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2 1 Vocazione realista e poesia metafisica

Conto di farla finita con le forme, i loro bisbigliamenti, i loro contenuti contenenti tutta la urgente scatola della mia anima la quale indifferente al problema farebbe meglio

a contenersi.

Amelia Rosselli, Documento

Se Amelia Rosselli definiva ‘post-realista’ la propria poesia è perché, dunque, la intendeva quale espressione di una realtà che, compresa nel cerchio del pensiero, è sempre soggettiva, punto di fusione tra interiorità e mondo. Giacché la parola è traccia sonoro-visuale delle forme che l’esperienza imprime nella mente, la scrittura poetica, a sua volta, in quanto lavoro e ricerca sulla parola, non è pensabile al di fuori dell’esperienza stessa. Per questo, scrivere, scrivere sul serio, implica farsi carico di una responsabilità etica che supera la prospettiva confessionale e puramente privata per innescare un processo conoscitivo che, attraverso la soggettività del poeta, possa infine raggiungere e coinvolgere l’esperienza interiore del lettore.

A tale pensiero corrisponde, anzitutto, la forma della poesia che si ritrova nel libro d’esordio di Rosselli, Variazioni Belliche, dove è costantemente esibito il “cedimento del diaframma tra vita interiore e mondo esterno”1 per cui la scrittura sembra davvero

scaturire dall’incontro-scontro tra il vissuto interiore e gli oggetti, le persone, gli eventi che dovrebbero costituire lo scenario esterno, il contesto che circonda l’io, e che invece si trovano compresi in un ‘campo’ esperienziale, cui lo spazio metrico dà forma, nel quale dentro e fuori si sovrappongono, compenetrano, confondono. Così, lo stream of thought trascrive l’esperienza vissuta di un soggetto che si figura come totalmente immerso nella realtà, disposto ad accoglierne ogni esperienza, alla ricerca delle ragioni

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della guerra, della miseria, di tutte le ingiustizie che segnano tanto il mondo quanto, inevitabilmente, il soggetto stesso. Ancor prima, però, su questo “tipo di scrittura” si fonda il poemetto La Libellula2 che, pur pubblicato dopo le Variazioni, le precede

cronologicamente e in buona misura vi si sovrappone3. Perciò, ne La Libellula si trova

messa in atto la prima vera e propria prova della sperimentazione poi teorizzata in Spazi Metrici, sì che il poemetto è “esemplificazione linguistica e formale” del “movimento quasi rotatorio” e del “tono un po’ volatile” con cui il poeta intende “tradurre il rullo cinese” – del pensiero, cioè dell’esperienza interiore – “in delirante corso di poesia occidentale”4.

Se l’ispirazione orientale del poemetto si riflette nella forma ritornante interna al testo, al punto che La Libellula sarebbe pensato in “forma di drago che si mangia la coda”, dove l’immagine circolare dell’uroboro raffigura, iconicamente, le spire ritmiche del pensiero, dell’esistenza, quindi, il ritorno vorticoso delle parole-idee5, invece, i temi che

vi sono trattati sono profondamente occidentali, tanto che Rosselli ha infine descritto il “rullo” del poemetto come “davvero non cinese, anzi cristianissimo, ispirato al tema della «giustizia» ebraica”6. La “libertà”, “tema centrale” de La Libellula7 intorno al quale

la scrittura “gira in cerchi”8, riguarda dunque, anzitutto, la ricerca della ragione divina

in una realtà devastata dal male, in relazione al motivo della colpa umana e del libero arbitrio – interrogazione in cui sembrano echeggiare le domande del Giobbe biblico. Il problema della “libertà” rispecchia, cioè, prima di tutto, lo scontro tra volontà umana e Legge divina, che si riflette, a sua volta, nel contrasto vissuto dal soggetto tra passione e purezza, tra desiderio e castità, tra corpo e razionalità. Di conseguenza, lo stesso tema chiama in causa il rapporto del soggetto con l’Altro, destinato sempre a mancare, e la

2 Dalle Note a «La Libellula» allegate al poemetto nell’edizione del 1985, ora riportate nella relativa scheda del

Meridiano Mondadori, p. 1314.

3 Rosselli ha sempre indicato il 1958 come anno di formulazione dello spazio metrico e di composizione del

poemetto. Pur accettando l’importanza di questa data, bisogna tenere a mente che La Libellula, come dimostrato da Giovannuzzi, sembra essere stato a più riprese rivista anche nel periodo successivo, coincidendo in parte con la stesura di Variazioni Belliche, quindi, potenzialmente, del secondo nucleo di Sleep. Cfr. il già citato saggio di S. Giovannuzzi, Come lavorava Amelia Rosselli, in La furia dei venti contrari, pp. 20-35.

4 Note a «La Libellula», p. 1314.

5 Ma l’uroboro indica anche il fatto che, nel poemetto, “principio e fine si ricongiungono” (dal risvolto di copertina

della prima edizione di Serie Ospedaliera, ora nella relativa scheda di commento in L’opera poetica, p. 1312): infatti, dal “salto” iniziale del soggetto, il poemetto culmina nella “rovina”. Di questo parleremo nel corso del nostro lavoro.

6 Note a «La Libellula», p. 1314. 7 Ivi.

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rappresentazione della donna, vero Altro per la poesia occidentale, sin dalle sue origini. Ancora, il poemetto interroga le possibilità dell’intelletto di dominare e ordinare la materia dell’esperienza, quindi la conoscibilità stessa del reale: l’esercizio di “libertà” e indipendenza della mente umana davanti a un mondo fenomenico cui sembra mancare una ratio prima. Infine, e soprattutto, motivo centrale de La Libellula è la “libertà” del poeta stesso: non è un caso che, nel poemetto, tutti questi motivi vengano affrontati in una perenne commistione di memoria poetica e riferimenti alla realtà concreta materiale (“automobili”, “vino”, “bistecca”, per dirne alcuni) perché con il poemetto Rosselli stava tentando una rielaborazione del rapporto tra poesia e vita che riportasse la prima al livello della seconda. Si tratta, cioè, del momento in cui il soggetto poetante ancora “confida, prima della rivoluzione, nel «discorso»”9, ovvero, nella possibilità del dialogo

con l’alterità: prima della rivoluzione che, evidentemente, coincide con le Variazioni. Tutti i motivi intorno a cui ruota La Libellula, si noti, sono fondamentali per l’ispirazione rosselliana, tanto che si ritroveranno in tutta la sua poesia, pur sviluppati via via secondo il processo di maturazione esistenziale e poetica che si inscrive nel cammino della sua opera.

Seppur in maniera diversa, giacché viene meno la sperimentazione formale che convoglia stream of thought e suggestione orientale, l’esigenza di ‘realismo’ si afferma, apertamente, nel terzo e ultimo libro in italiano di Rosselli, il libro della maturità, Documento, che già dal titolo si offre come tentata testimonianza dell’esistenza quotidiana.

Tra quest’ultimo e le Variazioni si colloca invece una raccolta di poesie che, osservata in questa prospettiva, fa problema: Serie Ospedaliera. Qui, il contatto con l’esperienza sembra rarefarsi a favore di una sempre più ingombrante trasfigurazione poetica: man mano che la raccolta procede, persone ed elementi della realtà esterna si fanno evanescenti, sempre più assorbiti in quella memoria letteraria che, già presente nelle Variazioni e ne La Libellula, dà ora voce a un soggetto isolato, lontano dalla società, a cui costantemente sfugge la presa sul mondo10. Già Rosselli ammetteva di aver superato

9 Ivi.

10 Si noti che le prime poesie della Serie sono scritte a ridosso delle Variazioni, sì che l’ispirazione sperimentale del

libro esordiale pare entrare e sfumare via via nel corso del secondo: come accennavamo nel precedente capitolo, le raccolte poetiche rosselliane sono testimonianza di un processo euristico continuo, tanto esistenziale quanto poetico. Rosselli stessa ha, del resto, definito le prime trentacinque poesie della Serie come quelle “più sperimentali

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e scartato la sperimentazione di cui testimonia Spazi Metrici “negli anni seguenti”11,

ovvero, dobbiamo pensare, proprio con i testi poi confluiti in Serie Ospedaliera, che non a caso descriveva come libro della “privazione di vita, cessata la guerra”, di “convalescenza, ripensamento, riscoperta della natura, rinascita della speranza dopo il teso vedere ad occhi sbarrati”12.

Se infatti, come ha notato Mengaldo, nella poesia rosselliana si trova sempre abolito “ogni confine tra interno ed esterno, privato e pubblico-sociale”, in un continuo rovesciamento del particolare nell’universale e viceversa, che rivela la “normalità dell’orrore”, la “quotidianità come dominio privilegiato del terribile”13, pure, bisogna

notare come ci sia un mutamento sensibile della scrittura a seconda dell’atteggiamento che il soggetto poetico assume nei confronti della realtà esteriore. Al delirante corso di poesia occidentale, che deve accogliere ed esprimere il vorticoso movimento del pensiero di un soggetto che è esposto e aperto al mondo, che guarda e ‘assorbe’ i fatti della realtà con “gli occhi sbarrati”, si sostituisce, in Serie Ospedaliera, un ritmo più pacato, più introspettivo. Lo spazio metrico si allenta, i testi assumono una forma distesa, meno compatta14, mentre il ritorno dei suoni, delle immagini, dei temi – ritorno che rimane

sempre principio ritmico-formale della scrittura, come lo è del pensiero e dell’esistenza – è ora meno martellante perché tutto interiore, lontano dallo spirito della ‘guerra’: ritmo di un doloroso “ripensamento”.

Una simile sensazione di distacco dal mondo si ritrova anche nel libro in lingua inglese che Rosselli ha elaborato nell’arco di tredici anni, dal 1953 al 1966, che è la sua quarta e ultima raccolta poetica: Sleep15. Si tratta di un testo che richiede un’attenzione

sia sintatticamente che tematicamente”, difatti assimilabili alla stessa ‘fase’ delle Variazioni Belliche. Cfr. Nota per

l’editore, riportata nel Meridiano, p. 1336. 11 Note a «La Libellula», p. 1314.

12 Dal risvolto di copertina della prima edizione di Serie Ospedaliera, nel Meridiano, pp. 1311-2. 13 Si fa riferimento al già citato P. V. Mengaldo, Amelia Rosselli, p. 995.

14 “A partire dal ’65 conquistai maggiore semplicità pervenendo a una ‘forma-tubo’ di agevole lettura e di ampia

stesura. Nacquero così le poesie migliori.” L’espressione “forma-tubo” è ovviamente usata in relazione a quella di “forma-cubo”: i testi di cui Rosselli parla assumono ora una forma allungata, quasi ‘tubolare’. Cfr. Intervista a cura di Marco Caporali, in La furia dei venti contrari, p. 165 (la stessa intervista si trova in È vostra la vita che ho perso ma proprio in questo punto si trova un refuso: anziché “forma-tubo” il testo riporta “forma-cubo”).

15 Quarta in ordine di pubblicazione, ma non di stesura, giacché precede cronologicamente Documento. Per questa

visione generale dell’opera rosselliana prendiamo in considerazione Variazioni Belliche, Serie Ospedaliera, Documento e Sleep perché si presentano come libri autonomi, organismi unitari, redatti da Rosselli per essere tali. Invece, Primi

scritti e Appunti Sparsi e Persi (editi rispettivamente nel 1980 e nel 1983) sono raccolte ‘estravaganti’, nel senso che

riuniscono a posteriori dei materiali che non erano pensati per la pubblicazione o erano stati esclusi dagli altri libri o ancora avevano genesi indipendenti l’una dall’altra. È questo, in particolare, il caso di Primi scritti, raccolta delle sperimentazioni giovanili cui Rosselli sembrava pensare già nel 1966, pubblicata infine soltanto dopo Documento, ovvero, dopo l’espressione della piena maturità poetica: ciascuno dei materiali riuniti in Primi Scritti, come Diario

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particolare, innanzitutto proprio perché Rosselli vi si è dedicata così a lungo, tornandovi più volte nel corso degli anni: fatto, questo, che prova il peso e il valore che per lei doveva avere la scrittura in lingua inglese, nonostante la fama e il riconoscimento poetico le derivassero, piuttosto, dalle coeve opere in italiano. Inoltre, questa insistenza, questo ostinato ritorno sull’inglese fa sì che le poesie di Sleep, ordinate secondo il criterio cronologico, registrino l’evoluzione di una ricerca poetica che è scandita in “tre fasi temporali ben precise”, tre principali momenti durante i quali i testi vengono scritti, con poche eccezioni subito precedenti o subito successive16.

L’edizione definitiva di Sleep, che ha visto la stampa molto tardi, soltanto nel 199217,

si apre con una ventina di testi scritti intorno alla metà degli anni Cinquanta, durante il periodo di intensi studi e sperimentazioni in cui Rosselli, ancora, scriveva in tutt’e tre le lingue di sua competenza. A questo stesso giro di anni risale, per esempio, anche il preziosissimo Diario in tre lingue, datato tra il 1954 e il 1956, e, soprattutto, l’altro libro rosselliano in lingua inglese, il mini-canzoniere di pseudo-sonetti elisabettiani, tangente rispetto a Sleep, che però soltanto molto tardi, nel 1970, ha preso il nome di October Elizabethans18. Nello specifico, la scrittura in inglese confluita in Sleep, inaugurata già nel

1953 da un'unica poesia, What woke those tender heavy fat hands, trova vero e proprio avvio nel 1955, anno al quale risalgono diciotto dei testi dell’edizione definitiva, per proseguire, poi, nel 1956, che però ad oggi registra un numero esiguo di poesie giacché, in quello stesso anno, in un impeto creativo, Rosselli ha scritto l’intero corpus degli elisabettiani19. Difatti, nel periodo compreso tra gli ultimi mesi del 1955 e l’estate del

1956, Rosselli lamentava nelle lettere a John uno stato di inerzia e di vuoto creativo sbloccatosi soltanto durante il mese di giugno, “feeling the stuff coming up from low down in the stomach: a rather worrisome sensation”20, fino alla frenesia creativa esplosa

in tre lingue o il mini-canzoniere October Elizabethans, ha effettivamente una propria storia e una forma autonoma,

motivo per cui il volume, benché nel complesso abbia una sua coerenza come testo documentario o ‘autoritratto dell’artista da giovane’, tuttavia, non può essere considerato come un’organica e coesa raccolta poetica.

16 La storia del libro è stata già tracciata da Emmanuela Tandello nella scheda relativa a Sleep del Meridiano, in

particolare pp. 1483-7. A seguire cercheremo di integrare il percorso della raccolta con quello degli studi, delle letture, delle riflessioni di Rosselli.

17 Per l’editore Garzanti e con le traduzioni di E. Tandello.

18 Per una ricostruzione esaustiva della storia dei materiali degli anni Cinquanta, rimandiamo alla scheda del

Meridiano di Primi scritti curata da C. Carpita, pp. 1387-95.

19 Presso il Fondo Rosselli del Centro Manoscritti di Pavia si trova un dattiloscritto di Sleep (cartella Sleep [1]) che

sicuramente precede di poco la pubblicazione e che contiene tutte le poesie inizialmente pensate per il libro, anche quelle escluse dall’edizione definitiva, per un totale di 140 fogli. Su ogni testo è indicata la data di stesura. Al 1955 risalgono in totale 25 poesie, di cui 7 saranno escluse; al 1956 risalgono, invece, soltanto sei testi.

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tra la fine dell’estate e l’autunno: “working working working and not menaging to sleep enough”21: testimonianze, queste, estremamente significative perché ritroveremo i

movimenti nella pancia e l’insonnia, così implicati nell’attività poietica, nell’immaginario stesso della poesia. Gli elisabettiani, dunque, sembrano essere stati scritti tra il settembre e l’ottobre 1956 (da cui il titolo) quasi siano scaturiti da un unico afflato creativo, suscitato dalla lettura vorace della poesia di John Donne, prima, e quindi dell’opera teatrale e poetica di William Shakespeare22.

Se all’anno precedente risalgono sia l’incontro con l’Antico Testamento sia la rilettura del Paradiso Perduto di John Milton e della poesia di John Keats e, coincidenze da non sottovalutare, di Dante e dei Canti leopardiani23, nell’ottobre 1956, oltre Donne

e Shakespeare, Rosselli scopriva anche la poesia di Gerard Manley Hopkins, di cui si definiva addirittura “emarveled”24, e diceva di voler tradurre in italiano sia un

commento al Finnegans Wake di Joyce sia un saggio di Eliot “on theatre in relation to Poetry”25, verosimilmente Poetry and Drama: fatto interessante perché in grado di

21 Lettera a John del 20 settembre 1956.

22 L’epistolario con John testimonia che una prima lettura di Shakespeare doveva essere avvenuta già nel 1952

(anche se non abbiamo indicazione circa il testo usato da Rosselli – lettera del 3 aprile di quell’anno). È però nell’ottobre 1956 la lettera in cui scriveva al fratello: “Now studying Shakespeare most carefully, after having guzzled through Donne”, autodefinendosi “a Busy Bee” per l’attività frenetica di studio e scrittura che caratterizza il periodo. Nel fondo di Viterbo si trovano sia le poesie di John Donne sia l’edizione monumentale delle opere shakesperiane curata da Paul Harvey, The works of William Shakespeare: gathered into one volume, ed edita nel 1938 per la Shakespeare Head Edition della Oxford University. Il volume reca in apertura la firma e un anno, segnati entrambi a matita: “Amelia Rosselli ‘56”, a conferma di quanto testimonia l’epistolario con John.

23 Le letture del 1955 sono molto più varie ma si segnalano solo quelle che ci sembrano significative per la poesia

di Sleep. Si vedano le seguenti lettere a John di quell’anno: 12 aprile (Bibbia e Milton, che per altro era già evocato in una lettera del luglio 1952), 1 ottobre (Keats), 21 ottobre (Dante e Leopardi). Per quanto riguarda la Bibbia, Rosselli possedeva una copia in inglese inviatale da John mentre si trovava al Sanatorium Bellevue di Kreuzlingen: in questo periodo estremamente difficile, la lettura sembra sia stata l’unica attività in grado di darle conforto. Della Bibbia Rosselli apprezzava in particolare l’Antico Testamento (“pity hadn’t read it before – find it much more meaningful than second book”, lettera del 12 dicembre 1954). Non si può sapere con certezza quale testo biblico avesse a disposizione a Kreuzlingen ma il fondo di Viterbo conserva due copie, entrambe in inglese, di cui una estremamente interessante, edita nel 1938: The Bible designed to be read as living literature, nella versione di King James, la cui sezione centrale, quella che più reca segni di lettura, è intitolata “Poetry, Drama, Fiction and Philosophy”, perché l’editore Ernest Sutherland Bates tratta il testo come vero e proprio materiale poetico, teatrale, narrativo, filosofico. I testi più segnati da Rosselli sono i Salmi (presentati come An anthology of sacred poetry), i Proverbi (An

anthology of gnomic poetry), il libro di Giobbe (A philosophical drama, trattato come una play con tanto di dramatis personae

in apertura) e il Cantico dei Cantici (A fragmentary wedding idyll).

24 Vedi la lettera del 27 ottobre 1956. L’aggettivo è grammaticalmente scorretto giacché quello di uso corrente

sarebbe piuttosto “marveled”, ma, come in poesia, anche nelle lettere Rosselli contaminava tra loro le lingue, deformava e/o inventava parole: in questo caso, l’aggettivo è creato direttamente dal verbo “to marvel”, con l’aggiunta di un prefisso tipico per i derivati verbali, “e-”. Per quanto inappropriata, questa formulazione riesce a rendere l’enfasi e l’intensità dello stupore e della meraviglia di Rosselli di fronte alla poesia di Hopkins. Purtroppo, il fondo Rosselli non conserva il testo usato a quel tempo.

25 Vedi la stessa lettera dell’ottobre 1956 in cui dice di leggere Shakespeare. Per quanto riguarda il commento a

Joyce, si tratta dello stesso saggio che abbiamo evocato nel capitolo precedente, A Skeleton Key to Finnegans Wake di Campbell, anche se in questa lettera Rosselli si confonde e lo attribuisce a Gilbert.

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provare l’interesse non solo per la letteratura modernista in lingua inglese, ma anche per la relativa letteratura critica. Da tali testimonianze deduciamo dunque che, nell’impetuoso fermento dell’autunno del 1956, la sua ispirazione poetica era stimolata e sostenuta da due ‘tipi’ di letture in lingua inglese – early modern, da un lato (Donne e Shakespeare), proto-modernista e modernista, dall’altro (Hopkins, Joyce, Eliot) – a cui facevano da sfondo quelle dell’anno precedente (la Bibbia, Milton, Keats): ne scaturiscono due corpi testuali che, pur tanto vicini da contaminarsi l’un l’altro, sono tendenzialmente distinguibili. Infatti, sempre in quest’intenso ottobre del 1956, Rosselli diceva a John di aver scritto “about 60 poems in Pastiche Elizabethan Style, as well as a few modern ones in English”26: si tratta, evidentemente, delle poesie di October

Elizabethans (la cui mole però oggi si trova ridotta a soli 24 testi) e del primo cuore di Sleep, che ancora non doveva avere unità né forma tanto che in seguito, verosimilmente, avrà assorbito alcuni degli elisabettiani27.

A seguito di quest’esplosione creativa, il “fantasma ‘inglese’”28 sembra essere

riapparso soltanto occasionalmente tra il 1957 e il 1960, per manifestarsi di nuovo, in maniera significativa, nel 1961, in concomitanza con l’ultimo strascico compositivo di Variazioni Belliche. Perciò, l’anno successivo, nel 1962, Rosselli attuava una prima vera e propria divisione tra i due corpi testuali, gli elisabettiani e i moderni, i quali, a questo punto, dovevano essere circa cinquanta29. Infine, dopo qualche anno di silenzio,

26 Vedi la stessa lettera dell’ottobre 1956 in cui dice di leggere Shakespeare.

27 Per esempio, un testo come Ye who do Batter me with Wordes (l’ottavo di Sleep) potrebbe rientrare a pieno diritto

nel mini-canzoniere, sia per caratteristiche formali sia per conformità contenutistica, oltre che per l’esplicita rievocazione, modernamente manipolata, di John Donne, su cui si fondano gli elisabettiani. È difficile individuare altri ipotetici testi di Sleep che inizialmente Rosselli poteva aver incluso nel conteggio dei quasi “60 poems in Pastiche Elizabethans Style”. Anzi, il totale dei testi scritti in inglese entro il 1956 di cui abbiamo testimonianza

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