In questi paragrafi verrà esaminato il modo in cui è stato affrontato lo studio della GAT come ‘oggetto ceramico’ nell’ambito della specifica disciplina archeologica. In altri termini si esamineranno gli aspetti che caratterizzano l’approccio dello studio ceramologico, cercando di definire quale “eredità” la GAT abbia eventualmente avuto su altre tipologie ceramiche, quali tipologie ne proseguano la ‘tradizione’, quale cronologia finale sia possibile individuare. Infine verrà analizzato come questa tipologia ceramica abbia costituito un oggetto centrale nell’ambito della ricerca archeologica medievale italiana e si cercherà di indagare il suo ruolo specifico proprio nella formazione e nel confronto fra i diversi ‘discorsi’ della ricerca.
Prodotti seguenti
Il primo aspetto rilevante è che non esiste un riferimento certo, o almeno preciso, per la cessazione della produzione di GAT. Non disponiamo in pratica di una cronologia finale. Se l’inizio della produzione, forse anche per il suo carattere quasi “improvviso” e per i fortunati riferimenti stratigrafici (Casteldelfino prima, Contrada San Domenico a Savona poi) è al momento molto ben definita, la fine è quantomeno opaca. Il riferimento di massima è genericamente collocato tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, quando sembra di assistere ad una ‘transizione morbida’ della GAT verso altre produzioni savonesi, presumibilmente (almeno nelle prime fasi) operate dalle stesse fabbriche. Le ‘nuove’ tipologie sembrano mostrare una continuità tecnologica con quella precedente, mantenendo sia produzioni policrome (sempre in verde e giallo-marrone) che monocrome e, soprattutto, l’uso della graffitura (anche se va registrato a cavallo fra le GAT e queste produzioni posteriori, lo sviluppo a Savona di una produzione di Maiolica Arcaica locale).
La GAT in definitiva “non risulta segnare uno stacco netto rispetto alla più tarda graffita policroma. Il passaggio, sul finire del Trecento, o forse anche già a partire dalla metà
del secolo, avviene in modo graduale, con una progressiva involuzione dei motivi decorativi e l’introduzione di nuovi, così come sarà l’introduzione del piede a disco ed il rivestimento esteso anche all’esterno a segnare le caratteristiche della produzione della fase finale del Medioevo (Varaldo 1993: 168-169); ma con queste perdurano ancora, anche nel XV secolo, le forme e i decori tradizionali” (Varaldo 1997: 450).
Graffite monocrome di XV secolo
La graffita monocroma risulta prodotta sia a Savona che ad Albisola, con una diffusione notevole nei contesti liguri di XV e XVI secolo. È ben documentata anche una distribuzione extraregionale, sia nell’area altotirrenica, in Provenza (e in misura minore in altri centri francesi), Corsica, Sardegna, ma anche in Piemonte, Lombardia e Sicilia. Anche per questa classe (o tipo) sono documentati esemplari utilizzati con funzione architettonica (bacini). Le forme sono in apparenza esclusivamente aperte, come nel caso della GAT, e comprendono piatti, scodelle, ciotole e bacini. I rivestimenti vetrosi presentano le ‘classiche’ colorazioni in verde e ocra, con eventuali gradazioni, soprattutto nel secondo caso dove si trovano varianti dal giallo al marrone. Per quanto riguarda le decorazioni domina la croce centrale quadrata con raggi ondulati (cercare altre definizioni?) “mutuata dai motivi della coeva maiolica arcaica” (Benente, Piombo 2001: 242). In generale le altre tipologie decorative, più rare, presentano motivi vegetali, geometrici, araldici, animali, imbarcazioni o volti umani” (Benente, Piombo 2001: 242-243).
Graffite policrome
Un quadro esaustivo dello stato delle conoscenze riguardo questa tipologia ceramica si ha in Ramagli 2001. Si tratta dell’erede diretto della GAT, con impasti del tutto simili, a testimoniare una continuità nella fase di lavorazione ed estrazione delle argille. Le forme prevalenti sono il boccale, che per la prima volta sembra essere proposto con continuità come prodotto savonese e contenitori aperti di grandi dimensioni come bacini e ‘scodelloni’. Gli studiosi si riferiscono spesso a queste produzioni, soprattutto per quanto riguarda le loro fasi iniziali (fra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo) con termini ‘negativi’ quali “involuti” o “degenerati”, ad indicare una generica minore cura nella realizzazione dei motivi decorativi. Allo stesso tempo questa tipologia viene considerata la “naturale evoluzione” delle ceramiche “di tradizione medievale” savonesi delle quali la GAT costituiva la punta di diamante. La diffusione è ampia anche fuori dalla Liguria (Varaldo 1981).
Il termine post quem è dato dalla fine del XIV, con una massima diffusione nel Quattrocento, periodo al quale sono riconducibili scarti di fornace (Varaldo 1981) e la fine della produzione datata ai primi decenni del XVI (Gardini, Benente 1997: 316-317). Non sembra vi siano studi di confronto fra gli scarti di fornace di questo tipo quattrocentesco e quelli segnalati per la GAT. Il repertorio decorativo perpetua motivi della GAT, fra cui il graticcio, mantenendo la bicromia giallo-verde. I colori spesso “sono alterati nella resa rispetto alle precedenti produzioni a causa di una cottura imprecisa e affrettata (Varaldo 1993: 171) e di una stesura meno accurata che crea accumuli di colore: il giallo tende infatti al marrone scuro-bruno, il verde assume tonalità molto scure, quasi nero al centro della pennellata” (Ramagli 2001: 252). Esiste anche una variante ulteriore di questa tipologia, individuata da Mannoni per il tardo XV secolo (Mannoni 1975: 80, tipo 60).
Come già ricordato in precedenza, “il passaggio, sul finire del Trecento, o forse anche già a partire dalla metà del secolo, avviene in modo graduale, con una progressiva involuzione dei
motivi decorativi e l’introduzione di nuovi, così come sarà l’introduzione del piede a disco ed il rivestimento esteso anche all’esterno a segnare le caratteristiche della produzione della fase finale del Medioevo (Varaldo 1993: 168-169); ma con queste perdurano ancora, anche nel XV secolo, le forme e i decori tradizionali” (Varaldo 1997: 450).
In definitiva quindi il passaggio ‘finale’, l’ultima “fase di vita” della GAT avviene intorno alla fine del XIV secolo, mentre la produzione di Graffita policroma perdura fino agli inizi del Cinquecento (per essere seguita da un “tipo evoluto” di XVI secolo, di scarsa distribuzione, prevalentemente savonese, e di medesima ‘eredità’ medievale, e quindi da una “graffita tarda” ispirata al repertorio toscano, attestata in contesti di XVII-XVIII secolo). In pratica si può dire che Savona mantenga una tradizione “graffita” lunga sei secoli. Se questo possa avere un significato devo ancora capirlo.
I luoghi di rinvenimento (da non confondere con i luoghi di diffusione)
Questa categoria costituisce quanto mai una fase della biografia in continua espansione. In questa sede non si traccerà un quadro esaustivo di tutti i rinvenimenti, ma si richiameranno, tramite immagini, alcuni significativi contributi.
Il primo è costituito dalla carta di distribuzione presentata in Mannoni 1975, dove troviamo un censimento dettagliato di tutti i luoghi di rinvenimento delle varie classi ceramiche individuate dal Gruppo Ricerche dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri nel secondo dopoguerra (a partire dal 1957), fra cui la GAT. Si tratta di una rappresentazione simbolica organizzata su base geografica, dove cioè non vengono raffigurati tutti i singoli ritrovamenti ma semplicemente ogni simbolo sulla carta corrisponde ad un’area nella quale sono stati rinvenuti frammenti riconducibili a questa tipologia.
Un significativo contributo è costituito dalla carta di distribuzione della GAT in Provenza, realizzata nell’ambito della trattazione dei materiali del sito di Rougiers. Si tratta di fatto della prima mappa di questo tipo, riferita ad un preciso contesto geografico, che possiamo considerare ‘di dettaglio’ o ‘regionale’ per quanto riguarda le convenzioni archeologiche. L’utilità di questo tipo di carte di distribuzione andrebbe poi ri-valutata, vale a dire sottoposta a giudizio critico, poiché in un secondo momento, data la constatata attestazione diffusa di questa classe ceramica in una determinata area geografica, non sembra si possano trarre al momento altre conclusioni oltre alla testimonianza della sua presenza (e conseguente ipotesi del suo commercio) in quella determinata area.
Si inaugura con questa carta un tipo di rappresentazione ‘puntuale’ legata alla localizzazione del rinvenimento, di stampo maggiormente oggettivo, che si contrappone ad una prospettiva “interpretativa” concretizzata graficamente attraverso la presenza nelle mappe di frecce direzionali o di una rappresentazione ‘simbolica’, connessa cioè all’uso di una rappresentazione puntiforme per testimoniare la presenza di questo tipo di ceramica in una determinata area, non più quindi in rapporto di 1:1 con gli effettivi rinvenimenti. Si contrappongono cioè due differenti filosofie di rappresentazione, attestanti la località oppure l’area ‘vasta’, che veicolano tipi e livelli diversi di interpretazione95. In pratica punti contro frecce identificano una tensione
fra la rappresentazione archeografica nella prospettiva dei luoghi di rinvenimento (quindi ‘asettica’ e ‘non-interpretata’) e quella dei ‘percorsi’ di diffusione ricostruiti o ipotizzati per i 95 Sulla contrapposizione fra rappresentazione simbolica e realistica si veda anche Azzena che già alla fine degli anni Ottanta ammoniva sulle differenze anche concettuali legate ad una scelta piuttosto che all’altra (Azzena 1989: 28).
Fig. 19. Mannoni 1975.
Fig. 21. Blake 1986.
Fig. 23. Gardini, Mannoni 1995.
Fig. 25. Nicolini 1987-88.
Fig. 27. Distribuzione puntuale delle zone di rinvenimento della GAT nell’area mediterranea.
materiali in questione. Nel primo caso la percezione della fonte archeologica come costruzione e come risultante di processi di formazione da decrittare è ovviamente più forte.
Blake nel 1986 (Blake 1986: 323, fig.2) propone una mappa di tipo puntuale da cui si percepisce nell’insieme la distribuzione nella penisola italiana e in Provenza. Si tratta di una mappa
standalone, leggibile nella sua semplicità visuale senza bisogno di ulteriori informazioni96.
Curiosamente, pur rientrando nei limiti della cornice della mappa, mancano le rappresentazioni geografiche delle isole Baleari, a sinistra, e del Nordafrica, in basso. La prima delle due aree tra l’altro ha restituito in seguito frammenti di GAT, guadagnando di fatto il diritto ad essere rappresentata a livello di distribuzione.
Alexandre Gardini rielabora nel 1993 (Gardini 1993) la distribuzione segnalata in Mannoni 1975, con una rappresentazione di tipo simbolico. Aggiornandola con le nuove scoperte nel frattempo intercorse e collegandola alla rappresentazione delle importazioni e dei traffici nel mediterraneo.
Gardini e Mannoni (1995), rappresentano poi in un’altra prospettiva il fenomeno di diffusione della GAT (rappresentato da due sole frecce schematiche), mettendo a confronto i movimenti di ceramiche e ceramisti “nel medioevo”, comprendendo anche la maiolica di XVI secolo.
Varaldo nel 1997 (Varaldo 1997: 449 fig. 8), in quella che si può considerare ad oggi la summa (per quanto sintetica) della vita delle GAT, realizza una carta di tipo puntuale, standalone, che potremmo definire una ‘citazione’ di quella carta pubblicata in Blake 1986. Rispetto a quest’ultima assistiamo ad un ‘allargamento’ sia geografico (con l’inclusione delle Baleari e del Nordafrica tunisino-algerino) che di attestazioni dei rinvenimenti (fra cui appunto le stesse Baleari). Varaldo evidenzia poi implicitamente il rapporto di ‘sovrapposizione’ fra le rotte (frecce) e i luoghi dei rinvenimenti (puntini), con la giustapposizione nella medesima pagina di questa carta di distribuzione e di quella di rotte e scali documentati dalle fonti scritte per le imbarcazioni partite dal porto di Savona negli anni 1171-1231 (presa da Nicolini 1987-88). La distribuzione commerciale delle GAT è esplicitamente accostata all’iniziativa savonese (e non genovese o indefinitamente ‘ligure’)
Quello che emerge infine dal mio tentativo di ricostruzione, operato su una base mista simbolica (per la penisola italiana e la Provenza) e puntuale (per i rinvenimenti di GAT all’estero), è il fenomeno dell’allargamento geografico ‘per cerchi concentrici’ delle conoscenze archeografiche. Riguardo alla questione della rappresentazione simbolica di rinvenimenti o di aree di provenienza delle importazioni, infine, si vuole ragionare a partire dallo spunto dato da una carta tematica presente in Berti, Giorgio 201097. Qui emerge con chiarezza come l’uso di riferimenti geografici
come ‘area siro-palestinese’ o ‘produzione egiziana’ venga spesso tradotto graficamente in entità puntuali, riconducibili a singoli centri (di produzione, portuali o di mercato). Una rappresentazione poligonale per aree, sebbene forse non precisissima per quanto riguarda la localizzazione di centri produttivi o commerciali, aiuta a percepire maggiormente la profondità storico-geografica dietro il singolo rinvenimento. In altri termini (e facendo riferimento ai paragrafi relativi) a tutte le fasi operative della fase produttiva, a partire dal reperimento delle materie prime.
Tirando le conclusioni, quello che si nota al termine di questa rassegna è un generico ‘allargamento’ a partire dall’area provenzale indagata da Gabrielle Démians d’Archimbaud, 96 In realtà si tratta del solito equivoco per cui questo tipo di cartografie tematiche sembrino la rappresentazione di un dato di fatto. Esse sono però piuttosto il risultato di ben precise e determinate azioni e selezioni che in casi come questi non risultano opportunamente espresse fra le ‘avvertenze’ di consultazione, quali ad esempio la presenza o meno di ricerche in determinate aree, la quantità stessa delle ricerche effettuate, il grado di affidabilità nel riconoscimento al suolo di determinate classi ceramiche, la presenza di ricerche non pubblicate ecc. 97 https://www.insegnadelgiglio.it/allegati/bacini/4_aree.html
passando per il lavoro di Hugo Blake e degli altri studiosi coinvolti, non tanto legato a fenomeni emici di diffusione del materiale quanto piuttosto a questioni interne alla disciplina. Mi riferisco ad esempio a contatti avvenuti o maturati nel tempo con ricercatori o aree più distanti, e di conoscenze maturate da parte di ricercatori lontani geograficamente dall’area di produzione delle GAT o conoscenze ‘esportate’ nel corso di ricerche o incontri all’estero). Basti pensare ad esempio al carattere episodico e di scarsa sistematicità che riscontriamo per le ‘comunicazioni personali’ alla base della conoscenza della diffusione della GAT in Marocco. E con l’aumento quantitativo della base di conoscenze e delle informazioni archeologiche (i ‘dati’, come sono comunemente definiti). Si conferma quindi uno scollamento fra i due diversi contesti sistemico ed archeologico, della ‘storia antica’ e della ricerca archeologica contemporanea che andrebbero piuttosto posti in consonanza, cercando di sovrapporre il più possibile il secondo al primo. La tabella qui di seguito, riferita alle conoscenze archeografiche sugli esemplari di GAT rinvenuti in località al di fuori del comprensorio italiano-provenzale, mostra il carattere rapsodico di tale avanzamento delle conoscenze, legato a fatti episodici e non sistematici, di non facile reperibilità. Fortunatamente al giorno d’oggi i motori di ricerca internet forniscano un grande aiuto in tal senso.
Bibliografia dei rinvenimenti extra italiani (e provenzali):
Articoli Maiorca: Sòller (Coll Conesa 1979); Palma di Maiorca, Rossellò Bordoy 1974). Entrambi i testi sono citati in Coll Conesa 2004. Valencia (Rosselló Mesquida, Lerma Alegría 1999)
Comunicazioni ‘personali’ (da relazioni nel contesto della ricerca)
Marocco: località non meglio precisata (Gardini, Mannoni 1995: 99, nota 1: “informazione avuta dal Prof. Maurice Picon. […] All’interno del Marocco sono stati trovati 4-5 frammenti che, per le loro caratteristiche, sono stati assegnati alla graffita arcaica savonese. Anche l’analisi [non è specificato quale tipo di analisi], su di uno dei frammenti, ha confermato la produzione di Savona”.
Letteratura grigia Siviglia, Tarragona, Valencia (Carta 2008)
Definizioni e cronologie
La prima biografia ‘ufficiale’. Blake
1984(
1986)
In questo paragrafo affronterò la questione della definizione archeologica (archeografica) della categoria (classe ceramica o tipo) della Graffita Arcaica Tirrenica98. In questo caso l’uso del
termine ‘definizione’ si rivela quanto mai calzante, poiché si tratta di tentativi progressivi di ‘delimitazione semantica e materiale’ di un oggetto specifico, una tipologia di manufatti ceramici 98 Riguardo alla possibile aggiunta del lemma ‘savonese’, o alla eventuale sostituzione di ‘tirrenica’ con ‘savonese’ si veda oltre.
che viene prodotta a Savona (e forse in altri centri liguri) a partire dalla fine del XII secolo e che viene ‘scoperta’ come oggetto archeologico/artistico a partire dalla prima metà circa del XX secolo.
Il carattere multivocale del contesto della ricerca archeologica fa sì che non esista una biografia ‘ufficiale’ per molte classi ceramiche, anzi quasi per nessuna99. Questo porta da un lato ad
un proliferare di versioni differenti della ricostruzione biografica che tuttavia condividono il riconoscimento di alcuni momenti cardine durante il percorso. Spesso anzi le divergenze riguardano più la terminologia utilizzata100 e solo in seconda battuta la determinazione delle
cronologie. In quest’ultimo caso la discussione verte più che altro in base agli aspetti stratigrafici degli scavi editi, ma sussiste comunque una buona convergenza –se non altro di facciata- su quali siano le ricerche fondative della determinazione cronologica comunemente accettata. Quel che è certo è che ricostruendo il contesto della ricerca che ha interessato la GAT, emerge una sorta di ‘biografia non autorizzata’ che riguarda non solo questa classe ceramica ma anche buona parte dell’archeologia medievale italiana.
La questione della definizione della GAT è stata ben riassunta da Hugo Blake in quello che costituisce il primo tentativo di sintesi (di biografa) della classe, pubblicato nel 1986 e risalente ad un convegno tenutosi a Siena due anni prima. Blake ripercorre in modo rigoroso tutta la storia della definizione della classe nei primissimi decenni. È utile riportare per intero questa parte ricostruttiva per fare emergere quante siano le correnti che si agitano sotto la superficie –che oggi vediamo relativamente piatta- della definizione di GAT. Attraverso questa lettura emergono i rapporti, gli autori, le occasioni in cui questa definizione è maturata. Lo stesso Blake impersona un ‘carattere’ tipico dell’epoca (anni 70-80), ossia quello dell’archeologo britannico di stanza in Italia e la cui presenza è stata fondamentale nello sviluppo della disciplina. Il contesto dell’articolo è altrettanto importante, ed è costituito dal convegno di Siena sulla ceramica nel Mediterraneo occidentale, organizzato dall’Università di Siena e dal Museo di Faenza. Tale incontro fu il terzo di una serie che, aperta dal fondamentale Convegno di Valbonne del 1978, perdura con cadenza triennale ancora oggi. I protagonisti italiani sono gli stessi che in parte animavano le pagine di Archeologia Medievale o i Convegni di Albisola nello stesso periodo, fondativo per l’Archeologia medievale e in generale postclassica italiana. L’impostazione che ancora oggi caratterizza l’approccio allo studio ‘geografico-commerciale’ delle varie produzioni ceramiche mediterranee è fortemente influenzata da come la conoscenza venne organizzata in quegli anni 99 Salvo rari casi come ad esempio per la ceramica medievale il lavoro di Graziella Berti (1997) per la maiolica arcaica o la serie di volumi di Fausto Berti per la maiolica di Montelupo, che comunque nel tempo sono stati sottoposti ad un tagliando di revisione.
100 Cfr. ad esempio quanto afferma Matthew Johnson in merito alla frammentazione teorica ed alla conseguente incomunicabilità delle varie ‘scuole’ archeologiche: “The end result of this theoretical toing and froing within archaeology has been the creation of a series of communities, each hermetically sealed from the next and regarding their own credo as having been intellectually victorious. Many traditional scholars view as dangerously new and radical approaches that have been common currency in other areas of the discipline for decades. Many post-processual advocates dismiss other research traditions and communities out of hand as a bunch of intellectual dinosaurs. […] I do not want to argue here for one view or another; what is striking about recent debates, however, is how each community of scholars can continue working within their own tradition with little or no reference to each other’s work” (Johnson 1999: 26). Per il caso specifico dello studio della ceramica medievale, il riferimento di Milanese ad una autoreferenzialità o tendenza al ‘localismo’ da parte di gruppi di ricerca o singoli ricercatori nell’ambito dello studio (e della terminologia) della ceramica. “Ogni archeologo medievista […] sa altrettanto bene come i problemi posti dalla identificazione delle classi siano talvolta risolti empiricamente all’interno della ricerca stessa, con un criterio di autoreferenzialità forzatamente indotto dalla debolezza o dall’assenza di un dibattito teorico mirato ad una migliore definizione di criteri di classificazione basati su griglie approvate e condivise dalla comunità scientifica, in grado di guidare la schedatura di consistenti restituzioni di reperti ceramici” (Milanese 2009: 47).
e in quelle occasioni101. Nel convegno di Siena, in breve, si tracciavano i primi significativi quadri
di sintesi sul prezioso indicatore ceramico ad una scala europea (mediterranea) fra ricercatori di differenti nazionalità e (emergenti) scuole di archeologia medievale.
“During the 13th century, incised and painted slipped ware of a particular type was widely used in Provence and Liguria and has also been found in Corsica, Tuscany, Latium, Sardinia and Sicily. Various names have been given as the type has become successively better defined since it was first published by Grosso in 1958 as invetriata
gialla. Ten years later Mannoni (1968: 225-6) in his first outline of Ligurian ceramic development borrowed the Po plain term graffita arcaica for his first phase and employed
graffita policroma for jugs of Po-plain character and for the less fine bowls decorated with
motifs derived from his g. arcaica and monocroma (the late-medieval types are discussed below). In his definitive statement published in 1975, Mannoni divided his g. a. into an