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Le schisi orofacciali sono una delle malformazioni congenite più comuni con una prevalenza stimata tra 1:500 e 1:1000 casi su nati vivi (Cash et al., 2001; Tonni et al., 2005).

E' noto da tempo che la labiopalatoschisi è frequentemente associata con altri difetti congeniti, sebbene l'incidenza e il tipo di malformazioni associate possano variare considerevolmente tra diversi studi (To WWK, 2012). La diversa prognosi che dipende dal tipo di difetto e dalle anomalie strutturali e cariotipiche associate rende conto delle differenze che si trovano tra la prevalenza delle schisi orofacciali al momento della diagnosi prenatale o postnatale, nei centri di riferimento o nella popolazione generale (Maarse et al., 2012).

Analizzando separatamente i diversi tipi di schisi tipica è stata rilevata una prevalenza per CL di 0,29/1000, per CL+P di 0,48/1000 e per CP di 0,31/1000 (Tolarovà e Cervenka, 1998).

Per quanto riguarda le schisi atipiche il tasso di incidenza è decisamente più basso: in uno studio di screening del 2011 in Olanda su un totale di 35000 donne a basso rischio e 2800 donne ad alto rischio sono state osservate solo 2 schisi atipiche (Maarse et al., 2011).

L'importanza di caratterizzare il tipo di schisi facciale durante l'ecografia prenatale fu per la prima volta suggerita da Nyberg et al. e le sue osservazioni suggerirono che il tipo e l'estensione della schisi potessero essere correlate con le anomalie strutturali e cromosomiche associate nel feto, e di conseguenza con la prognosi e con la mortalità (To WWK, 2012).

Di conseguenza una precisa informazione sull'anatomia del palato già in epoca prenatale può aiutare a distinguere casi con prognosi molto diversa (To WWK, 2012).

La prognosi è infausta se si riscontra un'associazione della schisi orofacciale a sindromi cromosomiche, le più frequenti delle quali sono la trisomia 13 e la trisomia 18. L'incidenza di schisi osservata nei feti con trisomia 13 e 18 è rispettivamente del 60% e del 40%. La diagnosi di queste anomalie cariotipiche ha un importante impatto nelle decisioni che riguardano la prosecuzione della gravidanza (Bergé et al., 2001).

Per i feti con labioschisi isolata, Tipo 1 di Nyberg, è stata riportata una sopravvivenza vicina al 100% alla dimissione. Nello stesso studio la sopravvivenza dei feti con schisi unilaterale, con o senza schisi del palato, è migliore (52%) che in quelli con schisi bilaterale con o senza schisi del palato (35%) (Bergé et al., 2001).

La probabilità che sia presente una schisi dell'alveolo o una schisi del palato insieme a quella del labbro varia in differenti studi e probabilmente dipende dalla popolazione studiata, come nel caso delle differenze riscontrabili nella prevalenza del difetto generale. Lo stesso bias vale per la presenza di anomalie associate, siano esse strutturali o cromosomiche (To WWK, 2012).

Clinicamente è importante distinguere tra differenti tipi di schisi orofacciale perché le implicazioni sulla prognosi fetale e i rischi genetici sono maggiori quando sono sia l'alveolo che il palato ad essere coinvolti nella schisi facciale. Questo perché ai difetti più complessi sembrano essere associate più malformazioni e maggiore probabilità di riscontrare anomalie cariotipiche, e perché molte sindromi hanno la labiopalatoschisi come elemento presente nel loro fenotipo.

Come conseguenza della diversa associazione con anomalie strutturali e cromosomiche, le schisi isolate hanno una bassa mortalità e morbidità perinatale e pongono primariamente difetti funzionali ed estetici dopo la nascita, mentre le schisi complicate sono associate ad una prognosi peggiore (To WWK, 2012). Dato che le schisi senza anomalie strutturali associate in genere non presentano anomalie cromosomiche (Cmait et al., Berge et al., Perrotin et al.), al momento del counseling prenatale ai genitori sulla possibilità di anomalie cromosomiche e sulla prognosi è di vitale importanza aggiustare la discussione in base al tipo anatomico di CL+/-P (Gillham et al., 2009).

La labio/palatoschisi può essere il primo difetto rilevato all'ecografia prenatale e porta ad approfondire l'esame stesso per inquadrare il tipo di schisi, osservare la restante anatomia, programmare una consulenza genetica ed eventualmente l'analisi del cariotipo su amniocentesi, per escludere o diagnosticare possibili sindromi genetiche e anomalie cromosomiche, o uno stato polimalformativo.

Riconoscere le anomalie facciali fetali prima della nascita, oltre ad aiutare a formulare un corretto iter diagnostico, può migliorare l'approccio alla pianificazione della terapia chirurgica più adeguata. Durante l'esame ecografico più immagini

possono essere ricercate per rendere più preciso il counseling chirurgico prenatale, che aiuterà i genitori a conoscere le opzioni terapeutiche possibili dopo la nascita (Rotten e Levaillant, 2004b).

Comunque, non essendo la sensibilità e specificità dell'ecografia del 100%, anche se nelle mani di operatori esperti (ad esempio una schisi del palato è raramente diagnosticabile con certezza) l'analisi del cariotipo fetale è generalmente raccomandata e discussa con i genitori in ogni caso (Bergé et al., 2001). Dato il rischio molto basso (0% in questo studio) di aneuploidie per i feti con labioschisi senza schisi del palato (Bergé et al., 2001) e in seguito al recente sviluppo delle tecniche per la visualizzazione e rielaborazione di immagini tridimensionali all'esame ecografico, è discutibile se lo studio del cariotipo fetale sia necessario sempre, o solo nei casi che presentino anomalie associate (Gillham et al., 2009). Durante la crescita e nella vita adulta gli individui con labio e/o palatoschisi possono presentare problemi di alimentazione, di pronuncia, di udito e di integrazione sociale, che possono essere corretti in misura diversa grazie alla chirurgia, al trattamento odontoiatrico, alla logopedia e ad interventi psicosociali. Se non è possibile ad oggi identificare un trattamento univoco a causa della grande variabilità nella manifestazione e nella risposta soggettiva di ciascun paziente alla terapia, è riconosciuto che per una corretta diagnosi e un completo trattamento sia importante un approccio multidisciplinare che guidi il paziente dalla nascita fino a fine crescita (Farronato et al., 2014).

I bambini con schisi del labbro e del palato hanno bisogno di andare incontro a più interventi chirurgici di quelli con sola labioschisi, e il loro follow up più frequentemente include trattamenti addizionali ortodontici e ortofonici. Secondo il protocollo seguito nell'U.O. di Chirurgia Plastica dell'AOUP i neonati con gnatoschisi minore di 7mm vengono operati tra i 2 e i 6 mesi d'età, a seconda del peso del neonato e della localizzazione della schisi (per ottenere un miglior risultato estetico e funzionale e mettere al riparo il bambino dall'aumentato rischio di otiti medie), mentre i neonati con una schisi uguale o superiore a 7mm dovranno subire un primo intervento correttivo a circa un mese d'età, denominato Lip Adhesion, allo scopo di facilitare la correzione della gnatoschisi al momento dell'intervento a sei mesi. In particolare viene eseguita una sinechia temporanea tra i 15-20 e i 40 giorni di vita ripristinando la continuità anatomica del muscolo orbicolare, che esercita un'azione di trazione sui tessuti molli riducendo così

l'ampiezza della schisi ossea. A distanza di circa 40 giorni l'intervento definitivo su labbro e alveolo; entro i 6 mesi quello sul palato, se necessario. La scelta della tecnica e della tempistica giusta permette di ottenere ad oggi risultati estetici e funzionali stupefacenti.

Il cambiamento più importante degli ultimi decenni riguarda la sensibilità e la specificità della diagnosi ecografica di labiopalatoschisi, nonché l'efficacia dello screening.

In una revisione di casi di Glasgow dal 1999 al 2008 troviamo una percentuale di diagnosi solo del 15%, ma se andiamo a considerare separatamente il primo e l'ultimo anno della casistica troviamo un progressivo aumento dall'11% nel 1999 al 50% nel 2008. L'introduzione, negli ultimi anni di questa casistica, dello studio del labbro nell’ecografia morfologica di routine, ha dimostrato di migliorare significativamente la percentuale di diagnosi in confronto alla sola osservazione nei casi ad alto rischio (Paterson et al., 2011). Uno studio condotto in Norvegia dal 1987 al 2004 su 101 feti o neonati con schisi facciali in una popolazione di 49314 parti totali aveva predetto questo andamento mostrando un significativo aumento dal 34% nel periodo 1987-1995 al 58% nel periodo 1996-2004 della sensibilità della diagnosi prenatale di CL+/-P (45% dei casi considerando tutto il periodo preso in esame). Nel 69% dei casi diagnosticati in epoca prenatale la diagnosi era stata effettuata all’ecografia di routine del secondo trimestre. L'ulteriore dato preso in considerazione è che nessuna palatoschisi isolata era stata diagnosticata prima della nascita (Offerdal et al., 2008), dato successivamente confermato da Gillham et al. (2009) e da Maarse et al. (2011). Nel secondo caso si tratta di uno studio condotto su 35000 gravidanze a basso rischio e 2800 ad alto rischio, nelle quali nessun CP fu diagnosticato prima della nascita, a fronte di una percentuale di diagnosi prenatale di CL+/-P dell'88% (Maarse et al., 2011).

L’esame del volto fetale oggi è quindi una parte integrante dell’ecografia durante la gravidanza, sia nel momento dello screening, esame di routine eseguito per la ricerca di eventuali anomalie facciali, che nell’analisi di secondo livello, utile per confermare e delineare precisamente l'anomalia (Rotten e Levaillant, 2004a).

Presentazione

Generalmente il tipo di schisi si definisce in base alla sua lateralità (unilaterale, bilaterale o mediana) sia per la sua localizzazione (labbro, labbro e palato o palato) (Gillham et al., 2009).

Uno studio di screening in Norvegia condotto tra 1987 e il 2004 ha portato alla diagnosi di schisi orofacciale in 101 feti su 49314 gravidanze: la distribuzione delle schisi fu 25% CL, 51% CL+P e 24% CP (Offerdal et al., 2008).

In uno studio di screening in Olanda su 35924 donne a basso rischio e 2836 donne ad alto rischio, schisi orofacciali furono identificate in 62 feti, con una distribuzione di 29% per CL, 40% per CL+P, 27% CP. Il 61% unilaterali, 37% bilaterali (Maarse et al., 2011).

Associazioni

Lo studio Collaborativo europeo di Clementi et al. del 2000 fornisce dati sulla diagnosi ecografica prenatale nella schisi orofacciale, malformazioni e anomalie cromosomiche associate in una popolazione non selezionata. Su un totale di 709030 nati troviamo 751 casi con schisi facciale: il 10% di questi aveva anomalie cromosomiche e il 27% altre anomalie strutturali (Clementi et al., 2000).

Nello studio di screening condotto in Norvegia tra il 1987 e il 2004 in totale il 12% dei pazienti aveva anomalie cromosomiche associate, mentre nel 18% la schisi era parte di una sindrome o di una sequenza (Offerdal et al., 2008).

Importante ricordare che, in conseguenza alla diversa prognosi dei casi con anomalie strutturali e cromosomiche associate, la frequenza delle anomalie associate stesse scende a 11% se si considerano i casi che superano il periodo neonatale (Bergé et al., 2001).

Obiettivo degli ultimi studi è quello di caratterizzare con precisione la relazione tra diversi tipi anatomici di CL+/-P e le anomalie strutturali e cromosomiche associate.

In un recente studio di diagnosi prenatale ecografica, nei casi di CL+/-P unilaterale si trovavano anomalie strutturali associate nel 9,8%, nei casi di CL+/-P bilaterale si osservano anomalie strutturali nel 25% (Gillham et al., 2009).

Una recente review di 20 studi (3 da dati prenatali, 13 da dati postnatali e 4 da entrambi) mostra una prevalenza di anomalie strutturali associate più bassa nel

CL (0-20.0% alla ricerca prenatale e 7.6-41.4% dopo la nascita). Per CLP la frequenza è più alta sia prima (39.1-66.0%) che dopo la nascita (21.1-61.2%). CP è praticamente non diagnosticabile prima della nascita, ma dati postnatali riportano una prevalenza di anomalie strutturali associate del 22.2-78.3% (Maarse et al., 2012).

Nello stesso studio, in postnatale, in assenza di anomalie strutturali associate, le anomalie cromosomiche erano 1.8% per CL, 1.0% per CLP e 1.6% per CP. La percentuale di anomalie cromosomiche sui feti in utero con CLP era più alta (3,9%), dato che può essere spiegato con la mortalità in utero di questi feti. I dati per CL e CP isolati non erano disponibili in utero (Maarse et al., 2012).

In presenza di anomalie strutturali in associazione con CL+/-P unilaterale o bilaterale il rischio di anomalia cromosomica (principalmente trisomia 13 o trisomia 18) è aumentato: 31.6% e 27,3% dei casi rispettivamente (Gillham et al., 2009). All'inverso se è presente una anomalia cromosomica si registra una anomalia strutturale associata alla schisi nel 96,7% dei casi (Nyberg et al., 1995).

In alcuni studi la CL+/-P mediana si presenta con altre anomalie strutturali e cromosomiche associate nel 100% dei casi (Gillham et al., 2009): anomalie strutturali soprattutto del sistema nervoso centrale (SNC) 90% (Nyberg et al., 1995). Le anomalie cromosomiche sono presenti nell'82% dei casi, soprattutto trisomia 13 (73%) (Bergé et al., 2001).

Nei casi di schisi isolata del palato il 5.6% ha una anomalia strutturale o cromosomica associata e il 21% una sindrome (Pierre-Robin, Stickler, CHARGE e Apert) (Gillham et al., 2009).

Considerando insieme sia le strutturali che le cromosomiche, il 43% dei casi di CL+P e il 58% di quelli di CP presentano anomalie associate (Offerdal et al., 2008).

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