Nei nostri codici, non si fa menzione specifica dell’errore o della colpa del medico, che rientrano nelle più generali disposizioni sull’errore e sulla colpa del cittadino e del professionista, ma è la giurisprudenza di legittimità in particolare che traccia le norme di condotta all’interno delle quali l’errore e la colpa possono essere riconosciuti e sanzionati.18
La responsabilità professionale del medico deriva da una errata applicazione delle regole della tecnica medico chirurgica, da cui scaturisca un danno per il paziente. Nella valutazione di eventuali profili di responsabilità professionale si dovrà valutare quindi se la condotta del sanitario (commissiva od omissiva) sia stata corretta, se da essa sia derivato un danno ingiusto al paziente e se sussista un rapporto di causalità tra condotta e danno lamentato. 19 E’ora importante passare ad analizzare i profili di responsabilità attinenti al nesso causale attualmente vigenti, sia in ambito civile che in quello penale.
A tal proposito l’art.40 C.P.(nesso di casualità): “Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”.
L’art. 41 del C.P. relativo (concorso di cause) recita: “il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti
33 dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di casualità fra l’azione od omissione dell’evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di casualità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce di per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.
Profili di responsabilità medica, si possono configurare sia in ambito civile che penale.
In ambito civile la responsabilità è regolamentata dal Codice Civile secondo cui l’azione è volta esclusivamente al risarcimento del danno (patrimoniale e non patrimoniale) e la colpa si configura in caso di “mancata diligenza”del prestatore d’opera professionale. Non esiste una definizione di colpa in ambito civile per cui ci si rifà a quanto previsto in penale. I riferimenti normativi del codice civile sono i seguenti:
art. 1176 C.C. Diligenza nell’adempimento: “Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”.
Sul concetto di “diligenza”si è espressa la Cassazione nella sentenza n. 5885/1982 che afferma quanto segue:
―In tema di responsabilità professionale, l'inadempimento […] va valutato alla stregua del dovere di diligenza che in tale materia prescinde dal criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia e si adegua, invece, alla natura dell'attività esercitata. Consegue che
34 l'imperizia professionale presenta un contenuto variabile, da accertare in relazione ad ogni singola fattispecie, rapportando la condotta effettivamente tenuta dal prestatore alla natura e specie dell'incarico professionale ed alle circostanze concrete in cui la prestazione deve svolgersi e valutando detta condotta attraverso l'esame nel suo complesso dell'attività prestata dal professionista‖.
Art. 1218 C.C.: Responsabilità del debitore.
Art. 2229 C.C.: Esercizio delle professioni intellettuali: ―La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi. L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente. Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all'esercizio della professione e ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle leggi speciali”.
Art. 2230 C.C.: Prestazione d'opera intellettuale: ―Il contratto che ha per oggetto una prestazione di opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti (att. 202) e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del Capo precedente. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali”.
Art. 2236 C.C.: Responsabilità del prestatore d'opera: ―Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave (1176)‖.
35 Art. 2043 C.C.: Risarcimento per fatto illecito. “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (Cod. Pen. 185)”.
In ambito civile è importante ricordare che esistono due tipi di rapporto, uno di tipo “contrattuale” regolamentato dall’art.1218 C.C. che recita: ―il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione da causa a lui imputabile” ed uno di natura “extracontrattuale o aquiliana” regolamentato dall’art. 2043 C.C.:“qualunque fatto illecito, doloso o colposo, che abbia cagionato ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Nel rapporto di tipo contrattuale, i tempi di prescrizione previsti per muovere un eventuale azione risarcitoria sono di 10 anni e l’onere della prova spetta al sanitario che deve dimostrare di non aver violato i doveri di “diligenza, preparazione ed attenzione”, andando quindi a dimostrare la “speciale difficoltà dell’intervento, l’avere eseguito in modo diligente la prestazione professionale e che gli esiti peggiorativi sono da ritenersi imprevisti ed imprevedibili”(sent. Cass. Civile a Sezioni Unite n.13533/2001). Al paziente quindi spetterebbe solo di provare l’esistenza del contratto in essere tra le due parti, l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie. Una sentenza la n.577 del 2008 SS.UU. mette il punto su come al pazienti spetti provare l’esistenza del contratto e di come questo contratto non si sia realizzato rispetto invece a quanto normalmente avviene. Di contro il medico è tenuto a dimostrare che ciò che il paziente afferma è dovuto a cause a lui non imputabili e che pertanto il danno non è a lui attribuibile. Il contratto, medico – paziente, è stipulato anche nel caso in cui il professionista
36 sanitario sia dipendente di una struttura, pubblica o privata, anche in assenza di un rapporto economico negoziale tra le parti, in quanto si instaura un vincolo, derivante dal così detto“contatto sociale”, al momento in cui il paziente affida la propria salute all’operato del professionista che si deve impegnare a fornire la prestazione idonea al miglioramento delle condizioni cliniche del paziente. Sia l’ente ospedaliero che il dipendente rispondono quindi a titolo di responsabilità contrattuale. Si viene quindi ad instaurare un contratto atipico così detto ―di Spedalità‖o di assistenza sanitaria (Cass. Civ. SS. UU. ,n.9556/2002) in cui la struttura sanitaria instaura sempre con il paziente un rapporto di tipo contrattuale, sia in relazione ai propri fatti sia per quanto concerne il comportamento dei propri medici dipendenti regolamentato dall’art. 1228 C.C. secondo cui “ … il debitore che nell’inadempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, anche se non alle sue dipendenze, risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi”(Cass. Civ. sez. III, 8826/2007).
Si rende necessario a questo punto introdurre il concetto dell’onere della prova. Essendoci diversi orientamenti giurisprudenziali, in ambito civile, alla luce degli ultimi pronunciamenti della Corte di Cassazione, possiamo ritenere che nelle situazioni cliniche definite ―banali‖ o ―routinarie‖ e quindi di “semplice esecuzione” è sufficiente che il paziente dimostri che pur trattandosi di un intervento facile ed ordinario, il suo caso ha avuto esito peggiorativo rispetto a ciò che ci si aspetta comunemente da quel tipo di trattamento. Al medico spetta invece provare, che di aver seguito tutte le regole con diligenza ( art.1176 C.C.) e che quanto lamentato deriva da cause a lui non imputabili ovvero da un “evento imprevisto ed imprevedibile”. Vige quindi il principio, secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, della “id quod plerumque accidit”, ossia della
37 presunzione che il medico convenuto abbia agito negligentemente solo perché si è verificato il danno. Per gli interventi invece che richiedano la soluzione di problemi tecnici di “speciale difficoltà” il medico è tenuto a spiegare il tipo di intervento che ha messo in atto e quali erano le difficoltà pratiche che ha dovuto affrontare, di contro al paziente (danneggiato) resta da dimostrare quali siano state le modalità di esecuzione ritenute inidonee (sentenze Cass. n. 3957/1974 e 1127/1998). In tale situazione di incertezza in tema di ripartizione dell’onere della prova è infine intervenuta la Cassazione Civile a Sezioni Unite che ha affermato che il paziente deve provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie, al sanitario o all’ente invece spetta provare la speciale difficoltà dell’intervento, che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile; in questo caso si è applicato il principio della ―vicinanza della prova‖, inteso come apprezzamento dell’effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla (è più facile per il medico dimostrare la riuscita o meno di un intervento perché si tratta della sua professione). Il meccanismo della ripartizione dell’onere della prova vale sia nel caso in cui il creditore (ovvero il paziente) agisca per l’inadempimento della obbligazione sia per l’inadempimento contrattuale. La ripartizione dell’onere della prova, secondo i principi enunciati dalla sentenza delle SS.UU. sopra indicata è stata poi ribadita in ulteriori sentenze della Corte di Cassazione Civile, anche a Sezioni Unite.
Nella sentenza n.8826/2007 si afferma infatti che sussistendo un “rapporto”di tipo contrattuale tra medico e paziente, quest’ultimo deve provare l’esistenza del contratto e la difformità della prestazione ricevuta
38 rispetto a quanto normalmente si realizza correlata a inesattezza della prestazione ricevuta; il medico invece è tenuto a dimostrare che l’inesattezza è dovuta a causa a lui non imputabile. Parimenti nella sentenza n.577/2008 SS. UU. viene affermato che il medico dovrà dimostrare che il suo comportamento non è stato la causa del danno. Per ciò che concerne la valutazione del grado della colpa, necessaria a concretare la responsabilità del medico, essa ha subito cambiamenti radicali; può essere infatti distinta in:
“ordinaria” o “lieve”, che si configura in caso di inosservanza della diligenza media del buon padre di famiglia o della diligenza richiesta dalla natura della attività professionale;
“grave”, che consiste nella condotta di colui che agisce con straordinaria ed inescusabile imprudenza e che omette di osservare non solo la diligenza del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo di elementare diligenza che tutti osservano (Cass. Civ. 2260/1970). Altra definizione della colpa grave si ritrova nel decreto legislativo 203/1998, art.2: ―la colpa è grave quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata, e di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari”. Sino agli anni 60 – 70 il medico veniva punito solo per “errore inescusabile”, cioè solo se commetteva errori grossolani; per tutti gli altri tipi di errori non si procedeva penalmente: si riteneva infatti che la colpa del medico nell’esercizio della sua professione dovesse essere valutata con ―larghezza di vedute‖ (Cass. Pen. 4/2/1972); sulla scia di questo pensiero si riteneva che la colpa penalmente rilevante fosse soltanto
39 quella ―grossolana‖, dipendente cioè da ignoranza dei principi elementari incompatibile con il minimo di cultura e di esperienza che dovrebbe legittimamente pretendersi da chi sia abilitato all’esercizio della professione sanitaria (Cass. Pen. 15/2/1978).
Negli anni 60 – 70 il punto di riferimento giuridico della responsabilità civile del medico divenne l’art.2236 del codice civile, secondo cui ―se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso si dolo o colpa grave”;anche il medico quindi veniva punito per colpa grave. La ratio di questa limitazione di responsabilità consisteva nell’esigenza di contemperamento di due opposti interessi: da un lato, la necessità di non mortificare l’iniziativa del professionista nella risoluzione di casi di particolare difficoltà, esponendolo a continue rappresaglie risarcitorie da parte dei pazienti; dall’altro, non indulgere verso atteggiamenti improntati a leggerezza e negligenza.
Nello stesso periodo il principio dell’art. 2236 C.C. venne esteso anche all’ambito penale a seguito della sentenza n.166/1973 della Corte Costituzionale: ― … Ne consegue che solo la colpa grave e cioè quella derivante da errore inescusabile, dalla ignoranza dei principi elementari attinenti all’esercizio di una determinata attività professionale o propri di una data specializzazione possa nella indicata ipotesi rilevare ai fini della responsabilità penale”.
Successivamente la Corte di Cassazione ha affermato il contrario, ovvero che ―in nessun caso la norma dell’art. 2236 sia estendibile all’ordinamento penale onde determinare un’ipotesi di non punibilità per fatti commessi con colpa media o lieve‖; tale concetto è stato ulteriormente sviluppato nella sentenza della Cass. Pen. del 22/2/1991.
40 La Cassazione Civile, con sentenza della II sez. n. 1544/1981 (e successivamente confermato nelle sentenze n.1282/1991 e 11440/1997), ha comunque sostenuto che il principio dell’art.2236 del C.C. doveva applicarsi anche in caso di responsabilità extracontrattuale in quanto l’enunciato dell’art. si riferisce all’attività professionale in genere, a prescindere dell’esistenza o meno di un contratto.
Successivamente la Suprema Corte ha confermato che si rispondeva di ―colpa grave‖ soltanto in caso di imperizia, mentre per negligenza ed imprudenza si rispondeva di tutti i gradi della colpa (Cass. Civ. 6937/1996 : ―la disposizione di cui all’art. 2236 … non trova applicazione ai danni ricollegabili a negligenza ed imprudenza …”). Ad oggi non è ancora stata fatta chiarezza e permangono orientamenti tra loro contrastanti anche se quello preminente è che il medico – nei casi ― di speciale difficoltà dell’intervento‖ – risponde di colpa grave solo in caso di imperizia, mentre per negligenza ed imprudenza risponde anche per colpa lieve: ―la limitazione della responsabilità professionale del medico ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell’art.2236 C.C. si applica nelle sole ipotesi che presentino problemi tecnici di particolare difficoltà (perché trascendono la preparazione media o perché non sono stati ancora studiati a sufficienza, ovvero dibattuti con riguardo ai metodi da adottare) e, in ogni caso, tale limitazione di responsabilità attiene esclusivamente all’imperizia, non all’imprudenza e alla negligenza, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell’esecuzione di un intervento o di una terapia medica provochi un danno per omissione di diligenza ed inadeguata preparazione”(Cass. Civ. n. 5945/2000).
41 Recentemente la Cassazione ha limitato ulteriormente i campi di applicazione dell’art. 2236 C.C. con le sentenze n. 10297/2004,
9471/2004 e la sentenza 5846/2007. 20
Per quanto riguarda l’accertamento del nesso causale, in ambito civile recentemente ci si è discostati dai concetti attualmente seguiti in sede penale, laddove si afferma che – come vedremo più dettagliatamente in seguito – affinchè sussista la responsabilità medica, è necessario che la condotta (omissiva o commissiva) del medico sia stata condizione necessaria dell’evento lesivo, “con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica”.Con la sentenza n. 4400/2004 (e non solo) la giurisprudenza civile ha infatti affermato che, in caso di responsabilità sia di tipo omissivo che commissivo, al criterio della certezza degli effetti della condotta, nella ricerca del nesso di causa, si sostituisce quello probabilità di tali effetti. La stessa sentenza si discosta dall’ambito penale anche in merito alla tipologia di danno,prevedendo, quale figura di danno risarcibile la “perdita di chances di sopravvivenza”, inesistente in sede penale, rappresentata da un pregiudizio patito dal paziente che, a causa di un errore medico, non ha avuto la possibilità di sottoporsi a cure adeguate con innegabile riduzione della possibilità statisticamente definita ―chances‖ di guarigione.
Di fronte alle molteplici e spesso contraddittorie pronunce della Cass. Civile, nel 2005 intervenne una sentenza(n.7997) con cui si è cercato di ―mettere ordine‖ su alcuni concetti fondamentali per l’accertamento della responsabilità professionale del medico, in particolare sul nesso di causalità.
42 ―— il nesso di causalità è elemento strutturale dell'illecito, che corre — su di un piano strettamente oggettivo, e secondo una ricostruzione di tipo sillogistico — tra un comportamento (dell'autore del fatto) astrattamente considerato (e non ancora qualificabile come damnum iniuria datum), e l'evento dannoso;
— nell'individuazione di tale relazione primaria tra condotta ed evento si prescinde in prima istanza da ogni valutazione di prevedibilità, tanto soggettiva quanto « oggettivata », da parte dell'autore del fatto, essendo il concetto di previsione insito nella fattispecie della colpa (elemento qualificativo del momento soggettivo dell'illecito, motivo di analisi collocato in un momento successivo della ricostruzione della fattispecie); — il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è quello per cui ogni comportamento antecedente (prossimo, intermedio, remoto) che abbia generato, o anche soltanto contribuito a generare tale, obbiettiva relazione col fatto, deve considerarsi « causa » dell'evento stesso;
— il nesso di causalità giuridica è quello per cui i fatti sopravvenuti, idonei di per sé soli a determinare l'evento, interrompono il nesso col fatto di tutti gli antecedenti causali precedenti;
— la valutazione del nesso di causalità giuridica, tanto sotto il profilo della dipendenza dell'evento dai suoi antecedenti fattuali, sia sotto quello della individuazione del « novus factus interveniens », si compie secondo criteri: a) di probabilità scientifica, se esaustivi, b) di logica aristotelica, se appare non praticabile o insufficiente il ricorso a leggi scientifiche di copertura, con l'ulteriore precisazione che, nell'illecito omissivo, l'analisi morfologica della fattispecie segue un percorso « speculare », quanto al profilo probabilistico, rispetto a quello commissivo, dovendosi, in altri termini, accertare il collegamento evento — comportamento omissivo in
43 termini di probabilità inversa, per inferire che l'incidenza del comportamento omesso è in relazione non/probabilistica con l'evento stesso (che si sarebbe probabilmente avverato anche se il comportamento fosse stato attuato), a prescindere, ancora una volta, da ogni profilo di colpa intesa nel senso di mancata previsione dell'evento e di inosservanza di precauzioni doverose da parte dell'agente;
— il positivo accertamento del nesso di causalità, che deve fornire oggetto di prova da parte del danneggiato, consente il passaggio, logicamente e cronologicamente conseguente, alla valutazione dell'elemento soggettivo dell'illecito, e cioè della sussistenza o meno della colpa dell'agente (a tacere, ovviamente, del dolo), che, pur in presenza di un nesso causale accertato, ben potrebbe essere esclusa secondi i criteri (storicamente « elastici ») di prevedibilità ed evitabilità del danno‖.
In ambito penalistico la condotta del medico, se da essa sia derivato un danno (lesione personale o exitus del paziente), viene valutata facendo riferimento agli articoli 40, 41, 43, 589 e 590 del Codice Penale.
A tal proposito risulta utile richiamare tali articoli:
―art. 40 C.P.: come sopra‖.
―art. 41 C.P.: come sopra‖.
―art. 43 C.P. (elemento psicologico del reato): “il delitto: è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, e dell’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre la intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o
44 più pericoloso più grave di quello voluto dall’agente; è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imperizia o imprudenza, ovvero per inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline. La distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita da questo articolo per i delitti si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico”.
art.589 C.P.: omicidio colposo ―Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni …”.
Art.590 C.P.:lesioni personali colpose “Chiunque cagioni ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a 3 mesi e con la multa fino a € 309 … ”.
In penale quindi si configurano due profili di colpa, la colpa così detta ―generica‖ e la colpa ―specifica‖.
La prima rappresentata da negligenza, imperizia ed imprudenza, la seconda fattispecie è rappresentata da inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Una delle differenze importanti in materia di responsabilità professionale, è rappresentato dall’onere della prova, che in ambito penale, nella fase giudiziale spetta all’accusa, poiché per