4 Cfr. Gilman 1974; Minois 2004, 304-305.
5 Rari sono gli accenni ai motivi del contendere, come il libero arbitrio e
la predestinazione (ad es. Magdoli II, 2, 5-6: «Io non disputo latria, / né de’ predestinati»).
310), tendenzialmente più tarde (a stampa rispettivamente nel 1524 e nel 1536 le prime due; databile alla seconda metà del XVI secolo la terza).
Nelle prediche d’Amore si può quindi individuare un proces- so di evoluzione, anche se il costante riferimento al modello, il
sermo modernus, ha probabilmente frenato il cambiamento. Da
testi in prosa, costruiti su catene di autorità, si passa all’affer- marsi, anche se non esclusivo, di testi in versi, di diversa tradi- zione (frottolistica), ma che condividono con i primi la struttura di fondo (partizioni, sezioni riconoscibili derivate dalla struttura del sermone), con un progressivo allentarsi dell’esclusività della citazione come elemento costruttivo del testo.
Se le prime prediche scelgono una costruzione fondata su ci- tazioni e exempla quasi puramente onomastici e di antonomasia, nella loro evoluzione muovono verso discorsi più strutturati (anche in versi, come nella predica di Rosiglia). La citazione di autorità è ricca nelle prediche in prosa, ancora in De’ Canti e in Baldacchini; nelle prediche in versi, invece, accanto a testi ric- chi di citazioni come la predica della Colombina, si assiste a una progressiva riduzione delle fenomeno, fino ad arrivare alla dis- soluzione delle autorità in invenzione (Verde Lauro, Magdoli,
Già rilucente e bella): si perde il senso della citazione originale
straniata dal suo contesto, e resta solo il pattern formale della citazione, preso di mira in sé e per sé, non per i contenuti.
Nel corso degli anni, inoltre, si attribuisce più spazio all’ars e alla descrizione di modelli di comportamento, oltre che allo sviluppo di elementi narrativi (come nella predica Salve Regina, in cui la narrazione della situazione concreta dell’amante è lega- ta all’ars), fino all’introduzione di exempla ampi (come accade con Boccaccio nella predica Già rilucente e bella).
Nelle prime prediche (Marciano It. cl. IX 111; le prediche del Magliabechiano VII 1030) il versetto tematico è in effetti alla base dell’argomentazione – sia questa di logica stringente (come poi in De’ Canti), o soprattutto descrittiva (come nella predica del ms. Marciano). In alcune prediche il testo è diviso in
parti anche se non c’è un vero e proprio tema (è anche il caso di Rosiglia, che costruisce comunque la sua predica su una serrata sequenza logica: cfr. vv. Proemio 34-35). In altri casi, come in Magdoli I, la divisione è esteriore, richiamata soltanto per ade- guare il discorso alla forma del sermo, che procede altrimenti in modo piuttosto disordinato; allo stesso modo, la predica tarda
Già rilucente e bella non brilla per compattezza argomentativa.
Nelle ultime apparizioni della predica d’Amore l’impres- sione è che l’impianto logico tenda a sfaldarsi e che il genere si sia indebolito. Per costruire una predica è sufficiente un’adesio- ne superficiale alle forme tradizionali: bastano i riferimenti più evidenti alla tradizione, come la formularità, le allocuzioni al pubblico, il ricorso al pathos con esclamazioni (minacce, pre- ghiere); e bastano spesso allusioni estrinseche alla forma. Le di- chiarazioni esplicite sull’osservanza della tecnica omiletica an- che quando la tecnica non è seguita (come quando si dichiara una costruzione argomentativa, mentre il discorso procede per sequenze di immagini, come nella predica Già rilucente e bel-
la), dimostrano che non ci sono altri modi per far capire che si
sta imitando il sermone.
Naturalmente, ogni testo ha dei tratti individuali, delle va- rianti sue proprie (come lo spazio lasciato all’ars nella predica
Salve Regina o la ricerca linguistica nella Nox illuminata di
Baldacchini), e dei tratti invarianti (di genere: cfr. Corti, Princi-
pi, p.163). Anche in presenza del freno imposto dall’ipogenere
comune a tutte le prediche, le varianti individuali di successo possono dare luogo all’evoluzione del genere, e spiegano le dif- ferenze all’interno del corpus. La distinzione tra prediche in prosa e in versi, ad esempio, si può intendere come compresen- za di due sottogeneri, in rapporto tra loro; nella definizione dei tratti, tra le prediche in prosa e quelle in versi ci sono scelte al- ternative, come il diverso valore dato alle citazioni: in linea di massima le prediche in prosa sono più libere nella gestione delle citazioni, ma è anche vero che la predica della Colombina, in rima, ma con ampi inserti citazionistici indipendenti dal conti-
nuum dei versi, è un esempio concreto dei modi in cui l’ostacolo
posto dalla dimensione metrica può essere superato.
Nell’evoluzione di un genere spesso interviene l’azione di un innovatore: un’azione difficile da individuare nella storia delle prediche d’Amore. In mancanza di autorità riconosciute per il genere, Rosiglia, anche se non può essere considerata «una per- sonalità altamente innovatrice» (Corti 1976, 158), può però aver avuto un suo ruolo di orientamento nell’innalzare il gradiente letterario delle prediche che lo seguono. Non è escluso, ad esempio, che ad imporre il modello della predica in versi abbia contribuito proprio Rosiglia, la cui diffusione editoriale sembra confermare la possibilità di una sua conoscenza piuttosto vasta, sia geograficamente (anche in zone dell’Italia centrale, intorno a Foligno), sia cronologicamente (la Predica è ristampata per de- cenni).6 In questa prospettiva, si conferma l’importanza di Rosi-
glia nel processo che porta all’affermazione della predica d’Amore come genere.
Tutto il sistema delle prediche d’Amore è regolato dall’imi- tazione della circostanza omiletica, in cui testo e contesto si adeguano al modello della predicazione sacra. Le prediche d’Amore sono un oggetto di studio che presenta molte caratteri- stiche ripetitive e serializzabili:7 tutte le prediche fanno riferi-
mento a un unico modello formale, e alcuni loro tratti costanti si possono rintracciare in tutti i testi disponibili; per altri aspetti, naturalmente, presentano varianti formali e di contesto, come alternanza tra prosa e poesia, o l’escursione nel livello dei frui- tori, che possono essere interpretate di volta in volta e spiegate nel loro complesso.
La prima invariante che permette di definire il genere è la struttura formale di base, assunta dal sermo modernus: tutti i te- sti del corpus sono coerenti per struttura e per contenuti. A que-
6 L’autorità esercitata dalla predica di Rosiglia è inoltre attestata sulla pre-
dica Salve Regina, o meglio: sull’estensore della redazione testimoniata dal codice mantovano, che di Rosiglia riprende testualmente alcune sezioni.
7
sta invariante, si aggiunge l’omogeneità di temi e motivi orga- nizzati nella struttura formale consolidata. I principi individua- bili alla base della codificazione del genere “predica d’Amore” sono quindi la ripresa imitativa di una forma già nota (il sermo
modernus) nelle sue articolazioni formali riconoscibili; la volon-
tà imitativa nella struttura argomentativa e retorica (disposizione delle parti, formule, uso di citazioni e exempla, riferimenti al pubblico ecc.); l’atteggiamento dell’autore di fronte al pubblico e alla materia trattata (il predicatore si offre come depositario di verità).8
Una delle caratteristiche del corpus è il pubblico trasversale: le prediche d’Amore sono testi che interessano diversi gruppi sociali, o che dimostrano i diversi interessi di un gruppo in di- verse circostanze. Non sono molti gli indizi su autori e pubblico che si leggono nelle prediche d’Amore, ma in alcuni casi il loro
status è almeno parzialmente indentificabile.
In linea generale, le prediche d’Amore presuppongono ascol- tatori o lettori9 in grado di decodificare le allusioni e di capire il
processo di ricontestualizzazione a cui sono sottoposte le aucto-
ritates dotte, al di là del mero fenomeno dell’imitazione. Come
per ogni forma di parodia, anche nella comprensione delle cita- zioni ci sono due gradi di profondità: a un livello più superficia- le, si può cogliere l’imitazione della tecnica omiletica, l’esterio- rità del fatto citazionistico; e a un livello più profondo si può cogliere il riferimento straniato a una particolare tradizione rap- presentata dalla letteratura citata, sacra o profana che sia.10
8 Principi che rispondono anche ai tratti fondamentali della nozione di pa-
rodia.
9 Non ci sono allusioni alla lettura dei testi, ma soltanto all’esecuzione
orale: a differenza di quanto avviene, ad esempio, nei cantari bellici, per cui all’inizio del Cinquecento «nelle invocazioni proemiali e nelle allocuzioni gli “auditori” dei cantari della preistoria del genere diventano progressivamente i “lettori” dei testi impressi» (Beer-Ivaldi 1986, 93), ma in sintonia con il mo- dello della predica sacra, che prevede una comunicazione orale.
10 Le strategie del comico agiscono sia con la ricontestualizzazione di
un’autorità, sia con la forma della citazione (l’imitazione straniata di un lin- guaggio autorevole), sia con l’invenzione di finte auctoritates.
Definibili a diversi gradi sono inoltre le identità degli autori: da Rosiglia e Baldacchini, relativamente noti, si scende a identi- tà fluttuanti, limitate a nome e professione (Francesco de’ Canti, medico), o al solo nome (Magdoli), fino allo pseudonimo (Ver- de Lauro), e all’anonimato. Gli autori per i quali è ricostruibile un seppur tenue profilo biografico appartengono a un livello colto, come quello dei medici (Rosiglia e De’ Canti) e degli ec- clesiastici (Baldacchini): anche se una competenza passiva della struttura della predica era di dominio comune, la padronanza at- tiva della tecnica retorica, omiletica, era di uomini culturalmente avveduti.
Si tratta di autori che appartengono a un ambiente definito che è in parte anche l’ambiente del pubblico: la corte (come nel caso di Rosiglia, ma anche dell’anonima predica Salve Regina), i lettori degli strati medi (il Compendio11), il circolo di letterati
autoreferenziale (Baldacchini, per cui si può ipotizzare un cir- cuito di opere tra sodali12), la cerchia cittadina (difficile da defi-
nire meglio: ma la predica del Verde Lauro è indirizzata ai sene- si, e sembra costruita ad hoc per una dimensione municipale).
Accanto a questi spazi, però, la predica d’Amore si può apri- re a cerchie di fruitori più ampie del pubblico immediato a cui l’autore poteva pensare: nell’«asimmetria» che si è creata tra la scrittura e la comunicazione tipografica, e che si manifesta con più forza in testi ad alta diffusione come le stampe popolari, il pubblico può infatti essere meno colto dell’autore.13 È il caso
11 Di «consumo urbano medio ma non del tutto colto, alfabetizzato, ma
non certo sofisticato» parlano Beer-Ivaldi 1986, 93 a proposito di poemetti e opuscoli popolari. Con gli strati urbani, ‘borghesi’, non si intendono natural- mente la massa o la folla, nel senso di identità culturali proprie soltanto della modernità.
12
Come indicano i rinvii interni che presuppongono la conoscenza delle altre opere dell’autore (Baldacchini si auto-cita), o l’evocazione di Madaglio in Baldacchini, e di Baldacchini in Vincenzo Puzio.
13 Cfr. Wilhelm 1996, 55: «Die typische Asymmetrie der schriftlichen und
insbesondere der typografischen Kommunikation führt unter anderem auch dazu, daß in den meisten Fällen zumindest ein Teil des jeweiligen Publikums weniger gelehrt ist als der Autor».
soprattutto delle stampe popolari, il cui pubblico è meno diret- tamente controllabile rispetto a quello di ambienti ristretti; ma è anche il caso di alcune redazioni manoscritte (come per la pre- dica Salve Regina nel ms. di Mantova A.I.4) per cui c’è da chie- dersi quanto la diffusione fosse controllata dall’autore, la cui presenza, in tradizioni rielaborative, è oscurata dall’innovazione imposta dai destinatari. Spazi festivi, ad esempio, sembrano ve- rosimili per le prediche carnascialesche di Magdoli o per le pre- diche dei manoscritti di Mantova, ricco di testi destinati all’ese- cuzione musicale, e di Firenze (Magliabechiano VII 1030), che riporta, tra altri testi popolareschi, anche alcuni mariazi.14
Per le prediche d’Amore si può parlare, quindi, di un destina- tario trasversale, che tocca sia le sfere della divulgazione cultu- rale più alta (le corti), sia gli strati medi che si affacciano sulla scena letteraria.15 Scritte per un pubblico medio, le prediche
d’Amore rappresentano, in quanto fenomeni di media, un lega- me tra diversi nuclei sociali, oltre che un esempio di ‘popolari- tà’. ‘Popolarità’ da intendersi non come indicazione di una cate- goria sociale individuata e bassa (il ‘popolino’ in opposizione all’élite), ma come caratteristica misurata sull’ampiezza di pub- blico che un testo raggiunge.16 Gli stessi testi possono essere
fruiti da diversi pubblici, a diversi livelli di penetrazione: è quel-
14 Il contesto festivo e giocoso implica una sospensione dell’attesa lettera-
ria più sofisticata. È vero che «ogni genere appare rivolto a un certo tipo di pubblico» (Corti 1997, 154), ma è anche vero che uno stesso destinatario può incarnare un diverso ‘tipo’ di pubblico secondo le circostanze.
15 Nel clima di novità che porterà in pochi anni all’emergere di figure co-
me quella dell’Aretino, e come quelle delle poetesse cinquecentesche: con «l’improvvisa, larghissima apertura linguistica» degli anni centrali del XVI secolo, dopo il 1530, «si erano spalancate le porte di una società letteraria ri- stretta e gerarchicamente ben differenziata» (Dionisotti 1999, 239).
16
Eisenstein 1986, 82. Questa distinzione per la tradizione dei testi bellici rinascimentali anche in Beer-Ivaldi 1986, 91. Più in generale cfr. anche Wil- helm 1996, 29 e 54: «Die Volkstümlichkeit wurde oben in Hinsicht auf den intendierten Rezipientenkreis definiert: Ein volkstümlicher Text ist ein Text, der ein möglichst breites Publikum erreichen möchte, das gelehrte und weni- ger gelehrte Gruppen einschließt. Ein gelehrter Text dagegen richtet sich aus- schließich an eine Elite». Sui diversi usi di un testo cfr. Chartier 1995, 146.
lo che si verifica per la Predica di Rosiglia, testimoniata sia in un manoscritto di alto livello culturale, sia in stampe popolari.
Da questo punto di vista le prediche d’Amore dimostrano quella compenetrazione tra diverse forme di comunicazione – orale, manoscritta, a stampa – ormai riconosciuta come peculia- re della prima età moderna (penso in particolare agli studi di Ri- chardson e alla sua scuola).17 Un genere come quello delle pre-
diche partecipa di una cultura fortemente stratificata, per cui l’apparizione a stampa non è che un versante di un complesso sistema mediale e performativo. È un dato di cui tenere conto per meglio inquadrare l’interpretazione dei testi, la storia della tradizione, il ruolo di autori, esecutori, copisti e tipografi.
Le prediche d’Amore, diffuse in raccolte come il Compendio o in opuscoli popolari, proprio negli anni in cui la tipografia emerge come agente economico, sono un tramite tra diversi gradi di cultura. Letterati di confine, autori minori, messi ai margini dall’ufficialità letteraria, ma coesi tra loro, e organizza- tori editoriali, quando lo sviluppo del commercio librario pro- muove la diffusione della letteratura al di fuori dei suoi ambiti tradizionali, sono mediatori tra ambienti colti (come le corti) e meno colti (realtà non cortigiane, urbane): le stampe popolari, e con loro le Prediche, che svolgono un ruolo di mediazione tra culture, sono manifestazioni concrete dei rapporti tra questi di- versi ambienti.18
I legami che uniscono le diverse realtà culturali possono an- che essere legami deboli.19 Mentre i legami forti stabiliscono
17 Richardson 2004 e 2009; Degl’Innocenti, Richardson e Sbordoni 2016;
Dall’Aglio, Richardson e Rospocher 2017; rinvio al panorama bibliografico di Rospocher 2018.
18
Wilhelm 1996,40: le stampe popolari «nehmen eine Mittlerfunktion zwischen der Gelehrten- und der Volkskultur ein». Su un “mercato popolare” della stampa vedi ad es. Chartier 1995, 148.
19 Riprendo le nozioni di legame forte e debole, e di ponte, da Granovetter
1998. La forza di un legame è concepita come la combinazione «della quanti- tà di tempo, dell’intensità emotiva, del grado di intimità (confidenza recipro- ca) e dei servizi reciproci che caratterizzano il legame stesso» (p. 117).