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Maurizio Scarpari

Nel documento 0a_prime pagine.indd 1 11/04/13 15.22 (pagine 23-35)

Introduzione

Con la fine del periodo Neolitico e l’inizio dell’età del Bronzo le di-verse entità economico-sociali sviluppatesi in quella parte del continente asiatico che diverrà la Cina si trasformarono progressivamente, aggregan-dosi in strutture territoriali sovra-regionali che portarono alla costituzio-ne di insediamenti urbani complessi, le cui dimensioni si fecero sempre piú consistenti. Fino alla fine del III millennio a.C. le interazioni cul-turali avevano permesso scambi tra popolazioni anche molto diverse tra loro; dal II millennio a.C. si determinò un’accelerazione nello sviluppo di relazioni e reciproche influenze che divennero sistematiche e perma-nenti, non solo nella sfera della circolazione di beni e di idee, ma anche a livello istituzionale e politico. Il II e il I millennio a.C. rappresentaro-no la fase formativa della civiltà cinese, il periodo in cui presero forma e si stabilizzarono i tratti distintivi dell’identità e della cultura cinesi, che segneranno in modo indelebile, fino ai giorni nostri, la storia e lo stile di vita di etnie diverse, accomunate da una visione condivisa e radicata della propria appartenenza culturale, delle relazioni tra uomo e uomo, e di quelle tra l’individuo e la società. Si trattò di un processo d’intera-zione e aggregad’intera-zione lungo e complesso, durato millenni, che portò nel 221 a.C. alla costituzione del primo impero. La definizione e la descri-zione di quei valori e di quelle conquiste materiali, culturali e spirituali che possono ritenersi peculiari della civiltà cinese sono gli obiettivi pri-mari di questo volume.

Nonostante le nostre conoscenze dell’antichità abbiano compiuto un progresso considerevole negli ultimi decenni, la transizione dal periodo preistorico al periodo storico presenta ancora zone d’ombra. Non deve quindi sorprendere che il dibattito tra studiosi di scuole diverse risenta di condizionamenti di natura ideologica: permangono infatti divergenze nella definizione di alcune nozioni chiave, sia di carattere generale, qua-li «cultura» e «civiltà», sia relative a problematiche piú specificamen-te sinologiche, fondamentali per fissare i specificamen-termini di ogni confronto, in particolare al concetto di «cinese» o «cinesità» – per riprendere il

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mine impiegato da David Keightley in un noto saggio su come «l’antica civiltà cinese […] divenne “cinese”» (1994; anche Tu Wei-ming 2005). Negli ultimi decenni una messe di nuove informazioni fornite dall’ar-cheologia ha consentito di colmare alcune lacune che non permetteva-no di valutare appiepermetteva-no le peculiarità di ogni singolo fepermetteva-nomepermetteva-no culturale in relazione al contesto piú ampio e alla rete di scambi che collegava le numerose comunità sviluppatesi su un territorio oggi definito cinese in senso politico, geografico e culturale, ma che non era certo tale qualche millennio fa. Sebbene su diverse questioni i dubbi siano tutt’altro che fugati, siamo oggi meglio attrezzati per confermare, o invalidare, teorie e interpretazioni che hanno a lungo dominato il dibattito, restringendo e delimitando cosí il campo delle ipotesi meno documentabili. Il quadro generale che emerge non è ancora definito del tutto, ma siamo comun-que in grado di individuare i momenti piú significativi durante i quali avvennero quei cambiamenti radicali nella qualità della vita materiale e culturale indicativi del sorgere e dell’affermarsi di una civiltà che, nella specificità dei propri tratti, può essere definita cinese.

È ormai chiaro che alcune di queste peculiarità, fondamentali per tracciare la transizione verso quello stadio culturale definito «civiltà», un tempo ritenute importazioni o prestiti «occidentali», in realtà sono elaborazioni tecnologiche e ideologiche originali, ignote in altri ambiti dell’Eurasia. Ciò è particolarmente vero per almeno tre tratti salienti della civiltà cinese pre-imperiale: l’adattamento della metallurgia del ra-me, sviluppata nelle regioni dell’Asia centrale, per la manifattura di vasi realizzati non per martellatura e giunzione di lamine di rame o di bron-zo come nel resto del Mondo Antico, ma per getto della lega di bronbron-zo in matrici «a sezioni» di terracotta; l’uso esclusivo di tali vasi nelle ce-rimonie ancestrali dell’aristocrazia (Ciarla 2013); l’elaborazione di un compiuto sistema di scrittura (Scarpari 2002b). È stata anche superata l’ipotesi, da molti sostenuta fino a poco piú di un decennio fa, secondo la quale la civiltà cinese sarebbe originata in un’unica «area nucleare» situata nella Pianura Centrale (zhongyuan, tra le odierne province dello Henan, dello Hebei e dello Shandong), da dove poi si sarebbe gradual-mente irradiata verso le regioni «periferiche». Gli studiosi convergono ormai sulla tesi dell’origine regionale multipla, sinteticamente espressa dal concetto di «sfera d’interazione cinese», proposto nel 1986 da Kwang-chih Chang, in base al quale le diverse culture agricole fiorite nel corso dell’età neolitica intorno ai corsi fluviali dell’odierna Cina, progressiva-mente si espansero dai loro territori originari, arrivando, durante il IV millennio a.C., a confinare l’una con l’altra, a scambiare beni e idee fi-no a condividere, in una sempre piú fitta rete d’interazioni fi-non sempre

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pacifiche, fondamentali tratti culturali, alla fine ibridi e non altrimenti definibili se non come «cinesi» (Shelach-Lavi 2011).

1. Le fonti.

Fra i temi sui quali gli studiosi della Cina antica continuano a inter-rogarsi, il confronto tra fonti diverse e la valutazione del loro grado di affidabilità hanno un posto di primo piano. Consentendo una lettura piú obiettiva del periodo storico cui si riferiscono, le fonti archeologi-che rivestono un ruolo essenziale, a patto però archeologi-che siano impiegate con il massimo rigore metodologico, onde evitare quei condizionamenti che il ricorso alle fonti tramandate, successive anche di molti secoli rispetto alle epoche che descrivono, tende a ingenerare. Il rischio d’interpreta-re la storia secondo immagini sted’interpreta-reotipate, derivanti non tanto dall’e-videnza archeologica, quanto da una tradizione scrupolosa e attenta, ma talvolta troppo orientata, tanto da apparire in alcuni casi faziosa, è sempre presente. La dipendenza dell’archeologia dalla fonte scritta, nel caso cinese determinata anche da spinte di natura ideologica e naziona-listica, è stata denunciata da piú parti e a piú riprese (von Falkenhausen 1993c; Bagley 1999, pp. 126-36). Gli archeologi cinesi sono stati accusa-ti di essersi preoccupaaccusa-ti troppo a lungo di indirizzare la ricerca in modo pressoché unidirezionale, privilegiando i luoghi che la tradizione aveva indicato come la culla della civiltà (nell’idea mitologica di un centro da cui tutto si sarebbe irradiato), senza rendersi conto che i loro pregiudizi influenzavano non solo le scelte relative ai siti da indagare ma anche le interpretazioni dei materiali che venivano riportati alla luce, nella con-vinzione che il passato non potesse essere poi cosí diverso dalla rappre-sentazione che la tradizione aveva trasmesso nei secoli (Bagley 1999, p. 131). Tale situazione è oggi in parte superata.

D’altro canto nemmeno le deduzioni derivate dallo studio delle fonti archeologicamente datate sono da prendere come verità assolute, da un lato per le difficoltà d’interpretazione del materiale di scavo, soprattut-to quando ci si muove in ambiti poco noti o scarsamente documentati (in molti casi proprio per le ragioni di cui si è appena detto), dall’altro perché anche le fonti che piú di altre potrebbero aiutarci ad avere un quadro obiettivo – le iscrizioni o i manoscritti – vanno prese con cau-tela, rappresentando talvolta punti di vista soggettivi, non sempre fa-cili da valutare. I testi manoscritti recuperati da tombe risalenti a un periodo compreso tra il iv secolo a.C. e il i d.C., che non ci erano stati tramandati dalla tradizione storica (circa il 90 per cento di quelli finora

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rinvenuti), sono portatori di informazioni di grande utilità e, nel caso di quelli che affrontano temi di natura filosofica, di posizioni teoretiche che potrebbero aver avuto un ruolo tutt’altro che marginale nel dibattito dell’epoca, anche se poi, per un motivo o per l’altro, furono abbando-nate o dimenticate. Lo studio dei testi che invece ebbero piú fortuna, divenendo parte integrante di opere tramandate, ci consente di verifi-care i cambiamenti e i rimaneggiamenti avvenuti in epoca imperiale al momento della compilazione di opere miscellanee che, in molti casi, so-no state considerate per secoli i classici di riferimento delle diverse tra-dizioni di pensiero del periodo pre-imperiale.

Va infatti ricordato che la maggior parte delle opere dell’antichità fu «confezionata» durante i primi secoli dell’età imperiale, secondo un ben definito progetto politico-ideologico imposto dall’autorità centra-le, assemblando in raccolte organiche testi che, fino a quel momento indipendenti, persero la loro originaria autonomia per divenire capito-li all’interno di volumi piú o meno omogenei. Il lavoro di selezione dei materiali teneva conto delle particolari tradizioni che avevano determi-nato la trasmissione dei testi, ma era fortemente condiziodetermi-nato anche da fattori soggettivi e contingenti e dal clima intellettuale del momento, radicalmente mutato rispetto al periodo al quale le opere risalivano. I margini di discrezionalità di cui godevano i curatori delle raccol-te erano perciò molto ampi: talvolta la revisione dei raccol-testi è avvenu-ta secondo un percorso logico ben strutturato, avvenu-talaltra è mancato un vero filo conduttore e l’insieme risulta essere una raccolta asistema-tica di sentenze o brevi trattati che non sembrano avere un’evidente relazione tra loro.

Da allora generazioni di esegeti hanno tentato di ricomporre le nume-rose contraddizioni e incongruenze presenti all’interno delle opere tra-mandate. Oggi, essendo piú chiara la natura composita di questi scritti, il nostro approccio è sostanzialmente mutato e, dunque, diversa è la nostra comprensione. Anche queste fonti vanno dunque prese con prudenza, e andrebbero viste piú come espressione dell’esigenza di giungere a una sintesi che come trasmissione fedele di un pensiero unico e omogeneo. L’approccio tendente a ricercare il punto di equilibrio tra unitarietà e natura composita del testo consente di evitare di voler risolvere a tutti i costi dall’interno ciò che appare contraddittorio e incongruente, essen-do espressione di voci distinte, pronunciate sí all’interno della stessa tra-dizione, ma in modo indipendente e spesso originale (Scarpari 2012a).

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2. L’età del Bronzo: le Tre Dinastie.

In Cina l’età del Bronzo corrisponde al periodo delle dinastie pre-imperiali, note nelle cronache con il termine Sandai «Tre Dinastie» (c. xxi secolo - 256 a.C.). Le leggende dei mitici eroi e sovrani che avreb-bero inaugurato quell’epoca lontana, al pari della storia delle Tre Dina-stie, è narrata in opere risalenti alla seconda metà del I millennio a.C. e al primo periodo imperiale.

2.1. La dinastia Xia.

La prima dinastia, Xia, grosso modo databile dal xxi al xvii secolo a.C. (c. 2070-1600 a.C. secondo la periodizzazione ufficiale cinese; Xia Shang Zhou 2000), resta di fatto ancora avvolta nel mito, nonostante numerosi archeologi ritengano di averne individuato le vestigia nel sito principale della cultura Erlitou, che si sviluppò tra il 1900 e il 1500 a.C. nella media valle del Fiume Giallo, in un’area compresa tra i fiumi Yi e Luo, nell’attuale provincia dello Henan. Insediamenti riferibili a tale cultura sono stati individuati nello Shanxi e, in un secondo momento, anche nello Shaanxi e nello Hubei. Le vaste dimensioni del sito e dei fossati artificiali che circondano alcuni settori, le spesse mura e le fonda-menta in terra battuta che rivelano l’esistenza di monufonda-mentali strutture architettoniche, la corrispondenza geografica e cronologica con quan-to riportaquan-to dalle fonti squan-toriche, la presenza di un’industria del bronzo ancorché a uno stadio iniziale – questi e altri indizi hanno portato a ri-tenere plausibile l’identificazione del sito di Erlitou con il «regno» (se-condo alcuni una forma statale a livello embrionale) retto dalla dinastia Xia (Thorp 2006, pp. 21-33; Liu Li 2007 e 2009).

La cultura Erlitou prende il nome dalla località dove nel 1959 fu in-dividuato l’insediamento piú importante dell’area, situata nella contea di Yanshi. Il primo sito con evidenze archeologiche post-neolitiche e pre-Shang (di un tipo poi detto Erlitou) fu scoperto nel 1952 a Yucun, nel distretto di Dengfeng; nel 1956 fu la volta del sito di Luodamiao a Zhengzhou; fu solo dopo i primi scavi a Erlitou, che misero in luce una sequenza stratigrafica rivelatrice di un insediamento attivo per un lunghissimo lasso temporale a partire dall’inizio del II millennio a.C., e la scoperta nel 1960 dei resti di strutture palaziali risalenti ai seco-li xvii-xiv a.C., che gseco-li archeologi introdussero la nozione di «cultura Erlitou» (Erlitou wenhua). Attualmente i siti a essa collegabili sono circa un centinaio.

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Si è soliti distinguere tre fasi (corrispondenti agli strati I, II e III), comprese tra il 1900 e il 1600 a.C. e associabili alla dinastia Xia, men-tre una quarta (IV strato), datata intorno alla metà del 1500 a.C., e almen-tre due, appartenenti alla cultura Erligang (note come Erligang Inferiore, fasi I e II: c. 1600-1450 a.C., ed Erligang Superiore, fasi I e II: c. 1450-1300 a.C.), sono associabili alla dinastia Shang (c. 1600-1045 a.C.), la seconda delle Tre Dinastie pre-imperiali. A Wangchenggang, nei pressi di Dengfeng, gli archeologi ritengono di aver individuato la sede della capitale ancestrale dei Xia che la tradizione vorrebbe fondata da Yu il Grande, il mitico regolatore delle acque diluviali. Gli studiosi non sono tutti concordi, alcuni mostrano una certa prudenza sia riguardo all’indi-viduazione della capitale, sia sull’equazione Erlitou = Xia, confidando in nuove scoperte che forniscano dati piú probanti (Liu Li 2009 e 2011b, pp. 445-46). D’altro canto la mancanza di fonti scritte coeve confina all’ar-cheologia e alle narrazioni di epoca tarda le fonti delle nostre conoscenze. È opinione diffusa che la fase di Erlitou rappresenti «un’accelerazio-ne dei processi di crescita della complessità sociale già in atto durante la tarda età neolitica, come lo sviluppo di una gerarchia insediamentale a livello regionale e un aumento della stratificazione sociopolitica sia all’in-terno dell’insediamento sia tra i siti della regione» (Shelach-Lavi 2011, p. 510). Una fase di crescita demografica è ben attestata nella prima me-tà del II millennio a.C., in ambito Erlitou e in localime-tà a esso correlabili come, ad esempio, nel Nord-Est (cultura Xiajiadian Livello Inferiore, c. 2200-1600 a.C.), mentre sarebbe ancora da dimostrare che i contatti con popolazioni lontane possano essere stati il risultato di migrazioni su sca-la significativa o di resca-lazioni costanti e istituzionalizzate (ibid., p. 517).

2.2. La dinastia Shang.

Piú documentata è la dinastia Shang, che dominò la media valle del Fiume Giallo tra il 1600 a.C. circa e il 1045 a.C., su un’area compresa tra le attuali province dello Henan e dello Shanxi. Per questo periodo le informazioni ricavabili dalle opere storiche sono integrate da importanti dati derivanti dal rinvenimento delle rovine di alcune città-capitali situate nello Henan. La piú antica, Yanshi (prima fase Shang), fu scoperta nel 1983 a circa sei chilometri dal sito di Erlitou, in direzione nord-est, nei pressi della città di Yanshi, nell’omonima contea; essa rappresenta l’a-nello di congiunzione tra la fase Erlitou IV e la fase Erligang Inferiore ed è ritenuta da alcuni studiosi la sede della prima capitale Shang, Xibo, fondata secondo la tradizione da re Tang, capostipite della dinastia. La seconda, Erligang (prima fase Shang), deriva il suo nome dal sito

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to nel 1950 nei pressi della città di Zhengzhou, ed è nota anche come Erligang/Zhengzhou o piú semplicemente Zhengzhou. La terza, Huan-bei Shangcheng (alla lettera «città fortificata Shang a nord del fiume Huan»; media fase Shang), nota anche come Huanbei, scoperta nel 1999 nell’area compresa tra i villaggi di Sanjiazhuang e Huayuanzhuang, nei pressi della città di Anyang, risale a un’epoca immediatamente successi-va alla fase Erligang Superiore, ma precedente alla fase finale della dina-stia, denominata Shang-Yin. Yinxu («rovine di Yin»; tarda fase Shang o Shang-Yin), situata a poca distanza dal sito di Huanbei, nei sobbor-ghi nord-occidentali di Anyang (da cui l’espressione «fase di Anyang»), fu sede dell’ultima capitale Shang grosso modo dal 1300 al 1045 a.C., quando venne rasa al suolo dall’esercito Zhou.

Queste città, di grande estensione e di notevole complessità urbana, cinte da imponenti mura di terra battuta o pietra, non erano entità iso-late, essendo circondate «da centri fortificati minori e villaggi non forti-ficati, connessi alla “capitale” […] attraverso una rete insediamentale a tre [Thorp 2006, pp. 62-63] o a quattro livelli gerarchici [Liu Li e Chen Xingcan 2003, pp. 30-33]» che si svilupparono soprattutto lungo l’asse della media valle del fiume Wei e della bassa valle del Fiume Giallo (Ciarla 2013, pp. 46-47). L’evidenza archeologica ha ormai sfatato l’immagine di un unico centro politico che avesse dominato l’intera regione, dimo-strando l’esistenza di piú centri altrettanto potenti e progrediti in aree lontane dalla media valle del Fiume Giallo, come ad esempio Xin’gan, nella provincia del Jiangxi, o Sanxingdui nella provincia del Sichuan, entità politiche complesse di tipo statale che controllavano vasti territo-ri, mantenendo relazioni con culture sia della valle dello Yangzi sia del Fiume Giallo (von Falkenhausen 2003; Shelach-Lavi 2011, pp. 531-43).

In questi e in numerosissimi altri siti coevi, situati anche oltre l’a-rea d’influenza Shang, è stata riportata alla luce un’enorme quantità di manufatti di ogni tipo, testimonianze della vita materiale ma anche spirituale e religiosa, legati alle cerimonie e ai rituali che scandivano le attività della corte e della nobiltà, e soprattutto sono stati trovati gli ar-chivi reali, costituiti da decine di migliaia di iscrizioni oracolari incise su ossa animali risalenti al periodo di regno degli ultimi nove sovrani, grosso modo compreso tra il 1250 e il 1045 a.C. Queste iscrizioni – le piú antiche in nostro possesso – segnano il passaggio dalla preistoria al-la storia, essendo ora al-la conoscenza del passato acquisita anche tramite l’uso di documenti scritti coevi. Poiché la piromanzia era una pratica costante, quasi quotidiana, della corte Shang, grazie alle iscrizioni incise sulle ossa oracolari è stato possibile verificare, integrare e correggere le informazioni tramandate, in particolare dal grande storico dell’antichità

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cinese Sima Qian (c. 145-86 a.C.), e costruire cosí un quadro abbastan-za chiaro dell’organizabbastan-zazione amministrativa e politica del regno e della vita di corte e, in misura minore, delle popolazioni che abitavano i ter-ritori controllati direttamente o indirettamente dagli Shang.

In quest’epoca i manufatti in bronzo ebbero un ruolo centrale nel-la vita religiosa, sociale e politica. L’uso di questa lega, sia per nel-la pro-duzione di armi che di utensili cerimoniali, condizionò l’economia ed ebbe un ruolo rilevante nella formazione dell’ideologia dell’élite di una società statale, con una struttura centralizzata e fortemente gerarchiz-zata. Basti pensare che i vasi sacrificali di bronzo finora rinvenuti per il periodo Shang e per quello, immediatamente successivo, Zhou Occi-dentale (1045-771 a.C.), che arrivano a pesare diverse centinaia di chi-logrammi, ammontano a diverse migliaia e che la loro produzione – viste le ragguardevoli dimensioni di alcuni di essi e la complessità delle loro decorazioni – richiedeva l’impiego di maestranze altamente specializza-te e di ingenti quantità di maspecializza-terie prime (rame, stagno e piombo), che dovevano essere trasportate nei centri statali di produzione da luoghi spesso lontani anche migliaia di chilometri. Nell’unica tomba Shang ri-masta inviolata, appartenente alla regina Fu Hao (c. 1250-1200 a.C.), una delle mogli di re Wu Ding (? - c. 1189 a.C.), sono stati rinvenuti 466 oggetti di bronzo (195 i recipienti cerimoniali) per un peso comples-sivo che supera la tonnellata e mezzo. Mobilitare le risorse e la mano d’opera per far fronte ai processi di fusione necessari a una produzione cosí imponente richiedeva conoscenze tecniche molto avanzate, un’or-ganizzazione centralizzata ed efficiente delle maestranze e delle reti di scambio, e un sistema di relazioni, anche con popolazioni lontane, estre-mamente sofisticato. Attraverso i viaggi d’ispezione, le cacce reali e le campagne militari, i sovrani Shang assicuravano al loro regno prestigio, autorevolezza, ricchezze e vittime, animali e umane, da sacrificare nel corso delle cerimonie, elemento essenziale della ritualità dell’epoca. So-no oltre 14 000 le vittime umane registrate nelle iscrizioni oracolari.

2.3. La dinastia Zhou.

Nel 1045 a.C., a una cinquantina di chilometri a sud di Anyang ebbe luogo la battaglia che determinò la caduta della dinastia Shang e l’affer-marsi dell’ultima delle Tre Dinastie, la Zhou, che regnò, almeno nomi-nalmente, per oltre otto secoli. La sua prima fase, passata alla storia con il nome di Zhou Occidentale, durò 274 anni, fino al 771 a.C., quando la capitale venne saccheggiata dai «barbari» Quanrong, il re You (r. 781-771 a.C.) ucciso e l’aristocrazia Zhou costretta a fuggire e a rifugiarsi

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nella capitale orientale, dando inizio alla fase nota con il nome di Zhou Orientale (770-256 a.C.).

Già prima della vittoria sugli Shang i Zhou si erano stabiliti nel-la fertile valle del fiume Wei, fissando nel-la loro capitale alle pendici del

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