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MERCATO DEL LAVORO

Nel documento Consuntivo 2013 (.pdf 1.4mb) (pagine 47-89)

Considerazioni sulla metodologia dell’indagine delle forze di lavoro. L’andamento del mercato del lavoro emiliano-romagnolo è prevalentemente analizzato sulla base della nuova rilevazione Istat delle forze di lavoro. Rispetto al passato, c’è un’indagine definita “continua” poiché le informazioni sono rilevate con riferimento a tutte le settimane dell’anno, tenuto conto di un’opportuna distribuzione a livello trimestrale del campione complessivo.

I cambiamenti non hanno riguardato le sole modalità di rilevazione, ma anche alcune definizioni delle varie condizioni, arricchendo nel contempo le informazioni sull’occupazione, facendo emergere il lavoro coordinato e continuativo e interinale. Nell’ambito della disoccupazione è stato accresciuto il campionario di possibilità e la precisione dell’individuazione delle azioni di ricerca svolte. Tra le motivazioni che spingono ad uscire dal mercato del lavoro sono state introdotte la cura della famiglia per assenza di servizi adeguati - la mancanza di asili è tra queste - e la indisponibilità di impieghi part-time.

Per quanto concerne la figura di occupato, nella vecchia rilevazione era considerato tale chi dichiarava di esserlo, sottintendendo un criterio soggettivo basato sulla percezione di essere in questa condizione. Con la nuova rilevazione è considerato occupato colui che nella settimana precedente l’intervista ha svolto almeno un’ora di lavoro remunerato, o anche non remunerato se l’attività è svolta in un’azienda di famiglia. Siamo pertanto di fronte ad un criterio di sapore più oggettivo, che prescinde dalla percezione soggettiva della persona intervistata. Per le persone in cerca di occupazione, che devono essere comprese tra i 15 e i 74 anni, siamo di fronte a parametri sostanzialmente uguali a quelli in vigore precedentemente. Si deve essere disponibili a lavorare nelle due settimane successive all’intervista e si deve avere svolto almeno una ricerca attiva di lavoro nelle quattro settimane precedenti. Non tutte le informazioni sopra riportate sono state divulgate a livello regionale, come ad esempio, nel caso delle collaborazioni continuative a progetto.

I confronti con il passato vanno sempre fatti con la dovuta cautela poiché occorre tenere conto dei flussi delle regolarizzazioni di cittadini stranieri. A tale proposito giova ricordare che la prima regolarizzazione di stranieri attuata in Italia venne disposta con le circolari del Ministero del Lavoro del 2 marzo e 9 settembre 1982, che riguardò tuttavia un limitato numero di stranieri. Nel 1986 ne seguì un’altra che comportò 105.000 richieste di regolarizzazione, in gran parte provenienti da stranieri disoccupati. All'inizio degli anni '90 il flusso delle immigrazioni crebbe ulteriormente e venne così emanato un altro provvedimento legislativo di sanatoria con il d. l. n. 416 del 1989, poi modificato e previsto nella legge n. 39/1990, la cosiddetta Legge Martelli. All'art. 9 fu prevista una ulteriore sanatoria per coloro che potevano attestare di essere entrati in Italia entro il 31-12-1989 a prescindere da ogni altra condizione, che comportò 225.000 domande di regolarizzazione. Nel 1995 segue un altro provvedimento di regolarizzazione conosciuto come sanatoria 'Dini' (decreto legge n.489) che si esplica in 244.000 domande accolte. Un’altra sanatoria viene varata il 16 ottobre 1998, a seguito dell’approvazione della Legge del 6 marzo 40/1998, la cosiddetta “Turco-Napolitano”, che comporta l’accoglimento di 215.000 domande di regolarizzazione. Il processo di riforma della materia dell'immigrazione contenuto nel Testo Unico giunge a termine con il D. P. R.

31 agosto 1999 n. 394, con il Regolamento di attuazione del Testo Unico. La materia sull’immigrazione trova tuttavia una nuova disciplina, che sostituisce il Testo Unico, con la Legge 189/2002, meglio nota come “Bossi-Fini”. In questo caso segue la sanatoria dalle proporzioni più massicce, di cui beneficiano circa 700.000 persone.

Negli anni successivi si hanno altri provvedimenti di regolarizzazione, come ad esempio nel 2009 quando oggetto della sanatoria sono in particolare le badanti. Tra inizio e fine settembre si contano circa 294.000 domande.

L’impatto delle sanatorie sulla popolazione delle varie regioni risulta importante.

Le persone regolarizzate, dopo avere ottenuto il permesso di soggiorno, vanno di norma a iscriversi nei registri anagrafici, accrescendo la popolazione residente e modificando di conseguenza l’universo al quale rapportare i dati campionari. In Emilia-Romagna, al 31 dicembre 2012, la popolazione straniera residente è ammontata a 488.489 unità. Rispetto alla situazione in essere a fine 2011 c’è stata una crescita di 33.611 unità. A fine 2002 erano stati registrati dalle anagrafi comunali 163.838 stranieri. Tra il 2002 e il 2012 l’incidenza della popolazione straniera sul totale è cresciuta in Emilia-Romagna dal 4,1 all’11,2 per cento, in Italia dal 2,7 al 7,4 per cento. Come si può dedurre da queste cifre, l’Emilia-Romagna ha avuto un impatto della popolazione straniera sulle proprie anagrafi piuttosto elevato e tale da alterare significativamente l’universo della popolazione al quale fare riferimento. Le regolarizzazioni attuate negli anni scorsi oltre ad aumentare la popolazione ufficiale, hanno fatto emergere posizioni lavorative prima sconosciute.

Ne consegue, e ci ripetiamo, che l’analisi dell’andamento occupazionale nel medio-lungo periodo deve essere fatta con una certa cautela.

L’evoluzione generale. Nel 2013 il mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna si è chiuso con un bilancio negativo. Tale andamento è maturato in uno scenario economico caratterizzato dal perdurare della recessione (il Pil è diminuito in termini reali dell’1,6 per cento). Con tutta probabilità i danni sarebbero stati maggiori, se non ci fosse stato il massiccio utilizzo della Cassa integrazione guadagni, un autentico salvagente nelle burrasche congiunturali. Nel 2013 le ore autorizzate di Cassa integrazione guadagni sono corrisposte all’inattività di circa 61.000 addetti alle dipendenze.

L’andamento del mercato del lavoro è apparso negativo in ogni trimestre, soprattutto nella prima metà dell’anno segnata da un calo medio del 2,0 per cento rispetto all’analogo periodo del 2012, a fronte della diminuzione dell’1,2 per cento riscontrata nel secondo semestre. Il clima rilevato in un campione d’imprese nel mese di dicembre e nei primi giorni di gennaio ha confermato questa tendenza. Secondo l’indagine condotta da Unioncamere Emilia-Romagna e Istituto Guglielmo Tagliacarne su di un campione di 1.500 imprese industriali, commerciali e dei servizi alle imprese, il 14,4 delle imprese aveva dichiarato di avere diminuito il personale nel secondo semestre rispetto a quello precedente, a fronte di appena il 5,2 per cento che lo aveva invece accresciuto.

Come vedremo diffusamente in seguito, le zone d’ombra si sono concentrate nelle attività agricole e dell’industria in senso stretto e nell’occupazione giovanile, mentre è cresciuto il peso dei contratti part-time, talvolta “imposti” a causa della minore intensità del lavoro.

Nel 2013 le rilevazioni Istat sulle forze di lavoro hanno stimato mediamente in Emilia-Romagna circa 1.938.000 occupati, vale a dire l’1,6 per cento in meno rispetto all’anno precedente, equivalente, in termini assoluti, a circa 31.000 persone. La consistenza degli occupati è apparsa inferiore anche a quella del 2007 (-0,8 per cento), prima cioè che la crisi nata dai mutui ad alto rischio statunitensi si cominciasse a manifestarsi.

L’andamento dell’Emilia-Romagna è apparso meno negativo di quello rilevato nel Nord-est (-1,8 per cento) e nel Paese (-2,1 per cento). In ambito nazionale, la grande maggioranza delle regioni ha evidenziato cali, che sono apparsi piuttosto sostenuti nel Mezzogiorno (-4,6 per cento), soprattutto in Sardegna (-7,3 per cento), Molise (-7,2 per cento), Calabria (-6,9 per cento) e Puglia (-6,6 per cento). Solo due regioni, Lombardia e Trentino-Alto Adige, hanno accresciuto l’occupazione, con aumenti rispettivamente pari allo 0,7 e 0,4 per cento.

Una conferma del bilancio annuale negativo dell’occupazione è venuta anche dallo scenario economico proposto a fine maggio da Unioncamere Emilia-Romagna - Prometeia, relativamente alle unità di lavoro, che misurano il volume di lavoro effettivamente svolto (vedi nota 3). Nel 2013 le unità di lavoro sono diminuite dell’1,3 per cento rispetto al 2012, in misura più ampia rispetto al calo dello 0,9 per cento riscontrato nel 2012.

I dati Smail (Sistema di monitoraggio annuale delle imprese e del lavoro)17 aggiornati a giugno 2013 hanno illustrato una situazione dell’occupazione che ha ricalcato quanto emerso dalle indagini sulle forze di lavoro nella prima metà dell’anno. Nei confronti dell’analogo periodo dell’anno precedente è stata registrata una diminuzione pari al 2,1 per cento, che è stata determinata sia dai dipendenti (-2,8 per cento) che dagli autonomi (-0,4 per cento).

Tavola 3.1 – Popolazione per condizione e genere. Emilia-Romagna. Periodo 2004-2013.

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 (b) 2011 2012 2013

Occupati: 1.846 1.872 1.918 1.953 1.980 1.956 1.942 1.975 1.969 1.938

- Maschi 1.044 1.066 1.086 1.108 1.120 1.092 1.087 1.098 1.086 1.075

- Femmine 802 806 832 846 860 864 855 876 883 863

Persone in cerca di occupazione: 71 74 67 57 65 98 118 110 150 179

- Maschi 29 29 29 23 27 48 53 52 74 86

- Femmine 42 45 38 34 38 50 65 58 76 93

- Con precedenti esperienze lavorative 57 61 55 47 52 85 98 89 126 151

- Maschi 24 26 26 20 21 43 45 43 64 74

- Senza precedenti esperienze lavorative 14 13 12 11 13 13 19 21 24 28

- Maschi 5 3 3 4 6 5 8 9 11 12

- Femmine 9 10 9 7 7 8 12 12 13 16

Forze di lavoro 1.917 1.947 1.985 2.011 2.045 2.054 2.060 2.085 2.119 2.117

- Maschi 1.073 1.096 1.115 1.131 1.147 1.139 1.140 1.150 1.160 1.161

- Femmine 844 851 870 880 898 914 920 935 959 955

Non forze di lavoro 15-64 anni: 772 775 761 752 755 780 803 803 774 780

- Maschi 289 288 283 273 275 296 303 304 297 298

- Femmine 483 488 478 478 480 484 501 499 476 482

Popolazione di 15 anni e oltre 3.561 3.613 3.642 3.667 3.706 3.750 3.794 3.818 3.836 3.849

- Maschi 1.715 1.744 1.759 1.771 1.790 1.810 1.829 1.838 1.847 1.853

- Femmine 1.846 1.869 1.883 1.895 1.916 1.940 1.965 1.980 1.990 1.995

Tassi di attività (15-64 anni) 70,9 71,1 71,9 72,4 72,6 72,0 71,6 71,8 72,8 72,6

- Maschi 78,3 78,7 79,3 80,1 80,1 78,9 78,6 78,6 79,1 79,0

- Femmine 63,4 63,4 64,3 64,6 64,9 65,1 64,5 64,9 66,6 66,1

Tassi di occupazione (15-64 anni) 68,3 68,4 69,4 70,3 70,2 68,5 67,4 67,9 67,6 66,3

- Maschi 76,2 76,6 77,1 78,4 78,2 75,5 74,9 75,0 73,9 73,0

- Femmine 60,2 60,0 61,5 62,0 62,1 61,5 59,9 60,8 61,3 59,6

Tassi di disoccupazione 3,7 3,8 3,4 2,9 3,2 4,8 5,7 5,3 7,1 8,5

- Maschi 2,7 2,7 2,6 2,1 2,4 4,2 4,6 4,5 6,4 7,4

- Femmine 5,0 5,3 4,3 3,9 4,3 5,5 7,0 6,3 7,9 9,7

(a) La somma degli addendi può non coincidere con il totale a causa degli arrotondamenti.

(b) dal 2010 sono compresi i sette comuni aggregati dalla provincia di Pesaro e Urbino. Ogni confronto con il passato deve essere effettuato con la dovuta cautela.

Fonte: Istat.

L’occupazione per genere. Per quanto concerne il genere - siamo tornati alla rilevazione sulle forze di lavoro – sono state le femmine a pesare maggiormente sulla diminuzione complessiva dell’occupazione (-2,3 per cento), a fronte della riduzione dell’1,0 per cento dei maschi. In Italia è stata invece la componente maschile a perdere addetti con maggiore intensità (-2,6 per cento), rispetto al più contenuto calo delle femmine (-1,4 per cento). Un andamento simile a quello dell’Emilia-Romagna ha riguardato la circoscrizione nord-orientale, che ha registrato per le femmine una diminuzione del 2,2 per cento, più accentuata del calo dell’1,5 per cento dei maschi.

Il peso delle donne sul totale dell’occupazione dell’Emilia-Romagna si è conseguentemente ridotto, passando dal 44,9 per cento del 2012 al 44,5 del 2013. Nel 1993, ultimo anno oggetto della

17 Smail (sistema di monitoraggio annuale delle imprese e del lavoro) include tutte le imprese private iscritte alla Camera di commercio. Sono escluse le attività della Pubblica amministrazione, le istituzioni pubbliche e private senza obbligo di iscrizione alla Camera di commercio e le attività libero professionali non costituite in forma d’impresa.

ricostruzione sulla base dei nuovi criteri della rilevazione sulle forze di lavoro, si aveva un rapporto attorno al 41 per cento, ma in questo caso occorre evidenziare che il confronto non è pienamente omogeneo, a causa dell’aggregazione, nel 2010, di sette comuni provenienti dalla provincia di Pesaro e Urbino. Nonostante la battuta d’arresto del 2013, resta tuttavia una tendenza espansiva dell’occupazione femminile nel mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna, frutto del lungo processo di emancipazione delle donne, che le ha portate a entrare in professioni prima esclusivamente maschili, basti pensare, ad esempio, alle forze dell’ordine e a quelle armate. L’Emilia-Romagna si trova all’avanguardia in questo processo di emancipazione come efficacemente illustrato dal più elevato tasso di attività femminile del Paese, nel 2013 pari al 66,1 per cento.

L’occupazione per posizione professionale. La riduzione complessiva degli occupati è stata determinata dai dipendenti, che hanno accusato rispetto al 2012 una flessione del 2,9 per cento, che è equivalsa a circa 44.000 addetti. Segno opposto per l’occupazione autonoma che ha beneficiato di un incremento del 2,7 per cento, per un totale di circa 13.000 addetti. In Italia ogni posizione professionale ha invece perso occupazione, con un’intensità che è apparsa maggiore per gli autonomi (-2,5 per cento), rispetto ai dipendenti (-1,9 per cento).

Il peso degli autonomi in Emilia-Romagna è così salito al 24,8 per cento, rispecchiando nella sostanza il valore medio nazionale del 24,7 per cento. Nonostante la risalita, l’occupazione indipendente dell’Emilia-Romagna ha registrato un ampio deficit rispetto al 2008, quando la Grande Crisi era ancora agli inizi, nell’ordine di circa 59.000 addetti. Tutt’altro andamento per l’occupazione alle dipendenze, la cui consistenza, tra il 2008 e il 2013, è aumentata di circa 17.000 unità.

La perdita d’imprenditorialità evidenziata dall’indagine sulle forze di lavoro traspare anche dagli indicatori riferibili al Registro delle imprese. In ambito artigiano, ad esempio, le imprese attive sono diminuite dalle 145.142 di fine 2009 alle 136.674 di fine 2013. Nello stesso periodo le imprese registrate dell’agricoltura, silvicoltura e pesca sono scese da 70.575 a 62.804 e un analogo andamento ha contraddistinto la sola conduzione diretta (da 42.098 a 35.051). Tra il 2000 e il 2013 le persone attive iscritte nel Registro delle imprese sono passate da 696.078 a 685.754.

L’occupazione per classe d’età. Tra le varie classi di età, in Emilia-Romagna, come nel resto del Paese, è nuovamente quella intermedia da 35 a 44 anni a registrare il tasso di occupazione più elevato pari all’83,0 per cento, davanti alle fasce da 45 a 54 anni (81,4 per cento) e 25-34 anni (75,6 per cento). I tassi si riducono notevolmente, e non può essere altrimenti, nella classe da 15 a 24 anni, che comprende larga parte della popolazione studentesca (19,6 per cento), e in quella da 65 anni e oltre, che è prevalentemente costituita da pensionati (5,1 per cento).

Rispetto alla situazione del 2012, la diminuzione dell’occupazione è stata causata dalle classi di età più giovani, fino a 44 anni di età. In quella da 15 a 24 anni c’è stata una flessione del 17,1 per cento, che scende al 4,9 per cento nella classe di età da 25 a 34 anni. Come evidenziato dal rapporto della Banca d’Italia, tale andamento rientra in una tendenza più generale, caratterizzata da un peggioramento delle condizioni occupazionali dei giovani, in particolare quelli meno scolarizzati.

Nel triennio 2011-13, le condizioni occupazionali dei giovani residenti in Emilia-Romagna che hanno finito gli studi da non oltre dieci anni sono peggiorate rispetto a quelle osservate nel periodo 2006-08. Il peggioramento è stato meno intenso per i laureati e più accentuato per coloro che non sono andati oltre la licenza di scuola media. Il tasso di occupazione dei laureati con età compresa tra i 25 e i 34 anni di età si è attestato, tra il 2011 e il 2013, intorno all’84 per cento, contro l’88 per il periodo 2006-08. Per i diplomati con 20-29 anni, esso è stato di poco inferiore al 74 per cento (-13,4 punti percentuali rispetto al triennio di confronto), mentre per i giovani con al massimo un titolo di istruzione primaria è stato di circa il 61 per cento (-16,7 punti percentuali). Per tutti i titoli di studio considerati, il peggioramento rilevato in regione è stato più marcato di quello osservato in media nel Nord Est e a livello nazionale. Nel periodo 2011-13 si è quindi ampliato il divario tra il

tasso di occupazione dei laureati e quello dei diplomati residenti in regione, salito a 10,3 punti percentuali, contro un punto nel periodo 2006-08.

Un calo relativamente più contenuto ha caratterizzato la classe da 35 a 44 anni (-3,9 per cento).

Resta da chiedersi quanto possa avere inciso l’invecchiamento della popolazione sul calo dell’occupazione delle classi di età giovanili, ma resta tuttavia una tendenza che vede l’occupazione giovanile in una posizione più debole rispetto alle classi più anziane. I motivi possono essere diversi, ma molto spesso la maggiore età è sinonimo di esperienza, di conoscenze professionali che un giovane non può ovviamente avere, e nei momenti di crisi le imprese tendono a salvaguardare il core dell’occupazione, spesso costituito da dipendenti di vecchia data, con tutto il suo bagaglio di specializzazioni che possono essere costate ingenti risorse in fatto di formazione.

All’impoverimento degli occupati più giovani si è contrapposta la crescita delle classi più anziane.

In quella da 45 a 54 anni l’aumento è stato dello 0,2 per cento, che sale al 7,8 e 16,2 per cento nelle fasce da 55 a 64 anni e 65 anni e oltre. Questa tendenza conseguenza riflette l’invecchiamento della popolazione e l’innalzamento dei requisiti anagrafici per accedere alla pensione contemplati dalla Riforma Fornero18.

La perdita di occupazione giovanile, senza considerare i fattori legati all’invecchiamento, rappresenta la nota più dolente di tutto l’andamento del mercato del lavoro del 2013, in linea con quanto emerso in Italia. L’adeguamento dell’input di lavoro ai ridotti volumi produttivi imposti dalla crisi è stato pagato soprattutto dai giovani, che sono poi quelli, e ci ripetiamo, che sottintendono una minore esperienza lavorativa rispetto alle altre classi e che quindi vengono

“sacrificati” dalle imprese per primi, non essendo parte del “core” dell’occupazione. Resta semmai da evidenziare la crescita degli occupati over 64 anni. Nel 2004 erano circa 34.000. Nel 2013 salgono a circa 51.000, prevalentemente maschi (circa 37.000). Se si considera che questa classe di età è caratterizzata dalla presenza di pensionati, è spontaneo pensare a persone che non vogliono comunque uscire dal mercato del lavoro perché “innamorate” della propria attività, o che sono costrette a starci allo scopo di arrotondare l’importo della pensione ritenuto non soddisfacente.

L’occupazione per titolo di studio. Se analizziamo i tassi di occupazione calcolati sulla popolazione in età di 15 anni e oltre dal lato del titolo di studio, possiamo vedere che i valori più elevati hanno nuovamente riguardato i possessori di laurea-post laurea e dottorato (74,0 per cento) e di diploma (65,7 per cento). In ambito nazionale troviamo una situazione analoga, ma articolata su tassi generalmente più contenuti rispetto a quelli proposti dall’Emilia-Romagna. I tassi di occupazione tendono a ridursi per i possessori di licenza media e licenza elementare. In Emilia-Romagna quello inerente la licenza media si è attestato nel 2013 al 48,2 per cento, per scendere al 9,8 per cento nell’ambito della licenza elementare. In Italia i rispettivi tassi sono ammontati al 39,8 e 9,1 per cento.

Rispetto alla situazione del 2012, solo i possessori di laurea-post laurea, dottorato hanno accresciuto l’occupazione, sia pure in misura minima (+0,1 per cento), a fronte dei cali rilevati per tutti gli altri titoli di studio: licenza elementare (-10,7 per cento), licenza media (-2,5 per cento), diploma (-0,9 per cento). Da tali andamenti sembra emergere che i giovani meno qualificati abbiano rappresentato l’anello debole del mercato del lavoro regionale e che in ogni caso il possesso di un titolo di studio

18 La pensione di vecchiaia, per le donne iscritte all'AGO e forme sostitutive, a partire dal 1° gennaio 2012 si

conseguirà a 62 anni ed entro il 2018 si dovrà arrivare a 66 anni di età. Ci sarà quindi parità tra uomini e donne. Sempre da gennaio 2012 per le lavoratrici autonome e le iscritte alla Gestione separata, l’età pensionabile è fissata a 63 anni e 6 mesi e per il 2018 a 66 anni di età. Le donne del settore pubblico iscritte a Fondi esclusivi dal 1° gennaio 2012 potranno conseguire la pensione di vecchiaia a 66 anni. Gli uomini del settore privato e pubblico, sia dipendenti sia autonomi, già dal 2012 conseguono la pensione a 66 anni. Dal 1° gennaio 2012 la pensione di anzianità non esiste più ed è stata sostituita dalla pensione anticipata. Non bastano più i 40 anni, ma ce ne vogliono per l’anno 2012 41 e 1 mese per le donne e 42 e 1 mese per gli uomini. I requisiti, oltre ad essere soggetti all’adeguamento alla speranza di vita (per l’anno 2013 pari a 3 mesi), sono aumentati di un mese per l’anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dal 2014.

qualificato faciliti l’ingresso nel mercato del lavoro in misura maggiore rispetto a chi dispone di titoli meno qualificati.

Il tasso di occupazione. La diminuzione della consistenza degli occupati ha un po’ eroso i fondamentali del mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna, senza tuttavia compromettere la posizione di preminenza che l’Emilia-Romagna vanta in ambito nazionale.

In termini di tasso specifico di occupazione 15-64 anni, l’Emilia-Romagna, con un rapporto pari al 66,3 per cento (67,6 per cento nel 2012), ha mantenuto la seconda posizione, alle spalle del Trentino Alto Adige (68,5 per cento), precedendo Valle d’Aosta (65,6 per cento), Lombardia (64,9 per cento) e Toscana (63,8 per cento). I tassi più contenuti, a fronte della media nazionale del 55,6 per cento, hanno nuovamente riguardato le regioni del Sud, con le ultime posizioni occupate da Calabria (39,0 per cento), Sicilia (39,3 per cento), Campania (39,8 per cento) e Puglia (42,3 per cento).

Rispetto al 2012, la quasi totalità delle regioni italiane ha visto ridurre il proprio tasso di occupazione, in un arco compreso tra i -0,1 punti percentuali della Toscana e i -3,4 della Sardegna.

L’Emilia-Romagna si è trovata tra le regioni relativamente più colpite dal fenomeno, con una diminuzione del proprio tasso di occupazione pari a 1,3 punti percentuali, leggermente superiore a quella media nazionale di -1,1 punti percentuali. Solo la Lombardia ha evidenziato un miglioramento, seppure tenue, pari a 0,2 punti percentuali. Tra la prima regione per incidenza degli occupati, il Trentino-Alto Adige, e l’ultima, la Calabria, c’è una forbice di 29,5 punti percentuali.

Nel 2004 era di 16,7.

E’ da rimarcare che nessuna regione è riuscita a centrare l’obiettivo del 70 per cento auspicato per il 2010 dall’Unione europea nel consiglio straordinario di Lisbona. In ambito provinciale solo la provincia autonoma di Bolzano ha superato tale soglia, con un tasso pari al 71,5 per cento, precedendo Parma con il 68,8 per cento. Nelle prime dieci posizioni si sono collocate, oltre a Parma, le province di Bologna (67,8 per cento), Modena (67,3 per cento), Forlì-Cesena (66,9 per cento), Reggio Emilia (66,8 per cento) e Ravenna (66,6 per cento).

L’elevata incidenza degli occupati sulla popolazione dell’Emilia-Romagna deriva anche dall’elevato tasso di occupazione femminile, che nel 2013 ha collocato la regione ai vertici del Paese, risultando terza (59,6 per cento), immediatamente alle spalle di Valle d’Aosta (60,4 per cento) e Trentino Alto Adige (61,0 per cento). La regione vanta nella sostanza un grado di emancipazione femminile piuttosto elevato, che sottintende nuclei famigliari con più di un reddito, con conseguente relativa maggiore ricchezza rispetto ad altre aree del Paese. Non è un caso che

L’elevata incidenza degli occupati sulla popolazione dell’Emilia-Romagna deriva anche dall’elevato tasso di occupazione femminile, che nel 2013 ha collocato la regione ai vertici del Paese, risultando terza (59,6 per cento), immediatamente alle spalle di Valle d’Aosta (60,4 per cento) e Trentino Alto Adige (61,0 per cento). La regione vanta nella sostanza un grado di emancipazione femminile piuttosto elevato, che sottintende nuclei famigliari con più di un reddito, con conseguente relativa maggiore ricchezza rispetto ad altre aree del Paese. Non è un caso che

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