• Non ci sono risultati.

WORK & FAMILY: conciliazione fra vita professionale e vita personale

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "WORK & FAMILY: conciliazione fra vita professionale e vita personale"

Copied!
63
0
0

Testo completo

(1)

Pari e Dispari

WORK & FAMILY:

conciliazione fra vita professionale e vita personale

Una ricerca rivolta al personale dipendente della Regione Valle d’Aosta

REPORT FINALE

30 Giugno 2009

Pari e Dispari s.r.l. - Via Pacini, 22 - 20131 Milano - tel. ++39/02/70.60.31.12 r.a. - telefax ++39/02/26.63.745 C.F. e P. IVA 09256530156 - Cap. Soc. 60.000.000 int.vers. - C.C.I.A.A. 1279735 - Trib. Milano 282710/7235

(2)

Equipe di ricerca:

Clara Bassanini, Elisabetta Donati, Pina Madami

Report di ricerca a cura di:

Elisabetta Donati

Elaborazione dati:

Christian Gretter, Lucia Micheli, Beatrice Universo

Elaborazione grafici e tabelle:

Elena Castrì

(3)

Premessa

La conciliazione è una strategia dell’Europa…

Da anni il Consiglio Europeo monitora, attraverso rapporti annuali, l’affermazione del processo di eguaglianza fra donne e uomini nei Paesi dell’unione1.

I rapporti di ricerca evidenziano un costante progresso che riguarda in particolare il lavoro, l’educazione, i ruoli familiari: un progresso che ha profonde ricadute sulle condizioni di vita quotidiane delle donne e degli uomini, e che è frutto di esplicite politiche perseguite in questi anni dalla Commissione europea, dai paesi membri e dalla società civile in generale.

E’ cresciuta la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro, restringendo la distanza fra il tasso di occupazione maschile e quelle femminile a 14 punti percentuali (rispettivamente 71% e 57%), anche se stupisce che il gap occupazionale si evidenzi già nella componente giovanile (6 punti percentuali fra i 15-24 anni) per poi aumentare nelle età più adulte (17 punti di differenza fra gli over 55).

Se i dati quantitativi evidenziano segnali di crescita e progresso in tutti gli stati, i dati qualitativi segnalano che sono necessarie azioni più coraggiose per assicurare l’eguaglianza effettiva fra i generi. In particolare gli indicatori relativi alle retribuzioni, alla segregazione occupazionale e alla presenza delle donne nei luoghi decisionali non mostrano particolari miglioramenti negli ultimi anni. La conciliazione fra vita professionale e vita privata e familiare è uno degli aspetti che meglio rivelano che le strategie di aumento delle opportunità di lavoro se disgiunte dall’obiettivo della qualità dell’occupazione possono riprodurre, quando non aumentare, le diseguaglianze di genere ed entro lo stesso genere.

In questa prospettiva l’Unione Europea ha identificato alcuni campi di intervento per le politiche che devono garantire gli aspetti “qualitativi” dell’eguaglianza.

La possibilità di conciliare la vita professionale con quella privata e familiare può essere assicurata sia da nuovi modelli di organizzazione del lavoro che dalla disponibilità di servizi di qualità per la cura di minori e di anziani.

1 Report on Equality between Women and Men- 2008, European Commission, Directorate general for

(4)

…necessaria anche per l’Italia

Entro questo quadro di orientamenti comunitari il nostro paese si trova nella posizione di dover guadagnare terreno rispetto agli obiettivi stabiliti dalla strategia di Lisbona. Si impone un “cambio di passo” 2 per passare da politiche destinate ad un genere considerato più debole e svantaggiato ad azioni considerate essenziali per la crescita economica.

L’Italia presenta un tasso di occupazione femminile di circa 10 punti percentuali inferiore alla media dell’unione europea (47% a fronte del 57%) e di circa 20 punti inferiore rispetto a quello maschile (il tasso di occupazione degli uomini italiani è del 67%).

E’ anche il paese con un tasso di fecondità molto basso (1,3%) e dove il lavoro di cura, non solo quello relativo alla maternità, non è riconosciuto e non è sostenuto da politiche efficaci. E’ quasi interamente sulle spalle delle donne, come se fosse un loro affare privato.

La diagnosi Ocse si adatta molto bene alle caratteristiche italiane: infatti, si sostiene che i paesi con i tassi di occupazione femminile più bassi e con un tasso di natalità inferiore sono quelli che hanno una copertura di servizi più bassa, che presentano una minore disponibilità dei padri a prendere i congedi parentali, dove le donne hanno un maggior carico di lavoro domestico , dove è più bassa la condivisione del lavoro di cura tra donne e uomini. Donne a casa e culle vuote: sono problemi assolutamente correlati

Una fotografia, questa, che rivela meglio di altri numeri come tutti questi fenomeni siano assolutamente correlati fra loro ed escludano una definizione statica e separata dei problemi. Dunque, avverte l’Europa, è necessario che in Italia, più che altrove, si programmi un cambiamento nelle politiche per le pari opportunità di ampio respiro, che sostituisca al pregiudizio che vede ancora “incerta” la presenza delle donne nel mercato del lavoro, un altro pregiudizio che ne definisca “arbitraria” l’assenza. Dal momento che l’occupazione femminile, non solo non sottrae lavoro agli uomini (uno degli stereotipi più tenaci nel nostro paese), ma aumenta il reddito delle famiglie e crea altro lavoro.

Per queste ragioni, le politiche per la conciliazione sono un ambito in cui soggetti pubblici e privati dovrebbero investire per mettere a fuoco strategie, ambiti, interdipendenze degli obiettivi di crescita e sviluppo con gli ideali di uguaglianza e di inclusione.

2 Presidenza del Consiglio dei ministri: Donne, Innovazione, Crescita, Iniziative per l’occupazione e la qualità del lavoro femminile nel quadro degli obiettivi europei di Lisbona, Nota aggiuntiva al rapporto sullo stato di attuazione del programma Nazionale di riforma, 2006-2008

(5)

Quasi mai per le donne il lavoro è un impegno esclusivo. Non a caso una delle più importanti studiose italiane come Chiara Saraceno3 sostiene che per comprendere il rapporto delle donne con il lavoro bisogna concettualizzarlo come parte di un sistema di appartenenze complesse, o dei molti ruoli, plurime presenze, fra lavoro remunerato e non, lavoro svolto dentro e fuori la famiglia, dato che le donne non sono mai solo lavoratrici.

Sebbene nel ‘900 cambia per tutti, uomini e donne, il rapporto con il lavoro, sia nelle condizioni che nei tempi, tuttavia vi sono due elementi immutabili:

1- la divisione del lavoro familiare, che rimane pressoché esclusiva priorità delle donne e delle mogli, in particolare;

2- sono le donne, che, avendo mutato nel tempo la composizione delle loro attività lavorative per il mercato e familiari, devono tenere conto delle interferenze fra le diverse responsabilità.

Anche molti uomini sono contemporaneamente lavoratori e padri, ma affrontano le interferenze tra le diverse responsabilità con esiti diversi: essere l’unico percettore di reddito può indurre un uomo a dedicare tutto il proprio tempo al lavoro professionale, mentre condividere con una moglie la responsabilità di procacciare il reddito non spinge l’uomo a condividere il lavoro familiare. Con la conseguenza che la partecipazione al lavoro delle donne fa aumentare il tempo libero del marito, ma non la presenza di questi sulla scena familiare; mentre fa ridurre il tempo libero e la disponibilità di tempo per il lavoro familiare della moglie. Come scrive l’Istat4: “la presenza di una donna avvantaggia la vita di un uomo, mentre l’assenza del partner facilita la vita di una donna!!!”

Per le donne il matrimonio rappresenta un costo ed un rischio, se visto in relazione alla partecipazione al mercato del lavoro e alla quota di lavoro domestico che si deve aggiungere. O se un uomo accetta di condividere di più, come accade ai giovani padri più istruiti, la cura dei figli piccoli, sono colpiti dallo stesso virus che colpisce le lavoratrici quando diventano madri: ovvero la malattia dell’inaffidabilità. Fino a ieri una brava lavoratrice, ora che sei madre, una sospetta approfittatrice! Modelli culturali che sono ancora molto presenti nei contesti organizzativi e che non contribuiscono a creare un ambiente “work-family friendly” né per le giovani madri né per i giovani padri.

3 C. Saraceno: Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, Il Mulino, Bologna, 2003

4 L.L. Sabbadini, R. Palomba (a cura di): Tempi diversi. L’uso del tempo di uomini e donne nell’Italia di

(6)

Molte indagini negli ultimi anni mettono in evidenza che sono ancora poche le imprese che conoscono la tematica della conciliazione e di riflesso la maggioranza delle aziende italiane gestisce l’organizzazione del lavoro a prescindere dalle responsabilità familiari dei lavoratori e delle lavoratrici. Come dire che le esigenze di conciliazione stanno nella cornice delle risposte formali (quelle previste e regolate dalle leggi e dai contratti) e nelle

“concessioni” a livello individuale e informale, ma sono eluse dai modelli organizzativi di impresa, ed ignorate come domande di flessibilità reciprocamente vantaggiose.

Si conferma che il modello italiano di gestione delle risorse umane continua a basarsi su una forte “specializzazione” per funzioni e fasi della vita con forti tratti di esclusività5

:

o

si fa una cosa o se ne fa un’altra, modello che consegna ad un genere (soprattutto alle donne) e a certe fasi della vita (di costituzione della famiglia e di invecchiamento dei genitori) un pesante sovraccarico di responsabilità.

La necessità di un’attenta considerazione del problema della conciliazione dei tempi nell’arco della vita lavorativa è emersa come indicazione dai responsabili delle risorse umane intervistati nel corso di una ricerca piemontese6 come una delle politiche più favorevoli anche nella gestione dell’invecchiamento della manodopera.

Le traiettorie delle lavoratrici, ma nell’età adulta anche dei lavoratori, rivelano, infatti, che, se le esigenze di conciliazione sono adeguatamente supportate da investimenti aziendali, questi ritornano con rendimenti apprezzabili sul piano della produttività e come vantaggiose pratiche di fidelizzazione.

Quando sono attivi servizi di informazione o di consulenza in ambito sociale o legale,

“sportelli amico”, servizi family-friendly per la conciliazione fra esigenze professionali e familiari, forme flessibili degli orari di lavoro, si producono effetti rilevanti che vanno dalla diversificazione delle strategie lavorative dei singoli, al rafforzamento del senso di responsabilità verso le imprese, al potenziamento della spinta motivazionale verso il lavoro; si amplia la gamma delle soluzioni disponibili, si migliora il clima lavorativo, si riducono le assenze, si incoraggiano risposte innovative anche da parte dei singoli.

Cercando e offrendo risposte più individualizzate alle esigenze del personale, sperimentando formule orarie più personalizzate, si assicura continuità e soddisfazione nel lavoro, che valgono per i lavoratori maturi non meno che per gli altri.

5 L. Abburrà, M. Durando, Il mercato del lavoro fra modelli di partecipazione e sistemi di qualificazione.

Scenari per il Piemonte 2015, Terzo rapporto triennale, IreScenari, 2007/3.

6 L. Abburrà, E. Donati, Nuovi cinquantenni, secondi cinquantanni, F. Angeli, 2008

(7)

Il tema della conciliazione non riguarda solo la possibilità di mettere meglio in equilibrio responsabilità familiari e lavorative, ma anche la necessità di trovare tempo da dedicare ad altre dimensioni, altrettanto essenziali per la qualità di vita, dentro e fuori i luoghi di lavoro. Investire in formazione, aggiornare le competenze, migliorare il proprio bagaglio di conoscenze sono dimensioni vitali, sia per le esistenze sempre meno standardizzate e più rischiose degli individui sia per le pratiche di modernizzazione delle imprese nella gestione delle risorse umane.

Fenomeni come la nuova presenza delle donne nel mercato del lavoro, sempre più istruite capaci e competenti, o l’invecchiamento della popolazione, che affida agli adulti (data la minore numerosità dei giovani) il ruolo di componente strategica della popolazione (sia a beneficio dello sviluppo economico, che a beneficio della cura dei giovani e dell’assistenza degli anziani), presentano domande di riequilibrio e di conciliazione come esigenze di autorealizzazione professionale e come requisito per la flessibilità innovativa delle imprese.

Aspetti che aprono un campo di azione fino ad oggi precluso (Paci, 2007).

Imprese, istituzioni, organizzazioni sindacali, volontariato, gli stessi lavoratori e lavoratrici possono accordarsi per promuovere il miglioramento delle qualità della vita nelle comunità locali, favorendo pratiche di corresponsabilizzazione nella ricerca di modelli di impresa più “concilianti”, sostenendo l’investimento nello sviluppo degli individui e della coesione sociale.

Molte di queste azioni possono avvalersi di supporti finanziari (legge 53/2000, POR, Fondi strutturali,ecc.) e disporre di un ricco repertorio nazionale ed europeo di buone pratiche.

Strumenti con i quali rafforzare una cultura d’impresa per l’eguaglianza di opportunità:

quel valore aziendale che meglio di altri riconosce e valorizza le potenzialità delle risorse umane, facendo delle diversità il vantaggio aziendale nel suo complesso.

(8)

Il contesto regionale

In una indagine conoscitiva7 promossa dal Comitato Pari Opportunità della Regione autonoma Valle d’Aosta sul personale in servizio al dicembre 2006 sono emersi alcuni dati che sollecitano specifici approfondimenti e questioni in relazione ai contenuti delle politiche di conciliazione.

1- la maggioranza dei dipendenti sono donne: 55.5%; la preponderanza femminile veicola i temi della conciliazione non perché la questione riguardi solo le donne, ma perché il mutamento nei comportamenti femminili, in particolare delle donne che lavorano con carichi familiari, è quello che mette di più in crisi l’equilibrio su cui si basa il tradizionale sistema famiglia-lavoro. Le risposte alle doppie responsabilità di famiglia e lavoro possono realizzarsi ai margini delle pari opportunità o viceversa allargarsi fino ad incorporare le simmetriche esigenze di conciliazione maschili.

2- L’età anagrafica della maggioranza del personale è quella compresa in due grandi blocchi: fra i 35 e i 44 anni e fra i 45 e i 54 anni. Si tratta di fasi della vita che presentano, nell’ottica della conciliazione, specifiche necessità: come sostiene una recente indagine Istat sull’uso del tempo, la prima identifica la fase di formazione della famiglia, che nel nostro paese inizia oltre i trentanni, quella in cui le domande di cura dei bambini piccoli e quelle di reddito possono provocare conflitti. Nel secondo blocco troviamo gli individui adulti, coinvolti dalle recenti riforme pensionistiche che prevedono il prolungamento dell’età lavorativa, a cui spesso capita che il tempo liberato dalla crescita dei figli venga ri-occupato dalle esigenze di cura dei genitori anziani.

3- La scolarità è medio-alta. Come confermano le ricerche nazionali e straniere, la variabile dell’istruzione si rivela cruciale per l’accesso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro, in grado anche di contrastare l’effetto disincentivante al lavoro rappresentato tuttora nel nostro paese dalla maternità e relativi impegni e responsabilità di cura. In un contesto economico e sociale in cui il lavoro delle donne non è un fenomeno scontato, le donne italiane, per migliorare le loro posizioni nel mercato del lavoro, hanno investito di più nell’istruzione e meno in matrimonio e figli, posticipandoli o riducendoli. Area del pregiudizio e tema della diversità femminile agiscono come dinamiche che tendono a cristallizzare comportamenti e identità di genere, determinando un inaccettabile spreco delle

7 Regione Autonoma Valle d’Aosta: Il personale regionale. Indagine conoscitiva al 31/12/2006, Comitato Pari Opportunità.

(9)

potenzialità delle donne e a comportamenti organizzativi rigidi nella gestione delle risorse umane, femminili e maschili.

4- Un’anzianità di servizio simile fra donne e uomini. È una variabile che fornisce elementi per inquadrare le vicende biografiche in una cornice di dinamicità e di sviluppo, che non necessariamente si realizza solo in senso verticale ma anche come possibilità di cambiamento, investimento, ampliamento di opportunità. In passato, rileva l’Istat8, le donne cominciavano a lavorare in giovane età, avevano minori aspirazioni, un livello di istruzione più basso e mediamente vivevano il lavoro come una esperienza transitoria. Oggi ci si avvicina al mercato del lavoro in età più avanzata, in fasi della vita in cui le donne delle generazioni precedenti ne uscivano per dedicarsi ai compiti di ruolo familiare, con aspettative più alte, legate sia alla migliore istruzione che ad un atteggiamento verso il lavoro che diviene una dimensione sempre più importante dell’identità femminile. Per le donne il lavoro diviene parte di una pluralità di ambiti di esperienza, e diviene testimone di quella moltiplicazione dei ruoli che è tratto caratteristico delle società moderne9, ambiti in cui diventa difficile stabilire una gerarchia di valore.

5- Le donne sono quasi sempre escluse dalle posizioni apicali. Il dato riflette una situazione ampiamente documentata nel nostro Paese: le donne sono quasi il 51%

dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, ma solo il 23% della dirigenza intermedia ed il 12% dell’alta dirigenza (a fronte del 30% in Germania e di oltre il 40% in Francia10). Le difficoltà all’affermazione professionale delle donne sembrano risultare da ostacoli di diverso tipo: ostacoli di natura esogena, derivanti dall’ambiente esterno, dai comportamenti e atteggiamenti degli attori organizzativi e ostacoli di natura endogena, ovvero quelle strategie e atteggiamenti adottati a volte dalle donne che rischiano di aggravare le dinamiche segreganti. Fra le principali, la difficoltà di conciliare gli impegni professionali con quelli della vita personale e familiare.

8 Ministero delle Pari Opportunità: Come cambia la vita delle donne, Istat, 2004

9 A. L. Zanatta: Conciliazione fra lavoro e famiglia, in Osservatorio Nazionale sulle famiglie e le politiche locali di sostegno alle responsabilità familiari: Famiglie: Mutamenti e politiche sociali, Vol. II, Il Mulino, 2002.

(10)

6- Il part-time è donna. La possibilità di svolgere un’attività di lavoro a tempo parziale costituisce uno dei principali strumenti che permettono alle donne occupate di attenuare le difficoltà di conciliazione del carico familiare con quello delle responsabilità lavorative, anche se è sempre importante sottolineare che le motivazioni per cui si ricorre al part-time possono essere molto diverse, determinando gradi di libertà nella scelta diversamente ampi. La letteratura internazionale dimostra che una connotazione di genere molto alta del rapporto di lavoro part-time comporta un rischio di segregazione occupazionale nella misura in cui si concentra fra le donne e, all’interno di queste, fra coloro che sono inquadrate in categorie medio-basse e con minori prospettive di carriera. Non è facile individuare logiche di funzionamento alternative al modello della prestazione

“face-time”, ma le competenze legate ad una buona conciliazione fra impegni professionali e impegni di cura familiare rafforzano il senso di responsabilità e attivano risposte strategiche, come le “good practices” rivelano.

7- Il tempo determinato è più femminile che maschile. Molte ricerche sottolineano come la forma contrattuale con la quale si lavora influenza tutte le carriere biografiche. Si rimandano soprattutto le scelte di maternità. Finchè le donne sono giovani, istruite e nubili, anche il lavoro a tempo determinato viene vissuto all’insegna della parità (Cnel, 2004): è in seguito, quando formano una famiglia che la competizione con i maschi si gioca sul terreno della disponibilità temporale. La Fondazione di Dublino11 afferma che un lavoro irrigidito nei tempi e nelle prospettive espone tutte le età a grandi rischi: i giovani, più esposti a rischi fisici e meno soddisfatti delle condizioni di lavoro, ma più istruiti e orientati all’innovazione; gli adulti, più protetti, con maggiori gradi di autonomia e più bassi livelli di intensità lavorativa, ma con minori opportunità di miglioramento nelle nuove forme organizzative ed esclusi dalla formazione; le donne giovani e adulte, meno valorizzate nei loro investimenti e depotenziate nei loro slanci emancipatori.

11 European Foundation For The Improvement Of Living And Working Conditions, Working conditions of ageing workforce, Luxembourg, 2008

(11)

La ricerca proposta e la metodologia

Come brevemente illustrato, tutti i luoghi di lavoro sono attraversati da fenomeni di trasformazione che si originano nelle dinamiche economiche e sociali e invitano a riconsiderare presupposti della cultura e delle prassi organizzative un tempo definiti come certi e duraturi: molte professioni non sono più un esclusivo territorio maschile; spazi e tempi lavorativi sono ridisegnati da nuove opportunità tecnologiche; la vita lavorativa viene scandita da nuove tappe e orologi che rompono le consuetudini e le gerarchie di età; il capitale sociale dei soggetti viene ritenuto come un vantaggio competitivo per le imprese.

La questione della conciliazione è uno degli ambiti che più radicalmente propone di riconsiderare il lavoro professionale in termini dinamici secondo le fasi del ciclo di vita familiare e di promuovere una ridistribuzione del lavoro di cura sia tra i generi che fra le generazioni. Non a caso si conia il termine di aziende “family friendly” per riferirsi a quelle realtà produttive dove vi è una disponibilità a sperimentare formule innovative nell’organizzazione del lavoro e degli orari per cercare di trarre vantaggi da una flessibilità attenta anche alle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici.

Alla luce dei dati già disponibili si è intrapreso un percorso di approfondimento per fornire all’ente una conoscenza più precisa delle esigenze di conciliazione del personale in servizio e delle risposte adattive e strategiche che le lavoratrici ed i lavoratori hanno individuato e sperimentato nel corso della loro carriera professionale.

Il presupposto di riferimento, mutuato anche dalla letteratura europea, è che la conciliazione è un indicatore di benessere per i contesti organizzativi, uno strumento di sviluppo delle persone e delle aziende, un requisito di qualità per un migliore utilizzo delle risorse umane, un presupposto per perseguire la realizzazione di politiche di eguaglianza delle opportunità tra uomini e donne.

I recenti studi organizzativi dimostrano che un ambiente di lavoro “friendly”, vivibile, attento anche alle esigenze dei lavoratoti e delle lavoratrici permette una maggiore identificazione con la missione aziendale e di conseguenza apporta migliori risultati sul piano della produttività.

(12)

Obiettivo della ricerca è attrezzare l’ente di una migliore comprensione dei molteplici aspetti interconnessi con i temi della conciliazione in relazione alle variabili organizzative e alle differenti fasi della vita personale e familiare del personale, dinamicizzate dalle trasformazioni economiche, sociali e culturali.

Si è articolato il percorso di ricerca in modo tale da coinvolgere tutto il personale dell’ente, sia i/le dipendenti a tempo indeterminato che quelli a tempo determinato, attraverso una metodologia quanti-qualitativa.

In una prima fase sono stare realizzate delle interviste di gruppo, condotte con la tecnica dei focus groups, rivolte a lavoratrici e lavoratori con differenti condizioni socio- demografiche e di vita personale e familiare: l’obiettivo è stato la rilevazione delle condizioni e delle percezioni di un soddisfacente (o meno) equilibrio tra gli impegni professionali e quelli afferenti la vita personale e familiare. L’accento è stato posto al vissuto personale di fronte alle molteplici variabili e piani di lealtà che sono in gioco e alle soluzioni individuate al bisogno di conciliazione attivando risorse familiari, organizzative e sociali, formali ed informali. Particolare rilievo è stato dato alle esigenze di conciliazione nelle diverse fasi del ciclo di vita personale e familiare, ai diversi profili delle esigenze di cura verso minori, soggetti deboli, anziani, alle esigenze di aggiornamento e di formazione continua, all’utilizzo e grado di soddisfazione verso i servizi di cura pubblici e privati, all’utilizzo dei congedi parentali e alle strategie di riprogettazione del rapporto individuo- organizzazione nel corso della carriera. Un focus group ha coinvolto i dirigenti di area per approfondire le questioni organizzative della conciliazione, per far emergere come convivono gli strumenti normativi con gli aspetti informali presenti nell’ente, e dare evidenza alle soluzioni positive già individuate e alle opportunità di sperimentare strumenti di flessibilità organizzativa che promuovano condizioni di equilibrio fra le diverse sfere di azione e di parità fra donne e uomini.

L’elaborazione dei contenuti delle interviste ha consentito di formulare, insieme alla committenza, ipotesi specifiche testate nella seconda fase caratterizzata da una survey estesa a tutta la popolazione in servizio nell’ente, realizzata attraverso la somministrazione di un questionario strutturato.

(13)

Obiettivo dell’indagine quantitativa è la realizzazione di una fotografia delle diverse esigenze di conciliazione del personale dell’ente, per far emergere le soluzioni di conciliazione, in particolare quelle informali, nel quadro del nuovo articolarsi dei comportamenti femminili e maschili in relazione alle diverse forme di vita familiare e in riferimento alla cultura dell’organizzazione e alle soluzioni pro-conciliazione già individuate.

La ricerca si propone di dare attenzione ai temi della conciliazione nell’ambito della gestione dell’invecchiamento della manodopera, ai nuovi calendari biografici e professionali che si articoleranno con un allungamento della vita lavorativa, alle proposte di servizi innovativi per favorire politiche del corso di vita alla luce delle nuove leggi in tema di congedi parentali (anche per la cura dei familiari anziani) e di politiche per l’apprendimento nel corso di vita (lifelong learning) per tenere insieme responsabilità professionali, responsabilità familiari e investimenti nella formazione e nella cura di sé, senza che questo abbia effetti irreversibili sulle carriere.

(14)

I risultati della survey

In questo primo paragrafo illustreremo i risultati della ricerca a partire da alcuni dati di carattere socio-demografico che ci descrivono le caratteristiche del personale in relazione a variabili quali il sesso, l’età anagrafica, lo stato civile e la situazione familiare, il livello di scolarità.

Caratteristiche socio-demografiche

Il questionario è stato somministrato a tutto il personale in servizio nella prima settimana di aprile del 2009: lo hanno restituito compilato n. 2251 dipendenti che corrispondono al 69.3% del totale della popolazione di riferimento rappresentata da n. 3248 addetti.

Tab. 1

Questionari compilati

69%

31% dip. che hanno compilato il

questionario dip. che non hanno compilato il questionario

La prima caratteristica che ci precisa il campione è la variabile sesso:

- le donne sono 1414 e corrispondono al 62.8% del campione e circa il 74% della popolazione lavorativa in organico nell’aprile 2009 (1580 a tempo indeterminato e 327 a tempo determinato)

- gli uomini sono 837 e rappresentano il 37.2% del campione e una quota pari al 62% della popolazione in organico nell’aprile 2009 (1236 a tempo indeterminato e 105 a tempo determinato)

(15)

Tab. 2

62,8%

74%

37,2%

62%

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

Donne popolazione

femminile

Uomini popolazione maschile

Campione per sesso rispetto alla popolazione (aprile 2009)

Va subito osservata l’adesione sorprendentemente alta della popolazione maschile: oltre il 60% dei lavoratori occupati nell’ente regionale ha compilato il questionario, mostrando interesse nei confronti dell’iniziativa e dei contenuti specifici che vengono messi a tema per le politiche aziendali.

Come rivelano indagini comparative a livello europeo (Saraceno, Olagnero, Torrioni, 2005), gli uomini più delle donne hanno ammesso di incontrare molte difficoltà nel far fronte alle proprie responsabilità familiari. Una loro maggiore presenza nella vita familiare e nei quotidiani impegni che la caratterizzano viene diffusamente percepita come un modello positivo di genere maschile, ma ostacolata nelle strategie e scelte di conciliazione sia da ragioni economiche sia da inerzie culturali, presenti nella maggioranza dei contesti lavorativi. Il dato verrà meglio approfondito nel paragrafo che analizza le risposte di coloro che hanno usufruito dei congedi parentali.

Anche la popolazione femminile ha risposto all’iniziativa promossa del Comitato pari opportunità con un alto grado di interesse: il campione delle donne rappresenta quasi i tre quarti (il 74%) del totale delle lavoratrici occupate in regione. Si tratta di un tasso di risposta molto significativo che evidenzia come il tema della conciliazione sia un’esigenza diffusa, trasversale alle diverse categorie di inquadramento professionale, che intercetta una visione più flessibile ed articolata dell’identità lavorativa in relazione non solo ai diversi significati del lavorare, ma anche alle scansioni del ciclo di vita, agli equilibri che si possono creare fra impegni di lavoro, responsabilità di cura, interessi personali.

(16)

Per quanto riguarda l’età anagrafica il campione è composto in larga maggioranza (oltre il 43%) da persone adulte, con un’età compresa fra i 40 e 50 anni; un terzo sono i più giovani, coloro che hanno al massimo 40 anni di età ed un quarto è rappresentato dagli adulti che nel mercato del lavoro sono chiamati “older workers” (Ocse, Ilo, 2006), ovvero i lavoratori e le lavoratrici con più di 50 anni.

Aggregando i dati in classi di età, si ottiene la seguente distribuzione:

Tab. 3

Campione per età anagrafica

43,5%

21,5% 1,3% 4,4%

29,3% >30 anni

tra i 30 e i 40 anni tra i 41 e i 50 tra i 51 e i 60

> di 60

In termini di età anagrafica il campione si concentra nelle classi di età centrali, dai 36 ai 50 anni, dove si addensa oltre il 70% del totale.

La maggioranza è dunque rappresentata da persone in età adulte che, seppur appartenenti a diverse coorti e collocate in diverse fasi del ciclo di vita individuale, familiare, professionale, sono mediamente caratterizzate da una pienezza di ruoli e di responsabilità, tanto nel versante lavorativo quanto in quello personale e familiare.

Il dato conferma la distribuzione per età anagrafica dell’indagine conoscitiva12, dove l’età media del personale è di 43 anni, con le donne più presenti nelle età di mezzo (tra i 35 e i 54 anni) e gli uomini distribuiti anche nelle età periferiche: fra i più giovani (meno di 24 anni) e gli over 60.

12 “Il personale regionale”, Indagine conoscitiva sul personale della Regione Valle d’Aosta al 31 dicembre 2006.

(17)

Tab. 4

28,8%

52,8%

15,4%

3%

38,7%

51,2%

9%

1,1%

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

Donne Uomini

Campione per stato civile per sesso

celibe-nubile coniugata-to

Separata-to/divorziata-to Vedova-vedovo t

Lo stato civile rivela che oltre la metà del campione è rappresentato da persone coniugate:

riguarda il 52.2% di coloro che hanno risposto al questionario.

La variabile di genere non rivela significative differenze nella percentuale delle persone coniugate fra le donne e gli uomini (52.8% fra le prime e 51.2% fra i secondi); mentre fa emergere una prevalenza delle donne fra coloro che provengono dalla rottura del matrimonio: le dipendenti separate e divorziate sono una quota pari al 15.4% mentre tra gli uomini il dato è inferiore al 10%. Fra coloro che non hanno mai contratto un matrimonio vi sono invece soprattutto i dipendenti uomini, che sono celibi nella misura del 38.7%, una percentuale superiore di quasi 10 punti alla componente femminile di nubili (28.8%). Data l’età anagrafica, i dipendenti vedovi sono una percentuale intorno all’1%.

In relazione a questa distribuzione, la situazione familiare prevalente del campione è quella rappresentata da coloro, donne e uomini, che vivono in nuclei in cui oltre al partner sono presenti figli/figlie: riguarda il 46.6% del totale, con piccole differenze in relazione al genere (46.4% fra le dipendenti e 47% fra i dipendenti). Vi sono invece variazioni più significative se si considerano le età anagrafiche: nelle classi di età centrali le percentuali di coloro che vivono sotto lo stesso tetto con il coniuge ed i figli/figlie è elevata, varia dal 42% dei cinquantenni al 53% dei quarantenni. Nelle età periferiche la quota diminuisce:

vale solo per il 7% di coloro che hanno meno di trentanni e poco più del 20% di coloro che hanno superato la sessantina.

(18)

Le famiglie monoparentali, ovvero le famiglie con un solo genitore, sono una quota pari all’8.6% del totale. Come nel dato nazionale, il genitore solo anche fra i dipendenti regionali è prevalentemente una donna: 12% contro il dato maschile del 2.4%. E si concentra soprattutto fra le donne più adulte, in particolare nelle coorti comprese fra i 40 e i 50 anni.

Questo avviene, precisano le ricerche internazionali, perché in caso di separazione e divorzio i figli, soprattutto se piccoli, vengono prevalentemente affidati alle mamme, e perché le madri nubili tendono a vivere con i figli-figlie. La conseguenza è una evidente femminilizzazione delle responsabilità familiari che si somma alle responsabilità di reddito, oltremodo necessarie per il bilancio di queste famiglie: in tutti i paesi europei, compresa l’Italia, le donne sole con figli che lavorano sono assai più numerose di quelle che vivono in coppia, e lo sono soprattutto a tempo pieno anche se i figli sono piccoli, a motivo delle necessità di sostentamento economico, creando le condizioni per un difficile bilanciamento fra impegni lavorativi e impegni di cura. Non è difficile quindi riconoscere che le madri sole ed i loro figli, seppur con gradi molto diversi e non necessariamente tutte, sono esposte ad una maggiore rischiosità sul piano economico e difficoltà sul piano della conciliazione delle domande di cura e di reddito.

L’altro dato che rivela la dinamicità dei comportamenti familiari è dato dal numero delle persone che vivono sole, le cosiddette famiglie uni personali. Nel nostro campione sono una percentuale pari al 17.6%, e riguarda di più gli uomini (21.1%) delle donne (15.5%) e maggiormente i trentenni (20.7%) ed i quarantenni (14.4%).

A differenza del passato, rileva A.L. Zanatta, vivere soli non si identifica automaticamente con l’essere celibi o nubili né con isolamento sociale o solitudine, ma spesso rappresenta una fase del ciclo di vita familiare, esempi di quel dinamismo delle strutture familiari che caratterizza, come per il passato anche la nostra contemporaneità, seppur per ragioni e significati diversi.

I dati del campione nel complesso confermano quanto i censimenti nazionali rilevano per la popolazione italiana in generale, con un trend che vede la coppia coniugata con uno o più figli rappresentare tuttora una fase della vicenda familiare che riguarda la maggioranza delle famiglie e delle persone; tuttavia le vicende del ciclo di vita ne riducono la durata e quindi la possibilità che la maggioranza delle famiglie si ritrovi in questa fase in un momento dato.

(19)

Nel 2003 in Italia le famiglie composte dalle coppie più i figli sono il 40%, quelle con un solo genitore ed i figli il 7.9%, le coppie senza figli il 19,7% ed i nuclei con una sola persona sono il 25.8%. La valle d’Aosta è una delle regioni in cui la percentuale di famiglie uni personali e famiglie composte dalla sola coppia anziana è più elevata, in conseguenza di un processo di invecchiamento molto avanzato.

Anche i dati dell’Europa a 25 (EQLS, 2003) rivelano che le coppie con figli sono il 35%, le famiglie monoparentali l’8%, le coppie senza figli il 30% e le persone sole rappresentano un quarto delle tipologie familiari.

Età dei figli

La posizione dei figli nella famiglia moderna è centrale e tale rilevanza si è affermata in coincidenza con una riduzione della fecondità. “Figli della scelta” e di conseguenza

“genitori per scelta” è la peculiarità che delinea rapporti ed investimenti familiari che ridisegnano anche i ruoli materni e paterni.

Di questo complesso mosaico la ricerca ha focalizzato l’attenzione solo sull’età dei figli perché evidenziano diversi livelli di necessità di cura in termini di consumo di beni e servizi e di tempo.

In particolare il tema del “costo dei figli” in quanto consumatori di tempo di cura (Saraceno, Naldini, 2007), soprattutto delle madri, si colloca al centro delle politiche di conciliazione famiglia-lavoro, oltre che delle politiche di pari opportunità.

Le politiche per i congedi di maternità e genitoriali così come le politiche relative ai servizi per l’infanzia costituiscono una risorsa di primaria importanza sia per riconoscere il costo dei figli che nel sostenere le madri lavoratrici e, più recentemente, anche i padri lavoratori a rimanere nel mercato del lavoro.

A seconda dell’età dei figli vi sono gradi di copertura dei servizi molto differenziati: in Italia il tasso di copertura dei servizi nella fascia 0-3 anni è molto basso (meno del 10%) con grandi differenze a livello territoriale, mentre nella fascia 3-6 è molto elevato, collocandoci tra i Paesi europei con le migliori prestazioni (93%).

(20)

Tab. 5

9%

10,8%

13,5%

10,5%

56,1%

13,2%15,3%

14%

13,4%

44,1%

17,3%

21,1%

13,5%

11,3%

36,8%

30%

10%

0 40%

20%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

primo figlio secondo figlio terzo figlio quarto figlio

Età dei figli/figlie (valori%)

0-3 3-6 6-10 11-13 14 e oltre

Trattandosi di un campione composto da persone adulte, in maggioranza nella fascia compresa fra i 40 e i 50 anni, è evidente che i figli presentano un’età mediamente alta:

sono ragazzi-ragazze dai 14 anni in su nel 56% dei primogeniti, il 44% dei secondi figli/figlie, il 37% dei terzi figli e il 20% dei quarti figli (sono solo 10 le situazioni familiari con quattro o più figli).

Non va tuttavia sottovalutato che i figli-figlie con un’età compresa fra i tre anni (che frequentano le scuole materne) ed i 13 (fino alle medie) sono complessivamente il 35% fra i primogeniti, il 43% dei secondi nati, il 46% dei terzi nati.

A cui aggiungere il dato riferito a coloro che hanno figli molto piccoli, nella fascia di età compresa fra 0 e 3 anni: sono complessivamente 268 dipendenti. Nel 9% dei casi è il primo figlio ad essere molto piccolo, diventa il 13.2% fra coloro che sono nati come secondi figli/figlie, il 17.3% dei terzi figli, il 30% fra i quarti figli (solo 10 casi nel campione).

Titolo di studio

Il campione è composto in prevalenza da dipendenti con un livello di istruzione secondaria superiore: il 45% possiede un diploma di scuola superiore a cui aggiungere la quota del 12.5% di coloro che hanno una qualifica professionale. I laureati sono il 15.7%; coloro che sono in possesso della licenza della scuola dell’obbligo sono una fetta pari ad un quarto del campione; infine, una piccola quota pari al 2% ha frequentato la scuola fino alla quinta elementare.

(21)

Tab. 6

27,20%

56,20%

16,60%

26,20%

59,60%

14,20%

26,80%

57,50%

15,70%

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

F M T

Campione per titolo di studio (riaggregato) per sesso

bassa scolarità (elementari e medie) media scolarità (qualifica e diploma)

alta scolarità (laurea e altre specializzazioni)

L’analisi dei titoli di studio dei dipendenti regionali della valle d’Aosta rivela un livello di scolarità più spostato verso l’alto rispetto alla tendenza nazionale che pure ha visto aumentare la scolarità degli occupati in tutto il comparto della pubblica amministrazione.

Osservando il trend nel triennio 1998/2000 si osserva come gli occupati con diploma (48.9% nel 2000) diventano maggioritari rispetto a quelli con licenza dell’obbligo (37.4%

nel 2000). In crescita sono anche i laureati (13.3% nel 2000) nonché i dipendenti con specializzazioni post laurea. La tendenza generale è quella ad un maggior livello culturale e professionale delle donne, soprattutto fra i titoli di studio più alti, come fra i laureati dove le donne crescono del 4.5% a fronte del 2.3% del dato maschile (Focus sulla P.A., 2001).

Anche in regione le donne sono prevalenti fra coloro che possiedono alti livelli di istruzione: 16.6% , un dato superiore di 2.4% rispetto a quanto rilevato fra gli uomini.

Caratteristiche del rapporto di lavoro

Il questionario è stato distribuito a tutto il personale della Regione, coinvolgendo sia coloro che hanno un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sia coloro che hanno un rapporto di lavoro a tempo determinato.

Il campione risulta composto in larga maggioranza dai primi, nella misura dell’87.3%, mentre chi ha un contratto a termine rappresenta una quota pari al 12.7%.

La percentuale di questi ultimi rispecchia la quota di dipendenti con contratti a termine rilevata nel 2006: erano 369 di cui 293 (79,40%) donne e 76 (20,60%) uomini, pari all’11,47% del totale dei dipendenti in servizio, percentuale che sale al 12,95% se rapportati ai dipendenti a tempo indeterminato in organico.

(22)

Al momento della rilevazione (aprile 2009) il personale a tempo determinato presentava una numerosità maggiore a quella rilevata tre anni fa: sono complessivamente 432 unità, fra dipendenti e dirigenti, pari al 13.3% della popolazione complessiva.

Tab. 7

84,70%

15,30%

91,50%

8,50%

87,30%

12,20%

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

90,00%

100,00%

F M T

Campione per tipologia contrattuale per sesso

tempo indeterminato tempo determinato

Contratto a termine coincide maggiormente con lavoratrice donna, giovane e persona istruita.

In regione le donne a tempo determinato rappresentano quasi il 70% del personale con contratti a termine.

Nel nostro campione rappresentano il 75% di coloro che hanno un contratto a tempo e circa il 15% del totale delle donne che hanno risposto al questionario.

I dipendenti a tempo determinato sono nel campione come nell’indagine sulla popolazione regionale del 2006 persone più giovani, come è abbastanza prevedibile date le caratteristiche delle assunzioni negli ultimi decenni, rispetto a quelli a tempo indeterminato.

L’età è inversamente proporzionale alla percentuale di tempi determinati nel campione: si passa da un incidenza pari al 54.5% tra coloro che hanno meno di trent’anni, al 15.6% fra i trentenni, al 9% dei quarantenni fino al 3.4% fra gli over 60.

Sono inoltre lavoratrici e lavoratori che presentano livelli di scolarità medio-alta: il 54%

possiede un diploma e circa il 20% una laurea.

(23)

Da quanto tempo, chi ha risposto al questionario, lavora presso la struttura organizzativa della Regione?

Nel complesso l’anzianità prevalente è alta, come si evidenzia dal fatto che la maggioranza relativa (circa il 38%) lavora in regione da più di 20 anni. Circa un terzo presenta un’anzianità di servizio compresa fra gli 11 ed i 20 anni: in sintesi 7 lavoratori-lavoratrici su 10 sono alle dipendenze dell’ente da più di 10 anni.

Il rimanente 30% si suddivide fra una quota pari al 18% di coloro che lavorano in regione da più di 5 anni e chi (circa il 12%) vi lavora da meno di 5 anni.

Tab. 8

76,50%

21,40%

2,10%

0,00%

17,60%

33,20%

46,10%

3,10%

6,00%

12,00%

33,00%

49,00%

3,40%

7,80%

19,30%

69,50%

6,90%

3,40%

34,50%

55,20%

12,00%

17,60%

32,50%

37,90%

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

90,00%

100,00%

< 30 30-40 41-50 51-60 > 60 tot

Campione per anzianità di servizio per classi di età

oltre i 20 anni da 11 a 20 anni da 5 a 10 anni meno di 5 anni

Risulta molto evidente come i dati relativi all’anzianità di servizio siano direttamente proporzionali all’età anagrafica: tre quarti fra i dipendenti più giovani si concentrano nella prima classe di anzianità lavorativa, quella inferiore ai 5 anni; viceversa, i lavoratori maturi sono compresi per quasi il 70% compresi fra quanti lavorano in regione da oltre 20 anni.

Nella rilevazione del 2006 l’analisi dell’anzianità di servizio dei dipendenti regionali ha fatto emergere un trend uguale tra uomini e donne; la percentuale maggiore si attesta tra i 10 e i 20 anni di anzianità, 47,2% donne e 44,2% uomini, seguita da un’anzianità che va dai 20 ai 30 anni con percentuali pressoché identiche tra uomini (26,4%) e donne (26,7%).

(24)

La stessa analisi scomposta per categorie ha reso evidente che gli uomini hanno un’anzianità di servizio decisamente inferiore alla media (13,46 rispetto a 15.49) nella categoria B mentre le donne hanno un’anzianità media di servizio molto più elevata (21,56 rispetto a 19.2) nella qualifica unica dirigenziale.

Un altro elemento utile per precisare le caratteristiche del campione riguarda la struttura dell’occupazione letta attraverso il livello di inquadramento incrociato con la variabile di genere.

La maggioranza del campione si concentra nelle categorie B e C: rispettivamente 39.2% e 32.4%.

Nella categoria A, la più bassa, si trova il 14.4% di coloro che hanno risposto al questionario mentre nel livello D, il più alto, il dato scende al 10.9%. Circa il 3% sono i dirigenti.

La Tabella 9 mostra come il personale dipendente sia distribuito per sesso e livello di inquadramento contrattuale dal più basso al livello più elevato (dirigente). Si nota come le lavoratrici siano maggiormente concentrate nel livello A e D, seppur con un’incidenza numericamente differente ed i lavoratori sono predominanti nei livelli B, C e fra i dirigenti.

Tab. 9

19,90%

36,60%

30,10%

11,50%

1,80% 4,50%

44,20%

36,10%

9,80%

5,40%

14,20%

39,40%

32,40%

10,90%

3,10%

0,00%

5,00%

10,00%

15,00%

20,00%

25,00%

30,00%

35,00%

40,00%

45,00%

F M T

Campione per livello di inquadramento e per sesso

categoria A categoria B categoria C categoria D Dirigenti t

Anche nella rilevazione del 2006 i dipendenti regionali risultano distribuiti soprattutto nelle categorie B (1083 persone) e C (952 persone). Se si calcola poi la percentuale sul totale diviso per genere si evidenzia che le donne sono maggiormente rappresentate rispetto agli uomini nella qualifica A e nella qualifica D.

(25)

I dirigenti uomini sono tre volte più numerosi delle donne: nella pubblica amministrazione, anche in settori altamente femminilizzati come la scuola, non si trovano esempi di una composizione di genere equilibrata nelle posizioni apicali.

Nonostante la generalizzata crescita dei livelli di istruzione delle donne, il mercato del lavoro e le regole che lo governano contribuiscono a mantenere o a scalfire con estrema riluttanza i fattori che determinano la segregazione occupazionale, sia quelli di tipo organizzativo sia quelli di tipo culturale e sociale.

Orario di lavoro

Prima di evidenziare la composizione del campione rispetto alla tipologia di orario di lavoro è utile richiamare quanto precisato nell’indagine del 2006: “la determinazione massima di personale da destinare al lavoro part-time nell’ambito della dotazione organica di personale a tempo pieno è pari al 25%. Sono esclusi: il personale del corpo dei vigili del fuoco (area operativa-tecnica) e del corpo forestale della Valle d’Aosta (personale in divisa), gli appartenenti alla categoria D titolari di posizioni di particolare professionalità, i dirigenti nonché altri profili professionali previsti dalla contrattazione di settore.

Nell’ambito della percentuale calcolata il 40% dei contratti a tempo parziale potranno avere durata indeterminata, mentre il 60% dovrà avere durata determinata (non inferiore ad un anno e non superiore a due)”.

Sul totale della popolazione dipendente al dicembre 2006 la percentuale di chi lavorava part time era del 13,2%: si trattava soprattutto di donne (20.6% contro il 4.1% del dato maschile) inquadrate nelle categorie giuridiche B e C.

Nel nostro campione la percentuale di chi lavora part time è superiore di circa 3 punti percentuali: riguarda il 16.9% dei rispondenti. Si tratta anche qui di una tipologia oraria utilizzata in maggioranza dalle donne: il 23.2% del campione femminile rispetto al dato del 6.6% di quello maschile.

(26)

Tab. 10

76,80%

23,20%

93,70%

6,30%

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

90,00%

100,00%

F M

Campione per tipo di contratto (rispetto all'orario di lavoro) per sesso

tempo pieno tempo parziale

Il part time si conferma anche in regione come una modalità lavorativa connotata al femminile, confermando sia il dato nazionale (26% contro il 4.6% del dato maschile) sia quello europeo, dove in 20 paesi su 25 le quote di part time maschile sono inferiori all’8%

(M.L. Pruna, 2007).

Sono part time soprattutto le donne e gli uomini inquadrati nel livello C (21.9%) e nel livello B (17.3%).

Se da un lato, risulta evidente che le modalità di lavoro a tempo parziale hanno consentito ad un numero sempre maggiore di donne di entrare e rimanere nel mercato del lavoro, anche nelle fasi più critiche per la conciliazione con gli impegni di cura familiare, dall’altro la destinazione mirata delle quote di lavoro part time alle donne (all’ingresso per le giovani e alle mamme lavoratrici), lo ha reso non solo una articolazione oraria, ma un vero e proprio ruolo lavorativo, connotato come marginale rispetto agli obiettivi aziendali.

I dati del campione segnalano una connotazione di genere molto alta del rapporto di lavoro part-time, fattore che comporta, come sottolinea la letteratura internazionale, un rischio di segregazione occupazionale nella misura in cui si concentra fra le donne e, all’interno di queste, fra coloro che sono inquadrate in categorie medio-basse e con minori prospettive di carriera.

Gli studi della Commissione europea confermano che per evitare che il lavoro part time diventi una trappola ai fini della carriera professionale sarebbe utile che fosse reversibile:

ma la possibilità di tornare a tempo pieno è gradita alle donne?

(27)

In termini assoluti, la maggioranza di coloro che lavorano con un rapporto di lavoro a tempo parziale e che hanno risposto al questionario sono contrari all’ipotesi di tornare a lavorare a tempo pieno, anche concordando diverse modulazioni dell’orario di lavoro: il 36.8% contro i favorevoli che sono al 35%. Va aggiunto che una quota non indifferente di dipendenti part time (28.2%) non sa cosa rispondere a questa eventualità di reversibilità da tempo parziale a tempo pieno.

Tra le più disponibili all’eventuale rientro nel lavoro a tempo pieno vi sono le dipendenti inquadrate nelle categorie più basse (38% di coloro che sono nel livello A e 40% di coloro che sono nel B), con minori livelli di istruzione: probabilmente coloro per le quali il part time è stata la strategia numero uno per tenere insieme impegno lavorativo e fasi onerose degli impegni di cura familiari, ma che al presente può risultare meno vantaggiosa, o almeno meno necessaria alla luce sia dei costi, economici e di carriera che ha comportato, sia dell’evoluzione dei bisogni familiari.

Sarebbe utile che l’ente si attrezzasse a rispondere a queste disponibilità con azioni di

“valorizzazione” perché vanno nella direzione di aprire possibilità di scelta in coincidenza con determinati esigenze familiari, rendendo fruibili ad una platea più ampia di dipendenti questo istituto contrattuale; dall’altro attrezzando il rientro con percorsi di rafforzamento della posizione lavorativa delle donne, attraverso momenti di “bilancio delle competenze”

ed eventuale aggiornamento delle stesse, nonché studiando formule orarie anche

“transitorie” ma utili per sintonizzare le esigenze aziendali con le disponibilità delle lavoratrici.

(28)

Tab. 11

39,40%

33,60%

27,30%

20,80%

47,50%

31,70%

0,00%

5,00%

10,00%

15,00%

20,00%

25,00%

30,00%

35,00%

40,00%

45,00%

50,00%

F M

Orientamento del campione part time al rientro al full time per sesso

si no non so

I meno favorevoli sono gli uomini, seppur l’incidenza del part time sulla popolazione maschile, come abbiamo visto, risulti molto più bassa rispetto a quella della popolazione femminile.

Generalmente gli uomini che scelgono il tempo ridotto lo fanno in relazione ad altri impegni di tipo professionale e questo potrebbe spiegare la loro minore disponibilità ad una variazione oraria che renderebbe meno compatibile i vari impegni lavorativi.

Altrettanto generalmente le donne optano per il tempo parziale in coincidenza con l’evento della maternità: è una delle strategie di conciliazione a cui molte lavoratrici madri ricorrono e molte altre la vorrebbero poter adottare per far fronte agli impegni di cura dei figli, soprattutto quando sono molto piccoli. In questo caso la coppia passa da un modello

“dual earner”, caratteristico delle coppie con due percettori di reddito, ad un modello “one and half” dove il part time di lei può essere visto come l’esito di un calcolo costi- opportunità, ovvero la soluzione per ridurre i conflitti fra famiglia e lavoro (Naldini, 2006).

La maggiore disponibilità delle lavoratrici all’ipotesi di un rientro con un lavoro a tempo pieno e la quota elevata di coloro che scelgono di non rispondere, anziché indicare una contrarietà, è subordinata alla ricerca di una soluzione flessibile nell’articolazione degli orari di lavoro, ad una negoziazione di misure di elasticità e flessibilità del tempo che come vedremo nei prossimi paragrafi veicola una domanda diffusa fra i dipendenti regionali, donne e uomini, di politiche aziendali amichevoli verso chi ha responsabilità di cura, verso i figli ma anche verso i genitori.

(29)

Tab. 12

Campione per tipologia oraria

35%

37%

17%

11%

orario spezzato puro

orario misto (spezzato con continuato) orario continuato

orario a turni

La tipologia oraria più diffusa nel campione è quella mista: ovvero un’articolazione che comprende orari spezzati in alcuni giorni e orari continuati in altri: 37.5%.

L’orario spezzato puro è la modalità di lavoro di quasi il 35% delle persone che hanno risposto al questionario. Lavora con un orario continuato poco più del 16% ed è più esigua la quota di coloro che lavorano con un orario che prevede i turni: 11.2%.

Sommando tra le lavoratrici coloro che hanno giornate lavorative con orari spezzati e misti (circa 72%) si ottiene un valore simile a quanto rilevato fra i dipendenti (circa 73%), ma con un peso percentuale delle due articolazioni orarie differente: fra gli uomini prevale la formula dell’orario spezzato puro mentre fra le donne quella con orari misti.

Il lavoro a turni è prerogativa più maschile che femminile e di chi è più giovane: tra i dipendenti l’articolazione dell’orario che prevede i turni riguarda circa il 18% a fronte di un dato tre volte più contenuto fra le lavoratrici (6.6%). Vale inoltre per il 17.%% dei trentenni a fronte del 10 % degli over 60.

All’opposto, sono le lavoratrici, in misura percentuale tre volte superiore ai colleghi uomini, ad avere un orario continuato (21.4% a fronte del 7.6%), modalità che riducendo la lunghezza dell’impegno lavorativo nell’arco della giornata può liberare del tempo utile da dedicare alle altre attività, non solo di cura ma anche quelle dedicate al riposo, all’investimento personale nella formazione, nella socialità, nella partecipazione sociale.

L’orario continuato pare un “vantaggio” che si acquisisce con l’anzianità di servizio: vale per l’8% di chi ha meno di 30 anni e quasi il 30% degli over 60.

(30)

Per completare questa sezione di informazioni sulle caratteristiche del rapporto di lavoro delle donne e degli uomini del campione, presentiamo una tabella riassuntiva dei dati relativi ai dipartimenti e settori di appartenenza.

Tabella 13

Campione per dipartimenti e settore

3,20%

7,30%

2,40% 3,50%

1,30%

3,30%

0,80% 0,60% 2,50%

9,70%

2,10% 3,90%

13,90%

6%

2,30%

11%

4,70%

21,60%

0,00%

5,00%

10,00%

15,00%

20,00%

25,00%

1

Consiglio regionale Presidenza della regione Dip. Enti locali, servizi prefettura e prot. Civile Comando regionale VV FF

Dip. Legislativo e legale Dip. Personale e Organizzazione

Dip. Politiche strutturali e affari europei Dip. Politiche del lavoro e formazione

Dip. Innovazione tecnologica Ass. agricoltura

Ass. attività produttive Ass. bilancio finanze e patrimonio

Ass. istruzione e cultura Ass. sanità

Ass. territorio e ambiente Ass. opere pubbliche difesa suolo, edilizia res

Ass. turismo e sport Istituzione scolastica

Infine nel questionario vi era una domanda di approfondimento del significato del lavoro.

Precisamente si chiedeva: “Quanto ritiene importante il lavoro nell’ambito della sua vita?”

Tab. 14

21,60%

70,20%

6% 1,40% 1,10%

26,80%

62,40%

5,10% 3,60% 2,00%

0,00%

10,00%

20,00%

30,00%

40,00%

50,00%

60,00%

70,00%

80,00%

F M

Campione per importanza del lavoro per sesso

Molto importante, dà senso alle mie giornate abbastanza importante, al pari di altre cose è poco importante, ci sono ben più importanti non ha nessuna importanza, preferirei non lavorare non so

(31)

È un ambito cui un quarto circa del personale attribuisce grande importanza, anche dal punto di vista del valore simbolico: vale per circa il 26% degli uomini e il 21% delle donne che lavorano in regione.

Lo diviene più evidente con l’età? Parrebbe di si, dal momento che il lavoro acquista una parte così centrale della vita tra il personale più adulto, con valori superiori al 30% fra i cinquantenni e oltre il 42% fra gli over 60, indipendentemente dalla posizione lavorativa.

Infatti il lavoro è molto importante fra gli “older workers” sia che siano inquadrati nel livello più basso delle categorie (la A con percentuale quasi del 43%) sia che si trovino al top della scala gerarchica, come i dirigenti (con valori superiori ad un terzo). Vale dunque per donne e uomini più istruiti come per i meno.

Il dato andrebbe ulteriormente approfondito per comprenderlo alla luce delle recenti proposte di riforma previdenziale che prevedono l’allungamento della vita lavorativa. A 50, 60 anni avere un legame forte con il lavoro, e non solo quando si hanno professioni di prestigio e ben remunerate, e trarne elementi di soddisfazione porta in luce tratti di una condizione adulta composita. Come emerso in una recente indagine piemontese (Abburrà, Donati 2008), anche da adulti il lavoro viene interrogato nelle sue condizioni di necessità come di scelta, negli spazi di auto affermazione che consente, offrendo a uomini e donne nell’età di mezzo l’opportunità di prevedere nuove scadenze nelle loro vite, sentendosi ancora in tempo per certe esigenze di cambiamento, da cui anche le imprese possono trarre enorme vantaggio. Occorre però che i luoghi lavorativi siano in grado di rispondere a questi investimenti, di conoscenze ed esperienze delle lavoratrici e dei lavoratori “maturi”, attrezzandosi con nuove strategie di gestione del personale per leggere il legame fra l’età ed il lavoro, con culture professionali più “age-conscious” (Fondazione di Dublino, 2008) e con livelli di attenzione alle condizioni di lavoro e sul ruolo che possono giocare leve quali la formazione continua, lo sviluppo professionale, una maggiore conciliazione dei tempi di lavoro con quelli personali e familiari, la tutela della salute.

Di contrasto, il lavoro è di poco o di nessuna importanza per una quota minima dei rispondenti al questionario: rispettivamente il 5.7% ed il 2.3%.

Per la maggioranza del campione il lavoro è una dimensione della propria vita abbastanza importante, al pari di altre attività: lo afferma il 67%.

(32)

Il lavoro non ha un particolare primato o centralità, tuttavia il suo essere in relazione con altre sfere di attività, con una pluralità di scelte che possono riguardare la propria vita personale e familiare, lo rende una presenza permeabile agli altri ambiti di investimento e con questi ne deve competere il valore di senso e di significato del tempo che vi si dedica.

Da questa prospettiva si evidenzia meglio come il lavoro sia una traiettoria dinamica, mutevole, che interagisce con altre strutture di priorità e di appartenenze che gli individui non vogliono essere costretti a mettere in competizione o in un ordine gerarchico: si tratta piuttosto di sforzi ed esigenze per mantenere possibili gli investimenti nelle diverse carriere biografiche e con essi le possibilità di cambiamento e di ampliamento non solo di opportunità materiali, ma anche di mezzi per affermare la propria identità.

Le tematiche della conciliazione famiglia lavoro, che sono il frutto maturo dell’esperienza femminile adulta contemporanea, interpretano bene queste domande mettendo al centro temi come il benessere e la qualità della vita sia nei luoghi lavorativi che negli spazi di vita personale e familiare.

Riferimenti

Documenti correlati

Sarebbe a questo punto il caso di fare più distesamente menzione di un’importante ricerca storica avviata da Foucault con la collaborazione di Arlette Farge sulle lettres de cachet,

E non raro che i maritif /&gt; Ciao, sono un ragazzo 31enne di Roma, in cerca di ragazze e donne spigliate, Uomo 48enne cerca donna per scambio mail erotiche ma anche solo per

u queste stesse pagine dedicate al numero speciale del magazine SuperAbile Inail, l’anno passato abbiamo deciso di raccontare storie di vite stra- ordinarie, uomini e donne

Uomini e donne di oggi e di ieri, che hanno scelto non solo di cambiare la propria vita, ma anche quella degli altri e che, facendo questo, hanno cambiato il mondo.. In alcuni casi

PROPONE UN MOMENTO DI RIFLESSIONE RIVOLTO AGLI STUDENTI DELLA

Tutt’altra cosa è ciò che che è stato verificato nel cervello della donna, dove le connessioni sono anche di tipo trasversale, cioè dall’emisfero destro a quello

Si aggiunga che anche a motivo di queste loro responsabilità famigliari – effettive o anche solo presunte – le donne non solo sono meno presenti nel mercato del lavoro, ma sono

dell’Italia dove le donne, rispetto agli uomini, vivono più anni in totale (83,8 contro 77,9) e più anni liberi da disabilità (67 contro 65,8), ma hanno una proporzione di anni