4. La determinazione del reddito d’impresa nei rapporti patrimoniali tra debito e capitale
4.1 L’indebitamento nel reddito d’impresa secondo una (nuova) prospettiva patrimoniale
4.1.2 Meccanismi correttivi del sistema tributario e proposte di incentivi alla capitalizzazione
Nell’ordinamento italiano lo strumento della così detta “leva fiscale” come
incentivo alla crescita economica è stato adottato in modo variegato e
multiforme - oltre che piuttosto incoerente - talvolta indirizzando benefici
fiscali a favore di atti di investimento o di consumo, talaltra sulla base di
progetti sistematici finalizzati ad imprimere una certa caratterizzazione della
struttura finanziaria delle imprese e, in specie, ad agevolarne il
rafforzamento patrimoniale e ad ampliare il ricorso al capitale di rischio.
In specie, dapprima furono introdotte misure di natura puntuale, finalizzate
ad incidere non tanto sulla struttura patrimoniale delle imprese, né sul
sistema delle fonti di risorse finanziarie; quanto, piuttosto sul lato degli
impieghi, mediante incentivi ad investimenti di natura strumentale.
Tale normativa – che prese il nome di “Manovra Tremonti” dall’allora
Ministro delle Finanze – fu adottata parzialmente nel corso del 1994 e
successivamente proposta a più riprese, nel corso di successive legislature
locuzione «partecipazione al patrimonio» “un’accezione di tipo sostanziale, comprensiva degli
strumenti finanziari caratterizzati da un apporto di equity”. Alla luce di ciò, peraltro, “la deviazione rispetto alla qualificazione civilistica - “return” anziché “risk of loss” - si ridurrebbe ampiamente, ponendo in luce una maggiore armonia della scelta del legislatore tributario rispetto a quella civilistica”. Sull’argomento, in senso conforme cfr. anche i contributi ivi richiamati
di S.M.CECCACCI, La qualificazione dei dividendi in fattispecie “atipiche” (dai titoli similari alle
azioni all’associazione in partecipazione), in G. MAISTO (a cura di) “La tassazione dei dividendi intersocietari. Temi attuali di diritto tributario italiano, dell’unione europea e delle convenzioni internazionali”, Milano, 2011, p. 40 ss. e di F.PADOVANI, Investimenti
nel 2001 e nel 2009
214.
Pur con talune differenze circa l’ambito di applicazione e le specifiche
tipologie di impieghi per cui l’agevolazione era concessa, sotto il profilo
sostanziale, detti provvedimenti contemplavano la detassazione di un
ammontare proporzionale – in particolare, in misura pari al cinquanta per
cento – del valore incrementale degli investimenti realizzati dall’impresa
nell’esercizio di riferimento rispetto a precedenti periodi d’imposta.
Sotto il profilo funzionale e sistematico nella disciplina del reddito
d’impresa, manovre di questo tipo hanno mostrato limiti significativi - oltre
che per la discontinuità temporale della loro applicazione - in quanto
costituivano, essenzialmente, una forma “potenziata” dei così detti
“ammortamenti anticipati”, previsti in base alla previgente disciplina: ciò si
traduceva, infatti, nel riconoscimento di un più rapido concorso di taluni
cespiti aziendali alla determinazione del reddito imponibile, rispetto alla loro
vita utile nell’ambito del fisiologico ciclo produttivo.
Di conseguenza, non solo non si è scorta alcuna convenienza ad adattare la
struttura finanziaria dell’impresa verso una maggiore capitalizzazione, ma
addirittura poteva ravvisarsi un incentivo ad incrementarne l’indebitamento,
visto che – in tal caso – all’agevolazione accordata si sarebbe aggiunta la
deducibilità dei corrispondenti interessi passivi
215.
Peraltro, in tal modo l’effetto della tassazione sul reddito in relazione alla
combinazione patrimoniale tra equity e debito risultava oltremodo divergente
rispetto alla ricerca di neutralità dell’imposizione sulle fonti di finanziamento
dell’impresa.
214 Alla citata “Manovra Tremonti” introdotta ex articolo 3, D.L. 10 giugno 1994, n. 357 susseguirono le così dette “Tremonti-bis”, ai sensi dell’articolo 4 della legge 18 ottobre 2001, n. 383 e “Tremonti-ter”, la cui disciplina - sebbene di tipo maggiormente casistico in merito alla tipologia di impieghi oggetto di agevolazione - era contenuta nell’articolo 5 del D.L. 1° luglio 2009, n. 78.
215 Sul punto, cfr. F.GALLO, La tassazione dei redditi d’impresa: i difetti e le proposte di modifica,
cit., p. 121 ss. laddove evidenziava come le suddette misure si rivelassero, nella sostanza,
forme di incentivi all’accelerazione dei consumi, mediante la liquidazione di attività esistenti a favore di nuove idonee ad usufruire dell’agevolazione. In specie, l’Autore rilevava come tale proposta avvantaggiasse “le imprese già esistenti e mature rispetto a quelle
nuove o che comunque finanziano i propri investimenti con nuovi apporti di capitale dai soci, invece che con gli utili trattenuti”.
Di altro tenore, invece, possono rammentarsi differenti modelli elaborati –
e, in alcuni casi, posti in essere attraverso la legiferazione di una disciplina
positiva – sulla scorta di studi statunitensi, britannici e nord-europei.
Un primo modello, denominato “Comprehensive Business Income Tax”, è stato
avanzato proponendo la totale equiparazione, sotto il profilo del
trattamento fiscale, della remunerazione del debito a quella del capitale, da
raggiungersi mediante l’indeducibilità degli interessi passivi dal computo del
reddito d’impresa a fronte dell’esenzione dello stesso reddito una volta
distribuito al soggetto percettore
216.
Tuttavia, detto sistema avrebbe posto, inevitabilmente, serie problematiche
finanziarie per le imprese visto il diverso impatto della tassazione del reddito
su strutture finanziarie consolidate, quanto meno nei primi periodi di
applicazione
217.
Maggiore successo è stato raggiunto, invece, da parte di modelli di
tradizione europea i quali hanno indicato quale mezzo per il raggiungimento
della neutralità fiscale la detassazione dell’impiego del capitale conferito a
titolo di rischio, limitando - nella sostanza e pur con significative differenze
- l’imposizione al solo “extra-profitto”, ossia ad una componente del
reddito, una volta determinato, eccedente una predefinita soglia minima
216 Tale modello di imposizione, così detto “CBIT” venne elaborato su proposta del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America al fine di eliminare le note distorsioni sul piano della raccolta delle risorse finanziarie causate dall’effetto della tassazione sul reddito delle imprese. In estrema sintesi, si rammenta come, in base a questa teoria, da un lato non dovesse consentirsi alcuna deducibilità del costo del debito dal concorso alla formazione del reddito imponibile ai fini della tassazione societaria (di fatto, perciò, assimilandone il trattamento a quello della remunerazione del capitale di rischio). Dall’altro lato, il reddito d’impresa dovrebbe essere assoggettato ad imposizione con un’aliquota uguale a quella più elevata prevista per l’imposta personale progressiva sul reddito delle persone fisiche a fronte, al fine di evitare una doppia tassazione economica, di una totale esenzione di detta forma di reddito in capo al percettore; al riguardo, cfr. US Department of the Treasury, Integration of the Individual
and Corporate Tax Systems: Taxing Business Income Once, Washington D.C., 1992; nella
dottrina economica, cfr. R.G. HUBBARD, Corporate Tax Integration: a View From the
Treasury Department, The Journal of Economic Perspectives, Vol. 7, No. 1, Winter 1993,
p. 115 ss.
217 Lo stesso Dipartimento del Tesoro statunitense sottolineava, con riferimento ad un sistema estremamente più sviluppato del mercato del capitale di rischio, come un’implementazione operativa avrebbe richiesto circa dieci anni, stimabili in una fase di transizione in cui sarebbero stati necessari inevitabilmente meccanismi correttivi per
necessaria affinché i soci non siano indotti ad investire i propri apporti di
capitale in investimenti alternativi.
Il primo di tali modelli è stato elaborato dalla dottrina economica britannica
e prende il nome di Allowance for Corporate Equity (così detto “ACE”)
218.
Secondo detto modello, la neutralità della tassazione sul reddito e, dunque,
l’irrilevanza rispetto alle decisioni di investimento dovrebbe essere assicurata
sulla base di una componente figurativa, deducibile annualmente dal
computo della formazione del reddito: tale componente dovrebbe
corrispondere - in valore attuale e in base ad un appropriato tasso di
interesse - al costo dell’investimento sottoscritto a titolo di capitale di
rischio
219.
Il maggior pregio del modello ACE consiste, oltre che nella ricercata
neutralità impositiva rispetto all’impiego di equity o di debito nell’impresa,
nella possibilità di mantenere la derivazione della base imponibile rispetto al
risultato civilistico di bilancio
220.
compensare gli iniziali effetti sulle imprese.
218 In specie, cfr. M.GAMMIE (a cura di), Equity for Companies: a Corporation Tax for the
1990s, A Report of the IFS Capital Taxes Group, The Institute for Fiscal Studies,
Commentary, No. 26, London, April 1991; cfr. anche M.GAMMIE, Corporate Taxation
Harmonization: an “Ace” Proposal, European Taxation, August 1991; J.ISAAC, A Comment
on the Viability of the Allowance for Corporate Equity, Fiscal Studies, Vol. 18, No. 3, 1997,
pp. 303–318; il modello è stato successivamente rivisto ed aggiornato nello studio sviluppato dall’Institute for Fiscal Studies, Setting Saving Free. Proposals for the Taxation of
Savings and Profits, A summary of the final Report of the IFS Capital Taxes Group, London,
February 1994.
219 In particolare, sotto il profilo sostanziale, detto saggio dovrebbe coincidere con il tasso di interesse sui titoli pubblici a medio e lungo termine e dovrebbe applicarsi al valore dei fondi tenuti dagli azionisti presso la società.
220 Cfr. F.GALLO, La tassazione dei redditi d’impresa: i difetti e le proposte di modifica, cit., p. 121 ss. il quale (già) ne sottolineava la maggiore idoneità ad una possibile applicazione rispetto a modelli che avrebbero comportato una totale rivisitazione dei principi “cardine” del sistema tributario (tra i quali, appunto, il principio di “derivazione” a cui era pervenuta la riforma degli anni Settanta), come ad esempio, oltre al citato
Comprehensive Business Income Tax, anche modelli di “Cash Flow Tax” come quelli
precedentemente elaborati, sempre nel Regno Unito, nell’ambito del così detto “Rapporto Meade”; cfr. MEADE Committee, The Structure and Reform of Direct Taxation, The Institute for Fiscal Studies, London, 1978; J.S.EDWARDS, On the case for a flow of
funds corporation tax, The Institute for Fiscal Studies, Working Paper No. 32, London,
1982. Sotto un ulteriore profilo, un’altra caratteristica saliente del modello “ACE” consiste nell’indifferenza rispetto alla forma giuridica adottata dall’impresa, essendo applicabile tanto all’imprenditore individuale quanto alle società di persone o alle società di capitali. Al riguardo, infatti, si ricorda come uno dei princìpi cardine
Per contro, è stato tuttavia osservato come la reale efficacia del suddetto
modello dipenda, essenzialmente, dalla costanza del rapporto tra i tassi
d’interesse e le aliquote d’imposta e, inoltre, sconti la difficoltà operativa di
individuare un coerente tasso di interesse nozionale da applicare agli apporti
degli azionisti per calcolare il costo implicito del capitale proprio
221.
Dalla ricerca di una prospettiva di neutralità dell’imposizione è, inoltre, stata
elaborata nell’esperienza nord-europea un’altra proposta di carattere
generale della tassazione dei profitti d’impresa e del risparmio, la Dual Income
Tax (così detta “DIT”), che pur presentando molte similitudini con il
modello di Allowance for Corporate Equity, se ne discosta per linee applicative
significativamente diverse
222.
Nel modello di Dual Income Tax, infatti, l’impiego di capitale non viene
incentivato mediante il riconoscimento di un componente negativo
deducibile rappresentativo del suo “costo opportunità”, bensì attraverso
l’individuazione di una quota della base imponibile – al cui computo,
pertanto, ha concorso il solo costo del capitale di debito – da assoggettarsi
ad un’aliquota inferiore e, in specie, tendenzialmente corrispondente, da un
lato, al livello di imposizione stabilito per i redditi derivanti dall’impiego
alternativo del capitale (capital income), normalmente proporzionale e,
dall’altro, al livello più basso previsto per la tassazione personale (earned
income), generalmente di tipo progressivo
223.
dell’elaborazione economico-giuridica sottostante a detto modello fosse che imprese
“with similar abilities to pay tax should bear similar tax burdens”; cfr. International for Fiscal
Studies, Setting Saving Free. Proposals for the Taxation of Savings and Profits, A summary of the
final Report of the IFS Capital Taxes Group, cit. p. 7.
221 Cfr. S.GIANNINI, L’imposizione delle imprese: regime vigente e ipotesi di riforma, cit., p. 219 ss.
222 La ricerca di un trattamento idoneo, se non ad incoraggiare, quanto meno a non scoraggiare gli investimenti in capitale di rischio ha dato luogo a quel filone di ipotesi riformatrici che hanno concepito il modello di Dual Income Tax al fine di costituire o mantenere un ragionevole equilibrio tra l’investimento ed il risparmio in economie caratterizzate da un livello di imposizione cospicuo e da un ampio ricorso alla spesa pubblica in vasti settori dell’economia, come appunto i paesi nordici della penisola scandinava; S.GIANNINI, Imposte e mercato internazionale dei capitali, Bologna, 1994, p. 20 ss.
223 Per impiego alternativo del capitale si intende, sostanzialmente, la remunerazione di investimenti azionari, obbligazionari ovvero in titoli di Stato. Tra i diversi contributi scientifici in merito all’elaborazione del modello di Dual Income Tax si rammenta, inter
Come noto, una variante del modello DIT è stata accolta nell’ordinamento
italiano, pur se per un periodo temporale circoscritto, tendenzialmente
corrispondente con la XIII legislatura
224, dal momento che venne
progressivamente limitata nell’ambito di applicazione e, successivamente,
abrogata, nel corso della XIV legislatura, a partire dalla quale furono
introdotte misure di portata maggiormente puntuale
225, vieppiù orientate
non tanto all’incentivo alla patrimonializzazione, quanto al contenimento
della capacità espansiva delle imprese al ricorso all’indebitamento.
Nuove misure di carattere sistematico, nella prospettiva di riequilibrare il
rapporto tra mezzi propri e debito nella struttura finanziaria delle imprese,
sono infine state avanzate a partire dalla fine dello scorso decennio, sino alla
recente introduzione di una disciplina positiva di Allowance for Corporate
Equity, in Italia denominata “Aiuto alla Crescita Economica”.
Ad ogni modo, occorre, peraltro, sottolineare come tutti gli interventi
avanzati nell’ordinamento italiano allo scopo di incentivare il processo di
capitalizzazione delle imprese siano stati concentrati sul versante della
alia, il contributo di S.O. LODIN, The Nordic Tax Reforms. Company and Shareholders
Taxation – a Comparison, Federation Of Swedish Industries, Stockholm, 1993; Idem, The Swedish tax system and inverted imputation, European Taxation, August, 1989, p. 259 ss.; cfr.
anche P.B.SORENSEN, From the global income to the Dual Income Tax. Recent tax reform in the
Nordic countries, Tax and Public Finance No. 5/1994.
224 Il dibattito internazionale sulle teorie della neutralità dell’imposizione quale fattore di crescita attraverso la sollecitazione di circuiti virtuosi finalizzati alla capitalizzazione delle imprese aveva avuto ampia risonanza anche a livello interno, attraverso gli studi della dottrina e degli operatori del settore; cfr. S.GIANNINI, L’imposizione del reddito
d’impresa: un’ipotesi di riforma per la capitalizzazione delle imprese, in S. GIANNINI – A. FOSSATI (a cura di), “I nuovi sistemi tributari”, Milano, 1996, p. 143 ss.; MEDIOCREDITO CENTRALE S.P.A.-Osservatorio sulle piccole e medie imprese, Documento conoscitivo di giugno 1995; in specie, in questo ultimo studio veniva rilevato come, nella comparazione tra Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna, il sistema tributario italiano risultasse discriminatorio “a favore dell’indebitamento finanziario
col debito in tutti i Paesi (salvo la Francia). Il vantaggio dell’indebitamento sussiste anche se si ipotizzano investimenti con grado di “leverage” intermedio”. Nel corso del primo governo della
XIII legislatura fu, così, studiata e adottata l’attuazione di una “disciplina di tassazione sul
reddito d’impresa di tipo duale […] ritenuta il rimedio più appropriato”; cfr. intervento dell’allora
ministro Vincenzo Visco dinanzi alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati in data 11 giugno 1996, il cui dattiloscritto è stato, altresì, pubblicato in Diritto e pratica tributaria, 1996, I, p. 1751 ss.
225 Il riferimento è ai modelli di Thin Capitalization Rule, importato nell’ordinamento italiano sulla scorta della disciplina tedesca, di pro rata patrimoniale, oltre che, infine, al sistema di limitazione della deducibilità degli interessi passivi in ragione di aggregati di