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Roberto Didoni

E LOGIO DEI MESSAGGIN

Vale la pena di occuparsi della battute estemporanee del presidente del consiglio quando ne combina di ben più gravi dalla sua villa di Arcore o aggirandosi per la Casa Bianca? Nonostante tutto, la risposta è sì: Silvio Berlusconi esprime spontaneamente un senso comune banale e insidioso, come già ci ricordò Alessandro Manzoni a suo tempo: “il buon senso c‟era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Dunque, una quindicina di giorni fa il cavaliere incitò i ragazzini a mandarsi meno Sms (brevi messaggi . di testo, via telefono cellulare) e a scrivere più lettere alla vecchia maniera, con carta e penna. Alcuni commentatori se la cavarono osservando che meglio avrebbe fatto a incitare i giovani a vedere un po‟ meno la (sua) televisione e a leggere qualche libro in più; la battuta era facile, ma il consiglio implicava una dote di autolesionismo di cui il cavaliere non sembra dotato.

Eppure l‟idea che i cellulari e i relativi messaggini siano un elemento di caduta della cultura e della comunicazione, specialmente quando usati così freneticamente, è assai diffusa. E quella del telefono cellulare è un‟epopea strana davvero: ce l‟hanno tutti gli italiani, salvo un po‟ di neonati e di ultraottantenni, ma il senso

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comune lo giudica un fenomeno deteriore, una di quelle mode nefaste che sembrano ineliminabili dalla vita moderna, ma di cui, in linea di principio, sarebbe meglio fare a meno. Chi scrive invece pensa che tutto ciò sia molto sbagliato (anche se lo sostenesse Cofferati invece di Berlusconi), e per molti motivi.

Il primo è che, in ogni caso, il Servizio di brevi messaggi di testo (Sms) indica comunque un sano ritorno alla parola scritta, in una società che la usa pochissimo, salvo che nei banchi di scuola, dove viene percepita come afflizione. È una scrittura povera, anzi poverissima? Non c'è dubbio al riguardo, ma è pur sempre scrittura, ovvero un modo di esprimere sentimenti e stati d‟animo che utilizza il logos, anziché altri mezzi come il colore dei capelli, le immagini sulle T-shirt, i graffiti metropolitani e altre modalità espressive. E sarebbe comunque sbagliato contrapporre l‟una forma all‟altra, in una scala tradizionale al cui vertice c‟è il testo e poi, a scendere, le altre modalità di comunicazione, via via più rozze e meno strutturate. La Sms-scrittura costringe a trucchi e aggiramenti, per non superare la barriera dei 160 caratteri imposti da una tecnologia elementare. Ma questa, scarsità di risorse, come al solito, aguzza l‟ingegno e spinge a soluzioni creative; a invenzioni linguistiche che non sarebbero altrimenti state pensate. Per alcuni puristi si tratta di invenzioni deteriori, per altri sono cose di cui sorridere, per altri sono la testimonianza che le lingue sono una cosa viva, in evoluzione.

E capiterà magari che, a forza di messaggini, uno decida di stendere più ampiamente il suo pensiero in forma di e-mail, la quale anch‟essa ha generato stili e forme che assomigliano a quelle di prima e insieme ne sono così diverse. Il percorso non è deterministico, ma di tipo costruttivistico: un nuovo sistema di comunicazione mentre detta alcuni vincoli (nel nostro caso di brevità), sollecita a immaginare e inventare una pienezza comunicativa. Non si sostituisce ai precedenti ma li affianca e alla fine anche il dodicenne potrebbe scoprire il gusto di una lettera d‟amore scritta sulla carta.

Lo sconvolgente successo degli Sms e della posta elettronica (in tutto il mondo tranne che in America, per ora) spiega quale sia il senso più vero delle molte “rivoluzioni” tecnologiche che si sono susseguite negli ultimi anni, dal personal computer ai cellulari, dalla larga banda alla comunicazione Wi-Fi (senza fili, da un computer all‟altro). Quelle che ci hanno davvero cambiato la vita nel profondo (e che di conseguenza hanno anche creato nuovi settori industriali, posti di lavoro e financo bolle speculative) sono le tecnologie ché gli studiosi chiamano “abilitanti”: mettono in grado moltitudini di persone di impadronirsene facilmente per farne l‟uso che più gli aggrada, a loro, individualmente.

A ben guardare la storia recente della tecnologia elettronica può essere letta come un duplice e parallelo percorso. Da un lato la miniaturizzazione crescente dei chip, cui corrispondono costi decrescenti degli apparati che li utilizzano. E così si passa dai grandi computer, i mainframe, ai minicomputer degli anni ‟70 ai Pc degli anni ‟80 e infine ai portatili laptop, ai palmari, ai cellulari sempre più piccoli e potenti. Ognuno di questi passaggi segna l‟allargamento degli utilizzatori. I mainframe, chiusi nella stanze con tanto di aria condizionata potevano essere usate solo da pochi tecnici in camice bianco, i mini uscirono dai centri di calcolo per andare nei laboratori e nelle linee di montaggio delle fabbriche, i Pc, come il nome suggeriva; divennero strumenti per l'uso individuale, anche se prevalentemente lavorativo, i cellulari e i Pda sono alla portata di tutti e vengono venduti a milioni.

Ognuno di questi oggetti è stato utilizzato dalle persone umane per molti scopi: certo per lavorare, ma anche, e forse soprattutto, per svolgere quella attività ché ci piace assai: entrare in relazione con i nostri simili. Era andata così anche con i1 telefono e avrebbe potuto succedere anche con la radio se non fosse stata

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rapidamente sviata in un broadcasting dal centro alla periferia, lasciando le attività interattive a pochi radio-amatori, dotati di patentino e autorizzazione di stato. Il percorso non è nuovo e dovrebbe essere alla portata anche del “senso comune” del popolo berlusconiano: ovunque ci sia un muro e un gesso, un foglio di carta e una penna, una lavagna elettronica e un mouse, il genere umano si butta avidamente ad autoprodurre, autorappresentare e affannosamente intrecciare relazioni comunicative. È un percorso che nessuno può arrestare.