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IL G I O C O D E L L E PARTI VITA STRAORDINARIA DI LUIGI PIRANDELLO pp. 354, €18,60, Longanesi, Milano 2010

I

n una lettera del 1921 a Ugo

Ojetti Pirandello poneva una netta alternativa tra vita e scrit-tura: "La vita, o si vive o si scri-ve. Io non l'ho mai vissuta, se non scrivendola". Più tardi, nel 1933, rivolgendosi a Benjamin Crémieux, suo traduttore fran-cese, ribadiva: "Voi desiderate qualche mia nota biografica e io mi trovo assai imbarazzato a fornirvela e questo, mio caro amico, per la semplice ragione che ho dimenticato di vivere, l'ho dimenticato al punto da non saper dir niente, proprio niente, della mia vita.

Potrei forse dirvi che non la vivo, ma che la scrivo.

Di modo che se voi vorrete sapere qualche cosa di me, po-trei rispondervi: aspettate un po', mio caro Crémieux, che mi rivolga ai miei personaggi. Forse saranno in grado di for-nirmi qualche informazione su me stesso". Matteo Collura, nella sua recente biografia, prende alla lettera questa

di-Maurizio Mottolese

di-Maurizio Mottolese

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1 c

j on a caso il libro si chiude con la parola "infelicità". Resta in ombra, in questa bio-grafia, un aspetto che lo stesso Collura suggerisce, mettendo in esergo una bella citazione di Giovanni Macchia che parla, a proposito dello scrittore sici-liano, di "un oscuro desiderio di felicità, sensuale, meridiona-le", di un vitalismo senza il quale non lo si può compren-dere appieno. Senz'altro quel-l'unica parola, "infelicità", sta stretta a Pirandello, sta stretta alla sua arte "ribelle e rivolu-zionaria", sta stretta all'uomo consapevole che il pur soffo-cante e drammatico gioco delle parti, alla fine, non è una cosa

seria. •

giovannalpghotmail.com G. Lo Presti è insegnante e saggista

Pietro Citati

L E O P A R D I

pp. 438, €22, Mondadori, Milano 2010

F

rutto laboriosissimo di molti

anni di ricerche e letture, il volume di Pietro Citati su Leo-pardi nasce innanzitutto come una sfida: tracciare un ritratto nuovo del nostro autore moder-no di gran lunga più studiato; fissare sulla carta il non lineare percorso di una mente formida-bile e infaticaformida-bile; insomma: ci-mentarsi con uno scrittore spa-ventosamente geniale. Una simi-le sfida poteva essere sostenuta soltanto in virtù di una profonda affinità elettiva, di un richiamo incoercibile, che Citati avvertì fin dalla prima gioventù, quan-do, come informa lui stesso, ini-ziò ad approfondire l'opera di Leopardi.

Ma cosa lega Citati ah'oggetto del suo hbro? Qual è

la tangenza più sensi-bile tra l'universo in-tellettuale di Citati e queho leopardiano? In una parola, direi, il modo di leggere. Così recita un passo decisi-vo di questo decisi-volume:

"Per Leopardi, leggere era già scrivere, e scri-vere era una forma di lettura: i due gesti

di-ventavano lo stesso gesto". Chi conosce, anche superficialmente, le opere di Citati non potrà non ravvisare in questa affermazione la cifra forse più peculiare della sua poetica critica. Leopardi, il 22 novembre 1820, annotò nello

Zibaldone che "per intendere i fi-losofi, e quasi ogni scrittore, è necessario, come per intendere i poeti, aver tanta forza d'immagi-nazione, e di sentimento, e tanta capacità di riflettere, da potersi porre nei panni dello scrittore"; nello stesso modo in Citati lettu-ra e scrittulettu-ra si alimentano vicen-devolmente e si ibridano, fino al punto di coincidere.

La lettura-scrittura di Citati de-cripta e trascrive il hbro segreto che si cela in ogni capolavoro let-terario; cosicché l'opera e la vita di Leopardi, come quelle di Goethe, di Tolstoj, di Kafka o di Proust (per rammentare solo al-cuni dei grandi classici cui Citati ha consacrato un volume) posso-no magicamente (l'avverbio è da intendersi nel senso più intrinse-co: si ricordi la centratissima defi-nizione, coniata da Paolo Lagaz-zi, di Citati come "mago della cri-tica") trasformarsi in racconto, anzi, più precisamente, in mythos (il significato di questo termine greco è, appunto, racconto).

Il racconto leopardiano di Ci-tati inizia "come un'opera buf-fa" alla Rossini, che, guarda ca-so, Leopardi amava. Come altro definire, del resto, le disavven-ture economiche di Monaldo, che dilapidò buona parte del patrimonio dei Leopardi, così da essere costretto a delegarne la gestione alla sua più parsimo-niosa consorte, l'austera Adelai-de Antici? Se l'inettitudine am-ministrativa di Monaldo era

ben nota, non lo era altrettanto la natura specifica della malattia di Giacomo, che molti, compre-so lui stescompre-so, ritenevano l'effetto degli anni di studio matto e di-speratissimo; correggendo que-sto longevo luogo comune, Ci-tati afferma che "Leopardi non diventò gobbo a causa del ra-chitismo", bensì della tuberco-losi ossea, che, insieme a un ma-le di origine assai più oscura, la depressione psicotica, funestò l'esistenza del poeta fin dall'età più tenera.

L'attenzione alla biografia è, si sa, una costante della saggistica di Citati, ultimo erede di Sainte-Beuve; nondimeno questo

Leo-pardi, al pari delle altre grandi monografie citatiane, non è ri-ducibile a una semplice biogra-fia. Il resoconto della parabola esistenziale di Giacomo si in-treccia infatti continuamente e inestricabilmente con il com-mento, spesso molto puntuale, degli scritti di Leopardi.

Dimo-strando una profonda conoscenza, non solo deh' opera leopardiana e delle sue fonti, ma anche della critica più recente, Citati non manca di fornire con-tributi esegetici e sug-gerimenti interpretati-vi nuointerpretati-vi o stimolanti. Penso ad esempio alle considerazioni sul sin-golarissimo "rovescia-mento della teologia lunare clas-sico-cristiana" attuato dalla scrittura leopardiana; alla lettura ravvicinata dei Canti pisano-re-canatesi, e in particolare di un testo meno paludato come II

ri-sorgimento-, al capitolo su II

pen-siero dominante-, o, ancora, alle pagine sull'efferata lucidità d'in-trospezione di quella straordina-ria prosa designata dagli editori come Diario (o Memorie) del

pri-mo apri-more.

U

n altro merito da ascriver-si al volume di Citati riascriver-sie- risie-de nell'approccio generale al pensiero di Leopardi, e in spe-cie alle meditazioni labirintiche e incandescenti dello Zibaldone. Citati, infatti, al contrario della maggior parte dei leopardisti di ieri e di oggi, non cerca di sem-plificare in una rigida e forzosa coerenza la trama delle intuizio-ni zibaldointuizio-niane, ma ne accetta le costanti oscillazioni, senza nasconderne le sfumature apo-retiche. A Leopardi si addice bene l'acuto aforisma di Ni-colas Gómez Dàvila: "Per co-gliere nel segno è necessario contraddirsi. Perché l'universo è contraddittorio". La stessa idea di natura, in Leopardi, mantiene fino in fondo un ca-rattere, se non contraddittorio, duplice: non è solo "il brutto / Poter che, ascoso, a comun danno impera", ma anche la "lenta ginestra": l'estremo sim-bolo leopardiano della poesia, che, come mostra Citati, redime la natura, emanando il suo

pro-fumo verso il cielo. •

raoul.bruni@uni.pd.it R. Bruni è assegnista di ricerca in Italianistica

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