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L’IFN- agisce sia a livello neuroendocrino, neurotrasmettitoriale che delle citochine, tutti sistemi coinvolti nell’eziopatogenesi della depressione (figure 1 e 2). Tuttavia non sembra superare la barriera emato-encefalica (Trask e coll,

2000) anche se è stato ipotizzato un suo effetto diretto sul sistema nervoso

centrale, mediante il passaggio attraverso aree in cui essa è mancante

(Dieperink e coll, 2000). Le alterazioni cognitive ed i cambiamenti di personalità

nei soggetti in corso di trattamento con l’IFN- indicano una disfunzione cerebrale frontale-subcorticale (Pavol e coll, 1995; Valentine e Meyers, 2001); è stata peraltro rilevata in questi pazienti una ridotta attività metabolica in sede prefrontale (Juengling e coll, 2000). Il meccanismo attraverso cui l’IFN induce depressione non risulta comunque chiaro ed è, probabilmente, di tipo multifattoriale (Loftis e Hauser, 2004).

Sistemi endocrini

È stato riscontrato che l’IFN- e l’ACTH sono antigenicamente e strutturalmente correlati (Blalock e Smith, 1980), e che l’IFN- induce aumento dei livelli plasmatici di cortisolo (Barbarino e coll, 1995; Corsmitt e coll, 1996). Questi dati suggeriscono un possibile meccanismo patogenetico alla base della depressione IFN-indotta: infatti un’attività cronicamente aumentata dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) è associata con la depressione (Stokes e

Sikes, 1988; Nemeroff e coll, 1992).

L’IFN- altera anche la funzione tiroidea e a ciò si collegano alterazioni nel sistema serotoninergico e nella produzione delle citochine (Lisker-Melman e

Sistemi neurotrasmettitoriali

L’IFN- sembra agire come un agonista dopaminergico centrale, attraverso un meccanismo mediato dagli oppioidi (Ho BT e Huang, 1975; Ho BT e coll, 1992;

Valentine e coll, 1995 ). Vari studi suggeriscono che la depressione, nell’uomo,

possa essere collegata ad un’ipoattività dei sistemi oppioidi endogeni

(Lindstrom e coll, 1978; Pickar e coll, 1980; Newnham e coll, 1983; Benton, 1988), mentre elevati livelli di dopamina plasmatici potrebbero indicare una

maggiore severità del disturbo mentale, dato che si riscontrano nei casi con sintomi psicotici (Mazure e coll, 1987; Rothschild e coll, 1987; Hamner e

Diammond, 1996).

L’elevazione persistente delle amine nei pazienti trattati con l’IFN- induce una down-regulation ed una sub-sensitivizzazione dei recettori, rappresentando un ulteriore meccanismo patogenetico da considerare nel determinismo della depressione (Siever e Davis, 1985).

Per quanto riguarda la serotonina si assiste ad una sua riduzione, per diminuzione plasmatica del suo precursore, il triptofano (Brown e coll, 1991;

Dieperink e coll, 2000; Capuron e coll, 2002b). L’IFN- , infatti, determina

l’induzione dell’enzima indoloamina 2,3-deossigenasi (IDO) con maggiore metabolizzazione del triptofano lungo la via della chinurenina (Taylor e Feng,

1991; Bonaccorso e coll, 2002b). L’IFN- potrebbe anche alterare i livelli

dell’RNA messaggero del trasportatore della serotonina (Morikawa e coll,

1998), uno dei target principali degli antidepressivi.

Inoltre i livelli di adrenalina e noradrenalina aumentano a seguito della somministrazione dell’IFN- in volontari sani (Corsmitt e coll, 1996), coerentemente con la maggior attività del sistema simpatico nel disturbo depressivo maggiore (Shatzberg e coll, 1989; Kling e coll, 1998).

Citochine

L’IFN- può interferire sulla rete delle citochine, attivando vie intracellulari di trasduzione del segnale che inducono o inibiscono l’espressione, o modificano gli effetti, di diverse di esse, tra cui l’IFN- , l’IL-1, l’IL-2, l’IL-6, l’IL-8 e il TNF-

(Taylor e Grossberg, 1998).

Le secrezioni di IL-1 e TNF- sono associate a febbre, disturbi del sonno, cachessia, anoressia, neurodegenerazione e disfunzione neuroendocrina

(Rothwell e Hopkins, 1995). In modelli animali, l’IL-1 sembra in grado di

danneggiare la barriera emato-encefalica e questo potrebbe in parte spiegare la neurotossicità IFN- -correlata (Dentino e coll, 1999).

I livelli dell’IL-6 sono elevati nei soggetti con depressione (Dentino e coll, 1999) e, nei pazienti con l’HCV, sono state riscontrate correlazioni significative tra gli incrementi sierici dell’IL-6 o dell’IL-8 indotti dall’ IFN- e i punteggi ottenuti nelle scale per la depressione e l’ansia due e quattro settimane dopo l’inizio della terapia (Bonaccorso e coll, 2001). In un altro studio gli autori hanno valutato i livelli di attività sierica dell’enzima dipeptidil peptidasi IV (DPP IV), una proteasi che catalizza il clivaggio di alcune citochine, e i livelli sierici dell’ IL-8. È stato notato che l’IFN- sopprime l’attività di questo enzima e ciò sembra essere significativamente correlato sia agli incrementi sierici dell’IL-8, sia agli aumentati punteggi nelle scale di valutazione MADRS e HAM-A (Maes e coll, 2001).

Le citochine possono, inoltre, influenzare sistemi neuroendocrini, ad esempio attivando l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, e ciò determina a sua volta sintomi depressivi. La stimolazione di questo sistema potrebbe avvenire direttamente a livello del SNC, dove le citochine andrebbero a stimolare i neuroni contenenti il fattore di rilascio per la corticotropina (CRF) nei nuclei paraventricolari dell’ipotalamo (Miller, 1998), oppure a livello periferico, attraverso l’attivazione di circuiti neuronali di derivazione vagale (Licinio e coll, 1998, Miller 1998).

Queste considerazioni sul ruolo delle citochine spiegherebbero l’associazione sottolineata da molti autori tra depressione e processi infiammatori cronici

Figura 1: CRH= ormone di rilascio della corticotropina, DA= dopamina, 5-HT= 5- idrossitriptofano (serotonina), NE=noradrenalina, TH=triptofano idrossilasi (Loftis e Hauser,

Figura 2: Loftis e Hauser, Journal of Affective Disorders, 2004, 82.

d) Trattamento

F

d) Trattamento

Una tempestiva diagnosi ed un adeguato trattamento farmacologico della depressione IFN- -indotta sono necessari per ottimizzare la compliance alla terapia interferonica nei pazienti con epatite C.

Fino a poco tempo fa, infatti, il primo provvedimento adottato nei soggetti che andavano incontro a tale tipo di depressione, era la riduzione della dose di IFN, o addirittura l’interruzione della terapia (Trask e coll, 2000; Zdilar e coll, 2000), ancor oggi giustificata nei casi in cui non si verifichi una diminuzione della carica virale dopo 12 settimane di trattamento, date le scarse probabilità di successo con un prolungamento ulteriore della terapia (National Institute of

Health Consensus Development Conference Statement: Management of Hepatitis C, 2002). In tutti gli altri casi, data la buona risposta in termini di carica

virale e di prevenzione delle complicanze (cirrosi ed epatocarcinoma), questo atteggiamento deve essere evitato (Crone e Gabriel, 2003; Asnis e De La

Garza, 2005; Loftis e Hauser, 2004).

La depressione IFN-indotta, che in alcuni casi regredisce con la sospensione del trattamento, risponde efficacemente a diversi tipi di antidepressivi; la maggior parte degli studi sembrano privilegiare gli SSRI (Levenson e Fallon,

1993; Goldman, 1994; Gleason e Yates, 1999; Schramm e coll, 2000; Musselman e coll, 2001; Kraus e coll, 2002; Dieperink e coll, 2003) e in

particolare il citalopram (Tan e Levin, 1999; Farah 2002; Hauser e coll, 2002), ma a seconda dei casi possono dimostrarsi utili anche farmaci appartenenti ad altre classi (Max e coll, 1992; Goldman, 1994; Gleason e Yates 1999;

DeBattista e coll, 2003; Russo e coll, 2003; Tran e coll, 2003; Malek-Ahmadi e Ghandour 2004).

Il trattamento con antidepressivi è efficace in circa l’80% dei pazienti e la risposta si verifica a dosi relativamente basse, di solito entro quattro settimane e, non raramente, entro due (Kraus e coll, 2002).

L’efficacia degli antidepressivi non è dimostrata sui sintomi neurovegetativi che insorgono nella prima fase del trattamento con l’IFN , ma solo sulle alterazioni specifiche dell’umore e sulle disfunzioni cognitive, a sottolineare che, anche le alterazioni biochimiche sottostanti, sono diverse (Capuron e coll, 2002a).

La scelta degli antidepressivi per il trattamento della depressione IFN- -indotta deve tener presenti una serie di fattori. Innanzitutto bisogna cercare di utilizzare farmaci per cui gli studi riportano una maggior evidenza di efficacia, inoltre occorre sempre considerare il profilo di effetti collaterali e le possibili interazioni farmacologiche (Asnis e De La Garza, 2005).

Gli SSRI risultano molto efficaci anche sull’ansia e sull’irritabilità (Fava, 1998;

Musselman e coll, 2001; Capuron e coll, 2002a; Brawman-Mintzer e Yonkers 2004), che si riscontrano nel 50% dei pazienti trattati con l’IFN (Capuron e coll, 2002); elevate proprietà ansiolitiche sono tipiche anche della venlafaxina, un

inibitore del re-uptake di serotonina e noradrenalina (SNRI) (Gelenberg e coll,

2000).

L’insonnia IFN-indotta, riscontrata nel 45% dei pazienti (Capuron e coll, 2002a) sembra rispondere favorevolmente agli antidepressivi triciclici (TCA) con caratteristiche sedative come imipramina e amitriptilina, oppure ad altre molecole come il nefazodone o la mirtazapina (American Psychiatric

Association, 1993; Dording e coll, 2002).

L’astenia, effetto collaterale comunemente riscontrato in questa categoria di pazienti, può essere migliorata utilizzando un antidepressivo ad azione dopaminergica e noradrenergica come il bupropione (American Psychiatric

Association, 1993; Green, 1997; Stahl, 2000). IL dolore somatico potrebbe

trarre beneficio dall’uso di un altro SNRI, la duloxetina (Preskorn, 2004;

Wohlreich e coll, 2004).

Una particolare cautela deve essere posta all’uso degli SSRI nei soggetti con elevato rischio di sanguinamento (Hejny e coll, 2001; Serebruany e coll, 2001;

Fried, 2002; Dalton e coll, 2003; Weinrieb e coll, 2003).

L’incremento di peso è un comune effetto collaterale degli antidepressivi ma il 35% dei pazienti in terapia con l’IFN sperimenta anoressia e perdita di peso

(Capuron e coll, 2002a), perciò essi potrebbero trarre beneficio da questo

effetto collaterale (Asnis e De La Garza, 2005); la mirtazapina produce l’effetto maggiore sul guadagno di peso, il bupropione è invece quello che determina le conseguenze minori (Stahl, 2000; Dording e coll, 2002).

Gli antidepressivi possono indurre episodi maniacali-ipomaniacali (che possono tra l’altro essere una delle complicazioni psichiatriche del trattamento con l’IFN) e devono perciò essere usati con cautela e in associazione a stabilizzanti dell’umore nei soggetti a rischio come i pazienti con diagnosi di disturbo bipolare (Asnis e De La Garza, 2005; Raison e coll, 2005).

Vari autori hanno anche dimostrato l’utilità di interventi non farmacologici nel trattamento della depressione IFN- -indotta, in particolare l’esercizio fisico, che sembra ridurre l’astenia ed ha un effetto positivo sulla funzione cognitiva, e la terapia cognitivo-comportamentale (Mohr e coll, 2000; Schwartz e coll, 2002). Molti antidepressivi determinano inibizione degli enzimi del citocromo P450, contribuendo all’aumento della concentrazione plasmatica dei farmaci metabolizzati attraverso di essi. I TCA, gli IMAO e alcuni SSRI (ad esempio la paroxetina) influenzano significativamente il citocromo 2D6; al contrario, la mirtazapina, la venlafaxina, il citalopram e l’escitalopram hanno minimi effetti su di esso, mentre la fluvoxamina ha un effetto significativo sui citocromi 3A4 e 1A2 (Preskorn, 1997; Owen e Nemeroff, 1998; Caccia, 2004).

Nei pazienti con dipendenza da oppiacei in trattamento metadonico deve essere evitato l’uso di fluvoxamina che aumenta i livelli di metadone (la fluoxetina invece ha un effetto più modesto) (Eap e coll, 1997).

Nella gestione della depressione IFN- -indotta i clinici hanno a disposizione due strategie di trattamento, quello profilattico, cioè attuato prima dell’esordio e volto a prevenire o attenuare lo sviluppo del disturbo, e quello sintomatico, cioè attuato nel momento in cui compare la sintomatologia (Asnis e De La Garza,

2005; Raison e coll, 2005).

Non vi sono chiare evidenze che guidino la decisione, per cui sarà utile individuare i soggetti maggiormente a rischio per lo sviluppo di questa complicanza, che potranno trarre beneficio da una terapia preventiva.

È importante intraprendere una terapia psico-farmacologica preventiva in pazienti che presentano un’anamnesi positiva per disturbi mentali o sintomatologia depressiva sottosoglia prima di iniziare la terapia interferonica

coll, 2000; Ho e coll, 2001; Musselman e coll, 2001; Hauser e coll, 2002). Un

trattamento preventivo sarà inoltre indicato in chi è già andato incontro ad una depressione IFN-indotta, e sarà preferibile l’uso degli antidepressivi già risultati efficaci in quel paziente (Asnis e De La Garza, 2005).

Nella maggior parte dei soggetti è comunque indicato il trattamento sintomatico, soprattutto in assenza di una pregressa storia di disturbi d’ansia o dell’umore, anche nella prospettiva di evitare ulteriori effetti collaterali ed interazioni farmacologiche (Asnis e De La Garza, 2005; Raison e coll, 2005).

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