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Massimiliano Gioni, curatore della 55.ma Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia

3. LA PAROLA AGLI ARTISTI: DALLE AVANGUARDIE A JEAN DUBUFFET

4.2 Massimiliano Gioni, curatore della 55.ma Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia

Massimiliano Gioni lavora attualmente a New York come curatore, ma ha compiuto gli studi in Italia. Le esposizioni che l'hanno portato all'attenzione del mondo dell'arte sono la biennale di Berlino (2006), organizzata con la collaborazione di due amici: Maurizio Cattelan e Ali Subotnick. Un'esposizione presso il New Museum a New York (2009) intitolata “Younger than Jesus”, una raccolta di giovani artisti rigorosamente sotto i 33 anni, e infine la Biennale di Gwangju (2010). Secondo il Wall Street Journal, Gioni è il “crowned prince of the art world”, un curatore oramai incoronato “piccolo principe”.

La direzione della Biennale ha affidato la 55° edizione della mostra di arte contemporanea e l'ha intitolata come il progetto di un artista outsider, Marino Auriti, “Il Palazzo Enciclopedico”99 (1955).

Il rapporto tra Massimiliano Gioni e l’Art Brut è molto più personale e meno “tradizionale” rispetto a quello di Bianca Tosatti. Nella mostra presentata alla Biennale di Venezia del 2013 emerge questa sua peculiare interpretazione. Come lui stesso dice durante un'intervista ad “Artribune”, alla domanda come sia venuto a conoscenza dell’opera di Marino Auriti

risponde:

“L’opera di Auriti, il Palazzo Enciclopedico, è conservata al Folk Art Museum di New York, uno dei miei musei preferiti. È un luogo che ha avuto un percorso un po’ travagliato: una volta si trovava accanto al MoMA, ma poi ha dovuto chiudere per mancanza di

98 È il nome della “Hause der Künstler” (Casa degli artisti) istituita dallo psichiatra austriaco nel 1981. Presto quest’esperienza di

atelier si sviluppa e tramite l’aiuto di curatori e artisti (Arnulf Reiner) iniziarono ad essere organizzati allestimenti espositivi per i pazienti più promettenti.

99Marino Auriti nel 1955 aveva progettato un museo nel quale sarebbero state ospitate le più importanti opere d'arte dell'umanità. La

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fondi e ora è vicino a Lincoln Center. Si tratta di uno dei luoghi più interessanti per la raccolta di opere d’arte di outsider e autodidatti. Già da tempo includo nelle mie mostre figure un po’ eccentriche e il Folk Art Museum è un posto che mi ha sempre affascinato.”100

Analizzando la struttura della mostra emerge quanto Gioni sia affascinato dalla produzione artistica qualificandola come cultura dell'immagine del nostro contemporaneo, e che intimamente e romanticamente pensa affine a quella degli artisti outsider. Questa prospettiva curatoriale ovviamente fa riferimento al lavoro di Harald Szeemann, curatore svizzero che ha curato due mostre proprio con questa linea, ovvero Bildnerei der Geistkranken, Art Brut, Insania Pingens (Kunsthalle di Berna, 1963) e documenta 5 a Kassel, dal titolo Befragung der Realität (1972)101.

Questo modo di vedere l’arte contemporanea lo porta a mescolare artisti un po’ eccentrici e anche propriamente detti outsider - e che tematicamente esulano dall’Art Brut - sia nelle mostre più famose che l’hanno visto curatore, che nella 55. Biennale di Venezia. È il caso di Pawel Althamer, scultore che a Varsavia gestisce un atelier di pazienti con disturbi mentali, James Lee Byars, che aveva partecipato anche a Documenta 5 di Kassel ( esposizione realizzata da Harold Szeemann in cui si indaga il mondo dell’immagine mostrando, in aperto dissidio con la definizione di Art Brut, anche il mondo della malattia mentale), James Charles Castle, un artista emarginato che creava quadri per soddisfare un bisogno puramente personale, Roberto Cuoghi, un artista “eccentrico” che vive secondo l’idea dell’ “opera d’arte totale”, Guo Fengyi e Dieter Roth, autodidatti, e infine Emma Kuntz, un’artista “medianica”102.

Una volta individuato il comune denominatore dell'immagine come criterio di selezione, ne risulta un allestimento che mescola artisti “normali” e non normali, perché l’espressività dell'Art Brut, per Gioni, non è frutto di un estetica ma “sintomo e cura dell’artista”103, che in quanto tale è in costante rapporto con la realtà che lo circonda. Egli infatti spiega in

catalogo che così si

“mettono in scena la sfida costante di conciliare il sé con l'universo, il soggetto con il collettivo, il particolare con il generale, l'individuo con la cultura del suo tempo. Oggi, alle prese con il diluvio dell'informazione, questi tentativi di strutturare la conoscenza in sistemi onnicomprensivi ci appaiono ancora più necessari e ancora più disperati. La 55.a Esposizione Internazionale d'Arte indaga queste fughe dell'immaginazione in una mostra che – come il Palazzo enciclopedico di Auriti – combina opere d'arte contemporanea, reperti storici, oggetti trovati e artefatti. Il palazzo enciclopedico è una mostra della conoscenza, sul desiderio di sapere e vedere tutto e sul punto in cui questo desiderio si trasforma in ossessione e paranoia”104.

Il risultato, come scrive per Arttribune Tiziano Scarpa nell’articolo intitolato Le vie enciclopediche di Gioni, è un esposizione in cui gli artisti, o tipi, sono:

100 V. Tanni, Viaggio al centro dell’immagine. Gioni racconta la sua Biennale, in “Artribune”

<http://www.artribune.com/2013/05/viaggio-al-centro-dellimmagine-gioni-racconta-la-sua-biennale/> (consultato in data 19.12.2013).

101 Entrambre le mostre saranno approfondite nel capitolo 3.1.

102 Con il termine medianico si intende un’artista che esegue disegni sotto l’influenza di una “forza superiore” che la ispira. È un

termine usato in particolare all’inizio del novecento.

103 V. Tanni, Viaggio al centro dell’immagine. Gioni racconta la sua Biennale, in “Artribune”

<http://www.artribune.com/2013/05/viaggio-al-centro-dellimmagine-gioni-racconta-la-sua-biennale/> (consultato in data 19.12.2013).

104 La Biennale di Venezia. 55a Esposizione internazionale d'arte. Il Palazzo Enciclopedico, catalogo a cura di Massimiliano Gioni,

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“Tipi di artisti involontari che si trovano nel Palazzo Enciclopedico

C’è lo psicologo che voleva tenere a bada le sue visioni sconvenienti riempiendo un codice di miniature.

C’è il malato di cancro che pensava di curarsi disegnando.

C’è il filosofo che disegnava con i gessi colorati su fogli neri durante le sue conferenze. C’è la setta religiosa convinta che i disegni siano un dono divino.

C’è la tradizione secolare di regalare disegni da meditazione. Ci sono i medium che comunicano con i morti disegnando. Ci sono artisti che dipingono una tela al giorno come un diario. Ci sono artisti che disegnano una pagina al giorno come un diario.

Ci sono minatori che un bel giorno ricevono dagli spiriti l’ordine di comprare una tela e riempirla di colori.

Ci sono guaritori che curano con le immagini.

C’è l’antropologo che dà in mano per la prima volta carta e matita a un popolo cosiddetto primitivo.

Ci sono orfani che riproducono alla perfezione bambole iperrealistiche di ragazzine ammiccanti, le tengono nascoste sotto il letto, le tirano fuori per disporle a loro piacimento e fotografarle.

Ci sono fotografi notturni di guardoni nei parchi.

Ci sono odontotecniche depresse che ogni mattina si alzano alle quattro e disegnano per tre ore prima di andare al lavoro.

C’è il ragazzo autistico che dà forma ad animali mostruosi e totem butterati di borchie. C’è il collezionista caotico di ritagli sfacciati scandalosi bizzarri che li incolla e rilega in volumi spropositati.

Ci sono le mille forme che ha assunto l’iconopatia umana.”105

Se si pensa, come fa il giovane curatore, al disegno come mezzo per alleviare un bisogno psicologico inconscio legato a un problema, un disagio, che tormenta l’artista, si fa diretto riferimento a una caratteristica tipica dell’Art Brut e dell’art therapy. Alcune opere di artisti regolari, presenti nella mostra “Il palazzo enciclopedico” mostrano queste caratteristiche dimostrando che il disagio in arte appartiene anche ad artisti al di fuori della cerchia degli irregolari. Il video di Camille Hernot, vincitrice del Leone d’argento, esprime il disagio che si crea nella nostra epoca nel momento in cui siamo esposti a tantissime immagini e informazioni, con un ritmo, come mima bene la poesia in sottofondo, sempre più veloce e incalzante. Il libro rosso di Jung si ricollega a questa artista proprio perché le immagini che contiene sono frutto del disagio inconscio dello stesso psichiatra.

In conclusione per Gioni l’artista contemporaneo, senza distinzione, e l’arte che produce sono il riflesso del mondo visto attraverso l'anima di chi lo guarda. Il curatore non rimane attaccato alla “discriminazione” della “purezza” dell’arte brut, poiché non esiste più differenziazione tra regolare e irregolare. È un dato di fatto che la naivité, culturale degli artisti

105 V. Tanni, Viaggio al centro dell’immagine. Gioni racconta la sua Biennale, in “Artribune”

<http://www.artribune.com/2013/05/viaggio-al-centro-dellimmagine-gioni-racconta-la-sua-biennale/> (consultato in data 19.12.2013).

47 irregolari a partire dalla seconda generazione non è più una caratteristica discriminante dominante, sottolinea infatti che “non si può relegare l'arte contemporanea a un territorio conchiuso. Isolare l'arte significa consegnarla alla dimensione dell'intrattenimento, lasciarla preda del mercato, ridurla alla tautologia del capolavoro. Per tornare a essere uno strumento ermeneutico essenziale all'analisi e interpretazione della nostra cultura visiva, l'arte deve scendere dal piedistallo e avvicinarsi ad altre avventure esistenziali”106.

Come dice lo stesso curatore in un’altra intervista, non esistono più persone veramente isolate e all'oscuro degli avvenimenti che le circondano, questo è un aspetto limitante da rifiutare quando possibile: “È vero che stiamo assistendo all’emergere di un certo feticismo dell’outsider, accompagnato da questo mito del ‘puro’. È una scelta che in un certo senso pulisce anche la coscienza al curatore, mettendolo al riparo da sospetti di mercantilismo. Questo però, secondo me, è l’aspetto più kitsch e più pericoloso, e cerco di evitarlo”107.