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Medicina rigenerativa ed ingegneria dei tessuti

La medicina rigenerativa è una branca della medicina che racchiude una serie di terapie innovative finalizzate ad ottenere la sostituzione e la rigenerazione di cellule, tessuti o organi danneggiati. Questo disciplina è stata inizialmente concepita per far fronte alla cosiddetta “crisi dei trapianti”, cioè il progressivo ampliamento del gap tra il numero di pazienti in lista d’attesa per trapianto d’organo e il numero limitato di donatori disponibili [2], [3]. Gli svantaggi delle attuali terapie di trapianto sono legati, non solo al progressivo allungamento delle liste d’attesa, ma anche alle complicanze del rigetto immunologico. Per questo, recenti sviluppi ottenuti nel campo della medicina rigenerativa, mirano a concretizzare nuove alternative alla donazione e trapianto d’organo.

Le strategie di medicina rigenerativa hanno lo scopo di attivare e accelerare il processo di guarigione intrinseco del corpo, utilizzando tre fondamentali componenti [4] :

- Cellule; - Scaffold;

- Biosegnali (chimici e/o fisici).

Per scaffold si intende genericamente un biomateriale destinato a fare da struttura di supporto per la semina di cellule e occasionalmente addizionato di biomolecole; inoltre, tale costrutto, può essere sottoposto a stimoli fisici tramite dispositivi chiamati bioreattori [5].

A causa delle diverse capacità rigenerative degli organi, alcuni tessuti possono richiedere solo biomateriali e biosegnali, altri, con capacità limitate di rigenerazione, necessitano di cellule, biomateriali e biomolecole [2]. In quest’ultimo caso, la disciplina è identificata con il termine “ingegneria dei tessuti”, che si basa sul ciclo preparatorio rappresentato in Figura 1.1 [6]. Le cellule sono rimosse dal paziente, espanse in vitro, seminate nello scaffold,

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coltivate e sottoposte a stimoli chimici e fisici ed infine reimpiantate nel paziente come tessuto ingegnerizzato.

1.1.1 Cellule per l’ingegneria dei tessuti

Le fonti cellulari utilizzate in medicina rigenerativa possono essere classificate in base alla loro immunogenicità, ovvero alla capacità di provocare una risposta immunitaria nel paziente. Si distinguono in:

- cellule autologhe: sono cellule che derivano dal paziente stesso e pertanto al loro utilizzo è genericamente associata una bassa risposta immunogenica;

- cellule allogeniche: sono cellule che derivano da un donatore umano, in grado di provocare risposta immunitaria nel paziente. Il loro utilizzo spesso comporta l’uso di immunosoppressori;

- cellule xenogeniche: sono cellule che derivano da una specie diversa e pertanto in genere altamente immunogeniche.

Se da una parte l’utilizzo di cellule autologhe evita l’utilizzo di immunosoppressori, dall’altro alcune fonti cellulari non possono essere prelevate direttamente dal paziente, ad esempio tramite biopsia. Diversamente, le cellule allogeniche sono di più facile reperibilità

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perché possono essere fornite da banche di cellule, ma il loro uso può indurre una risposta immunogenica nel paziente.

Nuove fonti cellulari per la medicina rigenerativa sono ricercate tra le cellule staminali, che possiedono due fondamentali caratteristiche: l’autorinnovamento, ovvero la capacità di riprodursi a lungo senza differenziarsi e la potenza, cioè la capacità di dare origine a linee cellulari specializzate.

Le cellule staminali utilizzate dall’ingegneria dei tessuti possono essere a loro volta suddivise in sottogruppi:

- cellule staminali embrionali (ES): cellule isolate dal blastocista, cioè l’embrione umano ai primi stadi di sviluppo;

- cellule staminali pluripotenti indotte (iPs): cellule ottenute tramite riprogrammazione genetica di cellule somatiche adulte;

- cellule staminali adulte: cellule staminali presenti in tutti i tessuti del corpo [2], [3].

1.1.2 Scaffold

Inizialmente pensato come supporto strutturale per le cellule, lo scaffold serve anche per incorporare fattori biochimici che promuovono la funzionalità cellulare e la rigenerazione del tessuto [4]. Gli scaffold per l’ingegneria dei tessuti devono soddisfare diversi requisiti fondamentali:

- Biocompatibilità e biodegradabilità: il biomateriale non deve evocare una reazione infiammatoria non fisiologica o effetti tossici successivi all’impianto; la velocità di degradazione e di riassorbimento devono essere tali da ricombinarsi con la rigenerazione del tessuto;

- Proprietà meccaniche corrispondenti a quelle dei tessuti presenti nel luogo di impianto;

- Architettura dello scaffold: lo scaffold deve possedere alta porosità con pori interconnessi per permettere la crescita cellulare, la diffusione dei nutrienti e l’eliminazione dei cataboliti.

- Bioattività: le proprietà di superficie devono favorire l’adesione, la differenziazione e la proliferazione cellulare [7].

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I criteri di selezione del biomateriale utilizzato nella preparazione di uno scaffold dipendono dall’applicazione finale e dai criteri di design. I biomateriali naturali (collagene, chitosano, acido ialuronico ecc.) hanno il vantaggio di essere biocompatibili, non tossici e di promuovere l’adesione e la proliferazione cellulare; di contro hanno una limitata stabilità meccanica e problemi di reperibilità in grandi volumi; al contrario, i biomateriali sintetici (PGA, PLA, PGLA, ecc.), sono riproducibili su larga scala con proprietà controllate, mentre la bassa biocompatibilità può essere compensata da modifiche di superficie [8].

1.1.3 Bioreattori

Dopo aver cellularizzato lo scaffold, è necessario un periodo di sviluppo cellulare in vitro prima dell’impianto in vivo. Le tradizionali condizioni di coltura statica sono caratterizzate da bassa efficienza e basso trasporto di nutrienti, ossigeno e sostanze di scarto. I bioreattori mirano a superare tali limitazioni ed hanno un ruolo chiave nell’implementazione di colture dinamiche per l’ingegneria dei tessuti [2].

I bioreattori sono dispositivi che consentono lo svolgimento di processi biochimici e biologici in condizioni ambientali ed operative monitorate e controllate, in termini di pH, temperatura, pressione, flusso di nutrienti, concentrazione di metaboliti e cataboliti.

Le caratteristiche dei bioreattori sfruttabili nell’ambito dell’ingegneria dei tessuti sono: - L’applicazione di stimoli biofisici controllati e riproducibili al costrutto durante lo

sviluppo;

- Monitoraggio on-line dei parametri chimico-fisici della coltura; - Semina dinamica efficiente ed omogenea all’interno del costrutto;

- Aumento del trasporto di massa dal terreno di coltura ai costrutti ingegnerizzati [9].

1.1.4 Problematiche dell’ingegneria dei tessuti: la vascolarizzazione dei

tessuti

Uno dei principali ostacoli dell’ingegneria dei tessuti risiede nel riprodurre in vitro la complessità fisiologica di un tessuto vascolarizzato[10]. La maggior parte dei tessuti sono vascolarizzati e il loro funzionamento dipende dalla diffusione di nutrienti ed ossigeno, e dalla rimozione dei prodotti di scarto [11]. Mentre in vitro è possibile fornire nutrienti alle cellule mediante tecniche di perfusione artificiale, in vivo il tessuto impiantato dovrà

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dipendere da una rete vascolare. In seguito all’impianto, la vascolarizzazione inizia, in parte come conseguenza di una risposta infiammatoria generata dall’introduzione di un corpo estraneo, in parte in seguito alla secrezione di fattori angiogenici da parte di cellule sottoposte ad un ambiente povero di ossigeno. Questo processo spontaneo dura giorni o settimane, lasciando il tessuto privo di nutrienti ed ossigeno per un tempo considerevole. Al fine di diminuire il tempo necessario alla vascolarizzazione, gli sforzi dei ricercatori si sono concentrati sulla creazione di tessuti prevascolarizzati. Tali network vascolari devono assicurare la distribuzione di nutrienti a tutte le cellule, tenendo conto che fisiologicamente la massima distanza tra i capillari corrisponde a 200 μm, che è correlata al limite di diffusione dell’ossigeno [11], [12]. Per questo motivo, i successi nel campo dell’ingegneria dei tessuti sono limitati a tessuti avascolari (cartilagine) o tessuti a basso spessore (pelle, vescica), mentre tessuti più complessi e metabolicamente attivi, come cuore, fegato e reni, necessitano di un sistema di vasi sanguigni ramificato che permetta la sopravvivenza cellulare [10], [13]. Ad esempio, gli epatociti, le cellule del fegato, sono particolarmente sensibili all’ipossia e alla mancanza di nutrienti. Sono, infatti, irrorati da capillari sinusoidi, dotati di ampie aperture nell’endotelio, che espongono maggiormente gli epatociti al flusso di sangue [14]. In un approccio descritto da Miller et al. [15], è stato dimostrato che la fabbricazione di canali vascolari all’interno del costrutto ingegnerizzato è in grado di supportare la vitalità e la funzione metabolica di epatociti primari di ratto, impedendo la necrosi delle cellule poste all’interno [15].

Allo stesso modo, per l’ingegnerizzazione del tessuto muscolare, la mancanza di un’adeguata vascolarizzazione risulta uno dei principali fattori limitanti. È stato dimostrato che i mioblasti, le cellule muscolari, necessitano di essere ad una distanza non inferiore a 150 μm dai capillari per ottenere un adeguato rifornimento di ossigeno e nutrienti; un’insufficiente vascolarizzazione porta, infatti, alla perdita di funzionalità del tessuto [16]. In uno studio di Yao et al. [17] viene proposta una tecnica per la vascolarizzazione del tessuto adiposo. Si ritiene, infatti, che il principale motivo di necrosi nei graft di tessuto adiposo sia legato alla mancanza di angiogenesi, cruciale per i lipociti.

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