• Non ci sono risultati.

Questa parte di capitolo fa ovviamente pendant con quello in apertura riguardo porti, rotte e vettori del commercio, cercando di porre l’attenzione in modo maggiore sugli ‘attori’ di tali movimenti di merci (e uomini e mezzi).

Altre merci

La bibliografia sulla circolazione di merci nel Mediterraneo medievale è sterminata, ed anche restringendo, per comodità, il raggio della ricerca all’edito riguardante Genova e l’area tirrenica nel Due-Trecento, il volume rimarrebbe enorme58. In merito ad alcuni degli aspetti già toccati,

ossia la coesistenza sulla ‘tavola’ di oggetti in differenti materiali, registrando peraltro come anche a livello produttivo spesso l’artigiano che realizzava stoviglie in ceramica ed in legno era definito con lo stesso termine di “tornator”.

“Di particolare interesse è un gruppo di rogiti del 1236, editi e discussi da Laura Balletto (1981), in quanto in alcuni di essi emerge con chiarezza la figura del tornator. Si tratta di Giovanni, Alberto e Corrado di Lavagna, Giovanni ed Oberto (anch’essi 58 Per quanto riguarda l’entità della documentazione medievale, specie se raffrontata a quella disponibile per altri centri, si veda ad esempio Basso 2014a: 411-413, dove l’autore stima in una cifra compresa fra 80.000/90.000 i rogiti notarili conservati nell’Archivio di Stato di Genova per il periodo 1154-1254, oggetto del suo studio.

probabilmente di Lavagna), Giovanni e Rolando di Monleone (in Valfontanabuona, nei pressi di Cicagna) ed ancora Giovanni di Frassineto, tornitores che commerciano grandi quantitativi di oggetti in legno in Sardegna […] Questi documenti testimoniano un commercio fiorente di vasellame ligneo (scodelle, conche, zuppiere) da Genova o dai porti della Riviera di Levante verso la Sardegna. Genova doveva essere il capolinea di consistenti flussi, se nel 1253 un tornator dell’Oltregiogo vi recapita 2000 vernigatis, mentre nello stesso anno mercanti genovesi si occupano di portarne un carico in Sicilia ed in Tunisia” (Milanese 2011: 52)59.

La discussione poi si apre in questo caso anche alla coesistenza, nei medesimi mercati e vettori, di oggetti di lusso e di pregio con altri di uso comune, di arte e artigianato, di materie prime e prodotti finiti, ma sempre e comunque di cultura materiale riferibile a gruppi sociali, anche differenti, che popolano lo stesso contesto storico.

“Più che come committenti i mercanti genovesi agiscono come intermediari, distributori indifferentemente di materie prime o di prodotti finiti, animati soprattutto dal desiderio di fare guadagni. Creano comunque le infrastrutture, le condizioni indispensabili a che artisti ed artigiani possano attendere alle loro specializzazioni, possano realizzare autonomamente manufatti od oggetti d’arte, senza una precisa committenza o obbedienza a canoni stilistici imposti dall’acquirente. Questo dei mercanti è quindi un apporto marginale alla produzione artistica: tuttavia i nostri uomini d’affari, sensibili ai mutamenti del gusto e abili a percepire gli umori del mercato, finiscono indirettamente per condizionare anche artisti ed opere, richiedendo e facendo circolare solo certi manufatti e ceti oggetti d’arte, rinnovando e stimolando in un certo senso il livello e la qualità della domanda” (Petti Balbi 2007: 201)60.

La stessa Petti Balbi evidenzia poi un elemento fondamentale da tenere in considerazione nel trattare l’argomento degli scambi commerciali in un periodo storico denso di eventi politici e bellici che spesso vengono usati come schermo nelle interpretazioni storiche dei rinvenimenti archeologici: “Precarie relazioni politiche, congiunture demografiche e climatiche negative, episodi di rapina e di rappresaglia, difficoltà nelle comunicazioni, non riescono a mettere in crisi questo costante flusso di uomini e di merci che si muove lungo gli itinerari e le correnti di traffico terrestri e marittime, anche se i percorsi più congeniali per i genovesi sono le vie marittime” (Petti Balbi 2007: 202). Il rischio di utilizzare informazioni di tipo puntuale quali documenti e/o date particolari per interpretare fenomeni indefiniti da un punto di vista cronologico, quali ad esempio l’attestazione di una tipologia ceramica il cui utilizzo può essere ‘spalmato’ su diversi decenni se non secoli, vede infatti un pericoloso contraltare nell’adozione degli stessi eventi come ‘semafori’ che regolano l’accesso a determinate merci o mercati. È invece evidente da una lettura delle fonti storiche come esistessero frequentemente (per non dire sempre) zone grigie di manovra rispetto alle leggi di cui si trova cenno e la possibilità di azione ‘fra le righe’ delle norme ‘ufficiali’. L’esistenza stessa di norme deve servire più come spia per la probabile consuetudine di trasgredirle piuttosto che come un indicatore di come i fatti si svolgessero nella realtà quotidiana.

Tale pericolo è avvertito ad esempio anche da Baldassarri e Giorgio, che sottolineano come 59 Lo stesso Milanese cita poi ad esempio il commercio del sale sulle medesime rotte nel 1127 (1116).

60 Petti balbi tratteggia “il quadro strutturale in cui inserire oggetti ed artisti, quasi sempre correlati alla circolazione mercantile, perché gli artisti e le loro opere camminano lungo i percorsi dei mercanti e l’attività mercantile favorisce contatti con esperienze, costumi, culture alternative” (Petti Balbi 2007: 213).

in certi casi non sembri possibile mettere in correlazione mutamenti politici ed avvenimenti militari con cambiamenti nella produzione commercializzazione dei recipienti ceramici: “Basti per tutti il caso della caduta della Sicilia islamica per mano dei Normanni tra il 1061 e 1091, che pure non ebbe un riflesso negativo su questo tipo di mercato” (Baldassarri, Giorgio 2010: 48 e nota 53, in cui si ammette, citando i lavori di Alessandra Molinari, che comunque si verificarono alcuni cambiamenti, originati parzialmente dallo spostamento di pratici nella penisola).

Monete

Un discorso a parte, fra le merci circolanti, meritano le monete. Sarebbe infatti interessante comprendere quali paragoni possano essere fatti con le contemporanee produzioni ceramiche, dato che si ritrovano spesso, almeno per il caso sardo, reperti numismatici le cui zecche risultano appartenere geograficamente (e politicamente) alle stesse aree di produzione delle ceramiche. Nessuno studio a quanto mi risulta è mai stato condotto in modo comparato fra queste due tipologie di materiali. Ad esempio potrebbe forse essere possibile determinare se esistano due differenti contesti, uno “economico” di cui farebbero parte prodotti come la ceramica ed altri

Fig. 10. Le rotte lungo le quali sono state veicolate le tipologie riscontrate a Geridu (Elaborazione grafica di Francesco Carrera.

materiali rinvenuti negli scavi o noti dai documenti, ed uno “finanziario”, a cui ricondurre il circolante monetario per la stessa epoca. O meglio, dato che tali differenti contesti saranno esistiti o dato che comunque essi esistono sicuramente nella contemporanea ricerca archeologica che basa la propria specializzazione su differenti tipi di materiali (monete/ceramica), sarebbe interessante poter accostarli e comprendere in quale modo le eventuali differenze fra i due registri possano informare sulle pratiche ecnomiche e finanziarie dell’epoca.

Nel sottoparagrafo relativo al caso di studio di Geridu si è provato ad analizzare contestualmente questi due tipi di reperti per come si presentano all’interno della stratigrafia di scavo, sia in modo orizzontale che verticale.

Luoghi di diffusione della GAT

Alla definizione dei luoghi di diffusione della GAT concorrono in eguale misura le fonti storiche ed archeologiche. Quest’ultime ovviamente presentano il vantaggio della ‘materialità’ data dai rinvenimenti che potrebbero apparentemente farle considerare come l’unica fonte affidabile (cfr.

infra il sottoparagrafo relativo ai luoghi di rinvenimento). Tuttavia la semplice e sola attestazione,

di per sé non permette di ottenere molte informazioni, al di là appunto dell’attestazione della presenza, che però va comunque interpretata. Solo il confronto comparato con la fonte storica può permettere di andare oltre il primo filatelico livello dell’attestazione, ad esempio valutando

Fig. 11. Tessere medievali rinvenuti negli scavi urbani di Savona, provenienti rispettivamente da Via Lavagna e da Via Aonzo. Questi manufatti “nummiformi”, databili rispettivamente al XII-XII ed al XIV-XV secolo, sono di difficile interpretazione. Ad esso viene riferito solitamente un carattere commerciale/contabile, con valore cioà di “moneta parallela” convertibile con denaro o beni di consumo, oppure di “lettere di presentazione” mercantili. Reperti archeologici di questo tipo, estremamente rari, vengono solitamente associati a un carattere di “vitalità” economica della città di provenienza, in questo caso Savona (immagine tratta da da Storie 2015. Per il significato e la desrcizione cfr. Storie 2015: 44-45).

qualitativamente e quantitativamente (in quanti e quali siti) le informazioni archeologhe, sia nel rapporto con quelle storiche che in quello ‘interno’ fra le fonti archeologiche stesse.

Le informazioni riguardanti la diffusione della GAT in antico possono essere originate unicamente dall’analisi delle carte di distribuzione dei rinvenimenti (cfr. infra paragrafo su “i luoghi di rinvenimento”), bilanciando tali informazioni con quelle provenienti da altre fonti.

Gli attori del processo di diffusione: i mercanti

È bene cercare di distinguere il più possibile, quando possibile, il carattere degli attori, delle entità sociali coinvolte. Occorre cioè valutare se e quando sia il caso di parlare di ‘Genova’ (o Savona, o altri centri), di singole ‘famiglie’ o di soggetti individuali. Nella trattazione dell’argomento che si propone in queste pagine rimarranno fuori, per motivi di tempo e spazio, altri soggetti che sicuramente ebbero gioco dal punto di vista politico, come ad esempio il potere papale. “Insieme a Pisa e Genova una terza forza, non solo religiosa ma anche politica ed economica, si rivolse verso l’Isola: la Santa Sede, che attraverso gli ordini monastici contribuì anch’essa alla sua rinascita attraverso opere di bonifica al territorio, restauri o costruzioni di nuovi edifici. Dopo secoli di culto orientale sotto il dominio bizantino, l’Isola fu posta sotto l’influenza latina” (Hobart, Porcella 1993: 139).

Grandi famiglie

Casate genovesi citate indirettamente, attraverso menzioni di loro membri nelle operazioni mercantili con la Sardegna, sono: Doria, Spinola e de Mari61.

La famiglia più spesso ricordata nell’ambito della letteratura archeologica della Sardegna Settentrionale bassomedievale è sicuramente quella dei Doria, probabilmente per la concentrazione di ricerche in centri che facevano parte del dominio di tale famiglia sull’isola, come Alghero, Castelsardo e Monteleone Roccadoria.

I Doria impersonarono perfettamente l’ideale aristocratico, soprattutto in territori oltremarini come la Sardegna, creandosi “una consistente base territoriale di natura signorile in aree periferiche, ma strategicamente di grande importanza, del Dominio genovese” (Basso 2014b: 168)62.

Singoli soggetti

Sebbene l’interesse per gli attori che partecipano al fenomeno della diffusione della GAT sia principalmente legato alle dinamiche delle pratiche che mettono in campo e delle relazioni che instaurano, vi sono spesso riferimenti a personaggi ben precisi, identificabili con un nome e con una parziale biografia. A partire da questi soggetti e da questi brandelli di biografie si possono in parte ricucire e ricostruire le vicende più generali della circolazione di merci. È importante ad esempio la menzione di questi soggetti nelle fonti documentarie perché forniscono un’altra prospettiva per interpretare il ruolo di Savona (specie rispetto a Genova) relativamente ai commerci con la Sardegna. Infatti, nonostante siano presenti riferimenti a mercanti genovesi63,

i “vettori commerciali sembrano rappresentati in larga parte da mercanti savonesi e liguri che 61 Cfr. Milanese 2011: 50, che fa riferimento al notaio Giovanni Scriba (1154-64), citando (in nota 11) da Olivetta Schena (2000). Si veda anche in questo stesso capitolo il paragrafo “Imprenditori (e committenti)”.

62 E cfr. nota 98 in cui si cita Basso 1997.

63 Cfr. ad es. il mercante genovese Blancardo citato in Milanese 2011: 50 (che fa riferimento, in nota 12, a Chiaudano, Moresco 1935).

frequentavano il porto di Savona, piuttosto che da quelli genovesi, come in genere si ritiene” (Milanese 2011: 56). Ad un primo esame quindi, Marco Milanese sposta il merito del discorso sul fatto di parlare non più di ‘mercanti genovesi’ o di ‘Genova’, quanto di ‘Savona’ e dei ‘Doria’64.

Milanese riporta sulla base dello studio degli atti rogati da due notai attivi a Genova verso la fine del XII secolo, più o meno nello stesso periodo in cui si afferma definitivamente la produzione di GAT a Savona, l’attestazione di una rete di scambi che all’epoca si può immaginare ‘solida’, fra la Liguria e la Sardegna:

“Negli atti del notaio Oberto Scriba de Mercato, negli anni 1184 e 1190, si segnalano almeno 40 contratti commerciali per la Sardegna, così come in quelli del notaio Guglielmo Cassinese (1191) sono registrati 52 contratti per la stessa destinazione; si tratta di contatti intensi e regolari, non occasionali, da leggersi anche in relazione ad una strategia di consolidamento, che porterà alla fondazione della colonia genovese di Bonifacio nel 1195” […] I protagonisti di questo commercio per la Sardegna (e spesso per la Corsica, una tappa del viaggio) rimandano, oltre che a Genova, ad Arenzano, Lavagna, Portovenere, Zoagli, Quinto, Sestri Levante, Sestri Ponente, Rivarolo, ma sono noti anche nomi di corrispondenti sardi o di sardi residenti a Genova” (Milanese 2011: 51).

Allo stesso tempo si registra quindi, in una reciprocità lungo il percorso inverso, la presenza di mercanti sassaresi a Genova, come nel caso di Arzoco Gaiano de Sassari. Questa considerazione è importante per uscire dalla logica ‘passiva’ in cui spesso la storiografia (di entrambi i lati dell’alto Tirreno) ha indugiato nel ricostruire il ruolo dei territori sardi in queste vicende. Naturalmente l’importanza di queste informazioni non deve essere funzionale ad un discorso identitario ‘di rivalsa’ della periferia nei confronti del centro, ma deve piuttosto servire a rendere conto della complessità reale di questi fenomeni di scambio in antico, delle sfumature che caratterizzavano la reciproca influenza degli attori e dei luoghi. Un’ottica di “reciprocità” che riguarda in qualche misura tutti i centri coinvolti in questi scambi. Per quanto riguarda Savona ad esempio “Mercanti di Savona sono piuttosto attivi in molti empori del Mediterraneo orientale sulla scia dei mercanti genovesi (Nicolini 1987-88)” (Gardini 1993: 70), mentre allo stesso tempo è possibile ricavare cenni sulla “presenza a Savona, alla fine del XII secolo, di un certo Guglielmo “Greco”, personalità piuttosto importante [Guglielmo “Greco” è menzionato negli Atti dei notai Armando Cumano e Giovanni di Donato (1179-1188)] attiva sia in imprese commerciali che con incarichi pubblici” (idem: 70-71).

Basso registra il carattere poliforme di queste relazioni commerciali ed il coinvolgimento di soggetti pertinenti diversi centri dell’area tirrenica, con “l’attestazione dell’attività commerciale di … Sergio Scopulo [di Scala (Salerno)] il quale, insieme al proprio socio, il milanese Barbavaira, con il quale aveva già precedentemente stretto accordi, stipula nel 1203 una serie di contratti di accomandita per Bonifacio e la Sardegna con mercanti liguri” (Basso 2014a: 426).

64 Le prime fonti relative a Savonesi che commerciano in Sardegna sono il cartulario di Arnaldo Cumana e di Giovanni di Donato (1178-1188), che contengono atti di natura commerciale per gli anni 1178, 1180, 1182, ma ancora nel 1214 sono gli atti del notaio Uberto a citare savonesi impegnati nel commercio con l’isola. Conservati all’Archivio di Stato di Savona, documentano un commercio diretto tra Savona e la Sardegna, senza il ricorso a Genova [Balletto 1982, doc. n.17] (Milanese 2011: 51-52).

Koinè genovese

Parlare di koinè genovese, soprattutto in relazione alla rete di colonie che Genova progressivamente costruì e mantenne nel Mediterraneo, è un argomento alquanto scivoloso. Più per il significato simbolico (si legga ‘identitario’) che tale definizione può avere piuttosto che per la registrazione dell’effettiva esistenza di tale rete. Una fitta rete di insediamenti, cultura materiale, relazioni, diritti, tutti gangli vitali di un comune tessuto connettivo, di un ‘sistema nervoso’ “diffuso”. A tal proposito si è già accennato in precedenza (Basso 2011: 9-10)65 al modello dei genovesi di

“replicare nel quadro della proiezione oltremarina della loro città, creando, secondo una fortunata definizione, delle “altre Genova” al di là del mare”. Il riferimento ad un ‘Commonwealth’ genovese è presente già, ad esempio, in Pistarino 1981.

Le parole di Giovanna Petti Balbi ci restituiscono l’immagine, comune a molte forme di colonialismo medievali, di soggetti che operano in queste realtà geografiche, le nationes genovesi all’estero (d’oltremare), con una mentalità ancora fortemente legata alla madrepatria: “Queste vicende mercantili rimangono comunque ancorate ad una precisa realtà sociale e culturale, perché i genovesi non allentano i legami con la madrepatria, si limitano ad operare per un certo periodo all’estero allo scopo di fare esperienza e danaro, ma guardano sempre agli affetti, alla casa, agli interessi cittadini o nel contado” (Petti Balbi 2007: 202).

Per quanto riguarda nello specifico la produzione di ceramica GAT, Fabrizio Benente parla di

koinè parlando di ceramiche PML e GAT.

65 Si veda anche la citazione in epigrafe dell’articolo di Basso, presa da un Anonimo Genovese del secolo XIII (Rima CXXXVIII, vv. 195-198): “E tanti sun li Zenoexi, / e per lo mondo sì destexi, / che und’eli van o stan / un’atra Zenoa ge fan” (Basso 2011: 7).

3. “Dopo” (Afterlife)

Il riconoscimento di una fase postmortem (o di afterlife) è fondamentale, a livello concettuale, perché permette di inserire lo studio di un oggetto nella prospettiva dei processi di formazione. Infatti solo accettando che la ‘vita’ funzionale di un oggetto è inserita in una traiettoria più ampia, sia nella dimensione orizzontale del contesto che in quella verticale della diacronia, si può tentare di comprendere il suo ruolo attivo di cultura materiale, ed uscire dalle pastoie dell’approccio filatelico-classificatorio. Naturalmente l’ampio percorso della biografia culturale permette di posizionare in una prospettiva più proficua non solo l’oggetto ma anche l’osservatore, inserendo ad esempio il contesto stesso della ricerca (o i contesti, al plurale, nel caso di studi con una tradizione risalente) fra i gradini biografici. In questo modo emerge chiaramente la questione della costruzione della fonte da parte dell’osservatore, sia per l’identificazione del contesto di ricerca come di un contesto ‘sociale’ e ‘culturale’ a sé, sia per l’identificazione di diversi passaggi nei quali l’oggetto può avere avuto differenti ‘significati’66.

Due strade si aprono in questo caso per descrivere il dopo-vita dei manufatti di GAT dismessi dalla loro funzione originaria di stoviglia: una come ‘oggetto’ tout court ed una specificamente come ‘ceramica’. Nel primo caso, come si vedrà, le funzioni secondarie, le diramazioni della biografia della classe ceramica GAT, toccano campi alquanto differenti e lontani dalla funzione originaria. Nel secondo caso si intende qui invece la continuazione del percorso ceramico iniziato (o portato avanti, se si guarda da una prospettiva più ampia, “mediterranea”) dalla GAT, sia per quanto riguarda le produzioni che la seguono, da parte dei medesimi centri produttivi, sia per quanto riguarda lo studio ceramologico da parte degli archeologi ed il ruolo che questa categoria di ceramiche ha assunto nel tempo (e le modalità secondo cui è stata studiata). Sotto quest’ultimo punto di vista ad esempio la GAT si rivela un prezioso indicatore ‘indiretto’ per ricostruire le vicende dell’archeologia medievale (e non solo) italiana del dopoguerra.