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La regressione lineare delle misure ottenute dalla rielaborazione dei volumi ecografici conservati, in confronto alle misure della schisi alla nascita, ha dimostrato una correlazione statisticamente significativa tra le due variabili (p<0,0001 ; r2=0,923 ) (Fig.10).

Le misure ottenute dai volumi acquisiti durante le ecografie erano tuttavia significativamente minori rispetto a quelle ottenute in epoca neonatale (p<0,02). In un caso in cui la misura è stata ottenuta da volumi conservati a diverse epoche della gravidanza è stato possibile osservare l’aumento nell’arco di 10 settimane (Fig.11).

Discussione

Nel presente studio una schisi orofacciale era presente nel 3,6%0 dei feti

esaminati. Tale prevalenza, superiore a quella riportata in letteratura, è spiegabile tenendo conto che si tratta di feti in utero (tra i quali un certo numero di malformati non arriveranno a nascere), e che la casistica è stata raccolta in un centro ecografico di secondo livello, cui afferiscono gravidanze ad alto rischio o con diagnosi già sospettata al momento dello screening.

Il maggior numero dei casi osservato negli anni più recenti è spiegabile in base al miglioramento della strumentazione e dell’esperienza degli operatori, e dal fatto che la visualizzazione del labbro superiore nello screening delle anomalie facciali è stata resa parte integrante delle linee guida SIEOG ( Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica) a partire dal 2011.

Un miglioramento della sensibilità diagnostica per la labioschisi nella popolazione generale è stato osservato anche in altre aree geografiche per lo stesso fenomeno (Offerdal et al., 2008; Gillham et al., 2009; Paterson et al., 2011; Maarse et al., 2011).

La distribuzione dei diversi tipi di schisi, sia rispetto alla profondità che alla lateralità, non si discosta da quanto atteso (Offerdal et al., 2008; Maarse et al., 2011) nei casi che comprendono una labioschisi. Tuttavia, come in tutte le casistiche ecografiche le palatoschisi sono praticamente assenti, ed è probabile che la maggior parte di questi casi siano nati senza che la gravidanza ricevesse una ecografia di secondo livello.

A differenza delle casistiche pediatriche o chirurgiche in cui il 70-80% delle schisi orofacciali sono isolate, nella presente casistica il 39,5% dei feti avevano anche ulteriori anomalie strutturali e/o cromosomiche. Anche questa osservazione può essere spiegata in base al fatto che si tratta di una casistica prenatale in gravidanze ad alto rischio.

Le uniche forme sindromiche diagnosticate in associazione con una schisi orofacciale erano legate a trisomie. Inoltre, la maggior parte dei casi con anomalie strutturali associate non è stata inquadrata in una forma sindromica. Entrambe queste osservazioni possono dipendere dal fatto che il follow-up è stato proseguito soltanto fino all’intervento chirurgico, mentre un completo inquadramento può richiedere una valutazione nel corso degli anni.

L’associazione della schisi orofacciale con altre gravi anomalie rende ragione del caso di morte neonatale e di 5 IVG.

Per quanto riguarda i 2 casi di IVG legati alla sola presenza di labiopalatoschisi, vi è stato nella letteratura internazionale un ampio dibattito. L’osservazione che le donne che hanno avuto un altro caso in famiglia tendano a richiedere l’IVG più spesso di quelle che non hanno avuto tale esperienza, può suggerire che l’impatto sulla vita familiare della nascita di un bambino con questo tipo di anomalie strutturali possa essere maggiore di quanto si pensi comunemente.

Gli studi più recenti sulla diagnosi prenatale di labioschisi con o senza palatoschisi nella popolazione generale riportano una sensibilità che varia tra il 33% e l’88% (Offerdal et al., 2008; Demircioglu et al., 2008; Johnson et al., 2009; Maarse et al., 2011). Come già detto l’introduzione delle scansioni coronali sul viso nell’ecografia di screening ha consentito di ottenere un aumento della sensibilità in diverse aree geografiche. Nel presente studio la sensibilità per le schisi orofacciali in generale era del 92%. Pur tenendo conto che i dati si riferiscono a un ampio periodo di tempo per la maggior parte del quale le scansioni coronali del viso non erano routinariamente effettuate, tale elevata sensibilità è spiegabile poiché si tratta di esami effettuati in un centro di riferimento, in cui le caratteristiche tecniche degli strumenti e l’esperienza dell’operatore sono maggiori.

Per quanto riguarda i falsi positivi, questi non vengono solitamente riportati negli studi di popolazione. Nel presente studio l’unico caso di falso positivo era associato ad un feto riferito per sospetto piede torto, in cui la diagnosi postnatale è stata di una forma sindromica di artrogriposi, la Sindrome di Freeman Sheldon. Nonostante quindi la diagnosi di schisi facciale atipica effettuata in epoca prenatale fosse errata, il feto era di fatto affetto da una anomalia che coinvolgeva le strutture facciali.

Una volta posta la diagnosi di schisi facciale, il corretto inquadramento nosologico può risultare utile non solo per rispondere in maniera esauriente alla richiesta di informazioni della famiglia, ma anche perché, come già discusso nell’introduzione, la probabilità che si tratti di una forma sindromica varia a seconda del tipo di schisi.

che la classificazione utilizzata nella letteratura ecografica risulta essere troppo semplice rispetto a quella utilizzata nella clinica e in particolare nella chirurgia. Infatti la maggior parte degli studi ecografici prevedono soltanto la possibilità di palatoschisi mediana, mentre nella nostra casistica 20 erano mono o bilaterali; inoltre la schisi del labbro poteva continuarsi con quella dell’alveolo e quindi del palato, oppure si potevano osservare discontinuità della schisi (ad esempio schisi del labbro senza schisi dell’ alveolo associata con schisi del palato, oppure cheilognatoschisi e schisi dell’ugola).

La maggiore formazione dell’ecografista sulle schisi tipiche e atipiche potrebbe aver giocato anch’essa un ruolo nella maggiore percentuale di diagnosi dopo il 2008 e dopo la revisione eseguita durante lo studio.

L’utilizzazione delle funzioni tridimensionali è stata inizialmente proposta al fine di meglio visualizzare il labbro, con l’intento sia di ottenere una maggiore sensibilità che di spiegare meglio il quadro clinico ai genitori (Rotten e Levaillant, 2004b); tuttavia, con la risoluzione degli ecografi moderni il labbro è generalmente ben valutabile con l’ecografia bidimensionale, e le funzioni 3D vengono soprattutto utilizzate nel tentativo di studiare il palato posteriore.

Tipicamente l’ecografia è un’indagine in tempo reale e la risposta viene fornita al termine dell’esame. Nel presente studio, quando l’esame 3D veniva utilizzato in tempo reale, il miglioramento rispetto alla metodica bidimensionale convenzionale non era significativo (in parte anche per il piccolo numero di casi esaminato). Un miglioramento significato nella diagnosi di integrità o meno del palato è stato invece ottenuto soltanto a posteriori, rielaborando i volumi precedentemente acquisiti.

Ciò richiede non soltanto dei maggiori tempi dedicati al singolo caso clinico per arrivare ad una diagnosi dettagliata, ma anche una modificazione del sistema di refertazione e consegna dei risultati. Pertanto esistono ancora pochi studi in letteratura che analizzino le tecniche, l’utilità e l’affidabilità del 3 D, e per lo stesso motivo la maggior parte di questi studi si basano su una casistica ridotta.

Di fatto sono state pubblicate soltanto due casistiche con più di 10 casi di feti con labioschisi in cui è stata tentata la diagnosi di palatoschisi con le funzioni 3 D (Sommerland et al., 2010; Baumler et al., 2011); in un ulteriore studio sono stati inclusi casi ad alto rischio di palatoschisi non solo per la diagnosi già posta di

labioschisi ma anche per fattori anamnestici (Gindes et al., 2013).

In questi tre studi la sensibilità per la diagnosi di palatoschisi variava tra 89% e 100%; il nostro risultato dell’85% in una casistica più limitata è quindi consistente con quanto da altri riportato.

A questa elevata sensibilità si è associata sia nel presente studio che in altri studi una consistente percentuale di falsi positivi (33% nel presente studio; 10-23% in letteratura). È presumibile che con l’ampliamento della casistica sia possibile migliorare la performance degli operatori. Tuttavia anche lo studio che ad oggi comprende il maggior numero di pazienti (124), effettuato da operatori che hanno descritto una delle tecniche originali, riporta il 16% di falsi positivi (Sommerland et al., 2010).

Nel prospettare ai genitori l’iter chirurgico a cui dovrà andare incontro il bambino nato con schisi orofacciali ha rilevanza non solo la profondità della lesione, ma anche la sua ampiezza. Infatti quando la schisi dell’alveolo è superiore a 7 mm nel neonato, viene utilizzata una tecnica di “lip adhesion” che viene effettuata fra 20 e 40 giorni di vita post-natale; nelle schisi alveolari minori di 7mm il primo intervento viene invece effettuato intorno ai tre mesi di vita.

A nostra conoscenza non esistono studi pubblicati di diagnosi prenatale in cui sia stata presa in considerazione l’ampiezza della lesione alveolare. Nel presente studio i volumi acquisiti in epoca neonatale sono stati utilizzati anche al fine di ottenere immagini idonee alla misurazione dell’ampiezza della schisi alveolare nel suo profilo anteriore.

La misurazione ecografica prenatale della schisi dell’alveolo era significativamente correlata con quella dopo la nascita, suggerendo che fosse già possibile identificare in utero le schisi con necessità di una più precoce correzione chirurgica. Le misure ottenute dai volumi acquisiti durante le ecografie erano tuttavia significativamente minori rispetto a quelle ottenute in epoca neonatale (p<0,02), come atteso considerando il fatto che tra le due misure era intercorso un periodo di tempo variabile fra le 10 e le 20 settimane.

Sarebbe interessante valutare la correlazione fra misure ottenute a termine di gravidanza e in epoca neonatale: tuttavia a età gestazionali tardive l’affollamento delle parti fetali rispetto alle pareti uterine, la relativa scarsità di liquido amniotico e la posizione relativamente fissa del feto, rendono difficoltoso e quasi impossibile lo

studio in tempo reale e l’acquisizione di volumi 3D. Al contrario i casi esitati in IVG (in cui sarebbe stato possibile ottenere le misure anatomiche a breve distanza di tempo dall’ecografia) erano quasi tutti casi di schisi atipiche o bilaterali ampie, in cui non è applicabile la tecnica di misurazione routinariamente utilizzata dai chirurghi plastici.

In conclusione, in un centro ecografico di II livello l’affidabilità diagnostica dell’ecografia sia bidimensionale che tridimensionale rispetto alla labioschisi è elevatissima. Al contrario, anche l’utilizzazione di metodiche tridimensionali da parte di operatori esperti è gravata da una percentuale non trascurabile sia di falsi positivi sia di falsi negativi per la palatoschisi. L’utilizzazione delle tecniche 3D consente comunque una maggior precisione diagnostica e permette di ottenere informazioni aggiuntive non solo sul palato ma anche sull’alveolo in quasi la metà dei casi. L’utilità clinica di parametri quantitativi, come ad esempio l’entità della schisi alveolare, dovrà essere valutata in studi prospettici con un adeguato numero di casi. A tal fine sarà necessario anche predisporre una modalità di refertazione dilazionata rispetto al momento dell’esame, soprattutto per i casi in cui l’esame ecografico non evidenzi altre anomalie oltre alla schisi orofacciale.

Tabella 1 Caratteristiche dei casi inclusi nello studio. CS: cheiloschisi. CGS:

cheilognatoschisi. CGPS: cheilognatopalatoschisi. PS: palatoschisi.FP: falso positivo (S.Freeman Sheldon).

Tabella 2 Esito delle gravidanze incluse nello studio. IVG: interruzione volontaria

Tabella 3 Valutazione dell’integrità del palato al momento della diagnosi in utero

nel periodo precedente (2000-2007) e successivo (2008-2014) all’acquisizione della strumentazione dotata di funzione 3D. PS: palatoschisi.

Tabella 4 Informazioni aggiuntive ottenute con la rielaborazione durante lo studio

Tabella 5 Confronto tra la diagnosi prenatale ecografica e quella ottenuta dalla

Figura 3 La cheiloschisi monolaterale è visibile in ricostruzione 3D surface

rendering (in basso a destra), e sul piano assiale (in alto a sinistra).Sul piano coronale (in basso a sinistra) è visibile l’alveolo integro.

Figura 4 Ricostruzione 3D di cheilognatopalatoschisi bilaterale con schisi ossea

sinistra. In alto è visibile sul piano assiale della modalità multiplanare la gnatopalatoschisi monolaterale; in basso è visibile in modalità surface rendering la cheiloschisi bilaterale.

Figura 5 Cheilognatopalatoschisi da surface rendering ottenuto in Reverse face. In alto Cheiloschisi . Al centro Gnatoscisi. In basso Palatoschisi.

Figura 6 Cheilognatopalatoschisi monolaterale. A destra è visibile la schisi

dell’alveolo e del palato, e i punti (croci gialle) tra cui è stata misurata la schisi dell’alveolo.

Figura 7 Schisi mediana. Aspetto al 2D in scansione sagittale a 12 settimane.

Dalla schisi protrude una proboscide (con narice unica), mentre posteriormente è visibile l’agenesia cerebellare con dilatazione della cisterna magna. Il feto aveva anche oloprosencefalia (non evidente dalla figura) e amelia degli arti superiori.

Figura 8 Sindrome di Freeman Sheldon. Solchi nasolabiali profondi: bocca a

Figura 9 Cheiloschisi minima o “cicatriziale”. Anche la ricostruzione 3D non è in

misura alla nascita (mm)

Y=2,566 * X; r2=0,923

Figura 10 Regressione lineare delle misure della schisi dell’alveolo ottenute con

l’ecografia prenatale vs quelle ottenute alla nascita.

m is u ra e c o g ra fi c a ( m m )

Figura 11 Cheilognatopalatoschisi monolaterale. Misura della gnatoschisi a 15, 19 e 25 settimane.

Ringraziamenti

Ringrazio la Professoressa Strigini per avermi dato l’opportunità di lavorare a questa tesi, per avermi aiutato instancabilmente nella stesura del lavoro e per aver rappresentato in questo anno un esempio di professionalità.

Ringrazio la Dottoressa Chiara Nanini e l’Ostetrica Maria Maiorano per l’estrema disponibilità e gentilezza.

Ringrazio il Dottor Gatti e il Dottor Giacomina, perché dal loro lavoro e dalla volontà di creare una continuità ancora maggiore tra la realtà diagnostica e quella terapeutica del percorso affrontato dai pazienti con labiopalatoschisi nasce l’idea di questa tesi. Ringrazio anche per la loro disponibilità nel fornirci le informazioni necessarie durante lo studio.

Ringrazio la Dottoressa Filice e il Dottor Nardini per la disponibilità e la collaborazione nella raccolta dei dati necessari per questo lavoro di tesi.

Ringrazio la Dottoressa Benedetta Toschi per il prezioso aiuto nella revisione del lavoro.

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