IL MICROCREDITO IN TANZANIA
5.3 CASO STUDIO : PRIDE TZ
1.3.6 Uno studio sul campo
K. Bjorvatn e B. Tungodden della Norwegian School of Economics and Business Administration, dall’agosto del 2008 al gennaio del 2009, condussero uno
studio144 su alcuni campioni casuali di clienti delle istituzioni di microfinanza per
dimostrare l’efficacia e l’importanza della formazione.
Più di trecento piccoli impresari seguirono un corso di formazione per il business tenuto dalla University of Dar es Salaam Entrepreneurship (UDEC).
Gli impresari erano tutti clienti della PRIDE: il corso consisteva in 21 sessioni, ognuna della durata dai 45 ai 60 minuti, e aveva luogo immediatamente dopo le riunioni dei gruppi. Il corso era gratuito. Ai clienti che partecipavano almeno a 10 sessioni su 21 veniva rilasciato un diploma di partecipazione dall’UDEC.
La selezione dei clienti è avvenuta in maniera casuale, in modo da non fare preferenze né aver modo di dare un trattamento diverso, nel gruppo che aveva accesso al prestito medio, cioè tra i 500.000 e 1 milione Ths.
I clienti vennero divisi in due gruppi: un primo, composto da 319 clienti ai quali venne offerto il corso vero e proprio, e un secondo, composto da 325 persone, che costituiva il cosiddetto gruppo di controllo ma che non partecipava alla formazione.
Nel marzo del 2009 venne organizzato un altro laboratorio, al fine di misurare la riuscita del programma terminato circa sei settimane prima. Vennero invitati, sempre in maniera casuale, 126 persone del primo gruppo e 126 del secondo, dei quali 211 si presentarono all’incontro.
Le ragioni della mancata partecipazione sono le seguenti: molti clienti avevano lasciato i programmi della PRIDE (42% nel primo gruppo e 36% nel secondo), alcuni erano malati o in maternità (21% e 27%) altri, infine, erano in viaggio, o a un funerale o si stavano occupando di questioni famigliari (37% e 36%).
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K. Bjorvatn – B. Tungodden: “Teaching Business in Tanzania: evaluating participation and performance”, Journal of the European Economic Association (2010)
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Come si nota dalle percentuali, non ci sono grandi differenza tra i due gruppi per quanto riguardo le motivazioni. Gli studiosi calcolarono uno scarto di circa il 2% di partecipazione tra il primo e il secondo gruppo.
La percentuale generale di partecipazione al corso è stata di 15,9 su 21 sessioni (76%). Considerando che il programma era volontario e che i clienti, per partecipare, erano costretti a tenersi lontano dai propri affari, appare evidente che la maggior parte di loro ha considerato il corso offerto positivo per la propria educazione.
Gli studiosi non hanno tuttavia rinunciato a chiedersi come mai, nonostante il tasso di frequenza abbastanza alto, non tutti avevano partecipato. Si sono domandati se per caso il corso fosse troppo difficile o troppo facile e se le donne, soprattutto, avessero maggiore difficoltà a partecipare per questioni domestiche o culturali. Le risposte a queste domande erano, per i due studiosi, fondamentali al fine di migliorare il proprio corso.
Gli studiosi hanno notato che i clienti più scolarizzati, con maggiori competenze (soprattutto scientifiche) o con più esperienza (per questioni di età) avevano partecipato di più rispetto a quelli che avevano un punteggio più basso in questi aspetti. Una spiegazione potrebbe essere il fatto che gli imprenditori più “deboli”, con minore esperienza e minore educazione, presentavo dei gap conoscitivi che li portavano ad essere più incostanti nella frequenza. Inoltre, gli imprenditori maggiori potevano permettersi di assentarsi dagli affari per qualche ora o qualche giorno, in quanto possedevano più alternative.
Lo scopo ultimo del corso era ovviamente quello di migliorare le performance nel business dei propri clienti e gli studiosi hanno cominciato con il presupposto che un corso di formazione fosse un ottimo punto di partenza. Le conoscenza in campo economico erano facili da stabilire, grazie ad alcune domande.
In collaborazione con l’UDEC, gli studiosi hanno sottoposto i propri clienti a dieci domande a risposta multipla, inerenti al programma. Insieme a queste domande, ce ne erano altre relative a questioni generali, al rischio, alla competizione, alle preferenze temporali, alla conoscenza di alcune parole tipiche dell’economia (per esempio profitto, vendita, costi, capitale etc..). Per ogni risposta esatta, al cliente venivano dati 250 Ths. I clienti sono stati sottoposti anche a domande di cultura generale, come matematica, politica e sanità.
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Una differenza significativa tra i due gruppi è stata osservata soltanto per le domande strettamente economiche. Il gruppo che aveva seguito il corso aveva un punteggio del 9% superiore rispetto all’altro gruppo. Tuttavia, in tutte le altre questioni, il punteggio è stato pressoché identico dimostrando che il corso non aveva fatto una differenza significativa sulle domande generali.
È possibile, sostengono gli studiosi, che il corso abbia avuto un effetto positivo relativamente ad alcune questioni ma non sottovalutano neanche il background personale dei clienti.
Ovviamente, una maggiore scolarizzazione permette di partire da una base di conoscenze più solida ma gli studiosi sostengono invece che questo tipo di formazione sia più utile ai clienti più deboli. Il gap da colmare è maggiore, quindi un corso mirato a determinate tematiche sarà più efficace su di loro piuttosto che su chi ha già delle conoscenza di base.
In conclusione, i due studiosi norvegesi valutano positivamente il corso, sia in termini di partecipazione che di acculturazione.
Notano che il loro corso ha avuto degli effetti maggiori su coloro che partecipavano in maniera irregolare e che partivano da basi più deboli.
Ovviamente, concludono, stimolare la partecipazione e ridurre al minimo le assenza è fondamentale per una buona riuscita, in quanto coloro che si comportano così potrebbero essere quelli con i risultati migliori.
Gli studiosi osservano che in questo tipo di settore sono particolarmente importanti le conoscenze scientifiche, soprattutto matematiche, in quanto stimolano un determinato tipo di pensiero e di organizzazione.
I due studiosi, infine, si augurano che il loro esperimento sia di aiuto per lo sviluppo e il consolidamento delle istituzioni di microfinanza in Africa.
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3.7
CONCLUSIONI145Generalmente, come si può osservare nei dati del REPORT, le istituzioni di microcredito e i servizi offerti hanno un effettivo impatto nella lotta alla povertà in Tanzania.
I clienti di questa istituzioni sono riusciti ad accrescere i propri introiti, ad allargare gli affari o anche a inaugurarne di nuovi, dimostrando così l’efficacia dell’accesso al credito. Anche se ancora non tutta la popolazione bisognosa è stata raggiunta, sicuramente le istituzioni tanzaniane si stanno impegnando per migliorare il più possibile.
Secondo gli studi del REPOA la maggior parte dei clienti sono persone tra i 25 e i 39 anni, quindi giovani, il che è un fattore positivo visto che la gioventù rappresenta la fascia della popolazione più ampia. È stato osservato inoltre che, tendenzialmente, i giovani con una maggiore educazione, per esempio a livello liceale, sono più dinamici negli affari e anche più prolifici.
Tuttavia, la soluzione al problema della povertà non è così immediata. Ci sono ancora dei problemi da risolvere, i quali includono anche l’assetto generale delle istituzioni tanzaniane.
Il REPOA presenta una serie di critiche e raccomandazioni dopo gli studi effettuati sulle istituzioni di microfinanza in Tanzania.
Uno dei problemi più urgenti è sicuramente il fatto che la maggior parte delle istituzioni sono allocate nelle città o comunque nelle aree urbane, mentre invece la maggioranza della popolazione povera vive nelle campagne. Sempre il REPOA calcola che il 37,6 % delle istituzioni di microfinanza opera nelle aree urbane, il 48% si trova nel centro delle maggiori città e solo il 14,4 % nelle aree rurali. Questo dislivello è dovuto principalmente alle carenze infrastrutturali, come la mancanza di strade o delle rete elettrica, che impediscono l’accesso ad alcune zone.
Persiste inoltre anche il problema della garanzia, soprattutto perchè vengono spesso chiesti beni inamovibili, come le case, quindi chi vive per esempio in case in affitto non può dare nessuna garanzia.
Una delle critiche più frequenti che i clienti stessi delle istituzioni gli rivolgono, è quella dei tassi d’interessi troppo alti.
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Come già detto nel secondo capitolo, effettivamente, questi tassi sarebbero considerati usura nei Paesi occidentali. La spiegazione di questi tassi è dovuta al fatto che la maggior parte di queste istituzioni non sono finanziariamente autosufficienti ma dipendono da donazioni esterne che spesso non riescono a coprire tutte le spese.
Un’altra critica che viene spesso rivolta è il problema dell’ammontare dei prestiti. Le istituzioni partono da somme modeste principalmente per evitare che il cliente sparisca con un’ingente somma di denaro che l’istituzione non potrebbe più recuperare. Da un lato, questo è un ragionamento corretto. Dovendo contare solo su donazioni e non potendo permettersi perdite, l’istituzione non può correre rischi di questo genere. Tuttavia questo, ovviamente, rappresenta un risvolto negativo per il cliente stesso. Non tutti i futuri debitori sono persone disoneste e molti di loro hanno effettivamente bisogno di grosse somme di denaro per avviare un’attività, considerando che la maggioranza comincia dal nulla. L’impossibilità di accedere a prestiti maggiori, se non dopo un lungo periodo, limita l’avvio dei business e la possibilità di emanciparsi.
Un altro problema che spesso sorge è quello dei corsi di formazioni che molto spesso vengono tenuti dalle istituzioni prima della concessione del prestito. La maggioranza di questi corsi, però, non è tenuta da professionisti o esperti del business nelle piccole imprese e non ha uno scopo specificamente finanziario. Il suo obiettivo si limita nella maggior parte dei casi alla familiarizzazione, alla conoscenza reciproca, e non indirizza i clienti verso un’istruzione economica. Molti clienti lamentano inoltre che le relazioni finanziarie settimanali richieste dalle istituzioni per monitorare l’andamento dei progetti sono troppo dispendiose, in termini di tempo e fatica. Va sottolineato che la maggior parte dei clienti ha poca istruzione, se non nessuna, e meno che mai posseggono un’educazione di tipo economico. Essere costretti a fare dei report di stampo economico e con scadenza settimanale, rappresenta un grosso impegno per la maggior parte di loro. Nella parte conclusiva del suo studio, il REPOA da alcune raccomandazioni per migliorare l’attiva delle istituzioni di microfinanza in Tanzania:
• I tassi d’interesse dovrebbero essere abbassati in modo che siano sempre
capaci di coprire le spese dell’istituzione ma non impediscano al cliente di accrescere il proprio business. Sono necessari quindi degli studi di mercato per stabilire il corretto tasso d’interesse,
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• L’istituzione, dove possibile, dovrebbe considerare l’idea di allungare il
tempo di grazia146 prima della restituzione delle rate oppure fissare delle scadenze
meno ravvicinate,
• Nel terzo punto il REPOA si rivolge anche al governo della Tanzania. Al
fine di raggiungere quante più persone possibile le istituzioni, in collaborazione ovviamente con il Governo, dovrebbero adoperarsi per migliorare le infrastrutture e soprattutto la viabilità all’interno del Paese,
• Le istituzioni dovrebbero migliorare i loro corsi di formazione. Dovrebbero
assumere degli esperti, o comunque persone che lavorano nel settore, in grado di dare un’infarinatura economica e aziendale ai propri clienti e non limitarsi soltanto all’aspetto della socialità,
• Le istituzioni dovrebbero fare in modo che la base del prestito minimo
rifletta l’andamento del mercato sul valore della moneta nel tempo,
• Sarebbe necessario uno studio sull’operato delle istituzioni nelle aree rurali
e in quelle urbane, di modo da poter delineare una strategia comune e coerente.
Il “Microfinance Regulation in Tanzania” della Banca Mondiale, invece, individua altre raccomandazioni per lo sviluppo dei servizi di microfinanza in Tanzania.
Il report sottolinea che le caratteristiche più notevoli di questa industria, nel Paese in considerazione, sono le seguenti.
In primo luogo l’esistenza di un consiglio direttivo specializzato sulla microfinanza presente nella banca centrale della Tanzania. La seconda caratteristica importante è la presenza di una struttura regolamentare per la microfinanza, la quale dovrebbe avere lo scopo di informare sulle attività del consiglio direttivo e del Governo, ma che deve essere ancora approvata da consulenti esterni. La terza considerazione è che il settore della microfinanza in Tanzania è molto snello e frammentato, con una molteplicità di attori, i quali riescono a raggiungere un’ampia porzione della popolazione.
Tuttavia, nonostante da un certo punto di vista rappresentino fattori positivi, la Banca Mondiale sottolinea anche la negatività di questi aspetti. Per esempio,
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Per tempo di grazia si intende il tempo che intercorre prima dell’inizio della restituzione del debito
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esiste una politica direttiva per i servizi di microfinanza ma non esiste ancora una vera e propria legge in grado di regolamentare efficacemente il sistema.
Molti stakeholder e molte istituzioni pongono una grande enfasi sulla necessità di questa legge e sulla regolamentazione ma il processo è ancora molto lento, per colpa dei tempi burocratici. Nonostante ciò, gli anni passati di esperienza anche senza legge, hanno dato la possibilità di accumulare una grande quantità di osservazioni e problemi che saranno molto utili al momento dell’approvazione della legge.
Il problema di tutto ciò, sottolinea la Banca Mondiale, è che la politica nazionale per la microfinanza sarà si un documento ben articolato e chiaro, ma non sembra essere capace di regolamentare anche le istituzioni semi formali e informali, le quali invece necessiterebbero di norme apposite.
L’altro grosso problema è costituito dalla manodopera, ossia dal personale con le capacità finanziarie richieste. Questa professionalità sembra mancare sempre di più e potrebbe rappresentare uno dei maggiori limiti a uno sviluppo efficace ed efficiente delle istituzioni. Il problema non si presenta solo nelle istituzioni ma anche tra coloro che dovrebbero occuparsi della parte legale.
Le leggi finanziari e bancarie della Tanzania permettono chiaramente la nascita di banche regionali orientate ai servizi microfinanziari rurali, tuttavia di questo tipo di banche ne esistono solo tre. La ragione, ancora una volta, va trovata nelle mancanze istituzionali ed educative. C’è bisogno che le pratiche e gli elementi dello sviluppo siano maggiormente compresi sia dagli stakeholder che dai professionisti, in modo da dare maggiore efficace e coerenza alla cornice regolamentare.
La Banca Mondiale identifica anche la necessità di definire una strategia chiara per integrare i SACCOs con le ONG, all’interno del nascente sistema della microfinanza. Bisogna chiarire quali politiche ambientali, quali risorse e quali requisiti sono necessari al fine di poter entrare nel sistema.
Esistono anche problemi di tipo strettamente legale. In particolar modo ne vengono selezionati due. Il primo è che il sistema di contabilità va riformato non soltanto per il settore della microfinanza, ma per un settore finanziario più generale e moderno. Il secondo problema deriva dalle leggi sul lavoro della Tanzania, che rendono praticamente impossibile licenziare qualcuno, anche nel caso di frode.
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Gli ultimi due limiti che la Banca Mondiale individua, e che possono influenzare negativamente lo sviluppo di un settore finanziario efficiente, sono i seguenti. Innanzitutto si tratta della relazione finanziaria, compresa di tempi e costi, che dovrebbe essere richiesta a tutte le entità finanziarie. La seconda è la revisione dei costi di transizione e del loro impatto sulle imprese.
Il rapporto della Banca Mondiale si conclude con un riassunto del maggiore problema, il quali mina il settore finanziario. In grandi linee si può ricondurre agli eccessivi tempi burocratici necessari per fare qualsiasi tipo di transazione finanziaria dovuto alla sproporzionata burocratizzazione di qualsiasi aspetto istituzionale.
La Banca Mondiale afferma di essere disposta ad aiutare ad accelerare le pratiche per lo sviluppo di un’efficiente sistema finanziario, come già fece con il programma conclusosi nel 2004.
L’attenzione della Banca Mondiale e degli altri donatori internazionali non si ferma solo sulle aree di intervento ma anche sulla necessità di creare un database nel quale inserire tutte le informazioni sulle operazioni, sull’estensione e le risorse del mercato delle ONG e delle cooperative finanziarie. Il report sottolinea che è necessario diffondere queste informazioni, al fine di creare un substrato sociale adatto in grado di affrontare efficacemente la rivoluzione della microfinanza.
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CONCLUSIONI
Indubbiamente, come è stato più volte ripetuto in questa tesi, la soluzione alla povertà non è né immediata né semplice.
Per quanto riguarda la specificità della Tanzania, attraverso questa tesi spero di essere riuscita a dimostrare i problemi ma anche le possibilità che questo Paese sta affrontando.
La Tanzania rimane tutt’oggi una delle nazioni più povere del mondo, che sta facendo tutti gli sforzi possibili per migliorare la propria soluzione.
Il Governo si sta impegnando in diversi modi per accrescere il tenore di vita della propria popolazione. Riforme, apertura ai mercati, lotta alle malattie, sono indubbiamente pietre basilari per contrastare la povertà ma il processo rimane ancora lungo e spesso non lineare.
La storia passata della Tanzania, la fase del colonialismo e gli anni di dittatura, che hanno portato la nazione quasi al collasso, non sono così facili da rimuovere. Il Paese dipende ancora molto da aiuti esterni, in un momento nel quale anche le ricche nazioni dell’occidente passano momenti di crisi finanziaria.
Nel tentativo di aumentare i propri introiti, la Tanzania, come molti altri Paesi africani, sta vendendo le proprie terre e le proprie risorse a multinazionali straniere, dove la presenza della Cina diventa sempre più ingombrante.
Indubbiamente questo, nel breve termine, potrebbe avere risvolti positivi, come un aumento del flusso di capitale, ma non è detto che nel lungo periodo rimanga positivo.
Ci troviamo forse di fronte a un nuovo tipo di colonialismo, più insidioso e magari anche più profondo.
Non si tratta tanto di colonialismo culturale o politico, quanto economico, che cerca di creare legami tramite il denaro e che potrebbero rivelarsi così difficili da rompere, soprattutto per quei Paesi che stanno combattendo per uscire dalla povertà.
La Tanzania è uno dei Paesi che lotta con più energia per migliorarsi eppure non è semplice slegarsi dalle logiche internazionali, soprattutto quando le risorse in patria mancano o non si ha la possibilità di sfruttarle.
L’espansione a livello mondiale delle istituzioni di microcredito ha trovato terreno fertile in questa nazione. Come è stato ripetuto nei capitoli precedenti, la Tanzania si è impegnata attraverso riforme e piani nazionali per rafforzare il sistema della
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microfinanza. Sicuramente rimangono ancora aperti molti problemi, come la mancanza di infrastrutture, l’ancora elevata corruzione e la pesante burocratizzazione. Indubbiamente il governo tanzaniano sembra che stia puntando molto sul microcredito, al fine di migliorare il livello di vita della propria popolazione. Forse un suo errore è stato quello di “lanciarsi” con troppo entusiasmo in questa sistema senza prima rimediare ai problemi che ne impediscono un effettivo sviluppo. La maggior parte delle persone vivono ancora in zone rurali scarsamente accessibili e hanno poca confidenza con le banche. Il governo dovrebbe forse prima occuparsi di creare un sistema in grado di inglobare le campagne, rendendole accessibili e garantendo l’educazione necessaria a tutti. Le istituzioni che stanno nascendo nel Paese stanno migliorando e espandendo i loro servizi nelle città, soprattutto a Dar es Salaam, ma ancora presentano grosse lacune nelle campagne. Lo sviluppo di queste aree rurali diventa allora necessario, se si vuol far sì che il microcredito abbia un impatto efficacie sulla società. Probabilmente emanciparsi dai problemi passati, soprattutto la pesante eredità degli anni della dittatura, a livello governativo non sarà immediato ma il progresso delle campagne potrebbe essere un obiettivo più facilmente raggiungibile e sicuramente fondamentale.
Il microcredito non sarà sicuramente la panacea di tutti i mali e, probabilmente, non salverà le popolazioni povere della Tanzania, né di altre nazioni.
Il microcredito è un lenitivo, è una soluzione locale, non la grande risposta alla povertà. Anche questo sistema, come molti altri, rischia di rimanere intrappolato in una logica di guadagno e sfruttamento, dove i reali bisogni delle persone passano in secondo piano rispetto alla prospettiva del profitto.
Ma questa, ovviamente, non è una strada già tracciata.
Persone come Yunus hanno messo a servizio di quest’idea i propri studi e la propria esperienza, al fine di magari non riuscire, ma sicuramente provare in tutti i modi a fare realmente qualcosa di concreto. Non credo che Yunus sia l’ultimo, né l’unico.
Le grandi istituzioni internazionali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, si sono sicuramente impegnate a livello pubblico per lo sviluppo