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Come documentazione di un ulteriore ambito in cui sono stati individuati utili contributi di letteratura, si riportano brevemente nel seguito alcune metriche di resilienza di carattere generale o riferite in modo specifico ad infrastrutture di trasporto.

Infatti, diversi tentativi sono stati fatti per cercare di quantificare la resilienza e di fornirne una misura attraverso indicatori sintetici [62] [63] [64].

Uno dei riferimenti più autorevoli riguardo a misure di resilienza è Rose, che in [65] ne propone alcune a proposito di performance economiche di singole organizzazioni o sistemi industriali. Tra queste compare l’indice Direct Static Economic Resilience (DSER) ,e l’indice Total Dynamic Economic Resilience (TDER). La DSER è una misura che, rifacendoci al framework teorico delineato

in 1.3, potremmo ricondurre ad un indicatore di robustness e quantifica la misura in cui la riduzione di performance economica causata da un determinato evento devia dalla massima diminuzione possibile. È dunque possibile esprimerla come:

(1.3)

Dove rappresenta la massima diminuzione percentuale dell’output economico sperimentabile e quella effettivamente sperimentata. La TDER può essere invece ricondotta agli attributi di responsiveness ed interpretata come la riduzione della perdita di output economico imputabile ad un inizio della fase di recovery più repentino che in assenza di caratteristiche di resilienza.

Figura 1.9 – Performance economica di un sistema industriale regionale sottoposto ad un evento destabilizzante (Rose, [65])

Con riferimento al grafico di Figura 1.9, che rappresenta la storia temporale della performance economica di un sistema industriale regionale sottoposto ad un evento destabilizzante, Rose definisce la TDER come:

(1.4)

con m<n, dove è il livello di performance mantenuto nell’unità di tempo nel caso in cui il sistema sia in grado di accelerare l’inizio della fase di recovery,

la grandezza duale corrispondente al caso in cui questo non avvenga ed n e

m i periodi temporali in cui si suddivide la fase di recovery nei due casi. Dalle definizione data di TDER appare evidente come il calcolo di un indicatore di questo tipo presupponga la conoscenza in termini quantitativi della differenza di performance tra un sistema denotato da un certo grado di resilienza ed un sistema che ne è totalmente privo. Tale conoscenza non è affatto immediata. Inoltre questa differenza di performance è in realtà proprio quanto si vuole stimare con l’indicatore TDER e ciò comporta una circolarità concettuale che rischia di creare una certa impasse nel caso si voglia implementare concretamente metriche di questo tipo. Questi dunque rimane un buon riferimento teorico, ma di difficile applicazione reale.

Altro contributo interessante alla creazione di metriche di resilienza è quello fornito da Henry e Ramirez-Marquez in [66]. Questi introducono una grandezza, detta ( ) che caratterizza la resilienza di un generico sistema in ogni istante di tempo successivo ad un evento di disturbance o di disruption. La metrica da essi proposta è riconducibile ad una misura di robustness e recovery. Essi individuano una funzione di servizio ( ), dove, rimandando a Figura 1.10, è un generico instante temporale compreso tra l’occorrere dell’evento , con E insieme di generici eventi, e l’istante di completo assorbimento delle conseguenze di tale evento. L’indicatore di resilienza viene quindi definito dalla formula:

( ) ( ) ( )

( ) ( )

(1.5)

dove ( ) ( ) insieme di eventi destabilizzanti che potrebbero occorrere al sistema. La metrica ( ) indica, a partire dallo stato perturbato del sistema, la porzione di funzione di servizio che è stata ristabilita. ( ) è esprimibile in termini quantitativi esclusivamente se lo è ( ), è quindi decisivo il modo con cui tale funzione viene scelta ed espressa. Il valore minimo dell’indicatore è 0 e corrisponde al caso in cui non vi sia stato alcun recupero rispetto al momento di massimo impatto; ( ) assumerà valore unitario in corrispondenza del pieno recupero di funzionalità da parte del sistema, ovvero non appena sia verificato ( ) ( ); teoricamente non esiste un limite superiore per ( ), in quanto l’indicatore tende a crescere indefinitamente a partire dal momento in cui il sistema si porta ad un livello di servizio maggiore rispetto a quello precedente l’evento; l’indicatore risulta indefinito se ( ) ( ), ovvero nel caso in cui l’evento non comporti alcuna perdita di performance per il sistema, anche se

avendo definito , si è ristretta la definizione a quei valori di che esulano da tale casistica.

Figura 1.10 – Andamento funzione di servizio (Henry e Ramirez-Marquez, [66]) Ipotizzando poi che sia possibile il sistema S sia scomponibile in componenti tali che , che ogni componente possa essere soggetto a danni specifici e che ad ogni danno nel componete sia associato un tempo di recupero ( ) ed un costo di riparazione/sostituzione ( ), vengono calcolati degli indicatori complessivi di recovery in termini di tempo e costo. Avremo quindi:

( ) ∑ ( )

(1.6)

che, definito come uno degli stati assunti dal sistema tra il momento di massimo impatto e la piena recovery, indica il tempo complessivo necessario al sistema per tornare allo stato . Dichiariamo subito che, formulato in questi termini, l’indicatore è un puro supporto concettuale, in quanto l’operazione di somma non tiene conto di eventuali operazioni di ripristino che possono avvenire in parallelo. Similmente per quanto riguarda il costo della recovery si avrà:

( ) ∑ ( )

Da notare come nell’indicatore di costo appena definito, il valore ( ) non viene calcolato a partire dal solo costo associato al ripristino del componente, ma vi si include anche il costo legato alla perdita di servizio sperimentata, ai sensi di un costo opportunità.

Sviluppando quanto definito da Bruneau et al. in [67], Reed et al. propongono una metrica di resilienza basata su quella che viene chiamata un “funzione di qualità”, concettualmente assimilabile a quella che abbiamo appena chiamato “funzione di servizio”. La funzione di qualità Q(t) viene definita come:

( ) ( ) (1.8)

dove è il livello di servizio del sistema in una situazione indisturbata, è il livello di servizio a seguito dell’evento, b una misura della rapidità di recovery del sistema e t il tempo in giorni. La funzione ( ) può assumere valori compresi tra 0 e 1, con ( ) in corrispondenza della piena operatività del sistema e ( ) in corrispondenza di completa inoperatività. Il rapporto ( ) può quindi essere inteso come un indice della robustness del sistema. Utilizzando ( ) viene costruito un indicatore sintetico della resilienza del sistema:

∫ ( ) ( )

(1.9)

Con estremi dell’intervallo di tempo considerato. Se si ha a che fare con una rete di n infrastrutture interdipendenti e ipotizzando che sia la resilienza dell’infrastruttura 1, dell’infrastruttura 2, etc, è possibile individuare una funzione ( ) che descriva la resilienza dell’intera rete. Da ultimo, accanto a queste misure di tipo quantitativo, Serulle et al. [68] ne propongono una di tipo qualitativo. Considerando il sistema stradale della città di Santo Domingo, l’indicatore viene costruito in modo progressivo a partire da dieci grandezze elementari: la capacità disponibile del sistema stradale, la densità della rete stradale, il numero e la prossimità di infrastrutture di trasporto alternative, il ritardo medio dei viaggiatori sulla rete stradale, velocità media sulla rete, costo di trasporto privato, costo di trasporto commerciale e industriale.

Figura 1.11 – Struttura di calcolo indicatore qualitativo di resilienza(Serulle et al., [68]) Ad ognuna di queste grandezze viene assegnato un valore qualitativo su una scala di cinque valori. Applicando una logica di tipo if-then vengono ricavati una serie di indicatori intermedi. Ripetendo il procedimento per i livelli successivi si arriva al computo di un indicatore di resilienza sintetico. In Figura 1.11 riportiamo lo schema di calcolo proposto in [68].

Capitolo 2

Il grande terremoto e tsunami del Marzo

2011 nella regione del Tohoku (Giappone)

Nel primo pomeriggio dell’11 Marzo 2011 la costa nord-orientale del Giappone veniva colpita da una serie di violente scosse sismiche di magnitudo 9.0 nella scala Richter. Con epicentro situato approssimativamente a 130 km al largo della città di Sendai, capoluogo della regione del Tohoku, ed originatosi ad una profondità di 24,4 km sotto il livello del mare, il terremoto fu di intensità tale da causare una deriva verso est dell’isola di Honshu (la maggiore dell’arcipelago giapponese) di 2,4 metri , e da provocare uno spostamento dell’asse terrestre di 25 cm.

Figura 2.1 - Mappa del sisma del Marzo 2011(WHO, [69])

La conseguenza più grave del movimento tellurico sottomarino fu però la generazione di una serie di onde anomale, o tsunami , che colpirono le aree costiere del Tohoku e dell’Hokkaido meridionale approssimativamente 15 minuti dopo la prima scossa. Le onde, alte fino a 38 metri, si abbatterono su più

di 500 km di costa, penetrando per diversi kilometri nell’entroterra e travolgendo tutto ciò che trovarono sul loro cammino. Interi villaggi costieri vennero letteralmente spazzati via dalla violenza delle acque.

Il grande terremoto del Marzo 2011 e il conseguente tsunami vengono considerati la peggior catastrofe che abbia colpito il Giappone nella storia. Il bilancio in termini di vite umane perse è impressionante: al 10 Febbraio 2012 si contano 15.848 vittime accertate e 3.305 dispersi. Il danno causato viene stimato in termini economici in 256 miliardi di dollari [69]. Le prefetture maggiormente colpite furono la prefettura di Miyagi, Fukushima ed Iwate.

Gli effetti della catastrofe non si limitarono però solo all’incredibile numero di vittime. Infrastrutture di fondamentale importanza per la sopravvivenza della popolazione e per la risposta al disastro vennero distrutte o rese inservibili. Fu proprio questa una delle caratteristiche più devastanti del cataclisma: la sua entità fu tale che strutture ed enti demandati a fornire azioni di risposta, di supporto logistico e di protezione civile sperimentarono a loro volta perdite e carenze di risorse talmente ingenti da vedere la propria operatività pesantemente diminuita, quando non totalmente azzerata.

Alcuni dati consentono di inquadrare le dimensioni della devastazione provocata dal terremoto e conseguente tsunami. L’esposizione dettagliata di fatti e cifre relative al disastro del Marzo 2011, si rende inoltre indispensabile per la comprensione di scelte progettuali ed ipotesi fondamentali alla base del modello elaborato e delle analisi condotte.