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Maternità e paternità nell’ente regionale

Una sezione del questionario è stata dedicata a rilevare le conseguenze che diventare madre e padre comportano sulla vita professionale. In particolare le domande hanno sondato l’utilizzo dell’astensione per maternità ed i congedi parentali, le percezioni delle modalità e del clima che accompagnano il rientro al lavoro delle donne e degli uomini che si assentano per la cura dei figli, e gli effetti sulla carriera professionale.

Una specifica attenzione è stata rivolta ai lavoratori padri che hanno utilizzato il congedo parentale, un fenomeno numericamente ancora molto limitato, ma che segnala nuovi comportamenti nel modo con cui i padri si relazionano alla cura dei figli/figlie e di conseguenza anche al lavoro.

Tra le misure sociali previste per favorire le responsabilità di cura dei genitori che lavorano vi sono le normative sui congedi genitoriali.

In tutta Europa si registra un notevole aumento delle madri e dei padri che usufruiscono dei congedi parentali anche se, nonostante le direttive europee, vi sono ancora molte restrizioni giuridiche e culturali verso chi chiede tali congedi: spesso gli uomini non ne usufruiscono per paura di vedere compromesse le possibilità di carriera e le donne, soprattutto quelle con rapporti di lavoro atipici, ne denunciano spesso i rischi di discriminazione (oltre alle tipologie contrattuali che ne negano il diritto).

Tra le donne che ne hanno diritto il tasso di utilizzo dei congedi è molto elevato.

L’indagine Istat conferma che l’astensione facoltativa dal lavoro e i congedi parentali sono utilizzati dalle madri: il 75% delle madri occupate, con una maggiore percentuale al Nord (oltre 80%) che al Sud (62.7%).

In Italia sono le diplomate ad usufruire più frequentemente dell’astensione facoltativa (76%) seguite dalle laureate (74%) e dalle donne con basso livello di scolarità (70%).

Molte donne hanno anticipato il rientro al lavoro: per esigenze economiche è la ragione principale delle donne con bassa scolarità mentre per le laureate vele soprattutto la ragione del lavoro che richiedeva la loro presenza.

Cosa succede nel contesto dell’ente regione?

Prima analizzeremo i dati relativi alle scelte e ai comportamenti delle madri e successivamente prenderemo in esame le risposte dei padri.

Il rientro al lavoro dalla maternità è segnalato in tutti i paesi europei come una fase molto delicata sia della carriera lavorativa che della vita personale e familiare perché implica una riorganizzazione delle strategie della vita quotidiana, che coinvolgono tanto la rete familiare quanto il contesto lavorativo: l’esito di queste complesse ridefinizioni di priorità, presenze e responsabilità vengono a dipendere da molte variabili, tra cui gioca un ruolo rilevante anche il comportamento aziendale in termini di cultura “family-friendly oriented”.

Quali sono stati i principali problemi incontrati dalle lavoratrici della regione al rientro dalla maternità?

Tab.15

Problemi al rientro dalla maternità (si)

11,80%

6,8%

19%

6,4%

6,7% 13,8% 10,7%

51,9%

nessun problema, salvo la normale nostalgia non ho + trovato il mio posto di lavoro ho avuto difficoltà a reinserirmi L’ente mi ha aiutato l’ente non mi ha aiutato ho trovato solidarietà tra i colleghi-ghe non ho trovato solidarietà fra i colleghi-ghe altro

La metà delle lavoratrici mamme ammette di aver provato solo una grande nostalgia per non poter più trascorrere molto tempo con il proprio bambino-bambina, mentre, come vedremo fra poco, i problemi connessi all’organizzazione del lavoro risultano, dalle loro opinioni, più contenuti.

Il ritorno al lavoro ha rappresentato un problema per una percentuale che varia dal 10 al 14%: una quota di donne dichiara di non aver potuto fare ritorno nel posto di lavoro precedente all’astensione per maternità. Altre lavoratrici (circa un centinaio) ammettono di aver incontrato delle difficoltà nel reinserirsi nel contesto lavorativo. Riguarda soprattutto le dipendenti più giovani, in termini di età anagrafica e di anzianità di servizio che, nonostante possiedano un buon livello di scolarità e siano collocate lungo tutta la scala delle categorie contrattuali (dalla A alla D), lamentano un comportamento organizzativo poco “friendly”.

Dati, questi, che testimoniano la presenza di un disagio lavorativo comune per le lavoratrici regionali che ritornano al lavoro dopo la maternità e che deve rappresentare un aspetto critico da considerare con i correttivi di una politica adeguata di conciliazione familiare.

Ciò che è sottointesa da queste risposte è la presenza di un conflitto che si viene a creare nei luoghi lavorativi nel momento del rientro al lavoro dopo la maternità, quello che diverse donne avvertono quando la loro nuova costellazione di responsabilità è ostacolata da una mancanza di fiducia e di riconoscimento delle loro competenze professionali, che ha come esito quello di mettere un ruolo in competizione con l’altro. L’esempio più tipico, analizzato in molta letteratura organizzativa, è quando la lavoratrice non trova più il proprio posto di lavoro o non viene accolta con un piano di reinserimento nel gruppo di lavoro. L’assenza di rinforzi positivi o peggio la distrazione da parte di colleghi e responsabili accentuano le preoccupazioni che gli impegni del lavoro invadano quelli familiari e nello stesso tempo che le esigenze di casa finiscano per invadere il campo del lavoro, creando stress e vissuti di incapacità a fronteggiare la situazione (Ghisleri, Colombo, 2007). Non sempre poi il contesto familiare riesce ad incoraggiare questi passaggi dal momento che ci sono ancora tanti partner in Italia che si fanno coinvolgere con riluttanza nella responsabilità di cura dei figli, soprattutto quando sono molto piccoli e soprattutto nelle gestione dei compiti domestici. A cui spesso si aggiunge come aggravante dei sensi di colpa “materni” una mentalità diffusa che continua a pensare che la mamma sia l’unica fonte di benessere dei bambini piccoli, spesso più con le esortazioni di una enfasi retorica che colpevolizza, che con una concreta azione di sostegno e fiducia alle sue responsabilità educative, attraverso un’offerta di servizi accessibili e funzionali.

Il ruolo giocato dai colleghi e dalle colleghe è descritto dalle lavoratrici madri di segno più positivo che negativo: circa il 30% riconosce di aver trovato forme o manifestazioni di solidarietà e comprensione, mentre un 10% denuncia la scarsa disponibilità espressa dai colleghi.

Il congedo parentale, soprattutto con l’applicazione della legge n. 53/2000, è un congedo facoltativo, utilizzabile fino all’ottavo anno di vita del figlio/figlia e dodicesimo anno in caso di adozione, in maniera continuativa o frazionata, come un diritto individuale per entrambi i genitori che garantisce loro la possibilità di trascorrere più tempo con i propri figli.

La maggioranza delle madri occupate lo utilizza quando il figlio ha meno di tre anni: ciò deriva dal fatto che il bisogno di assistenza è maggiore per i bambini piccoli e dal fatto che dopo il terzo anno la fruizione del congedo comporta una significativa riduzione del reddito familiare.

Mentre generalmente le donne optano per la fruizione in un’unica soluzione in modo continuativo (53,4%), gli uomini invece scelgono un uso frazionato del tempo. (55.8%, Istat, 2008).

Come si sono comportate le lavoratrici madri nell’ente regione?

Tab. 16

Fruizioni dei congedi parentali fra le lavoratrici madri

17,20%

17,20%

65,70%

frazionato (a mesi) frazionato (a giorni) interi (sei mesi continuativi)

A conferma dei dati nazionali possiamo osservare come anche le dipendenti regionali hanno privilegiato la fruizione del congedo in un’unica soluzione: vale per circa il 66% del campione.

Chi lo ha utilizzato in forma frazionata, il 34% delle madri, ha privilegiato sia la formula giornaliera (il 17%), con un uso distribuito in diversi giorni, sia la formula mensile (17%), spezzettando il congedo nel tempo e subordinandolo ad effettive necessità.

Tra i padri l’utilizzo del congedo, come abbiamo anticipato, è generalmente ancora limitato.

In media nella maggioranza dei paesi europei la quota non supera il 10%. Soltanto nei paesi nordici la percentuale dei padri che utilizzano il congedo parentale è significativa e supera il 40%. Sono anche i paesi, in particolare la Svezia, che hanno introdotto questa misura già negli anni ’70, convinti che i genitori, quindi sia la madre che il padre, rappresentino il servizio di cura più efficace per i bambini almeno durante il primo anno di vita.

Nonostante i principi paritari che hanno ispirato la legislazione, in particolare quelli contenuti nella Legge n. 53 del 2000, in Italia solo l’8% dei padri ha usufruito di un periodo di congedo parentale entro i primi due anni di vita del bambino e un altro 4%

intende usufruirne nel futuro.

E in Regione Valle d’Aosta?

Tab. 17

Fruizione dei congedi parentali fra i lavoratori padri

39,90%

60,10%

si no

Una percentuale molto significativa di dipendenti regionali ha usufruito del congedo parentale: circa il 40% dei lavoratori padri che hanno risposto al questionario (complessivamente quasi 500).

Sono prevalentemente i dipendenti che hanno un’età compresa fra i 30 e i 50 anni, inquadrati nei livelli intermedi (soprattutto B,C e D), con livelli di scolarità medio alta, che lavorano in regione da più di 10 anni.

I lavoratori padri hanno utilizzato il congedo soprattutto per un periodo massimo di 30 giorni: più della metà dunque (51.5%) ne ha usufruito per una frazione temporale che viene retribuita al 100%.

È di interesse sottolineare però che esiste una quota non marginale di lavoratori che hanno utilizzato il congedo per periodi più lunghi: oltre il 20% per più di un mese, quasi un 9%

per più di due mesi ed il 18% per oltre tre mesi, configurando una presenza paterna effettiva nella cura quotidiana dei figli piccoli.

Tab. 18

Fruizione temporale dei congedi parentali da parte dei padri

51%

22%

9%

18%

per 30 giorni fra 30 e 60 giorni fra 60 e 90 giorni oltre 90 giorni

L’esperienza del congedo e con essa la possibilità di trascorrere più tempo accanto ai figli è valutata come molto positiva dai dipendenti papà: oltre il 50% la giudica una bella opportunità che, se posto nelle condizioni, vorrebbe rifare. Aggiunge valore a questi orientamenti anche la seconda risposta che veicola un alto valore simbolico alla cultura della paternità responsabile e del coinvolgimento dei padri nelle attività di cura della famiglia: più del 30% sostiene che aver trascorso del tempo vicino ai propri figli non solo è stata un’esperienza molto positiva, ma è un’opportunità che consiglierebbe ai colleghi.

Testimonial dunque di un modello di paternità che si lascia coinvolgere dai compiti di cura perché consapevole che i figli richiedono tempo, compreso quello dei papà, come confermano anche le indagini nazionali che registrano un aumento del tempo che i padri, soprattutto i più giovani, dedicano ai propri figli, spesso sacrificando, come fanno le loro partner, sia il tempo fisiologico che il tempo per sé. Una presenza paterna nella cura e nella relazione con i figli che per molti uomini sta diventando un compito non delegabile, fonte di soddisfazione e motivo di orgoglio, al punto da suggerirlo e consegnarlo come testimone di un “nuovo padre”.

Dati di esperienza di paternità, questi emersi dai questionari, che possono rappresentare un positivo elemento di novità che sarebbe interessante cogliere come prospettiva di maggior equilibrio delle responsabilità familiari tra donne e uomini a cui tendere all’interno dell’ente regione con proposte e adeguate azioni di sostegno.

La letteratura, sia qualitativa che quantitativa, conferma questo maggior coinvolgimento paterno, seppur limitato alle situazioni di coppia “dual breadwinner” e tra coloro che non essendo “career oriented “ investono meno nella vita professionale, dedicando ad essa meno tempo nell’arco della giornata (Rosina, Sabbadini, 2006).

Anche per il padre dunque l’impegno lavorativo intenso ostacola la conciliazione fra lavoro e cura dei figli. Lo sostengono pure i padri del nostro campione: l’11.2% ammette che è un’esperienza molto faticosa perché non è facile essere un buon padre e allo stesso tempo un buon lavoratore e, a ulteriore conferma, ci sono le risposte di coloro (3.6%) che affermano di aver incontrato molti problemi sul lavoro.

Ci paiono esempi di una lenta transizione verso modelli più paritari nella divisione delle responsabilità di cura che, siamo convinte, vada incoraggiata come una esperienza normale nella vita di ciascuno e non come un limite o un segno di inaffidabilità di qualcuno. I luoghi lavorativi paiono sintonizzarsi con fatica verso queste nuove configurazioni delle esperienze adulte. Le imprese italiane paiono mediamente distratte sull’argomento: in una recente indagine fra aziende della Regione Valle d’Aosta, è emerso che sono molto poche quelle che conoscono la tematica e di riflesso la maggioranza delle aziende sembrano gestire l’organizzazione del lavoro a prescindere dalle responsabilità familiari dei lavoratori e delle lavoratrici.

Come dire che le esigenze di conciliazione stanno nella cornice delle risposte formali (quelle previste e regolate dalle leggi e dai contratti) e nelle “concessioni” a livello individuale e informale, ma sono eluse dai modelli organizzativi di impresa ed ignorate come domande di flessibilità reciprocamente vantaggiose.

Non a caso quasi il 45% del campione sostiene che la maternità e la paternità influiscano, e non certo in modo positivo, sulle progressioni di carriera.

Tab. 19

Maternità e paternità influiscono sulla carriera

44,70%

55,30%

si no

Tra le donne la convinzione che la maternità rappresenti un elemento di freno e di ostacolo alla prospettive di avanzamento professionale sale al 50.9% del campione: ne sono maggiormente convinte le lavoratrici con un buon livello di istruzione e coloro che sono inquadrate nei livelli B e C.

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