2.1
INTRODUZIONE38Spesso, pensando all’”Africa nera”, vengono in mente immagini di guerre, povertà, campi profughi dove i bambini coperti dalle mosche guardano con occhi enormi gli obiettivi degli stranieri bianchi.
Ma si pensa anche agli immensi paesaggi incontaminati, al deserto, alla purezza di quella natura vergine dove i grandi animali pascolano liberi.
Questa, è l’immagine da “cartolina” dell’Africa.
Questa conoscenza superficiale non è in grado di dare giustizia alla complessità di questo continente. Dei 53 Stati sorti dopo le lotte di indipendenza, 47 appartengono alla cosiddetta Africa nera. Si tratta di un mondo vivo, dove tragedie e splendore si intrecciano in un circolo senza fine, è l’Africa dei villaggi di fango e terra ma anche dei grandi grattacieli e degli affari. E’ l’Africa dell’arte e della musica, delle città affollate, della lotta per la sopravvivenza e del turismo. È un mondo che sta vivendo delle trasformazioni enormi, sotto il profilo economico e sociale, le quali vanno analizzate attentamente e con cognizione di causa, per riuscire a comprendere i grandi mutamenti che attraversano il continente più antico del mondo.
Ho scelto di analizzare questa particolare regione dell’Africa a seguito del mio tirocinio svoltosi a Dar es Salaam, Tanzania, dal luglio all’agosto del 2013. Questa zona dell’Africa è la parte più povera del continente, quella che più spesso è stata attraversata da conflitti con effetti devastanti visibili ancora oggi. Se si esclude il Sudafrica, l’Africa subsahariana è sicuramente la regione del continente, se non del mondo intero, che necessita più urgentemente di aiuti, di piani di sviluppo adeguati e di studi attenti e oculati, al fine di comprenderne le mille realtà ed essere in grado di elaborare delle risposte efficaci e durature.
35
2.2
L’AFRICA SUBSAHARIANAPopolazione totale: 910.4 milioni
PIL (in USD, metodo Atlas39 ): 1.288 trilioni RNL (in USD, metodo Atlas): 1,345
Popolazione urbana: 37% 40
Figura 1: Africa subsahariana, mappa politica (Fonte: www.worldmap.com)
Come possiamo osservare dalla figura n°1, L’Africa subsahariana è, geograficamente, quella regione africana che si trova sotto il deserto del Sahara. Politicamente, consiste in tutti quelle Nazioni che sono allocate interamente o
parzialmente sotto il deserto, escluso il Sudan41 . A livello culturale è in contrasto
con l’Africa del Nord, la quale è considerata mondo arabo.
39 Il metodo Atlas è un metodo utilizzato dalla Banca Mondiale per stimare la grandezza di
un’economia in termini di reddito nazionale lordo (in dollari statunitensi)
40
http://data.worldbank.org/region/SSA (2012)
36
Essa si divide in Africa orientale (Tanzania, Kenya, Uganda, Ruanda, Burundi, Djibouti, Eritrea, Etiopia, Somalia, Mozambico, Madagascar, Malawi, Zambia, Zimbabwe, Comoros, Mauritius, Seychelles, Réunion, Mayotte e sud Sudan), Africa occidentale ( i Paesi del Maghreb, Capo Verde, Mali, Burkina Faso, Benin, Cote d'Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia, Senegal, Sierra Leone, Togo, Nigeria e Niger), Africa centrale (Angola, Cameroon, Repubblica centrale Africana, Chad, Repubblica del Congo, Repubblica democratica del Congo, Guinea equatoriale, Gabon, São Tomé e Príncipe) e Africa del sud (Botswana, Lesotho, Namibia, Sudafrica e Swaziland).
La comunità scientifica mondiale concorda nell’attribuire a questa zona del continente africano la paternità dell’umanità.
Secondo i dati presenti sul sito della Banca Mondiale, nella regione dell’Africa subsahariana, vive oltre il 12% della popolazione mondiale, il che significa all’incirca 900 milioni di persone, come possiamo vedere dal primo grafico. Nel periodo dal 2000 al 2007 c’è stata una crescita demografica impressionante: il tasso medio annuo si aggira intorno al 2.5 %, il quale rappresenta circa il doppio
della media mondiale42 . Le Nazioni Unite calcolano che nel 2010 la popolazione
era di circa 863 milioni e che all’incirca nel 2025 raggiungerà quasi 1,2 miliardi di persone. A causa di questa enorme crescita demografica, la maggioranza della popolazione è costituita da giovanissimi: sempre nel rapporto del 2007, i giovani tra gli 0 e i 14 anni costituivano il 43% della popolazione, contro una media mondiale del 28%. La speranza di vita alla nascita, però, è ancora tra le più basse del mondo (circa 50 anni) e la mortalità infantile è molto elevata.
Nonostante l’ampiezza della regione, l’Africa subsahariana ha una densità media abbastanza bassa: si calcolano all’incirca 34 abitanti per Km2. Tuttavia ci sono notevoli differenza tra i vari Stati. Troviamo Nazioni piccolissime, sia per popolazione che per superficie (Swaziland, Lesotho), Nazioni enormi ma con scarsa popolazione (Mozambico), e Stati sia molto estesi che molto popolati (Nigeria). Ci sono, infine, Nazioni talmente grandi che sia il controllo del territorio sia quello della popolazione diventa quasi impossibile (Repubblica democratica del Congo). Di fronte alla scarsa densità di popolazione nelle aree rurali, dovuta spesso al fatto che alcune zone sono difficilmente accessibili o quasi inabitabili, l’urbanizzazione cresce a livelli incredibili. Milioni di persone si
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spostano per abitare nelle immense baraccopoli delle grandi città, mentre altri flussi spingono l’emigrazione fuori dal continente, soprattutto verso l’Europa. Il futuro di queste popolazioni dell’Africa nera è cruciale per colmare l’enorme
dislivello che le divide dagli standard di benessere del mondo occidentale43 .
I dati reperibili nella sezione “Regional Economic Reports” sul sito del Fondo Monetario Internazionale (www.imf.org), aggiornati all’ottobre 2013, mostrano come negli ultimi anni l’economia dell’Africa subsahariana si sia dimostrata abbastanza forte nonostante la crisi.
Sempre l’ FMI , nell’ultimo Regional Economic Outlook44 (maggio 2013), ha
affermato che l’economia della zona è cresciuta del 5%45 nel 2012 e ci si aspetta
un ulteriore crescita, anche se moderata, per l’annata 2013-2014.
Tuttavia l’FMI individuava due rischi che possono attentare alla crescita economica, provenienti sia dall’interno che dall’esterno.
I rischi esterni consistono principalmente nella possibilità di un ulteriore stagnazione economica mondiale, soprattutto nella zona dell’euro. Questo avrebbe effetti modesti ma persistenti, specialmente nelle Nazioni africane più integrate nel mercato mondiale. I rischi interni, invece, sarebbero quelli di cambiamenti climatici o conflitti locali.
Nonostante questi dati incoraggianti, la Banca Mondiale stima ancora che circa il 48,5% della popolazione nella zona vive con 1,25$ al giorno, mentre il 69,9% vive con 2$46 .
Come possiamo facilmente dedurre, il divario con i Paesi sviluppati è ancora ampio.
Per darci un’immagine del dislivello, possiamo comparare il reddito medio pro capite europeo con quello africano: il dislivello è in continua crescita se consideriamo che nel 1820 il rapporto era 3:1, mentre adesso si aggira intorno a 20:1.
Benché l’economia dell’area sia in crescita, le strutture statali, economiche e organizzative sono ancora troppo fragili e troppo problematiche per garantire uno
43 Ricordiamo che, a tutt’oggi, oltre un miliardo di persone vive sotto la soglia di povertà assoluta. 44
Per approfondimenti, consultare:
http://www.imf.org/external/pubs/ft/reo/2013/afr/eng/sreo0513.pdf
45 Uniche eccezioni Nigeria e Sudafrica: le economie di questi Paesi, più forti e sviluppate, hanno
avuto un tasso di crescita dello 0.5
38
sviluppo sicuro e continuo. Il continente dispone di ingenti risorse naturali, i cui ricavati, però, non vanno se non in minima parte alla popolazione locale.
L’economia dell’Africa subsahariana è ancora troppo dipendente dai Paesi esteri, soprattutto europei, per non risentire della situazione mondiale.
A seguito di queste considerazioni, diventa evidente che questa regione è una delle zone prioritarie di intervento per l’immenso meccanismo degli aiuti allo sviluppo internazionale. Istituzioni multilaterali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la FAO, l’agenzia per lo sviluppo delle Nazioni Unite, insieme anche a singoli Stati, organizzazioni non governative e fondazioni, si adoperano per la cancellazione di debiti e per crediti agevolati o donazioni.
Questi interventi internazionali, ovviamente, interagiscono con le politiche nazionali degli Stati riceventi, imponendo condizioni contrattate e diventando quindi spesso oggetto di controversie.
Gli aiuti ricevuti rappresentano una fonte molto importante di finanziamento per gli investimenti e per gli investimenti diretti esteri, concentrati soprattutto nel settore estrattivo.
Al giorno d’oggi, in termini sia di aiuti che di investimenti diretti esteri, in questa zona dell’Africa cresce la presenza di Cina, India e Brasile.
Ricordiamo però, che sull’efficacia degli aiuti a sostegno delle politiche per la riduzione della povertà, come sugli effetti che i flussi finanziari di tali aiuti hanno sugli equilibri politici o sulla stabilità macroeconomica degli Stati africani, è in corso un ampio dibattito, con voci contrastanti.
La Banca Mondiale stima il reddito dell’intera Africa subsahariana in circa 744 miliardi di dollari47 . Si usa spesso fare il paragone con la Cina, visto il veloce sviluppo degli ultimi anni: il reddito africano equivale a circa il 28% di quello cinese48 .
Nei confronti diffusi dalla Banca mondiale, a parità di potere d’acquisto nel 2009 l’Africa subsahariana, pur ospitando, come già ripetuto, circa il 12% della popolazione mondiale, disponeva di poco più del 2% del reddito mondiale.
Nella classificazione a scala mondiale per fasce di reddito, sempre nel 2009 nessuno dei Paesi dell’Africa subsahariana era compreso nel gruppo a reddito alto.
47 Un paragone chi si usa spesso è quello con i Paesi Bassi: hanno un reddito medio di circa 750
miliardi ma una popolazione 50 volte più piccola. (World Bank, 2009)
39
Solo 6 Paesi (Botswana, Gabon, Mauritius, Mayotte, Seychelles, Sudafrica) erano nel gruppo a medio reddito di fascia alta, e altri 8 (Angola, Camerun, Capo Verde, Repubblica del Congo, Lesotho, Namibia, Sudan, Swaziland) nel gruppo a reddito medio di fascia bassa. Il gruppo a reddito basso includeva ben 33 dei 47 Paesi
dell’Africa subsahariana (Benin, Burkina Faso, Burundi, Repubblica
Centrafricana, Ciad, Comore, Repubblica Democratica del Congo, Costa d’Avorio, Eritrea, Etiopia, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Kenya, Liberia, Madagascar, Malawi, Mali, Mauritania, Mozambico, Niger, Nigeria, Ruanda, São Tomé e Príncipe, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Tanzania, Togo, Uganda, Zambia, Zimbabwe).
In sintesi, sono davvero pochi gli Stati di questa regione che hanno un reddito pro capite che consenta, in condizioni di distribuzione del reddito non troppo squilibrate, di sollevare la popolazione da condizioni di povertà grave e diffusa. L’Africa di oggi è chiamata ad affrontare la grande sfida della crescita. Investimenti in capitale fisico e capitale umano, insieme a consistenti aumenti di produttività per sostenere più ampi flussi di produzione, sono le condizioni indispensabili per migliorare in modo diffuso i consumi e per far fronte all’aumento della popolazione.
Il problema non è solo la questione economica. In quest’area si riscontrano anche livelli bassissimi di sviluppo umano, che misura la qualità della vita considerando
il PIL pro capite49, il livello di istruzione e la speranza di vita alla nascita.
Secondo un rapporto della Banca Mondiale50 , nel 2013 la speranza di vita alla
nascita è di circa 56 anni51 . L’Africa è l’unico luogo al mondo nel quale la
speranza di vita alla nascita è in costante calo, dagli anni ’90 ad oggi52 .
Nell’ultimo rapporto (2013) sull’Indice di sviluppo umano pubblicato
dall’UNDP53 , nessun Paese dell’Africa subsahariana (fatta eccezione per le isole
Seychelles, in penultima posizione) è presente nella classifica dei Paesi con un
49
Il PIL procapite è il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un territorio in un certo intervallo di tempo e destinati ad usi finali diviso per il numero di abitanti. Il PIL è un indicatore del livello del reddito nazionale; nei confronti internazionali viene utilizzato il PIL a parità di potere di acquisto (PPS) al fine di eliminare le distorsioni indotte dai differenti livelli dei prezzi: esso è calcolato come la media pesata dei prezzi di un paniere di beni e servizi che sono omogenei e comparabili.
50
http://povertydata.worldbank.org/poverty/region/SSA
51 Per fare un paragone, in Italia è di circa 82 anni (http://www.indexmundi.com/map)
52 Una delle ragioni principali è, ovviamente, l’epidemia di AIDS. Seguono poi la malaria, la febbre
gialla, la dissenteria e la tubercolosi
40
alto indice di sviluppo umano, mentre occupano quasi interamente la colonna dei Paesi con l’indice più basso.
41
2.3
IL PERIODO DELL’IMPERIALISMO EUROPEOFigura 2: Mappa politica degli imperi europei (Fonte: www.wikipedia.it)
Tra il XIX e il XX secolo, l’Africa subsahariana divenne il teatro della competizione tra le maggiori potenze imperialiste europee del tempo. Nel periodo della cosiddetta “corsa all’Africa” quasi tutti i Paesi di quest’area divennero, secondo vari gradi, parte dell’impero coloniale europeo. Nella figura n°2 possiamo vedere la spartizione del continente a opera dei Paesi europei.
Il Portogallo instaurò il suo primo insediamento fin dal XV secolo, nel sud del Mozambico e nell’oceano Indiano. I suoi possedimenti si ingrandirono fino a includere una zona che andava dal nord del Mozambico a Mombasa, nell’attuale Kenya. Sul lago Malawi, i portoghesi incontrarono l’appena nato possedimento britannico dello Nyasaland (oggi Malawi), circondato dall’omonimo lago del quale occuparono la costa orientale.
L’impero britannico mise piede nella regione più sfruttabile e promettente, occupando la zona che oggi corrisponde all’Uganda e al Kenya. Questi due Paesi si trovavano, e si trovano ancora, in un’area molto fertile, adatta sia per la
42
coltivazione del caffè e del tè che per l’allevamento di animali domestici. Questa zona sembrava inoltre adeguata anche per l’insediamento residenziale dei numerosi britannici presenti nella regione. Grazie a queste caratteristiche, l’area venne trasformata in una colonia abitativa, fioritura di stile europeo.
I francesi si insediarono nella grande isola del Madagascar (la più grande dell’Oceano Indiano e la quarta nella classifica mondiale), occupando anche le isole limitrofe delle Comore e di Réunion. Il Madagascar divenne parte dell’impero francese dopo due campagne militari contro il suo Regno e dopo un accordo con gli inglesi: in cambio del Madagascar, i britannici ottennero Zanzibar e la costa del Tanganika, snodi di importanza focale per il commercio delle spezie. Gli inglesi ottennero inoltre l’arcipelago delle Seychelles e la fertile Mauritius, precedentemente sotto sovranità francese.
L’impero tedesco ottenne il controllo di una larga area denominata “Est Africa tedesca”, la quale comprendeva l’attuale Ruanda, Burundi e l’entroterra della Tanzania chiamato allora Tanganika. Nel 1922, gli Inglesi acquisirono il controllo del Tanganika, da amministrare fino alla sua indipendenza che sarebbe avvenuta nel 1961. Come conseguenza della rivoluzione a Zanzibar nel 1965, l’indipendente Stato del Tanganika formò la Repubblica unita della Tanzania, unendo l’entroterra a Zanzibar. Zanzibar è attualmente uno Stato semi autonomo federato all’entroterra e ai quali ci si riferisce comunemente con il nome di Tanzania.
L’Africa orientale tedesca, di notevole dimensioni, non era però così strategicamente importante come i possedimenti britannici del nord: l’insediamento in queste terre si rivelò difficile e limitato, soprattutto a causa delle condizioni climatiche e della conformazione geologica.
L’Italia acquisì una parte dei territori somali negli anni ’80 dell’800, dando a vita a quella che venne chiamata la Somalia Italiana. Allo stesso tempo, nel 1884, la fascia costiera somala cadde sotto il controllo britannico. Questo protettorato si trovava davanti la colonia inglese di Aden nella penisola Araba, consentendo così agli inglesi di controllare il passaggio marino che portava agli altri possedimenti britannici in India.
Nel 1890, con la scusa dell’acquisto di una piccola città portuale, Asseb, dal sultano locale, gli italiani colonizzarono tutta l’Eritrea. Cinque anni dopo, partendo dalle basi in Somalia ed Eritrea, l’Italia si imbarcò nella prima guerra
43
Italo- Etiope contro l’impero ortodosso di Etiopia. Nel 1896, divenne evidente che la guerra si era rivelata un disastro totale per gli italiani, tanto che gli etiopi reclamarono la loro indipendenza. Riuscirono a rimanere indipendenti fino al 1936 quando, con la seconda guerra Italo- Abissina, l’Etiopia divenne parte dell’Africa orientale italiana. L’occupazione italiana durò fino al 1946 quando terminò grazie alla campagna africana orientale, durante la seconda guerra mondiale.
Anche la Francia riuscì a conquistare un avamposto nell’Africa orientale, per controllare la rotta verso l’Indocina francese. Partendo dal piccolo protettorato del Djibouti negli anni ’50 dell’’800, questo divenne nel 1897 il Somaliland francese.
44
2.4
LA DECOLONIZZAZIONE E LE CONSEGUENZE DELCOLONIALISMO
Gli anni della seconda guerra mondiale (1939- 1945) portarono a dei profondi mutamenti politici, sia nelle Nazioni colonizzatrici che in quelle colonizzate. Questi cambiamenti toccarono sensibilmente anche l’Africa, con radicali sconvolgimenti a livello sociale che portarono a una maggiore coscientizzazione. Innanzitutto, molti africani avevano partecipato alla guerra, come membri degli eserciti delle rispettive potenze coloniali, aiutandole nella lotta contro il nazifascismo in Europa e Asia. I morti che avevano subito e la tragedia in cui erano stati trascinati, li portò a chiedere qualcosa in cambio, come “riparazione” dei danni subiti.
In Europa avevano anche visto trionfare i modelli di democrazia e libertà, contro l’aggressore “straniero”, e questa nuova visione non poteva non influenzare e soprattutto fomentare il malcontento africano, che si trovava incastrato in una situazione ormai anacronistica.
La guerra, infine, aveva profondamente indebolito le potenze coloniali, stressate a livello economico e sociale da sei anni di duri combattimenti e troppo occupate a ricostruire se stesse per occuparsi di altri Paesi.
È importante sottolineare inoltre che nel 1941, W. Churchill e F. D. Roosevelt avevano formulato la Carta Atlantica, la quale enunciava il diritto di ogni popolo all’autodeterminazione, all’indipendenza rispetto alla dominazione straniera e alla possibilità di scegliere autonomamente il proprio regime politico.
La decade degli anni ’50 del ‘900 cominciò dunque con la spinta autonomistica delle popolazioni coloniali africane: i popoli indigeni reclamavano il diritto di essere indipendenti dalla madrepatria e di decidere del proprio destino, con insurrezioni e movimenti di protesta in cui si intrecciavano rivendicazioni politiche, economiche e sociali.
Le loro insurrezioni erano guidate dalle élite locali ma ad essi si affiancavano altri ceti sociali.
Innanzitutto c’era il ceto medio, formato da professionisti, imprenditori e agricoltori, i quali avevano accesso al mercato delle esportazioni. Essi provenivano dai ceti popolari neri, che avevano avuto una certa scolarizzazione ed erano riusciti ad affermarsi nella società delle colonie e rivendicavano la libertà politica ed economica.
45
C’erano poi i ceti popolari africani, i quali si ribellavano allo sfruttamento come manodopera a cui erano sottoposti dai colonizzatori europei e che li lasciava nella povertà.
In molti Paesi africani la ribellione fu guidata dai partiti politici che si inspiravano ai principi di un “socialismo africano”, il quale però si distingueva abbastanza nettamente dal socialismo di stampo occidentale.
In genere, i leader politici africani rappresentarono il socialismo soprattutto come rifiuto del sistema economico capitalistico portato dai colonizzatori, a favore del recupero di valori tradizionali africani come il senso della comunità o della famiglia o la dignità del lavoro agricolo.
Come ho già detto, le madrepatrie europee erano stremate dalla guerra. Davanti a questo ribollire di lotte, insurrezioni e perfino guerre, le ormai ex potenze colonizzatrici furono costrette, in tempi diversi, a concedere l’indipendenza a tutti i Paesi.
Tendenzialmente il processo di decolonizzazione si svolse seguendo due percorsi:
• Uno relativamente pacifico, tramite il passaggio di tutta la struttura
amministrativa e militare dalle mani degli europei a quelle dei funzionari delle
élite africane europeizzate54 .
• L’altro dopo lunghe lotte55 , i quali videro grandi spargimenti di sangue
nell’opposizione tra le armate coloniali europee e i guerriglieri africani che erano passati all’aperta ribellione contro il colonialismo, i quali spesso operarono scelte di tipo marxista-leninista ed erano attivamente sostenuti dai Paesi socialisti.
Le colonie divennero quindi Stati indipendenti, con strutture politiche ed economiche governate da un ceto dirigente indigeno europeizzato. Era così avvenuta la decolonizzazione, cioè la fine degli imperi coloniali, poiché la madrepatria riconosceva l’indipendenza alle colonie.
Ottenuta l'indipendenza, però, i problemi non finirono. I Paesi presentavano profondi problemi interni, nella quasi totalità ereditati dall’epoca dello sfruttamento coloniale.
54 Fu, generalmente, la strada intrapresa dall’impero britannico. 55
Uno degli esempi più famosi è la guerra che coinvolse l’Algeria contro la madrepatria francese (1954-1962)
46
C’erano soprattutto forti disuguaglianze sociali: accanto alla minoranza costituita dall’élite europeizzata, esisteva una enorme massa povera e analfabeta di contadini nelle zone rurali poco sviluppate. Essi conoscevano solo le strutture tradizionali , come la famiglia patriarcale, la tribù e il gruppo religioso, e avevano poche, se non nulle, possibilità di ascesa sociale. Con lo sviluppo urbano, poi, i contadini emigrati in città diventarono solo manodopera operaia malpagata alle dipendenze delle grandi imprese. Nacquero le immense slum africane, dove le persone sopravvivevano in condizioni disastrose. Le masse povere africane sopravvivono tuttora in una misera condizione di povertà, fame, malattie e