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A COSA SERVE M I C H E L A N G E L O ? pp. 129, € 10, Einaudi, Torino 2011

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ue libretti (il diminutivo si

ri-ferisce al formato) escono quasi contemporaneamente dedi-cati al medesimo soggetto: l'acqui-sto (incauto?) da parte dello stato italiano di un piccolo (41,3 x 39,7 cm) crocifisso in legno (di tiglio?) riconosciuto da alcuni eminenti storici dell'arte come possibile opera giovanile di Michelangelo. L'opera è stata pagata al noto an-tiquario torinese Giancarlo Galli-no, da poco mancato, tre milioni e duecentocinquantamila

euro. Somma assai mo-desta per un autentico Michelangelo, eccessiva per un'opera di un ec-cellente legnaiolo quat-trocentesco fiorentino. A parte il prezzo, nei due testi si discute il comportamento dei membri storici dell'arte del comitato tecnico-scientifico per i beni

storico-artistici del ministero per i Beni culturali che ne hanno avval-lato l'acquisto, lo straordinario boom mediatico che ha accompa-gnato la nuova attribuzione al Di-vinissimo e le varie esposizioni (epifanie, si vorrebbe dire) dell'o-pera: nell'ambasciata italiana pres-so la Santa Sede, alla Camera dei deputati e via via per l'Italia, ac-compagnate da un pubblico di tutta eccellenza. Gh autori sono due ex "normalisti". Claudio Giunta, italianista, il primo, To-maso Montanari, storico dell'arte, il secondo. Il "finito di stampare" del primo testo porta la data 15 febbraio 2011, quello del secondo marzo 2011. "Comme c'est bizar-re, comme c'est curieux, et quelle coincidence" avrebbe scritto Jo-nesco. Difatti qualcosa di strano c'è. A quanto si legge Giunta - il non addetto ai lavori - sarebbe ve-nuto a conoscenza della vicenda nel corso di cene fiorentine con amici storici dell'arte a cui non la si dava da bere - apoti avrebbe detto Prezzolini - ma molto ciar-lieri, e forse - aggiungeremo - gra-zie a qualche sogno da cui sembra venga di frequente visitato. Quan-to a Montanari, era da un bel po' che interveniva criticamente su questo soggetto, ma il suo hbro è stato bruciato nella volata finale. Niente di male, i due autori sono, o almeno erano, amicissimi, e il Giunta confessa a più riprese quanto deve al Montanari. Questi sarà forse meno brillante e pette-golo, ma certo è più "grundlich" (profondo, sohdo) avrebbe detto Gadda - e anche filologicamente più corretto, in quanto la fantari-sposta immaginata da Giunta co-me data da imo pseudo Longhi: "Cristo si, Caravaggio, mi dia quel cazzo di assegno" a un antiquario

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che gh chiedeva ansiosamente conto di un quadro, sembra, ove la si dati verso il 1960, difficilmen-te accettabile da uno storico della lingua e da chi abbia conosciuto il modello del parlante. Ma, a parte la "Grundhchheit", il pettegolez-zo e il modus scribendi, perché questi due hbretti? Per denuncia-re il fatto che in tempi durissimi per la tutela dei monumenti si spendano più di tre milioni di eu-ro per un'opera dalla dubbia pa-ternità? Perché i membri del co-mitato tecnico-scientifico non si sono rivolti, prima di decidere l'acquisto, a esperti di scultura fio-rentina tardo quattrocentesca? Per il roboante, incalzante quanto melenso tam tam pubbhcitario che ha visto partecipi pressoché tutti i media? Per gh usi che sono stati attribuiti all'opera: risollevare gh spiriti in tempi grami attraver-so la scoperta e l'acquisizione al patrimonio del paese di un pro-dotto del genio italico, utilizzare la medesima come carte de visite,

fa-cilmente trasportabile, dell'arte italiana nel mondo, strumento di promozione del made in Italy? Per la sdruc-ciolosa convergenza consumatasi attorno a quest'opera tra il trono e l'altare? Tutti elemen-ti da prendere nella do-vuta considerazione.

E tuttavia: perchè non dare qualche illu-strazione dell'opera? Solo il li-bretto di Giunta mostra il Croci-fisso in una teca di vetro sorve-gliata da due poliziotti in un'illeg-gibile minifoto di copertina. Lo dico perché, anche se non di Mi-chelangelo, il Crocifisso, lo ricor-do bene, è molto bello e non mi ha stupito la (possibile) battuta di Zeri, "Se non è Michelangelo è Dio! ". Tempo addietro, in un'ac-cesa discussione aha commissio-ne cultura del Consigho comuna-le di Torino sull'acquisto di un crocifisso attribuito a Giambolo-gna, alla domanda se i membri della commissione avessero visto l'opera ricordo il presidente ri-spondere imbarazzato: "Purtrop-po l'abbiamo vista solo io e il consighere tale". Sarebbe stato opportuno, indispensabile anzi, mostrare ai lettori l'immagine dell'opera in questione, ma forse la storia dell'arte è una cosa trop-po seria per essere lasciata al pubbhco? Ma che dire sul la-sciarla ai soh storici dell'arte? Sul problema di una storia dell'arte che dovrebbe portare a un'ampia e seria educazione del pubbhco, anzi dei pubbhci, di un paese ric-chissimo in opere d'arte, sugh ef-fetti rovinosi della "cultura del-l'evento", sugh usi impropri delle opere, sui gravi pericoli della loro incalzante "movimentazione" che le espone fatalmente a danni sono perfettamente d'accordo con Montanari. Ma non so se nel-la nostra iperdisastrata situazione il lancio contemporaneo di questi due brulotti servirà a qualcosa ol-tre che ad accrescere la notorietà

dei loro autori. •

c a s t e l n u o v o @ s n s . i t E. Castelnuovo è professore emerito di Storia dell'arte presso la Scuola Normale Superiore di Pisa

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