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le microfibre sono fibre tessili molto corte (lunghe meno di 5 milli-

1.4.3 MATERIALI E SOSTANZE CHIMICHE UTILIZZATE

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in tutte le fasi del processo di produzione spesso rimango- no, sia intenzionalmente che non intenzionalmente, nei tessuti. Ciò solleva preoccupazioni a causa degli effetti ne- gativi che possono avere sulle persone e sull’ambiente. Gli impatti segnalati vanno dalle reazioni allergiche, alle ma- lattie respiratorie, all’aumento dei casi di cancro nell’uomo e alla perdita della vita marina.

Alcuni dei prodotti chimici utilizzati persistono anche nell’ambiente e si accumulano nel tempo. Di seguito vie- ne presentato un elenco delle principali sostanze chimiche utilizzate per la produzione dei capi e i loro effetti:

1. I pesticidi sono usati per difendere le colture dai danni di insetti, muffe o erbe infestanti e i residui possono esse- re ritrovati nel cotone. Mentre un certo numero di pesticidi pericolosi (ad esempio mirex, endosulfan e diclorodifenil- tricloroetano) è stato vietato a livello globale dalla Conven- zione di Stoccolma, molti sono ancora usati nelle colture di cotone di alcuni paesi (Pesticide Action Network UK, 2017); 2. I solventi vengono utilizzati in grandi quantità nelle varie fasi della produzione tessile per sciogliere sostanze come i pigmenti coloranti. Molti, se inalati o se a contatto con la pelle, possono essere pericolosi. Sono utilizzati nella pro- duzione di fibre a base di cellulosa (per la sua estrazione e il suo trattamento). Il processo per la produzione della visco- sa, in particolare, utilizza spesso disolfuro di carbonio che è stato ricollegato a diversi disturbi di salute;

3. I tensioattivi sono utilizzati in molte fasi del processo di produzione. I tensioattivi comunemente usati includono alchilfenolo etossilati, e sono problematici perché possono essere metabolizzati, causando interferenze con il sistema endocrino, il che significa che potrebbero interferire con i sistemi ormonali di mammiferi e pesci;

4. I coloranti e pigment sono usati per colorare i vestiti. Alcuni metodi di tintura applicano coloranti in quantità eccessive, e grandi quantità di esse vengono scaricate nel- le acque reflue. Alcuni coloranti, inclusi gli azocoloranti contenenti ammina, sono persistenti: una caratteristi- ca desiderata per i tessuti ma non nell’ambiente. A volte contengono anche metalli pesanti come piombo o cadmio e in determinate condizioni si scompongono in composti cancerogeni;

5. i plastificanti come il polivinilcloruro (PVC), sono usati per ammorbidire la plastica. Nei tessuti, il PVC viene uti- lizzato per le operazioni di serigrafia e per i tessuti di rive- stimento. Un gruppo comune di plastificanti sono gli ftala- ti, che vengono utilizzati in grandi quantità nella stampa. Diversi ftalati sono pericolosi, in particolare per i sistemi ormonali e per la capacità riproduttiva. Dato che gli fta- lati non sono legati chimicamente al PVC utilizzato per la stampa di immagini, talvota se usurati o durante i lavag- gi possono disperdersi. Per questo motivo, la legislazione dell’UE, ad esempio, vieta l’uso di alcuni ftalati.

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6. i ritardanti di fiamma sono usati per rendere un prodotto meno infiammabile. A seconda delle normative nazionali, in alcuni prodotti come ad esempio in indumenti protetti- vi, tende e tessuti usati nei mobili, possono essere utiliz- zati dei ritardanti di fiamma. Alcuni ritardanti di fiamma attualmente utilizzati, possiedono proprietà pericolose: il perfluoroesano solfonato (PFHXS), ad esempio, è stato se- gnalato per essere incluso nell’elenco di registrazione, va- lutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chi- miche (REACH) dell’UE, a causa della sua forte persistenza e del suo potenziale di bioaccumulo nella corpo umano. 7. i biocidi sono usati per impedire agli organismi viventi di prosperare sugli abiti durante l’immagazzinamento o il tra- sporto e per conferire proprietà anti-odore a prodotti come l’abbigliamento sportivo. Questi sono progettati per essere pericolosi per questi organismi bersaglio, ma danneggiano anche noi esseri umani. Vengono sollevate preoccupazio- ni circa la possibilità che i batteri possano sviluppare resi- stenza alle sostanze antibatteriche rilasciate e che ciò possa innescare lo sviluppo di resistenza agli antibiotici.

Figura 1.4

Due operai si occupano della colorazione di tessuti.

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L’impatto ambientale negativo dell’industria della moda non si ferma alla fase di produzione, anzi, gran parte dell’impatto è riconducibile al momento successivo all’uti- lizzo dei capi. Infatti, quella maglietta comprata la stagione passata e che quest’anno non passerebbe mai per la testa di indossare e che finirà probabilmente cestino, è in buo- na compagnia: si stima che circa il 73% dei vestiti prodot- ti finisca in discarica e che meno dell’1% venga riciclato. Praticamente ogni secondo che passa viene buttato via l’e- quivalente di un camion carico di vestiti che finiscono in discarica o che vengono bruciati (Ellen MacArthur Foun- dation, 2017).

L’abbigliamento è ampiamente sottoutilizzato. In tutto il mondo il numero medio di volte che un indumento viene indossato prima di essere gettato è diminuito del 36% rispetto a 15 anni fa (Ibidem). Negli Stati Uniti, ad esempio, i vestiti vengono indossati solo per circa un quarto della media globale e si stima che un americano medio getti 37 kg di rifiuti tessili all’anno per totale di 11 milione di tonnel- late (The True Cost, 2015). Lo stesso modello sta emergen- do in Cina, dove l’utilizzo dell’abbigliamento è diminuito del 70% negli ultimi 15 anni (Ellen MacArthur Foundation, 2017). A livello globale, i consumatori perdono 460 miliardi di dollari di valore ogni anno gettando via i vestiti che po- trebbero continuare a indossare, e si stima che alcuni capi vengano scartati dopo appena sette o dieci usi (Ibidem).

Ma che fine fanno questi vestiti che non indossia- mo più, che sono passati di moda o che si sono leggermente

1.4.4 DESTINO DEI CAPI DOPO L’USO

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