuto di quelli che si leggono negli Asolani e nel

trebbe essere una testimonianza in tono minore, ma anche piut- tosto precoce.

In linea di massima, dalle prediche quattrocentesche (come quella del ms. Marciano It. cl. IX 111), descrittive, laudative, compendiarie sia nei motivi (i frutti d’amore, gli attributi del dio, gli amanti celebri), sia nello sfoggio di citazioni, al modo di un Roberto Caracciolo, si passa a inizio Cinquecento a prediche, come quelle di Rosiglia e di Baldacchini, che in termini diversi si dimostrano debitrici di esperienze letterarie più avanzate, ma- turate nel clima della corte e delle accademie. Sono prediche più articolate, con ragionamenti più elaborati, con spunti in senso lato filosofici più manifesti che nella predica precedenti, e vici- ne per temi alle esperienze della letteratura cortigiana (Rosiglia, soprattutto). Anche dal punto di vista letterario tendono verso a una resa più sofistica: Rosiglia con una forma metrica frottoli- stica, di cui non è facile trovare esempi identici; Baldacchini con una fioritura retorica, non sempre perseguita con successo, ma che indica una volontà evidente di elaborazione letteraria.

Contemporaneamente, una predica come Salve Regina mani- festa anche l’altra linea di predica, il versante più concretamente precettistico, poco interessato alle discussioni teoriche su amore, ma attento alle condizioni quotidiane dell’esperienza erotica, del corteggiamento soprattutto, e modellata sulla tradizione del- l’ars, con situazioni da commedia e da novella. È una predica che si colloca nel mondo della corte e vicina ad esperienze cor- tigiane, come il rifacimento ovidiano di Calmeta.

Un interesse per la fenomenologia tradizionale dell’esperien- za d’amore si trova nella predica del Verde Lauro; ma l’impian- to tutto sommato debole e piuttosto ripetitivo riduce la quantità dei motivi discussi: dalla tradizione lirica eredita la descrizione degli effetti d’amore (con il repertorio di fiamme, sguardi e frecce), il lamento sulle donne crudeli, le schiere di amanti su cui amore trionfa.

Si assiste quindi a una circolazione e a un’evoluzione di te- mi, che nel passaggio dalla filosofia alla letteratura, e poi alla

letteratura di intrattenimento come le prediche d’Amore, perdo- no parte del loro carattere più speculativo. Così, ad esempio, i principi del neoplatonismo evolvono in termini di complessità nella trattatistica (almeno fino a Leone Ebreo), ma sono adattati in forme semplificate e limitate nella letteratura (già negli Aso-

lani) e nel comune sentire (come nelle prediche d’Amore).111 In

termini più generali, la tendenza a legiferare su amore, anche se con obiettivi opposti a quelli a cui aveva abituato la trattatistica (il controllo razionale nella tradizione quattrocentesca «albertia- na»; tecniche destinate alla seduzione e al corteggiamento nelle prediche d’Amore), risente delle spinte filosofiche quattrocente- sche all’equilibrio e alla medietas.

La tradizione erotica, sia dei trattati, sia delle opere letterarie, segna le prediche d’Amore, che ne costituiscono un versante giocoso e sensuale: non indipendenti dal gusto filosofico, anche per la necessità di una mimesi della predicazione, e dai contenu- ti di fondo delle teorie più complesse, le prediche d’Amore re- cepiscono i tratti che con più facilità si imprimono nella memo- ria, le varianti che meglio esprimono gli interessi delle comunità in cui circolano.

5. Lo spazio del latino nelle Prediche d’Amore 5.1. Latino e predicazione

Il problema della lingua della comunicazione sacra si pone per la Chiesa medievale nella predicazione, che, con la confes- sione, è tra i momenti dell’azione pastorale quello che più da vi-

111

Nel campo della cultura «operano varie modalità di selezione»: una «modalità selettiva si instaura là dove in un settore specializzato di una co- munità di parlanti si mette in discussione il punto di vista espresso da qualche membro della comunità stessa»; un’altra «linea di selezione è […] quella in cui una qualche variante fa nascere il sospetto che essa possa incidere su cre- denze consolidate ed esterne alla disciplina di cui fa parte» (Bellone 2006, 122-123).

cino tocca i rapporti tra struttura ecclesiastica e fedeli. Per esse- re efficace la predica doveva essere compresa da tutti gli ascol- tatori; il programma catechetico, di annuncio e di parenesi, che il predicatore imprime con la sua direzione spirituale del fedele non può fallire per questioni di lingua. Se la liturgia, misterica, e i testi biblici possono restare in latino, la predica, almeno nel corso del XIII secolo, comincia a lasciare spazio sempre mag- giore al volgare, anche se la situazione rimane piuttosto movi- mentata (Coletti 1987: 60; Delcorno 2000, 494-495; sul tema, ricco e complesso, rinvio a Librandi 2012 e Librandi 2017).

Nel processo che porta all’aumento degli spazi del volgare nella predicazione si tentano strade originali come avviene con i sermoni mescidati, che condividono sia tratti propri della tradi- zione omiletica (la struttura di fondo: divisioni, esempi, ecc.), sia caratteristiche formali e di intenti del macaronico; questa af- finità tra predica e macaronico letterario ha una prima ragione nella simbiosi tra la cultura clericale e la cultura universitaria (Lazzerini 1971). Tuttavia, i sermoni mescidati, per quanto dif- fusi, difficilmente esercitano la stessa forza modellizzante delle prediche sacre non ibridate. Le Prediche d’Amore non parteci- pano dei tratti più caratteristici dei sermoni mescidati, e non ne condividono la veste linguistica, che lascia tracce significative nei testi parodistici.

Le situazioni più comuni restano però le prediche in latino e le prediche in volgare con inserti latini. Da un lato, la predica- zione in latino resiste per molto tempo, davanti al clero ma an- che davanti ai laici (tant’è vero che viene regolata anche dal Concilio di Trento) e le difficoltà linguistiche erano probabil- mente superate da un’actio predicatoria teatrale, che rispondeva alla centralità dell’elemento spettacolare della predica, abilmen- te incanalato dai predicatori per attirare l’attenzione degli spetta- tori. Dall’altro lato, la predicazione assume la forma tipica della mescolanza linguistica, che si ritrova anche nelle Prediche

d’Amore: una lingua straniera inserita in un contesto diverso e

latino delle citazioni bibliche era una scelta obbligata di fedeltà al testo sacro, per il quale ancora non si ammetteva la diffusione volgare. È facile rendersi conto che l’autorità e l’autenticità del- la Bibbia passano anche attraverso la sua lingua.

Persiste, quindi, per secoli il doppio registro di predicazione, volgare e latino: anche senza arrivare a casi estremi come i ser- moni mescidati, questa doppia linea facilita lo scambio tra le due lingue; la compresenza di elementi latini e volgari penetra anche nei rifacimenti parodici, che considerano, e adottano, questa duplicità come un tratto caratterizzante della pratica della predicazione.

5.2 Il latino nelle Prediche d’Amore

Se si guarda ai casi di apparizione del latino nel corpo vol- gare delle prediche d’Amore, ci si rende conto di come i predi- catori si allineino alle forme più tipiche dell’omiletica sacra, an- che nella gestione di inserti alloglotti: latinismi, inserti minimi, citazioni, anche ampie, di auctores. L’inserimento del latino nel corpo volgare delle prediche, e di conseguenza delle prediche d’Amore, si attua con modalità in parte sovrapponibili a casi simili che occorrono in altri, diversi generi testuali. Alla predica possono essere applicate griglie descrittive che valgono per di- scorsi più generali, di analisi di fenomeni di poliglossia (Elwert 1973).

Innanzitutto, anche nelle Prediche d’Amore compaiono lati- nismi, che variano di tipo e intensità da predica a predica. In li- nea di massima, la loro presenza non esorbita dall’uso comune, medio letterario quattro-cinquecentesco. Nei casi più comuni, le prediche sono tendenzialmente refrattarie all’uso massiccio di latinismi pronunciati, e il latinismo è più raro nei casi di predica a destinazione prevalentemente orale-popolaresca. In altri casi, come in Rosiglia, la lingua a sfondo cortigiano, eclettico am- mette un più alto tasso di latinismo. Nella varietà di realizzazio- ni della predica, però, c’è spazio anche per esperimenti più ca-

ratterizzati: nella predica in prosa primo-cinquecentesca di Bal- dacchini, il linguaggio tende a una varietà polifilesca (e il debito con l’Hypnerotomachia è denunciato da alcune riprese testuali), ma un polifilesco semplificato, o che Baldacchini non è in grado di reggere. Mancano del polifilesco i nuclei lessicali derivati dal greco, ma anche su versante latino, Baldacchini si serve di cal- chi lessicali e grafici, mentre scarseggiano i latinismi morfolo- gici (rari ad esempio i diminutivi in –uculo) e sintattici: non quindi un progetto compiuto, ma una derivazione alla moda, in cui la ricerca formale cede verso un generico ideale di artificio- sità.112

Se per i latinismi si deve quindi tentare una graduazione tra prediche, più omogeneo è il quadro che si prospetta per gli in- serti latini veri e propri. Più omogeneo, perché per questi, più che per i latinismi, funziona come modello la predica sacra, in cui la presenza di un’altra lingua, e precisamente del latino nel volgare, ha uno spazio maggiore, più evidente e riconoscibile e un ruolo più caratteristico, e perciò più facile da imitare, rispetto all’impiego di latinismi. Certo, la casistica è piuttosto varia e cambia da predica a predica (l’uso del latino, ad esempio, si al- terna con l’uso del volgare e non è esclusivo per certe funzioni), ma si possono riconoscere alcune linee di tendenza. I casi di ap- parizione del latino si lasciano ricondurre a alcune situazioni- tipo, che non ricorrono sempre in tutti gli esempi noti di predi- che d’Amore, ma che sono abbastanza omogenei tra loro per permettere una descrizione organica del fenomeno.

112 Non ci sono molti studi sulla fortuna dell’Hypnerotomachia Poliphili:

è verosimile che, ristampata alcuni decenni dopo la princeps del 1499, non giacesse invenduta nei magazzini. Alcuni dei primi accenni sono orientati verso la critica (come Castiglione che nel Cortegiano condanna l’esubero dei

Polifili); e noto è il successo, ma parodistico, della lingua pedantesca. Un

esperimento come quello di Baldacchini mette in luce la debolezza modelliz- zante dell’Hypnerotomachia, la cui oltranza linguistica non può essere estesa facilmente a scritture di impegno minore rispetto all’originale, velleitarie, che sanno raggiungere risultati solo parziali.

Il primo livello di presenza latina si trova nei titoli e nel si- stema del paratesto. Molto spesso i titoli delle prediche, i segna- li didascalici di partizione interna dei testi, le indicazioni delle parti in cui è articolata la predica sono in latino. Nel caso delle prediche d’Amore, poi, si trovano sia elementi latini isolati, sia inserti ampi (di fatto, citazioni da testi latini classici e sacri, o composizioni poetiche autonome). Tra gli elementi isolati i casi di più frequente apparizione sono formule derivate secondo va- rie modalità dalla tradizione omiletica sacra (soprattutto formule di benedizione e preghiere), e minimi inserti discorsivi di tradi- zione scolastica (e omiletica), che marcano con il loro rilievo linguistico sezioni e passaggi del testo di particolare enfasi, co- me gli snodi logici del discorso o le allocuzioni dirette al pub- blico.

In latino sono spesso i titoli delle prediche, i titoli delle se- zioni interne e degli elementi ricorsivi della struttura del sermo

modernus, derivati dal linguaggio delle artes praedicandi e dal-

la prassi omiletica sacra.

Latine sono molte formule liturgiche («in saecula sae- culorum») e argomentative (e converso, ab initio, tam… quam), che compaiono in sedi costanti, all’inizio e alla fine della predi- ca e delle parti; come saluto e benedizione; in sede di introdu- zione di allocuzioni e preghiere; spesso sono formule di passag- gio e connettivi, che hanno una funzione di snodo del discorso: presentano le auctoritates, aprono ragionamenti, richiamano l’attenzione. Ad esempio, la contrapposizione, risolta nella pro- spettiva della salvezza, tra il mondo terrestre e la gloria celeste, di derivazione omiletica («Ideoque solicitate predicaciones et estote factores verbi et habebitis gratiam in hoc mondo et in alio gloriam. Amen»)113 si trova in Rosiglia (4, 90): «a la qual con

victoria – vos perducat Dominus», e in Magdoli, con il saluto (I 3, 55-56: «però valete in pace / et state sani»; II 3, 95-96: «però vi vo’ lassare: / valete in pace»), e imitata in volgare in Baldac- chini, Nox 3.11: «subvenite a li bisognosi amanti, il che facen-

113

do, in questa vita mortale haverete il summo dilecto et piacere, et ne l’altra la gloria, per infinita secula seculorum. Amen».

Le parti latine possono anche avere un effetto mnemonico, ottenuto con varie figure di ripetizione: le più comuni sono ana- fore e omeoteleuti, spesso in compresenza.114 Le prediche

d’Amore spesso introducono il latino nei punti corrispondenti alla partium declaratio: la lingua straniera, per l’evidenza reto- rica che conferisce all’esposizione della struttura del testo, ha un ruolo, e un effetto, simili alle strategie mnemotecniche delle prediche sacre. Omeoteleuti in latino inseriti nella partium de-

claratio si trovano nella predica Salve regina: le desinenze lati-

ne del gerundio hanno un risalto tale da favorire un effetto co- mico, parodico dell’uso abituale, che qui esercita tutto il suo in- flusso; Salve regina, Proemio 49-55: «Serà la prima parte / ini-

tium amandi; / de litteris mandandi / serà poi la seconda. / La

terza più ioconda / serà puoi alettandi, / amplexandi et abbrac-

ciandi».

Si tratta di inserti latini percepiti come naturali alla fine della predica, che concorrono alla costruzione del clima omiletico, e

114

Ad esempio, nella retorica sacra: Roberto da Lecce, Sermo de luxuria 6: «Et de pessima luxuria tria hoc mane considerantur: primum vocatur dete- statio, secundum vocatur occasio, tertium vocatur remedium»; Dominici, ed. Casella 1970, 376: «penso […] sia da dichiarare come debbe essere fatto l’uomo innanzi la comunione e come dee essere fatto andando alla comunione e come dopo la comunione. Innanzi la comunione dee essere mortificato in sua natura, nella comunione dee essere proporzionato alla sepoltura e dopo la comunione debbe essere glorificato in tutta vita pura»; Bernardino Tomitano da Feltre, II 474: «Et erunt tres partes huius sermonis: prima regula: pauper- cula vilipensio, possessio vel conditio; secunda: pacifica pertransitio sive pe- regrina munitio; tertia regula: sitibunda appetitio, sive solicita profectio». Bernardino da Feltre è autore di sermoni mescidati. Di solito la scansione del- le partes della predica è assegnata al latino, senza incursioni volgari. In Ber- nardino da Siena, la declaratio partium è per lo più articolata in volgare (con omeoteleuti), ma con la ripresa latina delle parole del thema che presiedono a ciascuna parte. Ad esempio (xxxix, 5): «Prima si è per la maledetta corruzio- ne: “Corrupti sunt”. Siconda per la sua abominazione: “Et abominabiles facti

sunt in studiis suis”. Terza, de la sua reprobazione: “Non est qui faciat bo- num: non est usque ad unum”».

che non presentano particolari difficoltà di comprensione. Gli ascoltatori della predica si aspettano la presenza di queste spie testuali. Il latino ha quindi una funzione retorica, utilizzato, in alternanza con simili formule volgari, per sottolineare lo svol- gersi logico del discorso, e una funzione espressiva (Baldacchini 2.3: «Ah, absurdum esset!»; 2.6: «Credi tu che natura habbi data la giuventù et belleza eterna a te, et a l’altre no? Falleris, falle-

ris, mihi crede!»). Ad esempio, spesso il predicatore distingue le

categorie e le classi di uomini e donne a cui si rivolge, secondo il principio omiletico della predicazione ad status. In una predi- ca dai forti connotati urbani, ricca di riferimenti alla città di Sie- na come la predica del Verde Lauro, si leggono alcuni versi (Exordio 1-4; Exordio 48-50) in cui sono interpellati i reggenti della città:

Orsù, cives prestanti – et auditores,

et vos omnes maiores – honorandi,

illustri, eccelsi e grandi: – state attenti!

Lo stesso richiamo ai cittadini ritorna all’inizio della seconda parte (2, 1-5), con riferimento parodico alle Lamentazioni:115

Vos omnes qui transitis per viam, ut possitis – evitare

questo amoroso mare – e la gran rete,

attendite et videte – el mio dolore:

dite: qual è maggiore? – El mio o ’l vostro?

E ancora, all’inizio della terza parte (3, 1-3), con ulteriore ri- chiamo biblico, connesso all’immagine del mare:

115 E alla Vita Nova 2, 18 [Barbi VII, 7], con una situazione assimilabile:

«intendo chiamare li fedeli d’Amore per quelle parole di Yeremia profeta, “O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte si dolor est sicut dolor meus”, e pregare che mi sofferino d’udire».

Venite post me omnes – amatores, si vultis piscatores – esser tutti

degli amorosi frutti – e delle donne.

ripreso circolarmente in finire di parte, e di predica, a 3, 95- 101:

[…] Hormai finire

intendo col mio dire: – o auditores,

si vultis piscatores – esser veri

de tanti visi alteri, – sequitate Cupido, acciò possiate – con vittoria aver in terra honor, in ciel la gloria.

Nella predica in questione, oltretutto, la presenza del latino si limita a questi inserti allocutivi (unica eccezione una brevissima citazione da Virgilio, vv. 2, 88-89), tutti coerenti tra loro sia per derivazione sacra, sia per formula, sia, come si è visto, per fun- zione allocutiva.116 Qui il latino, anche in brevi formule di deri- vazione sacra, veicola contenuti rifunzionalizzati in senso eroti- co (si deve seguire Amore), come nelle vere e proprie citazioni le auctoritates possono essere rilette in prospettiva devota (si deve seguire Dio). Tutto il sistema linguistico è in sé organico e favorisce l’impressione di autorità della predica.

Il latino, quindi, si trova in punti del testo retoricamente in- tonati: dà ordine, segnala un passo importante e segnala la di- versità dal contesto. È un uso meditato, coerente della lingua, non dettato solo dalla passiva imitazione del modello, ma co- scientemente assunto come espediente mimetico.

116 Anche dal punto di vista dei contenuti, il senso è che il predicatore, ca-

ricato di autorità sacra, deve essere seguito nella sua dottrina. Un caso simile in (Magdoli I, 2, 13-20): «Conosco essere indegno, / egregii doctores, / cha-

rissimi minores / ac expectabili cives, // scio quod non sum dives / d’ingegno

5.3. Citazioni di auctoritates

Tutti gli inserti circoscritti, i brevi sintagmi inseriti nel flusso volgare segnano punte di espressività e contribuiscono a creare il clima omiletico con la loro adesione alla prassi della predica. Lo spazio più ampio concesso al latino nelle prediche è però quello della citazione. Tra le strategie retoriche di costruzione del discorso omiletico, la citazione di auctoritates è nelle predi- che d’Amore senz’altro dominante sugli exempla e soprattutto sulle rationes: alcune prediche sono costruite, secondo un mo- dello comune nella predicazione sacra, come catene di autorità legate tra loro da riferimenti testuali o contenutistici (sulle cita- zioni nelle prediche d’Amore cfr. anche § II 3, 3).

Le citazioni latine delle prediche d’Amore si lasciano ricon- durre, e non poteva essere altrimenti, alle due linee maestre del- la tradizione latina: la tradizione cristiana e la tradizione classi- ca. L’uso più tipico prevede la citazione di brani più o meno ampi di testi autorevoli (gli esempi sono riferiti qui soprattutto alle prediche in prosa). Ci sono anche citazioni da poeti volgari (Petrarca, soprattutto, ma anche poeti di corte come Sanguinac- ci, e Tommaso Castellani), ma la maggior parte delle citazioni sono da testi latini: dalla Bibbia, da testi di tradizione filosofica e scolastica (san Tommaso), da autori classici, poeti (soprattutto Virgilio e Ovidio) e prosatori (Seneca, in particolare), anche medievali (Andrea Cappellano), e raramente contemporanei (Panfilo Sasso; e andranno ricordati anche i distici in apertura della predica di Baldacchini, ma solo nella stampa isolata, non nella Nox illuminata).

In linea di massima, le citazioni filosofiche entrano nelle di- mostrazioni razionali; le citazioni letterarie sono utilizzate per descrivere amore e i suoi effetti, e meno stringentemente come argomenti di ragione (per quanto anch’esse possano fungere da dimostrazione razionale della potenza di Amore, della sua uni- versale diffusione). Ci sono inoltre casi di diverso utilizzo: la tradizione classica fornisce exempla applicabili a descrizioni e

situazioni predicate, spesso in chiave di condanna (soprattutto se erotici).

Il piano più neutro consiste nella citazione di frasi latine sen- za la dichiarazione di fonte: sono brevi inserti, probabilmente depositati nella memoria popolare, quasi in funzione di prover- bio (derivano ad esempio da luoghi biblici), come Magdoli I 2,

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