La crisi politica evidenziata dai continui scontri militari e il particola-re clima sociale e intellettuale che caratterizzarono gli ultimi secoli della dinastia Zhou (1045-256 a.C.) si rivelarono determinanti per la defini-zione di quel complesso di valori, principî, dottrine, modi d’intendere la res publica e l’arte di governo che resero possibile la fondazione e il consolidamento di un impero vastissimo destinato a perpetuarsi, tra al-terne vicende, per oltre duemila anni, contribuendo alla definizione dei caratteri peculiari dell’identità cinese, rintracciabili nella storia succes-siva fino ai nostri giorni. I Cinesi sono, e sono sempre stati, consapevo-li di appartenere a una civiltà di plurimillenaria tradizione, a uno stra-ordinario unicum politico e culturale che include etnie diverse, traen do la propria energia dalla continuità con un passato caratterizzato da una ricchezza intellettuale e tecnologica tale da estendere la propria influen-za sull’intera area asiatica.
Nei primi secoli della dinastia le popolazioni amministrate dai Zhou avevano goduto i frutti di un sistema politico efficace, che aveva crea-to condizioni economiche favorevoli e un benessere diffuso, essendo le campagne militari perlopiú limitate all’acquisizione di nuovi territori indispensabili per consolidare la struttura statale e rafforzare la cintura protettiva lungo i confini necessaria per assorbire o attenuare le conti-nue pressioni provenienti dall’esterno. A partire dall’viii secolo a.C., però, si assistette a un graduale indebolimento del potere centrale, che causò il declino delle istituzioni e alimentò spinte autonomiste da parte degli stati vassalli, destinate a condurre il regno a un progressivo smem-bramento in unità indipendenti. La distanza venutasi a creare tra l’au-torità religiosa, ancora pienamente riconosciuta al re, e il potere politi-co e militare, ormai in mano ai discendenti dei capi di lignaggio che nel corso dei secoli avevano ricevuto l’investitura dai re Zhou, si accentuò creando una contraddizione divenuta insostenibile. Il punto piú acuto della crisi si raggiunse tra il 344 e il 320 a.C. circa quando, per sancire la propria indipendenza, i governanti degli stati maggiori, che godevano
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del titolo di gong («duca»), si autoproclamarono wang («re»), appellati-vo fino ad allora prerogativa esclusiva del Tianzi («Figlio del Cielo»), il re Zhou. Nella letteratura dei secoli v-iii a.C. i termini Tianzi e wang si riferiscono nella maggior parte dei casi a un sovrano illuminato, atteso ma non ancora apparso nel mondo, in grado di riportare pace e stabilità, e solo raramente al re Zhou o ai signori locali che ne avevano usurpato il titolo (Pines 2000).
Ogni tentativo di porre rimedio all’estrema conflittualità derivata dalla frammentazione politica aveva fallito: non aveva dato risultati ef-ficaci il sistema dell’«egemonia» (ba), in auge nel vii e parte del vi se-colo a.C. (eccezion fatta per il primo egemone, il duca Huan di Qi, r. 685-643 a.C., che era riuscito a coniugare la propria superiorità militare con l’applicazione del tradizionale codice aristocratico), né si era rive-lata una soluzione stabile la creazione nel vi secolo a.C. di un duopolio che faceva capo agli stati di Jin al Nord e Chu al Sud, tantomeno era riuscito a riportare pace e ordine il complicato sistema delle «alleanze verticali (nord-sud) e orizzontali (est-ovest)» (he zong lian heng) sorto nel v-iv secolo a.C. per contenere il crescente potere del regno di Qin. Le ambizioni e gli interessi dei singoli stati erano prevalsi sull’interesse ge-nerale, la slealtà dei governanti e dei capi militari aveva vanificato ogni tentativo di ripristinare rapporti basati sulla correttezza istituzionale e sul rispetto personale, l’arroganza della spada non lasciava spazio all’at-tività diplomatica ispirata al codice aristocratico Zhou.
La fase finale della dinastia, passata alla storia con il nome di Stati Combattenti (453-221 a.C.), rappresentò dunque un’epoca complessa, che si presta a valutazioni diverse, a seconda che s’intenda porre l’ac-cento sui suoi momenti piú drammatici o piuttosto su quegli aspetti che l’hanno resa uno dei passaggi piú straordinari e fecondi della storia cinese. Il processo di assimilazione degli stati piú piccoli da parte di quelli piú grandi comportò un coinvolgimento sempre piú massiccio dell’intera popolazione nei conflitti armati. Gli eserciti, costituiti da decine e spesso centinaia di migliaia di soldati, sottraevano preziosa manodopera all’a-gricoltura e bruciavano ingenti quantità di ricchezza, mettendo a dura prova le economie delle famiglie, cui venivano richiesti sforzi imponenti che per molti divennero, a un certo punto, insostenibili. Il codice aristo-cratico che un tempo aveva regolato i rapporti tra le nobiltà dei diversi stati venne ovunque disatteso, rivelandosi superato, inadatto a favorire un qualsiasi tipo di mediazione. Si determinò una sostanziale sfiducia negli ideali e nei valori che avevano guidato la società e si pose l’esigenza di affrontare una crisi ideologica e un degrado morale senza precedenti. Fu però anche un periodo fecondo d’innovazioni tecnologiche:
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troduzione del ferro, ad esempio, diede impulsi nuovi all’economia, all’a-gricoltura e alle attività militari. Vennero elaborati sistemi di pensiero innovativi e originali, stimolati proprio dalla situazione di precarietà e dal crescente stato di insicurezza, che rendevano pressante trovare una risposta ai quesiti di ordine ontologico, morale e metafisico che ogni in-dividuo andava ponendosi. Venivano ricercati nuovi valori in grado di portare la pace, funzionali al ristabilirsi dell’ordine sociale, nell’auspicio che la pratica di governo ritrovasse una base etica e un’efficacia politi-ca. Fu dunque alla migliore cultura Zhou che si guardò con speranza, e agli insegnamenti dei mitici padri fondatori della civiltà e degli antichi sovrani illuminati. Il graduale declino dell’aristocrazia sul piano dell’effi-cienza politica favorí l’emergere degli shi, persone di talento provenienti da diversi strati sociali, colte e preparate, spesso versate per la specu-lazione filosofica e politica, indipendenti ideologicamente e disposte a spostarsi presso le diverse corti reali pur di offrire il proprio contributo alla risoluzione della crisi in atto. Questo fu il periodo d’oro della storia del pensiero cinese, durante il quale personalità di grande statura mora-le e intelmora-lettuamora-le si fecero portatrici di una propria visione del mondo e di un progetto politico originale. C’era chi proponeva la costituzione di uno stato autoritario e accentratore, dotato di un’organizzazione ammi-nistrativa efficiente e capillare in grado di esercitare il proprio controllo sulle attività di ogni singolo individuo, chi invece suggeriva forme di go-verno piú morbide, con strategie basate piú sulla persuasione che su una ferrea disciplina, sí da conciliare l’interesse dello stato con il benessere materiale e spirituale della popolazione, chi proponeva la guerra come principale strumento di governo, chi sosteneva la tesi opposta, e cosí via. Numerose furono le idee e le dottrine che si affermarono in quest’e-poca di grandi trasformazioni e profondi sconvolgimenti, rivelatesi es-senziali tanto per la formazione dell’ideologia imperiale quanto per quel pensiero critico che mai mancherà di evidenziarne limiti ed eccessi.
Indubbiamente le concezioni elaborate in questo periodo hanno con-tribuito a mantenere in vita l’impero sino al 1911, mirando al consoli-damento della sua struttura politico-amministrativa attraverso la forma-zione di una classe di funzionari eruditi e culturalmente omogenei. Cosí come gli avvenimenti che hanno preceduto l’epoca imperiale presenta-no per gli studiosi di questo periodo aspetti contraddittori, le proposte avanzate dagli intellettuali e dai teorici dell’arte di governo attivi tra il v e il iii secolo a.C. hanno avuto percorsi complessi, venendo confrontate, contrapposte e arricchite di nuovi apporti in dinamiche che hanno coin-volto piú generazioni di discepoli e commentatori. Grazie ai materiali archeologicamente datati di cui ora disponiamo – in particolare
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ni su bronzo, osso, giada e pietra relative all’intero arco dinastico Zhou e manoscritti su bambú, legno o seta in buona parte inediti, databili dal iv secolo a.C. al primo periodo imperiale – è possibile oggi delineare un quadro piú completo dell’epoca pre-imperiale rispetto a quello trasmes-soci da una tradizione posteriore rivelatasi spesso fortemente condizio-nata da interessi di parte, e preoccupata di fornire ai posteri un’imma-gine del mondo conforme alle proprie ideologie.
Le recenti scoperte archeologiche stanno modificando profondamen-te le conoscenze di ogni aspetto della storia, della società e della cultu-ra cinesi dell’epoca pre- e primo-imperiale, inducendo a ritenere che la civiltà cinese antica si sia sviluppata in modo assai piú complesso e ar-ticolato di quanto si potesse supporre. Non tutte le notizie tramandate sugli eventi che hanno portato alla fondazione dell’impero e al consoli-damento della sua struttura burocratico-amministrativa sono da ritenersi attendibili, soprattutto ove la storiografia tradizionale ha posto l’accento sugli aspetti tirannici e spietati dell’instaurarsi del dominio imperiale.
Alla luce degli studi piú recenti prende avvio la nostra descrizione, che si svilupperà enucleando quattro temi principali: la concezione del mondo e dell’universo, il passaggio da un sistema multipolare a un siste-ma unificato, l’arte di governo, la codificazione della legge.
1. La concezione del mondo e dell’universo.
Sin dalle prime fonti scritte compare la concezione di un universo costituito dalla terra piatta e quadrata, bagnata dai quattro mari che, come il fiume Oceano degli antichi Greci, si situavano senza soluzione di continuità ai suoi confini. La volta celeste veniva immaginata circo-lare, sorretta da montagne sacre collocate come pilastri nei diversi punti cardinali. Gli abitatori delle fertili aree lungo la valle centrale del Fiume Giallo – gli Shang prima e i Zhou in seguito – si pensavano nel centro di questo immenso plateau, circondati in ogni direzione da popolazioni «barbare» o «semi-barbare».
In epoca Shang (c. 1600-1045 a.C.) la capitale ancestrale, la capi-tale politica e amministrativa e la riserva reale di caccia costituivano il centro religioso, economico e militare dello stato; tutt’intorno, nelle quattro direzioni, si estendevano le aree agricole dalle quali dipendeva-no i rifornimenti; oltre i confini, la cui delimitazione variava in base a fasi di espansione e di ripiegamento, si estendevano i territori esterni al regno, abitati da popolazioni ritenute inferiori, rozze e potenzialmente ostili, con le quali la corte intratteneva relazioni di varia natura e da cui
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ricavava schiavi e vittime sacrificali destinate ai riti funerari. Nelle iscri-zioni oracolari queste zone sono genericamente chiamate fang («territori di frontiera»), termine variamente interpretato che denota sia un’enti-tà geo grafica e le popolazioni che in essa dimoravano, sia un ambiente naturale soggetto a forze poste sotto il comando di Di o Shangdi, il Si-gnore dell’Alto. Il termine sifang («i quattro territori di frontiera») fa dunque riferimento non solo a tutto ciò che si estendeva nella direzio-ne dei quattro punti cardinali oltre il dominio diretto degli Shang, ma, comprendendo l’universo inesplorato, era immaginato come la sede di forze spirituali primigenie, il cosmo dal quale proveniva il potere divino del Signore dell’Alto, dispensatore tanto delle calamità quanto dei doni che venivano inviati per punire o premiare gli uomini.
La distinzione tra centro (zhong) e mondo esterno (fang) definiva l’appartenenza o meno al mondo civile, e cosí sarà per molti secoli a venire. Il sovrano, coerentemente con tale concezione, era immagina-to rappresentare il fulcro del sistema politico-religioso, la sua persona occupava il centro del mondo e dell’intero universo tanto in senso con-creto e geografico come nella dimensione spirituale. La facoltà che gli veniva attribuita di comunicare con i propri antenati, assurti a divinità al fianco di Di, legittimava il suo potere religioso e politico (Wang Aihe 2000, pp. 23-74).
L’avvento della dinastia Zhou modificò l’assetto istituzionale pre-cedente. Il Cielo (Tian), la massima divinità, decretava la scelta del so-vrano che si trovava cosí a regnare per mandato divino (Tianming) come Figlio del Cielo (Tianzi). Egli rappresentava il vertice di un’organizzazio-ne pseudo-feudale un’organizzazio-nella quale, pur veun’organizzazio-nendo mantenuta la centralità dei rapporti e dei culti familiari, molta dell’autorità si fondava sul principio della successione ereditaria e su un complesso di rigide norme rituali e cerimoniali (li) che, rispecchiando l’ordine presente in natura e nell’uni-verso, stabiliva un legame diretto tra il mondo degli uomini e la dimen-sione soprannaturale, instillando in ogni individuo un profondo senso di partecipazione ai grandi processi che regolavano l’universo. Nelle iscri-zioni sui bronzi cerimoniali del periodo Zhou Occidentale (1045-771 a.C.) e nei testi letterari che si ritiene risalgano a quel periodo, l’espres-sione sifang ricorre con una certa frequenza, correlata ad altri concetti basati sul numero quattro. Per distinguere l’area centrale dalle regioni esterne che si espandevano nelle direzioni dei quattro punti cardina-li, andò prendendo piede l’espressione zhonghuo («regione al centro»), anticipatrice di un concetto complesso che rimarrà in uso fino ai nostri giorni, indicando oggi l’intera Cina: zhongguo, che letteralmente signi-fica «regno al centro [del sistema di governo dei Zhou]», e indica i
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ritori posti sotto il diretto controllo del Figlio del Cielo, per secoli sede indiscussa del potere dinastico, percepiti come la culla dell’unica civiltà esistente. Nel periodo degli Stati Combattenti lo stesso termine rimarrà a designare gli «stati del Centro» o «stati centrali» e verrà impiegato, con modulazioni di significato diverse in base alle diverse epoche, fino ai giorni nostri (oggi significa «Cina», mentre il composto zhongguoren significa «Cinesi»). Talvolta sinonimo di zhongguo è Xia, che riprende il nome della dinastia che precedette gli Shang, riferendosi sia alle po-polazioni che vivevano negli stati centrali sia alla cultura che essi hanno espresso fin dalla remota antichità. È dunque un termine fortemente identitario, che si trova anche nella forma bisillabica huaxia, «Cinese».
Nella letteratura del periodo pre-imperiale netta è la distinzione tra guo «regno, stato» (anche bang), entità politica e amministrativa, e zhongguo, entità meno definita, la cui natura era soprattutto culturale, basata su una comunanza di civiltà, che grazie all’azione di sovrani il-luminati avrebbe potuto espandersi rendendo universali i propri valori.
Poco dopo l’ascesa dei Zhou venne costruita una nuova capitale a oriente, con l’obiettivo di creare migliori condizioni di controllo politico e militare del territorio, ma anche per motivi di ordine religioso: avendo i re Zhou ricevuto il mandato del Cielo a governare, era naturale per loro ritenere che la conquista e annessione dei quattro fang fosse tra i prin-cipali obiettivi della loro politica. Andò cosí precisandosi il concetto di «centro mobile», che rimarrà uno degli elementi caratterizzanti la strate-gia imperiale per secoli, essenziale per garantirne la continuità in epoche di difficoltà o di divisione, come quando nel 771 a.C. la corte dovette spostarsi a causa dell’ennesima, ma questa volta inarrestabile, incursione dei «barbari» Quanrong e si affermarono nuove teorie cosmologiche, per render conto dei profondi mutamenti storici in atto, interpretati come segni di un perturbamento nel rapporto tra Cielo e Uomo. La nozione di un centro sacro e inamovibile, stabilmente circondato dai quattro fang a lui subordinati, fu cosí sostituita da una teoria piú sofisticata, che ab-bandonò l’insieme delle correlazioni basate sul numero quattro per in-trodurre un nuovo sistema fondato sulle proprietà attribuite al cinque. Il centro non era piú immaginato in una posizione precisa e dominante, venendo enfatizzata la sua interdipendenza con tutte le altre componen-ti del sistema. Si pensava che l’evoluzione del cosmo procedesse attra-verso una concatenazione continua e infinita di relazioni, i cui effetti si manifestavano nell’agire dell’uomo che partecipava piú o meno consa-pevolmente ai cicli costanti e ordinati d’interazione delle energie. Que-sta concezione, nota come sistema delle «Cinque Fasi» (wuxing), venne in seguito integrata con la distinzione tra yin e yang, che invece
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tualizzava ogni aspetto della realtà su base binaria, trovando in epoca imperiale applicazione nelle teorie relative alla pratica di governo. Yin indica solitamente l’oscuro, il passivo, il debole, il femminile, mentre yang il luminoso, l’attivo, il forte, il maschile. Ogni realtà è passibile di venir definita in questi termini, che non ne rivelano le caratteristiche in modo oggettivo e immutabile, essendo le due categorie legate l’una all’altra da un rapporto di reciprocità che subordina l’aspetto descritti-vo alla loro costante relazione. Sarebbe infatti improprio affermare che tutti gli uomini sono, in assoluto, yang o le donne yin: ad esempio, l’uo-mo è senz’altro yang rispetto alla donna, ma se è anziano è yin rispetto a un maschio piú giovane (Sivin 1987).
Nel periodo degli Stati Combattenti si affermò una nuova concezio-ne del mondo e il termiconcezio-ne tianxia, che letteralmente significa «[tutto ciò che è] sotto il cielo», entrato a far parte del lessico politico a partire dal v secolo a.C., era destinato ad assumere un rilievo sempre maggio-re, arricchendosi di accezioni diverse nel corso dei secoli. In alcuni casi il suo significato si avvicinava a quello di sifang, altre volte compariva come sinonimo di zhongguo, in alcuni testi designava un unico, grande stato, una sorta di ecumène, il cui centro, investito della missione di ac-culturare le popolazioni dei territori periferici, irradiava la civiltà sino ai confini del mondo. Secondo questa concezione l’estensione massima del tianxia arrivava a comprendere il zhongguo ma anche i territori limi-trofi abitati dai «barbari» (Scarpari 2009 e 2010c).
Nella prima fase della dinastia Zhou l’aristocrazia ereditaria aveva svolto un ruolo importante nel determinare l’omogeneità culturale del zhongguo. Successivamente gli shi, la nuova classe emergente di funzio-nari e burocrati, concorsero alla formazione di una nuova «coscienza universale» che aspirava a un mondo pacificato e unificato, superando i limiti imposti dalla logica «localistica» a cui erano rimasti invece legati i nobili dell’epoca (Pines 2009, pp. 115-84). Lo stato di Qin, grazie all’ap-plicazione sistematica di riforme radicali promosse sulla base di principî razionali, si trasformò in una grande potenza economica e militare. Pre-occupati delle sue crescenti ambizioni e nella speranza di contrastarne la supremazia militare, gli altri stati si coalizzarono a difesa dei valori tradizionali, accusando i Qin di agire in base a un cinico pragmatismo tipico di un «paese di tigri e di lupi» (hu lang zhi guo). I Qin, forti delle loro vittorie, invocavano la teoria del mandato celeste per legittimare il progetto di riunificare ed estendere il tianxia e nel giro di un decennio sconfissero tutti i loro avversari.
Nel 221 a.C. l’artefice di questa eccezionale impresa, il re Ying Zheng di Qin (r. 246-221 a.C.), si autoproclamò Qin Shi Huangdi, Primo
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gusto Imperatore dei Qin (r. 221-210 a.C.). Fin dai suoi primi atti uf-ficiali il Primo Imperatore si pose agli occhi del mondo come un Dio in terra, in grado di comunicare con il mondo degli spiriti senza piú biso-gno dell’intermediazione dei propri antenati, grazie alla forza magica (de) di cui il Cielo lo aveva dotato e che gli avrebbe consentito di plasmare il mondo degli uomini in sintonia perfetta con il principio ordinatore dell’universo. L’influenza del Dio-Imperatore era immaginata esten-dersi fino alle estremità del mondo (sifang zhi ji), comprendendo le Sei Direzioni Combinate (liuhe): ai quattro punti cardinali si aggiungevano infatti lo zenit e il nadir, l’alto e il basso, il Cielo e la Terra, in una vi-sione del mondo unitaria e armoniosa che poneva l’imperatore al centro dell’universo (Kern 2000; Wang Aihe 2000, pp. 138-43).
Le nozioni di zhongguo e tianxia vennero definitivamente a coincide-re, avendo ora zhongguo acquisito lo stesso valore universale di tianxia, indicando l’impero in tutta la sua vastità. L’aspetto geografico e politi-co rimase sempre subordinato all’intima e profonda politi-consapevolezza di appartenere a una grande civiltà, che per lungo tempo si è immaginata l’unica al mondo, portatrice di quel complesso di valori che ancor oggi ogni Cinese percepisce come il fondamento della propria identità.
2. Verso l’unificazione del «tianxia».
La graduale perdita di potere politico, economico e militare da parte della casa reale Zhou determinò un mutamento radicale dell’assetto po-litico: nel vii secolo a.C. il tianxia era ormai frammentato in tante