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2.4 Il sistema sperimentale: metodi

2.4.1 Metodi analitici

Esistono diversi metodi per lo studio delle proteine presenti in un campione. Normalmente tali tecniche sono di tipo quantitativo se il campione considerato contiene solo la proteina pura, mentre nel caso di miscele i metodi sono per lo più di tipo qualitativo. Tuttavia esistono analisi di tipo specifico in grado di quantificare la concentrazione di una determinata proteina contenuta in una miscela complessa.

2.4.1.1 Lettura dell’assorbanza

La lettura dell’assorbanza è uno dei metodi più semplici ma allo stesso tempo efficaci per la determinazione della concentrazione di proteine in soluzioni pure. Questo metodo di misura si basa sulla capacità delle proteine di assorbire radiazioni nell’ultravioletto vicino. Solitamente le lunghezze d’onda usate sono pari a 215 e 280 nm, in corrispondenza delle quali le proteine mostrano dei picchi di assorbanza. Infatti i legami peptidici vengono maggiormente eccitati quando la lunghezza d’onda del raggio incidente è pari a 215 nm, mentre a 280 nm sono sensibili gli elettroni delocalizzati negli anelli indolici e benzilici del triptofano e della tirosina.

Per concentrazioni non troppo elevate, il legame tra l’assorbanza e la concentrazione di proteina in soluzione è lineare e può essere descritta dalla legge di Lambert e Beer:

H c

Absλ =

ε

λ 2.1 dove Absλ è il valore di assorbanza letto dallo strumento di misura in corrispondenza della lunghezza d’onda

λ

, c è la concentrazione di proteina in

soluzione, H è lo spessore della cella di misura ed

ε

λ è il coefficiente di proporzionalità detto anche coefficiente di estinzione alla lunghezza d’onda

λ

.

Anche se l’assorbanza è un numero puro, solitamente si usa l’unità di assorbanza, AU (Absorbance Unit), come unità di misura. Il coefficiente di estinzione esprime la facilità di interazione dei fotoni della radiazione incidente con la molecola, e dipende pertanto dalla proteina in esame. Da notare che il coefficiente di estinzione dipende anche dal tampone in cui è presente la proteina, in quanto caratteristiche come il pH o la forza ionica possono modificare la configurazione proteica e quindi l’interazione dei fotoni con la biomolecola.

In Tabella 2.7 sono riassunti i coefficienti di estinzione dell’IgG nelle soluzioni utilizzate nel presente lavoro di tesi. Bisogna puntualizzare che i valori riportati sono stati determinati con uno spettrofotometro UV1601 della Shimadzu, in cui la lunghezza della cella è pari ad 1 cm. Il rivelatore UV dell’FPLC ÄKTApurifier 100TM ha diverso cammino ottico (§ 2.4.2), per cui il segnale di assorbanza registrato deve essere opportunamente convertito per una corretta stima della concentrazione. Per comodità in Tabella 2.7 si riporta anche il fattore H

ε

280nm

dell’FPLC ÄKTApurifier 100, utile per eseguire le conversioni da milli unità di assorbanza, mAU, a valori di concentrazione in mg/ml.

Tabella 2.7: Coefficienti di estinzione dell’IgG, εεεε280nm, e fattore di conversione da

assorbanza a 280nm (mAU) a concentrazione (mg/ml) per l’FPLC ÄKTApurifier 100.

soluzione ε280nm (AU cm2/mg) Ηε280nm (mAU ml/mg)

tampone fosfato 50 mM pH 7.2 1.028 223.8 IgG di topo acido acetico 0.1 M pH 3.5 1.000 217.7 PBS 0.1 M pH 7.4 1.305 284.2 glicina 0.1 M pH 2.8 1.334 290.5 glicina 0.1 M pH 3.5 1.335 290.6 acido citrico 0.1 M pH 2.5 1.407 306.3 IgG umana acido citrico 50 mM pH 3 1.408 306.5

2.4.1.2 Elettroforesi

L’elettroforesi è una tecnica di separazione che sfrutta la diversa velocità di migrazione di particelle elettricamente cariche sotto l’influenza di un campo elettrico. Il frazionamento è condotto in un opportuno gel, solitamente a base di poliacrilammide, che funge da setaccio molecolare. Dunque la velocità di migrazione nel gel dipende sia dalla carica netta che dalla dimensione della particella.

Tra le tecniche elettroforetiche condotte su gel a base di poliacrilammide, si distingue il metodo dell’SDS–PAGE, acronimo di Sodium Dodecil Sulphate Polyacrilamide Gel Electrophoresis. Si basa sull’analisi di proteine denaturate attraverso l’utilizzo di sodio dodecil solfato (SDS). L’SDS è un detergente anionico in grado di rompere le interazioni non covalenti nelle proteine, che dunque si denaturano e perdono la propria struttura tridimensionale. Il risultato è un complesso SDS–proteine in un rapporto di circa una molecola di SDS per ogni due residui amminoacidici. Tale rapporto conferisce al complesso SDS–proteina denaturata una carica negativa netta approssimativamente proporzionale alla massa della proteina stessa. La carica negativa acquisita con il legame con l’SDS è

in genere molto più grande della carica della proteina nativa, che diventa quindi trascurabile.

Il campione proteico viene inoltre trattato con blu di bromofenolo, un colorante che permette di visualizzare l’andamento della corsa elettroforetica. In questo modo è possibile valutare la presenza di una determinata proteina nel campione se nel gel è visibile la corrispondente banda colorata.

Il materiale di supporto utilizzato è generalmente un gel a gradiente, ossia un gel con una diversa distribuzione dei pori da un estremo all’altro: nella zona vicina ai pozzetti, in cui vengono caricati i campioni, si ha la percentuale più bassa di poliacrilammide, percentuale che aumenta progressivamente spostandosi verso il fondo del gel. Questa struttura favorisce la separazione delle proteine anche in base alle dimensioni, permettendo solo alle proteine più piccole di raggiungere il fondo del gel.

L’IgG trattata con SDS si denatura nelle 4 catene che la compongono: due catene leggere e due pesanti, rispettivamente con peso molecolare di 25 e 50 kDa (§ 2.2). La presenza di IgG in un campione trattato con SDS–PAGE è quindi visibile se sono presenti delle bande colorate in corrispondenza dei pesi molecolari delle catene leggere e pesanti dell’IgG; altre bande corrispondono ad eventuali inquinanti presenti nel campione.

2.4.1.3 Analisi cromatografiche

La quantificazione dell’IgG e degli altri componenti presenti in una miscela è possibile attraverso delle opportune analisi cromatografiche condotte all’HPLC, acronimo di High Performance Liquid Chromatography.

La cromatografia liquida ad alta risoluzione è una moderna tecnica cromatografica in cui, grazie all’esercizio di una forte pressione, la fase mobile avanza lungo una colonna riempita con una fase stazionaria di granulazione finissima.

Una rappresentazione semplificata di un HPLC è riportata in Figura 2.12. In primo luogo si trova un sistema di pompe, necessario per la movimentazione della fase mobile, ed un iniettore del campione da analizzare. La colonna costituisce il fulcro dello strumento poiché in questo elemento ha luogo la separazione. Infine un apposito rivelatore misura la quantità dei componenti in uscita, e il segnale viene registrato da un computer.

Per la quantificazione dell’IgG è stata usata una colonna di affinità con proteina A immobilizzata nella fase stazionaria (Applied Biosystems Cat.PA 2-1001-00). Il principio di questa tecnica è del tutto simile a quanto introdotto nel § 1.1.

impaccata con un materiale altamente poroso. Il principio di separazione sfrutta le caratteristiche del riempimento, per cui una molecola di grosse dimensioni è esclusa dai pori delle particelle e fluisce solo attraverso gli spazi interstiziali, mentre le molecole di piccole dimensioni si distribuiscono anche all’interno del riempimento e dunque attraversano la colonna con una velocità minore. In uscita dalla colonna SEC emergeranno prima le molecole di grandi dimensioni e via via quelle di dimensioni minori. Questa tecnica è solitamente qualitativa, anche se una quantificazione di massima è possibile sulla base della dimensione dei picchi dei composti in uscita dalla colonna. La colonna usata per queste analisi è una Proteema 300 acquistata dalla Polimer Standards Service.

contenitore della

fase mobile pompe colonna impaccata

iniezione del campione rivelatore UV scarico cromatogramma registrato su computer contenitore della

fase mobile pompe colonna impaccata

iniezione del campione rivelatore UV scarico cromatogramma registrato su computer

Figura 2.12: Schematizzazione semplificata di un’HPLC.