• Non ci sono risultati.

Essendo una pianta ampiamente diffusa in ambito urbano il pino domestico è stato molte volte oggetto di una valutazione di stabilità. I problemi legati alla valutazione del pino domestico sono dovuti soprattutto al fatto che piante prive di difetti strutturali ed in buono stato di salute sono crollate in modo imprevisto (questo vale anche per branche primarie o comunque di grosse dimensioni nel periodo estivo ed in assenza di vento), per motivi che non sono tuttora ben noti.

Figura 1.14 - Questa branca è caduta durante il mese di luglio 2010, durante una giornata calda e senza vento, con grande stupore delle persone presenti, in località San Rossore (PI).

32

Ancora una volta il pino domestico si è rivelata una pianta poco studiata, infatti gli unici autori presenti in bibliografia ad aver studiato il problema per cercare i motivi di crolli inaspettati sono Morelli e Raimbault (2010), che hanno collaborato nella valutazione dei problemi in ambito urbano, e Sani (2009), che ha studiato il problema in modo più ampio.

Le due modalità di cedimento che Morelli e Raimbault hanno individuato in ambito urbano sono:

a) Sradicamento con parziale rotazione della semisfera radicale e fuoriuscita delle radici traenti, che appaiono integre.

b) Delaminazione longitudinale del colletto e della parte prossimale del fusto senza fuoriuscita delle radici dal suolo con loro rottura trasversa a pochi cm dall’inserzione.

33

In entrambi i casi il cedimento è accompagnato dallo sprofondamento del colletto nel suolo. Nei casi di processi degenerativi del legno il cedimento evidenzia la natura notevolmente spiralizzata di tale legno.

Morelli e Raimbault concordano nell’affermare che “nel caso del Pinus pinea, evidentemente, la scarsa comprensione tanto della morfologia di base che delle implicazioni statiche e soprattutto dinamiche di quest’ultima, rendono particolarmente aleatorio il processo diagnostico stesso e non danno conto dei numerosi cedimenti strutturali asintomatici o comunque non associabili ad eventi meteorologici estremi, insorgenze patologiche o danneggiamenti specifici arrecati alla struttura”.

Anche Sani (2009) si è trovato di fronte ad un argomento poco studiato, per questo ha analizzato i vari elementi che compongono la pianta cercando i punti critici. I tipi di cedimento che ha individuato a livello di tutte le parti della pianta sono:

a) Cedimenti per ribaltamento della zolla

b) Cedimenti del fusto o di sue parti per la presenza di morfologie errate c) Cedimenti per l’uso di materiale vegetale mal conformato

d) Cedimenti di rami per potature errate, che favoriscono lo sviluppo di code di leone sbilanciate

e) Cedimenti di rami appesantiti o sollecitati dai carichi aggiuntivi quali neve e ghiaccio

f) Cedimenti improvvisi al termine del ciclo di vita, prima del decadimento fisiologico

34

La stabilità dei rami può essere valutata, secondo Sani, con un’attenta analisi biomeccanica, osservando come prima cosa il rapporto L/D, per capire oltre quale valore il ramo è propenso al cedimento. Ovviamente manca un database per tale specie, comunque per valori superiori a 0,6 – 0,7 è opportuno valutare con attenzione la stabilità di tale ramo. Un altro aspetto chiave nel determinare la stabilità di una branca o di un ramo è l’osservazione del suo punto di inserzione. Esclusi i casi con degradazione del legno, un difetto molto comune nel pino è un angolo di inserzione sotto i 20 – 30° con presenza di corteccia inclusa, inoltre in prossimità dell’inserzione anche la presenza di nasi di pinocchio, pieghe da carico, cretti, curvature, strozzature sono da valutare attentamente poiché sfuggono ai tradizionali metodi di valutazione.

Uno dei difetti più frequenti che caratterizzano il fusto del pino, secondo Sani, è la presenza della biforcazione costituita da due branche principali codominanti con inserzione stretta e corteccia inclusa; i due fusti si separano poiché oscillano con frequenze diverse e si strappano divaricandosi. Ogni segno in tale regione che possa destare sospetti va quindi valutato con analisi strumentali per capire se è possibile mettere l’albero in sicurezza e come. È raro invece trovare pini domestici con un elevato rapporto H/D, e la corteccia della pianta manifesta molto bene gli sforzi che la struttura sopporta, per cui in tal caso è opportuno compiere le prove strumentali (Sani, 2009).

Dalla meccanica del cedimento dell’apparato radicale si vede come la resistenza di ancoraggio è data in primo luogo dalle radici sopravento, ma poiché l’albero oscilla le radici sopravento o sottovento si scambiano vicendevolmente di ruolo. Per effettuare la valutazione di stabilità bisogna quindi controllare se il terreno in prossimità del colletto presenta delle discontinuità, se ci sono cretti

35

concentrici attorno al fusto ad un raggio fra 1 e 3 volte il diametro del fusto a petto d’uomo e se vi sono sollevamenti del terreno sopravento e depressioni sottovento (Sani, 2009).

Altri autori hanno analizzato simili problematiche sia su specie affini, come Harris (1983), Stokes (1999), Spatz (2000), Gardiner (2000), Sellier (2005); sia in senso lato come Wessolly (1996), Mattheck (2000), Peltola (2006), James (2006).

Stokes et al. (1999) hanno studiato su Pinus pinaster Aiton la ripartizione degli sforzi durante il crollo (generato mettendo in trazione la pianta) su esemplari dai 5 ai 17 anni di età. La dinamica del cedimento sembra cambiare in base all’età della pianta: le piante più giovani si sono piegate senza spezzarsi, le piante attorno ai 13 anni si sono rotte all’altezza del colletto oppure sottoterra per stroncamento del fittone. Le piante più vecchie (17 anni) invece sono crollate tutte con lo stroncamento del fittone. Lo sforzo meccanico è risultato da due a tre volte più elevato nel fusto che nelle radici, con un divario crescente in base all’avanzare dell’età. Inoltre la forza necessaria ad abbattere la pianta è risultata direttamente proporzionale al cubo del diametro del fusto dalle misurazioni effettuate.

Spatz et al. (2000) invece hanno studiato le forze gravitazionali e del vento su Picea abies L., partendo dal presupposto che le forze subite sono i determinanti nella forma di una pianta a portamento arboreo. Sia il vento che la forza di gravità inducono dei momenti flettenti che la pianta deve riuscire a sopportare; il limite della struttura si raggiunge quando i momenti flettenti ricevuti eguagliano o superano il momento flettente critico (massimo sopportabile) di tale pianta.

36

Questo a sua volta dipende da parametri strutturali e da proprietà meccaniche del legno. Un parametro importante per l’economizzazione della crescita è la spinta del vento, che va calcolata tenendo conto della superficie effettiva della chioma e del coefficiente di permeabilità. Le piante riescono ad avvicinarsi durante la crescita al punto critico per la loro sicurezza, mantenendo un margine di distanza che tuttavia può risultare insufficiente nel caso di eventi eccezionali, portando la pianta a cadere. Questo comportamento è stato dimostrato a livello qualitativo, ma non è stato ancora spiegato da un punto di vista fisiologico.

Gardiner et al. (2000) hanno analizzato due modelli matematici (GALES e HWIND) utilizzati per determinare la velocità critica del vento su alcune conifere e per calcolare il momento ribaltante necessario a sradicare queste piante. In seguito i risultati dell’elaborazione di tali modelli sono stati confrontati con quanto rilevato in campo. Questi modelli usano database leggermente differenti, tuttavia inserendo i dati relativi alle piante prese in esame hanno mostrato poca differenza nei risultati, con minore scarto su Picea abies L. rispetto a Pinus sylvestris L. Con piante più affusolate il GALES ha stimato una velocità critica del vento superiore al HWIND, mentre con piante poco affusolate avviene il contrario.

Harris (1983) si è interessato ad un fenomeno che riguarda numerose specie di alberi, fra cui anche il pino domestico, studiandolo però su specie nordamericane. Rami apparentemente sani ed in buono stato vegetativo cadono all’improvviso producendo spesso danni consistenti, solitamente durante caldi pomeriggi estivi o durante un periodo di tranquillità che segue un’interruzione della siccità del terreno dovuta ad un forte temporale estivo.

37

Sembra inoltre che questo comportamento sia più frequente in piante mature piuttosto che in giovani esemplari. Il punto di rottura solitamente sta fra 1 e 4 metri dall’inserzione del ramo, ma a rompersi non sono solo questi, infatti si sono verificati episodi in cui lo stroncamento ha interessato tutta la sommità della pianta. La dinamica del cedimento è di varia natura: in alcuni casi il legno della branca caduta appare molto asciutto mentre in altri casi chi ha assistito allo stroncamento ha detto di aver visto “scoppiare” il punto di inserzione del ramo con abbondante fuoriuscita di linfa. Ci sono due possibili spiegazioni per questa pressione linfatica:

1) Batteri che vivono nel legno verde di molte specie che perdono rami hanno creato pressioni di gas fino a 414 kPa (misurati su alcuni olmi).

2) In condizioni di aria ferma l’evapotraspirazione viene ridotta a causa della forte umidità atmosferica, al tempo stesso la pressione creata dalle radici fa innalzare il livello di umidità (e quindi anche il peso e la pressione) all’interno dei rami.

Un’ altra teoria prende in esame l’innalzamento di temperatura all’interno del ramo dovuto alla diminuzione dell’evapotraspirazione, che ha come conseguenza un incremento della produzione di etilene ed altre sostanze. Queste potrebbero indebolire l’inserzione del ramo ed a causa dell’incremento di peso per la poca evapotraspirazione portarlo alla rottura.

Lo studio condotto da Sellier et al. (2005) cerca di mettere in relazione l’architettura di giovani pini marittimi (Pinus pinaster Ait.) con il loro comportamento dinamico in presenza di vento. Lo studio è stato condotto su tre piantine di 4 anni di età, di cui sono state prima misurate le varie parti, poi rimosse procedendo per gradi per stabilire l’influenza di queste sulle

38

caratteristiche dinamiche della pianta. I dati relativi alla dimensione ed alla forma degli elementi della chioma hanno permesso di ottenere una ricostruzione 3D delle varie piante. Durante l’oscillazione sono state individuate due tipologie di deformazione e la frequenza di oscillazione è risultata fra 0,6 e 0,8 Hz. I rami del terzo ordine hanno mostrato forti effetti negativi sull’assorbimento della deformazione naturale della pianta durante l’oscillazione, contrariamente il fogliame è stata la parte che ha maggiormente attutito le oscillazioni e che ha distribuito meglio lo sforzo sull’intera pianta.

Figura 1.16 - Ricostruzione delle piante usate nello studio.

Fra gli autori che si sono occupati di stabilità meccanica in senso lato, Lothar Wessolly è sicuramente una delle figure di maggior rilievo, insieme a Claus Mattheck ed Alex Shigo. Dai suoi numerosi studi, Wessolly ha elaborato un protocollo di valutazione di stabilità degli alberi denominato SIA.

39

SIA è l’acronimo di Static Integrated Assessment, in questo metodo la struttura di un albero viene paragonata a quella di un edificio, per cui la determinazione della sicurezza statica e dinamica segue le regole della tecnica ingegneristica. Secondo questo approccio, tale determinazione è calcolata in base al cosiddetto “triangolo della statica” che considera l’inseparabile connessione fra carico, materiale e geometria.

Il carico che agisce sull’albero è dovuto principalmente alla spinta del vento messa in relazione con l’altezza della pianta, le differenti forme di chioma (cilindro sottile, ellissoidale, sfera e cuore) ed il loro coefficiente di turbolenza aerodinamica (Cw).

Quest’ultimo valore esprime il modo con cui un albero si deforma sotto il carico del vento, in funzione anche della permeabilità più o meno accentuata della sua chioma in habitus estivo pienamente fogliato.

Il SIA assegna ad una chioma fitta e sana un carico massimo corrispondente ad un uragano, con la velocità di 32,5 m/s. L’esposizione dell’albero al vento è differenziata, individuando tre ambienti in cui può essere cresciuta una pianta:

 aperta campagna, con completa esposizione al vento;

 area periurbana, ossia paese o territorio con edifici bassi, con parziale protezione;

40

Tuttavia anche in città si possono verificare situazioni di esposizione al vento tali che alcune piante non riparate dagli edifici vengano sollecitate come se fossero in aperta campagna.

Un albero di determinata altezza, in aperta campagna, ha bisogno di un diametro del fusto maggiore del 10% di uno stesso albero in una posizione protetta dal vento.

Il materiale, ossia la componente che svolge un ruolo determinante nel resistere alla forza del vento, è il cosiddetto GREEN WOOD, cioè il legno vivo, dei rami, del fusto e delle radici primarie. Si tratta quindi degli ultimi anelli di accrescimento, privi di difetti, aventi umidità superiore al 30% e caratterizzati da un notevole comportamento elastico: di fatto sono quelli che sopportano le maggiori sollecitazioni secondo le leggi della statica. La geometria è intesa come la forma e le dimensioni della chioma, del fusto e delle radici.

Affinché una pianta sia in grado di resistere, all’aumento del carico deve corrispondere un incremento delle dimensioni, in particolare quelle del fusto; inoltre, considerando le caratteristiche del materiale, il tronco di un ippocastano dovrà avere un diametro maggiore a parità di altezza e carico rispetto al tronco di una farnia.

Considerando le diverse forme di chioma e il loro differente Cw al vento, secondo gli standard tedeschi DIN 1055, il rapporto tra il momento flettente e il diametro del fusto può variare di un fattore pari a 8, ossia fusti dello stesso diametro, ma di diverse specie, e con chiome differenti possono sostenere sotto lo stesso carico di vento sollecitazioni assai variabili. Questo fa sì che il carico individuale per ciascuna pianta debba essere determinato in funzione della

41

posizione, della forma della chioma e delle dimensioni dell’albero. La profondità e la larghezza della chioma sono considerate meno influenti dell’altezza della pianta nei confronti del carico del vento e, nell’applicazione pratica, viene pertanto esaminata la sola forma della chioma.

Va ricordato che la velocità del vento cresce in maniera esponenziale nel progressivo alzarsi da terra. Nelle formule utilizzate entrano comunque in gioco una serie di fattori e coefficienti come la frequenza di oscillazione, il coefficiente aerodinamico, ecc. che considerano anche il peso della pianta e delle sue parti.

Partendo sempre dai dati raccolti ed inserendo tutti i fattori coinvolti nelle formule, sono stati elaborati alcuni grafici per rendere applicabile in maniera semplice ed immediata il SIA sulle principali specie arboree.

Figura 1.17 - Il grafico seguente ci mostra un esempio di elaborazione dei dati secondo la specie e la forma della chioma dell’esemplare in esame.

42

Nella pratica, per stabilire la sicurezza di un albero situato in un determinato ambiente con chioma riferibile alle forme definite,occorre procedere alla misura esatta dell’altezza e del diametro sotto corteccia.

Si individua poi dal grafico la curva corrispondente alla forma della chioma più somigliante a quella della pianta esaminata e, in funzione dell’altezza misurata, si riconosce in ascissa il diametro corrispondente, ovvero quello teoricamente richiesto.

Il rapporto tra il diametro misurato e quello determinato dal grafico permette di individuare un valore in percentuale definito come sicurezza statica di base dell’albero. Valori assai elevati (400-600%) garantiscono una notevole stabilità. Valori prossimi o inferiori a 100% individuano, invece, situazioni in cui la pianta non dà garanzie di sicurezza.

In presenza di cavità o carie all’interno del tronco, si procede dividendo 100 per il valore di sicurezza statica di base trovato: il quoziente permette di individuare un coefficiente in un nuovo grafico:

43

Moltiplicando questo coefficiente per il diametro misurato sottocorteccia si determina il valore minimo della parte residua di cui la pianta deve disporre per poter resistere al carico del vento.

In situazioni dove non esista parete residua in uno o più punti, è prevista un’ulteriore riduzione del valore di sicurezza statica di base.

Infine, qualora necessario, un ulteriore grafico permette di calcolare l’effetto della riduzione della chioma sulla sicurezza statica di base:

Figura 1.19

Viene individuato un coefficiente per il quale va moltiplicato il valore percentuale trovato inizialmente, in funzione dell’intensità di taglio, di 2 metri per volta da A a D.

Riduzioni di soli 2 metri d’altezza portano a notevoli incrementi del valore di sicurezza statica di base.

44

Va sottolineato che il tipo di potatura da adottare viene definita falciforme e consiste nel taglio della sola porzione alta della chioma, evitando il rilascio di rami isolati, senza intervenire sulle parti più basse in quanto meno influenti per la riduzione del carico del vento.

La potatura ovviamente deve tener conto dello stato di salute generale della pianta affinché l’intervento non generi un’eccessiva riduzione di superficie fogliare.

Wessolly, oltre al SIA, ha ideato anche il metodo SIM (Static Integrated Method).

Consiste in una prova statica che utilizza l’elastometro e l’inclinometro per valutare la resistenza alla rottura ed allo sradicamento di un albero sottoposto a trazione.

L’idea di usare un elastomero nasce dall’osservazione del comportamento delle fibre legnose: esse si estendono dalla parte del fusto da cui proviene il vento e si comprimono nella zona diametralmente opposta, ma i valori di resistenza alla trazione sono circa il doppio di quelli di resistenza alla compressione.

Pertanto, il criterio che permette di stabilire qual è la resistenza di un albero alla spinta del vento si basa sulla massima resistenza alla compressione del suo legno. Ovviamente si intende massima resistenza alla compressione senza superare il limite di elasticità, oltre il quale ha luogo una deformazione permanente (anche detta plastica).

Il sistema, non invasivo, misura le risposte delle fibre legnose superficiali sottoponendole ad un carico controllato (usando un dinamometro) tramite un

45

paranco manuale, collegato ad una fune fissata sulla parte alta del fusto o sui singoli rami della chioma.

Figura 1.20

L’elastometro viene posizionato in diverse zone del tronco, cercando di individuare i punti potenzialmente più deboli. È importante che la corteccia sia solidale al fusto, altrimenti non si possono misurare correttamente i movimenti delle fibre sottostanti. I valori ottenuti sono confrontati, mediante appositi programmi informatici, con quelli del limite di elasticità, secondo la legge di Hooke. Essi permettono l’individuazione del carico corrispondente alla deformazione, che, secondo la curva carico/deformazione, rappresenta il limite elastico del legno e l’inizio di una sua deformazione plastica.

Da uno studio condotto su oltre 200 faggi si è visto che, nonostante i valori del modulo di elasticità e di resistenza alla compressione abbiano una grande variabilità, il valore del limite di elasticità rimane pressoché costante nei vari punti dell’albero.

46

L’elastometro perciò risulta essere uno strumento assai affidabile, anche se esistono delle situazioni in cui il suo utilizzo si dimostra problematico, come in presenza del fungo Ustulina deusta, in quanto tende a circondare ampie zone di durame ed a trasformarlo rapidamente in carie bianca per poi spostarsi verso il cambio. Qui le zone circondate diventano sempre più piccole, fenomeno in grado di compromettere una corretta lettura dell’elastometro (ovviamente ciò dipende anche dall’esperienza del professionista).

Con l’inclinometro, di fatto una livella verticale posizionata al colletto della pianta, si verifica la resistenza dell’apparato radicale allo sradicamento dell’albero sottoposto a sollecitazione.

Valori assai elevati possono evidenziare delle anomalie delle radici come tagli o carie, permettendo in questo modo di avere un’indicazione reale sull’ancoraggio della pianta.

Poiché il carico applicato nella trazione è sempre molto inferiore a quello teorico di rottura del legno considerato, non c’è il rischio di danneggiare le fibre sollecitate. Il SIM, per arrivare a definire in maniera precisa il carico di vento sopportabile dalla pianta, si avvale di un apposito programma grafico integrato dall’uso di immagini digitali atte a calcolare l’area della chioma della pianta e il conseguente carico del vento ad una velocità di 32,5 m/s.

Claus Mattheck invece ha ideato un altro protocollo di valutazione di stabilità, chiamato appunto VTA, ovvero Visual Tree Assessment.

Il VTA (Mattheck, 1994) è una metodologia di indagine, riconosciuta in molti paesi, che viene eseguita per la valutazione delle condizioni strutturali dell’albero.

47

Il VTA, le cui esperienze di campo che ne stanno alla base sono state compiute presso il Centro di Ricerche Nucleari di Karlsruhe (D), basa il sistema di controllo visuale tradizionale su fondati principi biomeccanici e definisce i criteri

di valutazione del pericolo di crollo o rottura.

Esso si basa sulla identificazione degli eventuali sintomi esterni che l’albero

Documenti correlati