Nell’intendimento del tuo verso vi era il mio verso insonne. Amelia Rosselli, Variazioni Belliche
La presenza fantasmatica di Amleto, che – come vedremo leggendo direttamente i testi – alleggia su Sleep e non solo, fino a pervadere anche le altre opere rosselliane, induce a una riflessione sulla lingua della poesia che non la contempli soltanto come un sistema fonetico e morfosintattico, per quanto variegato e duttile: la lingua, anche e soprattutto, è intessuta di memorie. Già il titolo del libro, secondo le confessioni di Rosselli, ha una duplice natura: da un lato, si tratta di un riferimento autobiografico, alludendo all’insonnia che l’ha sempre perseguitata, al punto da rendere, per lei, il sonno simile a un miraggio, come un sogno irrealizzabile; dall’altro lato, Sleep è dichiaratamente un omaggio al testo shakespeariano.
Sleep…miraggio in quanto non dormivo, avevo quello che fu diagnosticato più tardi, il morbo
di Parkinson, che oggi è guaribile quasi completamente, ma dava allora una frenetica insonnia. E in quel senso mi diventò una specie di «paradiso perduto», il sogno. Poi si riferisce anche ad un famoso soliloquio di Amleto di Shakespeare, in cui lui… «to be or not to be», «essere o non essere», molto meno drammatica questa parte dice: «desiderandola ardentemente». «To sleep, to dream, perhaps to dream». «To sleep! », esclamativo, «perhaps to dream»; «forse poter sognare». Ed è… ispiro il libro a questa frase.1
Il commento è tale da suscitare diverse suggestioni – per esempio, alla luce di quanto affermato riguardo alla dimensione della colpa, è interessante il riferimento al Paradiso Perduto di Milton – tuttavia, per ora, ci interessa mettere a fuoco soltanto una considerazione: sin dal titolo, quello di Sleep è un discorso poetico che, anche là dove più si radica nel personale, è infine fortemente intriso di memorie letterarie, la presenza delle quali è fitta ed evidente soprattutto nei primi due nuclei compositivi della raccolta, per farsi meno visibile nell’ultimo lungo movimento del libro. Rosselli ha dichiarato, a tal proposito, di aver scoperto soltanto a posteriori, al momento della rilettura di Sleep in vista della sua tardiva pubblicazione, la forte risonanza nella sua lingua di un’altra lingua, quella elisabettiana, in cui leggeva al tempo della stesura, e di avervi trovati
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impressi molto più di quanto volesse “i ricordi indelebili del teatro shakespeariano”2,
sia per averlo letto e studiato sia, soprattutto, per aver assistito a diverse messinscene, durante il periodo di studio londinese3. “Frutto di letture (dai poeti elisabettiani a
Pound, a Cummings), di studi e di riflessioni”4, la scrittura in inglese che risale alla
seconda metà degli anni Cinquanta risente intensamente dell’esperienza culturale e letteraria che Rosselli ha personalmente vissuto in quella lingua: che sia voluto o meno, la risonanza di tale esperienza vibra, infine, nella lingua di Sleep.
Benché, infatti, non esista alcun determinismo tra lingua e tradizione poetica, è innegabile, tuttavia, che scrivere in una specifica lingua implichi avere a che fare con la sua memoria poetica, con le forme espressive che vi sono rimaste impresse, in particolare, con quelle che fanno parte dell’esperienza dell’autore come lettore, se è vero, come suggeriva Virginia Woolf, che le parole sono piene di echi, di memorie, di associazioni che si sprigionano naturalmente, trascinando con sé ricordi, immagini, visioni5. Nelle parole converge, cioè, un immaginario che, di volta in volta, riprende vita
e, potenzialmente, si trasforma. Per questo, tenere in considerazione la formazione angloamericana, le letture, i primi incontri poetici avuti da Rosselli, quelli che lei stessa ha avvertito come più significativi e importanti, rimane un passaggio fondamentale per cogliere a pieno il senso della sua poesia, aggiungendo un’ulteriore forma di comprensione all’effetto immediato, emotivo e intellettuale, che riesce a suscitare nel lettore.
Del resto, interrogare il rapporto della poesia rosselliana con la memoria poetica – capire in che modo questa agisca nel testo, come e perché contribuisca alla poiesis rosselliana, che cosa intenda infine comunicare al lettore – si dà come necessario, considerando che tutta la sua opera è tempestata di rimandi ‘intertestuali’, i quali si fanno tanto più parodici quanto più sono espliciti, quanto più si realizzano in forma citazionistica. Laura Barile ha parlato, a tal proposito, di “mislettura creativa” dei
2 Intervista a cura di Francesca Borrelli, p. 146.
3 Rosselli ricordava, nell’intervista con Plinio Perilli (p. 167): “… mi precipitavo a teatro, un giorno sì e uno no,
tanto ero innamorata di tutto questo …” (riferendosi all’insegnamento di letteratura inglese ricevuto a Londra); e ancora, nella già citata intervista con Francesca Borrelli (sempre p. 146), specificava: “… ho visto Laurence Olivier recitare Amleto, Otello, Re Lear, e non posso dimenticare Alec Guinness nella sua interpretazione tutta diversa di Amleto”.
4 Intervista con Marco Caporali, p. 113.
5 Si fa riferimento al discorso tenuto da Virginia Woolf nel 1937 durante una trasmissione radiofonica della BBC,
unica registrazione della sua voce, ora disponibile al link: https://www.bbc.com/news/av/entertainment-arts- 28231055/rare-recording-of-virginia-woolf
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classici6, descrizione che risulta convincente soprattutto per le raccolte giovanili, dove
vige quella posizione eversiva, cui abbiamo già accennato, che pervade gli October Elizabethans, La Libellula e, ancora, le Variazioni. Tanto in Serie Ospedaliera quanto in Sleep, invece, “allusione e intertestualità” sembrano andare a costituire “un importante strumento di ricerca del significato e dell’identità” della propria scrittura7, superando
l’intento marcatamente provocatorio: Barile stessa ha riconosciuto come nella Serie la “poesia di Montale” si trovi ormai “completamente metabolizzata”, “fatta propria, al di là della sperimentazione – che comunque ha fatto il suo tempo”8.
La poesia di Rosselli testimonia, dunque, di due diversi atteggiamenti nei confronti della memoria letteraria: per comprenderli, è il caso di ripartire da uno dei pochi racconti che Rosselli stessa ha concesso riguardo alla genesi della sua poesia. In particolare, si tratta della variazione sul ‘tema’ montaliano di Esterina presente ne La Libellula9.
Montale parla di Diana. Una bella dea. Come se l’avesse vista. (…) Camminavo lungo via Nazionale ed avevo nella testa Falsetto, entrai in un negozio di elettrodomestici, soprattutto radio, televisori, auricolari ecc., e vidi dietro al banco una ragazza un po’ robusta, con i capelli neri, molto mediterranea. Al collo aveva un ciondolo dorato con una mezza luna. Era palesemente stanca, o quasi. Forse del lavoro. Ma aveva una grazia tutta contadina. Mi venne in mente l’Esterina di Montale, che per altro avevo in quei giorni sempre in testa. Mi dissi che quella ragazza addetta alla vendita era la verità di una donna, che può essere bella o brutta, prorompente o stanca, ma poetica e vera. Quella era la mia Esterina. Andai a casa e scrissi la variazione.10
A far scaturire la ‘variazione’ è stata, secondo questa testimonianza, l’esigenza di attuare una correzione sulla figura montaliana, necessaria perché la poesia fosse fedele al reale, ulteriore conferma della vocazione realista dell’ispirazione poetica rosselliana. Dunque, riscrivere e reinventare Esterina era doveroso perché, così come descritta dalla
6 Laura Barile, Amelia Rosselli, in Cesare Segre – Carlo Ossola (a cura di), Antologia della poesia italiana, vol. III Ottocento-Novecento (Torino, Einaudi, 1999), p. 1629-33, in particolare p. 1631.
7 Così Tandello riguardo alla memoria poetica di Serie Ospedaliera, in La poesia e la purezza, scritto introduttivo al
Meridiano, p. XXVIII.
8 L. Barile, L’uso di Montale, in Id., Avvicinamento alla poesia di Amelia Rosselli, p. 96.
9 Intorno alla figura di Esterina ruota un testo degli Ossi di seppia intitolato Falsetto. Esterina è nella poesia di
Montale una giovane donna, descritta come creatura acquorea e leggiadra, in cui si condensano quei tratti di leggerezza e bellezza eterea che conducono alla divinizzazione della donna da parte del poeta che, invece, appesantito dal pensiero, può solo contemplarla. Se ne riportano la prima strofa e il distico finale: “Esterina, i vent'anni ti minacciano, | grigiorosea nube | che a poco a poco in sé ti chiude. | Ciò intendi e non paventi. | Sommersa ti vedremo | nella fumea che il vento | lacera o addensa, violento. | Poi dal flotto di cenere uscirai | adusta più che mai, | proteso a un'avventura più lontana | l'intento viso che assembra l'arciera Diana. (…) Ti guardiamo noi, della razza | di chi rimane a terra.” Eugenio Montale, Tutte le poesie (Milano, Arnoldo Mondadori, 1984), pp. 14-5.
10 Corsivi miei. La testimonianza è riportata da Ulderico Pesce, La donna che vola, in Un’apolide alla ricera del linguaggio universale, p. 42.
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poesia di Montale, in cui risuona l’effetto di un’idealizzazione della donna plurisecolare, Esterina non poteva essere vera: la poeticità doveva trovarsi invece nell’autenticità e nella ‘verità’ di una donna comune.
Una simile esigenza di correzione rientra, a pieno diritto, nella dinamica propria di ogni “mislettura creativa”, intesa nel quadro dell’interpretazione dell’eredità letteraria che Harold Bloom ha tracciato nel segno dell’“angoscia dell’influenza”, cui allude la già citata Laura Barile: la necessità di trasgredire, fraintendere, mal interpretare le opere dei precursori deriverebbe sempre dal terrore, vissuto da ogni giovane poeta, di sentire minacciata la propria autonomia dalle voci poetiche che l’hanno preceduto e che lo circondano – giovane poeta descritto da Bloom come un “efebo”, tutto intento ad affermare la propria identità e la propria originalità creative. Proprio su questa interpretazione dell’eredità letteraria Bloom ha costruito quella che, come dichiarato sin dal sottotitolo del suo noto studio, è, infine, una vera e propria “teoria della poesia”11.
Per quanto riesca a essere calzante, è il caso, tuttavia, di soffermarsi più criticamente sull’adozione della teoria bloomiana, per capire fino a che punto questa possa essere valida e se non necessiti a sua volta di una lieve revisione, che la renda in grado di comprendere altre eventuali forme di elaborazione della memoria poetica.
Innanzitutto, com’è noto, la riflessione di Bloom si ispira esplicitamente al modello freudiano di romanzo famigliare, per cui, tra l’efebo e il suo precursore, istituisce una lotta edipica fondata su un rapporto che è, essenzialmente, di sonship: si tratta, cioè, di un problema di trasmissione e di eredità che va di padre in figlio, quindi, del rapporto tra un uomo e un efebo che uomo deve diventare, proprio attraverso la simbolica uccisione del padre. Bloom, che pure include Dickinson tra i poeti ‘forti’ di cui discute, tace sulle eventuali implicazioni che potrebbero derivare se una delle due posizioni fosse occupata da una donna (o se lo fossero entrambe) – e sappiamo che, per il funzionamento del modello edipico, il sesso dei soggetti non è affatto secondario12.
11 “L’Influenza Poetica – quando interessa due autentici, forti poeti – procede sempre attraverso il travisamento di un poeta precedente, attraverso un atto di correzione creativa che è di fatto e necessariamente un’interpretazione sbagliata. La storia della fruttuosa influenza poetica, che costituisce la principale tradizione della poesia occidentale dal Rinascimento ad oggi, è una storia di angosce e di caricature autoliberatorie, di distorsioni, di revisionismi perversi e ostinati senza i quali la poesia moderna in quanto tale non potrebbe esistere.” Harold Bloom, L’angoscia dell’influenza. Una teoria della poesia (Milano, Feltrinelli, 1983), p. 38. Il
corsivo è nel testo originale. Il termine “mislettura creativa” usato da Barile è una chiara allusione a questo passo.
12 Su questo tema generale è fondamentale lo studio di Sandra M. Gilbert e Susan Gubar, The madwoman in the attic. The woman writer and the Nineteenth-Centruy Literary Imagination (New Heaven and London, Yale University Press,
2000), in particolare il capitolo The Queen’s looking glass, pp. 3-44. Il volume, pubblicato nel 1979, esce da una temperie femminista, la seconda ondata statunitense, che va tenuta in considerazione nella lettura – le stesse
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Invece, non può essere negato né ignorato che la mislettura di Falsetto (titolo musicale che, puntualizziamo, sottintende l’imitazione della voce femminile) sia stata attuata non da un figlioletto di Montale, ma da una giovane donna (quindi, potenzialmente, una figlia) che non potrà mai essere considerata efebo – al massimo, kore: infatti, si tratta di una giovane donna impegnata a revisionare proprio l’immagine che la poesia montaliana restituisce della donna stessa13. Ne La Libellula, questa viene ‘aperta’ fino a
includere la realtà delle questioni sociali, giacché Esterina, anziché stare in alto e presentarsi come Signora, come salvifica e intoccabile dea, ha portato la zappa al collo e ha sempre lavorato, spostandosi dalla campagna, rimasta deserta dopo la migrazione dei contadini nelle città, al banco di un negozio di elettrodomestici – problema quanto mai attuale tra anni Cinquanta e Sessanta14. Rosselli, in questo modo, correggeva
un’intera visione del mondo, che aveva al proprio centro una specifica visione della donna, la cui idealizzazione ha subito a più riprese i colpi della critica rosselliana, talvolta sarcastica talvolta sofferta, soprattutto in relazione al problema del desiderio (principalmente femminile, ma anche maschile, giacché in entrambi i casi il corpo e la sessualità sono stati del tutto sublimati dalla maggiore tradizione lirica occidentale15)
che si trova continuamente messo a tema non soltanto ne La Libellula ma anche in Variazioni Belliche e, soprattutto, in October Elizabethans, arrivando fino a Sleep16. La
autrici, nell’Introduzione alla seconda edizione (che è stata pubblicata una decina di anni dopo), ammettono certi limiti della loro indagine, giustificandoli però con l’entusiasmo della loro scoperta: che fosse finalmente possibile parlare della posizione della donna nei confronti della tradizione letteraria al maschile, in particolare delle scrittrici ‘pioniere’ del XIX secolo. Gilbert e Gubar, per altro sostenute da Bloom stesso, partono da un assunto di fondo: che il modello bloomiano sia giusto perché, costituendosi la storia letteraria esclusivamente di voci maschili, la lotta edipica vi è inevitabile e, in questo contesto, quando le donne prendono la parola, non soltanto devono lottare per affermare la propria originalità ma, ancor prima, devono rivendicare e giustificare il loro stesso diritto a prendere la parola. C’è però da chiedersi, come faremo, se in generale, anche tra poeti uomini, non siano possibili altre modalità relazionali.
13 Riguardo all’assunzione, da parte del soggetto rosselliano, della posizione tradizionalmente affidata alla donna
nella lirica con l’intento di sovvertirla e di minare il rapporto io-tu, rimando fondamentalmente al già citato E. Tandello, Amelia Rosselli. La fanciulla e l’infinito e allo studio di Rosaria Lo Russo, I Santi Padri e la figlia dal cuore
devastato, in La furia dei venti contrari, pp. 69-86.
14 “Esterina i tuoi vent’anni | ti misurano cavità orali ed auricolari Esterina | la tua bocca pendente dimostra che
tu sei fra | le più stanche ragazze che servono al di dietro | dei banchi. E tu la zappa ti sei portata al collo, | s’infigge di mezze lune. Te cerco su di un altro | binario; io te cerco nella campagna deserta.” E ancora: “Il pensiero | di te mi inveiva, il pensiero duro di te reale | mi smorzava la gioia di te irreale, più vera | della tua vera vissuta visione, più lucida della | tua vivida dimostrazione, più lucida della tua vera | lucida vita vera ch’io non vedo”. La Libellula, pp. 212-3.
15 Si veda a tal proposito uno dei suoi scritti critici sulla poesia di John Berryman, di cui Rosselli apprezza proprio
la “fusione di sentimenti petrarcheschi col realismo di sentimenti concreti (sensuali e sessuali)”. Cfr. Poesia d’élite
nell’America d’oggi, in Una scrittura plurale, p. 151.
16 Presso il fondo Manoscritti di Pavia, nel faldone Sl. 6 cartella 24, è conservato un foglio inedito di Note per «Sleep» scritte da Rosselli stessa: il “soffocare la passione”, gli “ostacoli posti alla passione”, la “sublimazione”
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questione della rappresentazione poetica della donna è inscindibile, cioè, da una problematica più ampia, che è, al contempo, psicologica e sociale.
Inoltre, a Esterina è legato, nell’originale montaliano, il tema del mare: in Falsetto Esterina ha la capacità di scrollarsi di dosso il pensiero opprimente del passare del tempo, per tuffarsi, ridendo, tra le onde, immergendosi nel principio vitale, l’acqua marina, dal quale il poeta si sente invece irrimediabilmente disgiunto, tanto che ai suoi occhi si trasfigura in un “gorgo che stride”17. Nel poemetto Mediterraneo, sempre
contenuto negli Ossi di seppia, è proprio la crescita, il passaggio dall’età infantile a quella adulta, a segnare il distacco dell’io poetico dall’“esser vasto e diverso | e insieme fisso” del mare: il “piccino fermento” della vita interiore, che da bambino era sentito come “un momento” del movimento marino, ne è ora alienato, e l’io poetico si scopre scoria, residuo, osso di seppia abbandonato dalla marea18.
Non sembra dunque un caso che, ne La Libellula, poco prima della variazione sulla figura di Esterina, se ne ritrovi un’altra, che riguarda appunto il tema del mare, giocata su una formula (“Dissipa tu se lo vuoi”) che è tratta dall’ultimo movimento di Mediterraneo, là dove il soggetto poetante arriva a invocare il mare perché questo dissolva in se stesso la sua “debole vita che si lagna”19. Nella medesima conversazione con
Ulderico Pesce da cui proviene la precedente testimonianza, Rosselli spiegava perché la sua variazione sul tema del mare ne restituisca, infine, una visione negativa:
Proprio per questa esigenza, forse soprattutto montaliana, di vedere il mare come principio ispiratore. A volte può bastare una bacinella piena d’acqua. Mi andava di protestare, ma in modo forse ironico, contro una visione tranquillizzante del mare sempre a disposizione di pittori e poeti. Questo stare sempre al centro dell’attenzione
dello «élan» passionale come compito della donna”, nelle note per la poesia no i did not love you i see this clear, che si trova ora in Sleep, p. 890.
17 Cfr. v. 44 di Falsetto, in E. Montale, Tutte le poesie, p. 15.
18 Si tratta del secondo movimento di Mediterraneo, cfr. E. Montale, Tutte le poesie, p. 54. Per un’interpretazione
complessiva ed esaustiva di Ossi di seppia proprio su questa chiave, rimando a R. Luperini, Storia di Montale (Roma- Bari, Laterza, 2007), in particolare il capitolo L’identità mancata, pp. 15-58.
19 “Dissipa tu se lo vuoi, | questa debole vita che si lagna, | come la spugna il frego | effimero di una lavagna. |
M’attendo di ritornare nel tuo circolo, | s’adempia lo sbandato mio passare.” (E. Montale, Tutte le poesie, p. 61) Sono questi i primi versi del movimento in questione, che vengono parossisticamente ripetuti e variati ne La
Libellula (e adattati a tematiche care a Rosselli) fino ad arrivare, anche, alla loro ridicolizzazione: “Dissipa tu se tu
vuoi questa debole | vita che non si lagna. Che ci resta. Dissipa | tu il pudore della mia verginità; dissipa tu | la resa del corpo al nemico. Dissipa la mia effige, | dissipa il remo che batte sul ramo in disparte. | Dissipa tu se tu vuoi questa dissipata vita dissipa | tu le mie cangianti ragioni, dissipa il numero | troppo elevato di richieste che m'agonizzano: | dissipa l'orrore, sposta l'orrore al bene. Dissipa | tu se tu vuoi questa debole vita che si lagna, | ma io non ti trovo e non so dissiparmi. Dissipa | tu, se tu puoi, se tu sai, se ne hai il tempo | e la voglia, se è il caso, se è possibile, se | non debolmente ti lagni, questa mia vita che | non si lagna.” (La Libellula, p. 209)
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del mare stesso. Ho tentato di farne a meno. O quasi. Il mare può esser bello e d’aiuto ma può essere anche antipatico e ripetitivo.20
Da un lato, Rosselli intendeva opporre al tono altamente lirico che accompagna la montaliana invocazione al mare la poeticità della vita in tutta la sua intima umiltà, in quella che, paradossalmente, potrebbe definirsi la sua prosaicità: a ispirare la poesia può infatti essere anche “una bacinella d’acqua”. Dall’altro lato, la variazione agisce sulla problematica esistenziale che Montale ha riversato nell’immagine del mare. Come abbiamo visto, il rapporto tra soggetto e mare vi riflette il contrasto tra la linearità negativa della vita individuale e la ciclicità della natura: positiva per Montale, quest’ultima rivelava invece, a Rosselli, sin dall’inizio del suo percorso poetico, il proprio volto “cangiante”, per questo inquietante, tale da non risolversi nell’armonia cosmica o nella gloria divina, come avviene, per esempio, nella poesia più nota di