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Architettura e biomeccanica del pino domestico (Pinus pinea L.): implicazioni sulla stabilita.

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INTRODUZIONE

Il pino domestico (Pinus pinea L. ) è un albero di notevole importanza da un punto di vista economico e paesaggistico nel suo areale di distribuzione, ma nonostante l’ampia diffusione di questa pianta, specialmente in Italia, è ad oggi un albero poco studiato e di cui abbiamo poche conoscenze.

Figura 1.1

In Italia, nel linguaggio comune, il pino domestico viene solitamente chiamato “il pino”, senza specificare di quale specie si tratti, ma dando per scontato che sia un Pinus pinea.

Il pino domestico infatti viene spesso indicato col nome di “pino italico” ed in inglese il suo nome comune è “Italian stone pine”, durante il periodo fascista

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veniva eletto “albero simbolo d’Italia” in quanto visto come un simbolo di forza e mascolinità, soprattutto per la morfologia del fusto; è in questo periodo che viene piantato su vasta scala soprattutto in ambito urbano e lungo molte strade che tutt’ora sono viali di pini (Sani, 2009).

Risulta difficile pensare che la pianta simbolo d’Italia, talmente comune e caratteristica dei nostri paesaggi rurali (la casa colonica in mezzo alla campagna con il suo pino) sia stata introdotta artificialmente e non sia autoctona della penisola, ma quest’ipotesi verrebbe accreditata dal fatto che la riproduzione del pino nei luoghi in cui si trova avviene in modo scarso o nullo.

Uno dei pochi posti dove la riproduzione naturale è avvenuta è la Tenuta di San Rossore all’interno del parco di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli in provincia di Pisa.

In alcune fra le pinete più vecchie e diradate sono state trovate piantine giovani che, essendo sfuggite alla brucatura degli erbivori, sono riuscite ad affermarsi. Si tratta tuttavia di piantine la cui densità non permette alla pineta di perpetuarsi, da cui la necessità di una piantagione di fine turno per ottenere una nuova pineta.

All’interno del parco le fonti storiche ci permettono di attribuire la presenza del pino all’opera dei Lorena, che agli inizi del 1700 decisero di realizzare vaste pinete per ottenere i semi, commestibili e dalle ottime caratteristiche nutrizionali, oltre al legname impiegato in edilizia.

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1.1) LE ORIGINI

Secondo alcuni autori (Raimbault et al., 2010) per capire l’areale originario del pino domestico bisogna osservare il suo meccanismo di riproduzione. Questo sembra dipendere, come nel caso del pino cembro (Pinus cembra L.), da un uccello che si nutre dei semi della pianta e li nasconde nel terreno per averne una riserva. Alcuni dei semi vengono poi dimenticati dall’uccello e germinano in modo ottimale, essendo già interrati. In spagna infatti si trova la gazza blu (Cyanopica Cyanus ssp. Iberica, Pallas), un uccello che si nutre dei semi del pino domestico adottando lo stesso meccanismo di scorta della gazza legata al pino cembro. Il legame con la gazza blu potrebbe aiutare nel determinare l’areale originario del pino domestico.

Figura 1.2 - L’areale di distribuzione di Pinus pinea L. e di Cyanopica Cyanus ssp. Iberica, Pallas (contorno rosso).

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Se fosse così l’habitat prediletto dal pino sarebbe caratterizzato da colline aride, relativamente incoerenti su base rocciosa non molto profonda e scarsamente fertili, con un clima genericamente sfavorevole per l’elevata escursione termica e la disponibilità d’acqua occasionale, non persistente e legata a fenomeni di condensa ipogea (Raimbault et al., 2010).

L’attuale areale di distribuzione del pino domestico sarebbe perciò il risultato dell’opera dell’uomo che negli ultimi 6000 anni ha provveduto a coltivare quest’albero per nutrirsi dei suoi semi.

In bibliografia, come già accennato, non esistono molti studi sul pino domestico, le cause potrebbero essere molteplici, in primis la sua assenza nei Paesi con climi più rigidi quali Germania, Francia centro-nord, Austria, Olanda, ecc..

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1.2) DESCRIZIONE BOTANICA

Regno: Plantae Figura 1.3

Divisione: Coniferophyta Classe: Pinopsida Ordine: Pinales Famiglia: Pinaceae Genere: Pinus Specie: P.pinea

Nomenclatura binomiale: Pinus pinea L., 1753

Morfologia

Portamento: arboreo, altezza fino a 35 metri, solitamente fra 12 e 25 metri. Fusto solitamente monocormico, a volte biforcato a bassa altezza. La forma della chioma cambia con l’età: da giovane è globosa mentre nell’esemplare maturo ha la tipica forma ad ombrello che caratterizza questa specie.

Corteccia: spessa, di colore marrone rossastro, col tempo si fessura in placche longitudinali.

Foglie: aghi in fascetti di due, verde scuro, di lunghezza variabile (10-20 cm). Fiori: essendo una Gimnosperma è preferibile definirli sporofilli, maturano in aprile-maggio.

Macrosporofilli: di colore rosso, si trovano all’estremità dei germogli. Da essi si originano gli strobili.

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Microsporofilli: di colore giallo-arancione, sono alla base dei germogli. Liberano il polline.

Strobili: di forma ovoidale, sono grandi e molto pesanti. Maturano in 36 mesi, più di qualsiasi altro pino, e si aprono per far cadere i semi.

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1.3) IL SEME

Il prodotto più pregiato del pino domestico è sicuramente il suo seme, il cui attuale prezzo sul mercato oscilla intorno ai 35 euro/kg.

Figura 1.4 - L’immagine mostra una pigna aperta ed una confezione commerciale di pinoli.

Le sue proprietà fisiche e nutrizionali sono state studiate da numerosi autori, fra cui Cevdet Nergiz et al. (2004) e possono essere riassunte nelle tabelle che seguono. Caratteristiche fisiche Numero di semi/100 g 146 ± 6,83 Lunghezza 18,34 ± 2,08 Larghezza 8,83 ± 0,9 Guscio % in peso 72,51 ± 1,16 Parte commestibile % in peso 27,28 ± 1,16 Ala % in peso 0,237 ± 0,01

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8 Valori nutrizionali Umidità % 5,1 ± 0,01 Sostanze minerali % 4,5 ± 0,07 Grassi % 44,9 ± 0,37 Proteine % 31,6 ± 2,1 Carboidrati % 13,9 ± 2,07 di cui saccarosio % 4,3 ± 0,16

Valore energetico (kcal) 583 ± 8

I grassi insaturi contenuti in maggior quantità sono l’acido oleico e linoleico, mentre i principali grassi saturi sono l’acido palmitico, l’acido stearico e l’acido lignocerico.

Tra gli elementi minerali i più abbondanti sono risultati il potassio (K), il fosforo (P) ed il magnesio (Mg), inoltre anche il ferro (Fe), lo zinco (Zn) ed il manganese (Mn) sono presenti in discrete quantità. Le principali vitamine sono l’acido ascorbico, la vitamina B1 e B2.

I semi analizzati da Nergiz provengono dai pini delle pinete coltivate in Turchia, nella regione del Bergama-Izmir, una zona con immensi altopiani coltivati a pineta per oltre 10000 ha di estensione. In queste zone il pino domestico cresce bene anche a 700 m slm su terreni con roccia granitica e la produzione dei pinoli è diventata la principale attività, coinvolgendo sia gli uomini e sia le donne; i primi salgono sull’albero per staccare manualmente le pigne mentre le seconde provvedono alla raccolta a terra (Nergiz et al., 2004).

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Altri studi sono stati compiuti sui semi di pini domestici provenienti da altre zone del Mediterraneo con risultati simili.

In particolare è stato effettuato da Peruzzi et al. (1989 a,b) uno studio su alcune pinete da produzione presso il centro E. Avanzi dell’Università di Pisa per confrontare gli effetti della raccolta manuale con quella meccanizzata. I valori nutrizionali dei pinoli prodotti sono riportati nella tabella seguente.

Oli grassi 42,50 %

Sostanze proteiche 39,45 %

Acqua 5,51 %

Sostanze minerali 4,14 %

Gli effetti della raccolta meccanizzata e manuale sono stati studiati rispettivamente su due gruppi di 120 piante all’interno di due aree di 5000 m² l’una, nel periodo compreso fra il 1976 ed il 1988.

L’applicazione delle vibrazioni per il distacco dei coni mostra i suoi vantaggi nei tempi contenuti necessari a scuotere la pianta, grazie alle apposite macchine che afferrano il tronco fra 2,5 e 4,5 metri di altezza imprimendo una vibrazione di circa 4000 cicli/min. L’effetto indesiderato è la caduta di apici vegetativi e riproduttivi poiché la vibrazione agisce in modo non selettivo.

Il punto di forza della raccolta meccanizzata sta soprattutto nella maggiore efficienza (piante raccolte nell’unità di tempo), che permette così di gestire grandi superfici, infatti risulta economicamente vantaggiosa rispetto a quella tradizionale quando si superano le 70 ore/anno circa di utilizzo delle macchine.

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Figura 1.5 - Una pineta da produzione quasi secolare a San Rossore (PI), ormai giunta a fine turno.

Dallo studio degli effetti sulle piante, analizzando quelle abbattute nel corso del decennio per seguire il corretto diradamento della pineta, è emerso che non vi sono danni alla corteccia ed al cambio (a patto che l’operatore non commetta errori) e che nel loro sviluppo le piante sottoposte a scuotitura meccanica presentano un rapporto altezza/diametro nettamente inferiore alle altre. Tale rapporto infatti si è notevolmente ridotto con l’impiego delle vibrazioni mentre è di poco aumentato col metodo tradizionale.

Questi pini inoltre hanno mostrato un incremento volumetrico complessivo maggiore rispetto a quelli raccolti manualmente, da cui un possibile effetto positivo per lo sviluppo della pianta (Peruzzi et al., 1989 a,b).

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1.4) I GIOVANI PINI

La crescita dei giovani pini è stata studiata soprattutto per vedere gli effetti dell’associazione con alcune micorrize da Guehl et al. (1990), Probanza et al. (2001), Parlade et al. (2001), Oliveira et al. (2003), Rincon et al. (2005) e da molti altri ancora, e per scoprire alcune caratteristiche fisiologiche come la risposta organogenetica ai contenuti ormonali (Valdes et al., 2001), gli effetti della forma della fitocella sullo sviluppo delle plantule (Dominguez-Lerena et al., 2006), il metabolismo del glutatione e dell’ascorbato in plantule di pino domestico (Tommasi et al., 2001), gli effetti positivi di un elevato tasso di raggi UV-B sulle giovani piantine (Manetas et al., 1997) e per vedere i possibili effetti di agenti inquinanti sulla crescita delle piantine (Arduini et al., 1995).

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Una minoranza di studi ha invece preso in considerazione la struttura e l’architettura dei giovani pini, come quelli effettuati da Mutke et al. (2005). In uno di questi studi vengono presi in esame alcuni giovani pini cresciuti in Spagna, viene studiata la fenologia dei germogli e della produzione di coni, confrontando alcuni modelli teorici con quanto effettivamente rilevato. Il periodo in cui si ha il massimo allungamento dei germogli ricade fra l’inizio di maggio e la fine di giugno, periodo in cui i germogli possono allungarsi anche di 20 cm. Lo sviluppo dei coni invece avviene in modo più graduale, senza un momento di notevole crescita; il loro maggiore sviluppo si ha nel periodo compreso tra metà aprile e metà luglio. L’unico periodo in cui la pioggia ha mostrato effetti positivi sull’allungamento dei germogli è stato il mese di giugno dell’anno precedente, ovvero quando si sono formate le gemme, mentre la pioggia durante luglio ed agosto non ha prodotto effetti osservabili. La lunghezza dei germogli infatti dipende soprattutto dal numero di segmenti (fra un verticillo e l’altro) di cui è composto il singolo germoglio e non dalla lunghezza di questi segmenti. Lo studio pertanto suggerisce di irrigare almeno una volta le pinete destinate alla produzione di pinoli durante il mese di giugno essendo questo periodo determinante nell’aumento totale della biomassa.

Un altro studio condotto da Mutke (2005) sugli stessi pini ha voluto mettere in luce come l’architettura della chioma dipenda dallo sviluppo dei germogli conseguentemente alla differenziazione delle gemme.

Il pino ha mostrato uno scarso vigore dell’apice dominante del fusto rispetto alle ramificazioni laterali, che ben presto raggiungono una lunghezza superiore del corrispettivo tratto di fusto conferendo alla pianta la forma globosa tipica delle prime fasi dello sviluppo. Questo tipo di sviluppo viene rappresentato molto bene

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nel modello di Rauh messo a punto da Halle e Oldeman (1970), in cui l’albero cresce ritmicamente con un fusto monopodiale emettendo verticilli di rami la cui struttura è analoga a quella del fusto principale, con fioriture sviluppate nelle zone laterali senza coinvolgere i germogli.

Figura 1.7 - Il modello di Rauh applicato al pino domestico.

Lo sviluppo dei rami laterali è spiccatamente ipotono, avviene soprattutto attraverso gemme sillettiche che portano alla formazione dei rametti nella parte inferiore del ramo. Questo tipo di accrescimento (attraverso rametti sillettici) porta ben presto ad avere una chioma con numerose branche codominanti di primo ordine.

Mutke ha rilevato nel pino domestico una spiccatissima tendenza a produrre rami sillettici, tanto che il tipico modello strutturale in cui l’apice perso viene sostituito, qui non trova applicazione poiché il pino non possiede un vero e proprio apice dominante, ma una serie di apici codominanti in cui la mancanza di uno fra questi non provoca alterazioni all’architettura della pianta. Lo sviluppo dei giovani pini infatti non viene turbato neppure dalla rimozione dell’apice principale, ed

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invece di produrre un nuovo apice come fanno altre specie la pianta si limita a proseguire il suo sviluppo con gli apici rimasti.

Dallo studio è tuttavia emerso che, nonostante il pino domestico abbia un accrescimento particolare, esso mantiene la struttura tipica di un albero con fusto e rami differenziati. L’apice del fusto si trova in una condizione di luce piena così come gli apici dei rami codominanti, ed è grazie a questa forte esposizione alla luce che questi rami mantengono il loro vigore all’interno della chioma, mentre i rami che rimangono in ombra si flettono verso il basso a causa di una crescita secondaria inferiore e vengono abbandonati dalla pianta.

I giovani esemplari di pino cresciuti in densi popolamenti tendono ad avere un numero inferiore di reiterazioni sillettiche ed a flettere molti rami principali fino ad orizzontalizzarli a causa dell’assenza di luce sui lati della pianta, mentre ciò avviene in maniera ridotta su piante cresciute isolate.

Secondo Mutke questo sviluppo potrebbe essere il risultato di una strategia evolutiva in cui la pianta non si è trovata a dover competere per la luce, vista l’ampiezza della chioma, ma tale da permettere al pino di produrre notevoli quantità di coni dal peso elevato. Infatti con questo tipo di sviluppo la pianta si trova ad avere un grande numero di apici forti e vigorosi che possono sopportare lo sforzo di sorreggere i coni, contrariamente a quanto avverrebbe con un apice singolo e rami laterali più deboli.

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1.5) PIANTA ADULTA E SENESCENTE

Alcuni studi sono stati condotti sul pino domestico in età matura ed in senescenza, uno fra questi è stato condotto da Pierre Raimbault su vari aspetti della pianta. Osservando alcuni esemplari, Raimbault ha notato che il fusto dei giovani pini si presenta come una sovrapposizione di cilindri di diametro decrescente dal basso verso l’alto, delimitati in modo netto dai verticilli delle ramificazioni laterali, i quali, oltre a costituire una zona caratterizzata da un flusso di crescita dell’attività cambiale si comportano come punti in cui confluisce il carico meccanico subito dalla pianta.

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Dall’analisi dello sviluppo del pino Raimbault ha potuto notare che si tratta di una fra le piante con la più spiccata ipotonia, come dimostrano le branche principali che, allungandosi ed incurvandosi verso l’alto, arrivano a formare un piano di chioma ad un unico livello, cosa riscontrabile in poche piante arboree. Osservando lo sviluppo del singolo ramo è apparso chiaro come con l’invecchiamento del ramo l’apice di quest’ultimo perda progressivamente la dominanza venendo affiancato da ramificazioni ipotone anch’esse incurvate verso l’alto in cerca della luce. Il risultato di questo tipo di accrescimento è quello di una chioma con un numero superiore di apici forti e codominanti. Con la maturità infatti le branche principali che hanno potuto svilupparsi fino al piano di chioma assumono l’indipendenza funzionale e la pianta si trova ad avere un certo numero di branche principali senza più un unico apice né la struttura verticillare delle ramificazioni sul fusto. Raimbault ha inoltre osservato che con l’avanzare dell’età e l’abbandono fisiologico dei palchi inferiori di rami si assiste alla progressiva formazione di colonne cambiali lungo il fusto, generando un’asimmetria della sua sezione trasversa. Contrariamente a quanto avviene in altre piante, però, l’anatomia del fusto del pino presenta branche reiterate che si sovrappongono in modo sfalsato lungo tutto il percorso del tronco principale fino all’interno della chioma permanente. Ogni branca reiterata origina una colonna cambiale separata dal resto che va ad inserirsi insieme alle altre all’interno del fusto seguendo un andamento spiralato. Questo fa sì che non si crei una vera e propria corona e che non vi siano contrafforti ben evidenziati al livello del colletto bensì le colonne cambiali si fondono generando una forma circolare del fusto. Il colletto inoltre è così nettamente separato dal fusto da presentare una sorta di strozzatura posta sopra ad un rigonfiamento al livello dell’inserzione delle radici.

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Figura 1.9 - Dall’immagine si può osservare la strozzatura sul colletto a livello delle radici.

Questa particolare conformazione anatomica del fusto, secondo Raimbault, genera una ridistribuzione dei carichi con un forte frazionamento sia in senso longitudinale sia trasversale, dovuto in questo caso all’inserimento di branche più basse. Le colonne cambiali si inseriscono quindi in modo spiralato affiancandosi a quelle provenienti dalle zone superiori, con scarsa tendenza ad anastomosi reciproche. Le colonne cambiali particolarmente forti si sovrappongono a quelle più deboli ed entrano nella parte interna del fusto creando così una variazione continua dell’orientamento delle fibre dall’esterno verso l’interno.

Ogni inserzione pertanto diviene un potenziale punto di rigidità e dunque di possibile cedimento strutturale, mentre al colletto, per l’assenza di contrafforti, il carico viene ripartito sull’esterno della circonferenza.

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Figura 1.10 - Un caso estremo di spiralizzazione delle colonne cambiali.

Secondo Raimbault, quindi, un modello strutturale di questo tipo fa presagire che il carico venga distribuito ed attutito dalla struttura della pianta ad un’altezza ben superiore a quella del terreno, vista l’assenza di grandi radici di ancoraggio. Raimbault inoltre ha osservato come la spiralizzazione iniziata durante le prime fasi dello sviluppo della pianta si mantenga anche nella fase di senescenza, partendo dalla sommità della chioma per arrivare fino allo stipite, con un andamento spiralato il cui angolo cambia a seconda dell’età della pianta.

Un altro studio sull’architettura dell’albero in età adulta è ad opera di Sani (2009). Il pino viene studiato da Sani per capire le sue caratteristiche legate alla stabilità meccanica al fine di una corretta valutazione e per dare le linee guida sugli interventi da compiere per mettere la pianta in sicurezza. La prima fra le

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caratteristiche studiate è la forma della chioma. Tale forma subisce un’evidente trasformazione, dapprima globosa o “a palla” in giovane età, poi “a disco o ombrello” in piante mature (Sani, 2009).

Figura 1.11 - Dall’immagine si può fare il confronto fra la chioma di un esemplare giovane rispetto ad uno quasi maturo; è facile vedere come la chioma tenda ad appiattirsi con l’avanzare dell’età.

Il processo che porta alla formazione del’ombrello secondo Sani è dovuto ad un adattamento fisiologico all’azione del vento, infatti i rami nella porzione centrale si piegano verso l’alto per effetto del vento, schermando l’intera chioma; mentre i rami più bassi, spesso a “coda di leone”, si piegano verso il basso, compiendo torsioni che ne causano lo scosciamento.

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Figura 1.12 - Una branca deperiente a “coda di leone” che la pianta sta abbandonando.

Una chioma così stratificata permette al vento di avere un moto quasi laminare, con ridottissimo momento risultante sulla pianta. Sembra inoltre che il pino prediliga i popolamenti in cui le piante formano un unico piano di chioma, in modo tale da schermare ulteriormente la singola pianta contro il carico del vento. Studiando il momento ottenuto su due modelli, uno con chioma sferica e l’altro con chioma di sezione ellittica, si vede come nonostante un baricentro più alto con la chioma ellittica il momento ribaltante sia comunque inferiore del 15 %, grazie alla ridotta resistenza della chioma. Secondo Sani, quindi, bisogna operare nel rispetto della porzione di chioma a disco che la pianta manterrà fino alla fine, evitando interventi di eccessivo diradamento che porterebbero alla formazione di vortici all’interno della chioma con effetti disastrosi.

La spiralizzazione delle fibre legnose è una caratteristica di numerose piante, specialmente conifere, ed è stata studiata da alcuni autori fra cui Kubler (1991) e Skatter et al. (1998).

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Dagli studi effettuati, Kubler ha osservato che, grazie alla spiralizzazione, l’acqua e le sostanze nutritive assorbite dalle radici vengono distribuite in modo uniforme alla chioma. Infatti, gli alberi le cui radici sono in funzione solo da un lato mantengono comunque una chioma interamente verde, e viceversa la linfa elaborata dalle branche viene distribuita al resto della pianta. Prove sperimentali in cui è stato interrotto il flusso di alcune colonne cambiali hanno mostrato che la pianta ha reagito a questo problema con fibre spiralate, che hanno così “bypassato” l’interruzione.

Dalle prove effettuate sembra che la crescita con spiralizzazione sia maggiormente stimolata nei casi di scarsità idrica, con parte delle radici che non riesce ad assorbire acqua.

Rispetto alle piante senza spiralizzazione, inoltre, Kubler ha osservato una maggiore flessibilità degli elementi della pianta, con maggiore difficoltà ad arrivare al cedimento meccanico.

Skatter et al., invece, hanno studiato il verso della spiralizzazione di molte conifere partendo dall’ipotesi che si tratti di una strategia di sopravvivenza; infatti la spiralizzazione risulta il tipo di accrescimento ottimale per sopportare contemporaneamente sforzi di flessione e di torsione. La torsione solitamente si verifica se la superficie della chioma perpendicolare alla direzione del vento è asimmetrica.

Lo studio è stato condotto su 253 piante di pino silvestre (Pinus sylvestris L.) cresciute spontaneamente in Norvegia, di cui il 76,7 % avevano una chioma asimmetrica con rami più lunghi in direzione Sud di circa 40 cm.

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Le mappe dei venti di tali zone indicano che la maggior parte dei venti provengono da Ovest, quindi l’azione dei venti sulla chioma di queste piante genera una torsione.

Il verso della spiralizzazione rilevata sulle piante studiate infatti era in senso orario, perciò Skatter afferma che si tratta di una strategia adottata dalla pianta per resistere a tali sforzi, rinforzando il fusto contro il momento torcente generato dal vento.

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1.6) APPARATO RADICALE

Ad eccezione degli studi compiuti sugli effetti della micorrizzazione dell’apparato radicale di plantule di pino domestico, in bibliografia si trova ben poco su questa zona della pianta, nonostante i numerosi episodi di cedimenti con scivolamento della zolla.

Raimbault ha recentemente studiato da vicino il problema, mentre Niklas (2002) ha studiato in senso lato il comportamento di un apparato radicale simile (anche se notevolmente semplificato) a quello del pino, composto da un fittone ed alcune radici superficiali di ancoraggio.

Grazie ad uno scavo effettuato con pressione d’aria in ambito urbano Raimbault ha potuto osservare un particolare adattamento dell’apparato radicale del pino domestico per sfruttare a vantaggio della sua stabilità le strutture resistenti ad esso vicine. Dagli scavi effettuati infatti è emerso che la causa dei danni provocati alle strade ed ai manufatti in generale (crepe nei muri, sollevamenti, ecc.) sono causati da dei corpi legnosi di reazione (che Raimbault definisce “noduli”) dalla forma sferoidale ai quali confluiscono più radici formando così un fitto reticolo subito al di sotto di superfici dure come l’asfalto o le pavimentazioni.

È difficile ritrovare tali elementi radicali in contesti indisturbati, mentre in ambito urbano sembrano svolgere la funzione di elementi stabilizzanti e di ancoraggio, premendo dal basso verso l’alto contro una superficie che l’albero evidentemente ritiene solida.

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Figura 1.13 - Alcuni noduli scavati durante la rimozione di una ceppaia di pino in ambito urbano.

Al di sotto dello strato in cui si trova la maggior quantità di noduli si nota un netto incremento dello sviluppo dell’apparato radicale, tuttavia la maggioranza delle radici di quelle regioni sono di modesto diametro, come quelle che collegano i noduli fra di loro.

Osservando alcuni esemplari sradicati per cause naturali Raimbault ha potuto schematizzare la forma dell’apparato radicale completo di esemplari intorno ai quaranta anni.

Ciò ha permesso di determinare la probabile forma dell’apparato radicale del pino domestico in età matura, costituito da un sistema fittonante al di sotto del colletto, che solitamente si estende fino alla profondità della falda acquifera, ed

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un certo numero di radici laterali inserite in un modo tipico di questa specie, ovvero ad angolo retto rispetto al fusto. Secondo Raimbault, contrariamente a quanto diffuso nell’opinione comune riguardo all’apparato radicale del pino, il fittone non viene perso durante la vita della pianta ma continua a svilupparsi durante tutte le fasi dello sviluppo ed emette nuovi palchi di radici laterali a maggiore profondità con l’avanzare degli stadi fisiologici.

Questa scoperta, confrontata con i risultati dello studio condotto da Niklas, potrebbe spiegare il tipo di ribaltamento a cui va incontro il pino, nettamente diverso rispetto a quello di una farnia, ad esempio. Raimbault infatti afferma che nella maggior parte delle piante il fittone si perde ad un certo stadio dello sviluppo per lasciare il compito di sostenere la pianta alle radici laterali con l’ausilio dei contrafforti. Sembra invece che nel pino la funzione di sostegno del fittone rimanga fino alla morte della pianta.

L’ apparato radicale studiato da Niklas (2002) appartiene ad un cactus, il Pachycereus pringlei, che presenta sia un fittone sia alcune radici superficiali di ancoraggio. Durante lo sviluppo del cactus si ha dapprima la formazione del solo fittone, mentre con l’avanzare dell’età lo sviluppo del fittone si arresta e la pianta inizia a produrre radici laterali di ancoraggio a livello superficiale.

Niklas ha analizzato separatamente due tipi di apparato radicale, quello costituito dal solo fittone e quello con sia il fittone sia le radici laterali, studiando la funzione svolta da questi elementi nel sostenere la pianta contro l’azione del vento ed il momento ribaltante ottenuto nei due casi.

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È interessante vedere come con la presenza del solo fittone il fulcro di rotazione dell’intera struttura si trovi sottoterra, precisamente a metà della lunghezza del fittone stesso, mentre con la presenza delle radici superficiali tale fulcro venga spostato all’altezza di queste, ovvero al livello del colletto. Confrontando il braccio di leva su cui agisce il vento nei due casi si nota come l’assenza delle radici laterali crei una condizione fortemente sfavorevole per la pianta, con un momento ribaltante nettamente più elevato.

Dagli studi compiuti da Raimbault osservando numerose piante crollate per cause naturali è emerso che il fulcro della rotazione compiuta dal pino durante lo scivolamento della zolla coincide con il centro del colletto della pianta, così come nello studio condotto da Niklas si ha il fulcro di rotazione precisamente al livello del colletto nel secondo tipo di apparato radicale analizzato.

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Claus Mattheck (2000) ha studiato i possibili modi di ribaltamento di un albero, ma questi studi verranno descritti nel paragrafo 1.8.

Anche Sani (2009) ha studiato l’apparato radicale del pino, soprattutto in un’ottica legata alla valutazione di stabilità. Trovandosi di fronte ad un argomento mai studiato prima “a mia conoscenza non esistono studi specifici sulla natura, forma e dimensioni dell’apparato radicale del pino domestico” (Sani, 2009), Sani ha voluto capire le cause che portano al cedimento. Dall’osservazione di piante sradicate ha notato che la zolla efficace risulta molto contenuta, per un raggio solitamente inferiore a due volte quello del fusto, con radici laterali quasi assenti ed un fittone spesso abortito per l’origine vivaistica della pianta. Il substrato sembra avere una qualche influenza, infatti nei terreni sabbiosi o poco coesi è più probabile che il pino produca radici grosse, mentre in suoli asfittici le radici sono molto più piccole e pertanto meno efficaci per la stabilità (Sani, 2009).

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1.7) GEORADAR

Oltre allo scavo con aria compressa, esistono altri strumenti per studiare la forma e la struttura dell’apparato radicale di una pianta, come ad esempio il georadar, già ampiamente adoperato per sondare il terreno in ambito urbano alla ricerca di tubazioni ed altri elementi artificiali di varie forme.

Il georadar o GPR (Ground-Penetrating-Radar) trova il suo principio di funzionamento nell’applicazione delle onde radar che, inviate nel suolo, si riflettono quando incontrano un ostacolo di qualsiasi natura. La riflessione di tali onde viene registrata ed elaborata grazie ad un computer portatile, così da creare una scansione del terreno.

Stokes et al. (2002) hanno testato il georadar sull’apparato radicale di alcune piante in un contesto urbano. Il limite maggiore nell’applicazione in ambito urbano è dovuto alla presenza di tubazioni, sassi ed altri inerti che lo strumento rileva e possono quindi falsare i risultati relativi all’apparato radicale. In ambito forestale, invece, con un terreno pressoché omogeneo, il georadar ha mostrato un’elevata efficienza (Hruska et al., 1999; Sustek et al., 1999). Secondo Hruska, inoltre, con il suo GPR è possibile distinguere un tubo contenente acqua da una radice. La ricerca è stata condotta nella città di Brno, in Repubblica Ceca, su due Sorbus intermedia Pers. e su un Pinus nigra Arn. cresciuti isolati a breve distanza fra di loro. Dopo aver sondato il terreno con il georadar gli apparati radicali sono stati scavati con l’Air Spade ed infine gli alberi sono stati abbattuti. Lo strumento utilizzato è un EKKO 1000, tarato su una frequenza di 450 MHz, con una velocità di penetrazione dell’onda sonica nel terreno di 0,085 m/ns. Dal confronto fra quanto rilevato dal georadar e quanto visto dallo scavo con l’Air Spade sul pino nero, Stokes afferma che le due mappe ottenute non sono

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sovrapponibili e che il georadar non ha “visto” una grande radice laterale superficiale; mentre la forma circolare e l’estensione complessiva dell’apparato radicale sono simili con entrambi i metodi. Stranamente però il georadar ha rilevato degli oggetti che non sono stati ritrovati nello scavo mentre erano presenti (e non rilevate) alcune radici di diametro 2 cm. I risultati ottenuti sui sorbi invece mostrano una maggiore accuratezza, ma sempre per radici di diametro oltre 2 cm.

Questo studio pertanto afferma che il GPR è veloce da usare in campo (a patto di fare scansioni a qualche cm l’una dall’altra) ma l’elaborazione dei dati richiede un tempo notevole (una settimana in questo studio). La presenza di sassi, tubi ed altro materiale non ha interferito durante l’elaborazione dei dati poiché questi oggetti sono stati trovati e la loro posizione registrata durante lo scavo, venendo eliminati dalla mappa dell’apparato radicale ottenuta col GPR. Confrontando i risultati visti dall’alto vi sono alcune imprecisioni soprattutto riguardanti la grandezza delle radici e la loro architettura, infatti nel caso di radici più piccole (meno di 20mm) il georadar non è riuscito a distinguere fra radici sovrapposte e radici unite fra di loro (biforcazione, anastomosi, ecc..). nel caso del pino nero, inoltre, lo strumento ha rilevato un numero superiore di piccole radici connesse con quelle principali di quante ve ne fossero in realtà. Osservando invece quanto rilevato dal punto di vista della profondità (profilo del terreno) Stokes afferma che il georadar ha fallito nel determinare la posizione delle radici, infatti non vi è la minima corrispondenza con quanto trovato nello scavo. Per migliorare l’efficienza di questa tecnica rendendola facilmente applicabile ed affidabile, Stokes ritiene necessario lo sviluppo di un software adeguato (quello usato nello studio è AMAPmod) e di migliorare la risoluzione dello strumento.

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Un altro studio condotto da Cermak et al., 2000 sull’apparato radicale di due aceri campestri cresciuti in contesto urbano ha utilizzato sia il georadar sia tecniche di misurazione del flusso linfatico per confrontare l’efficacia dei due sistemi e vedere se il georadar può essere uno strumento utile ed affidabile. La città dove si svolge la ricerca è sempre Brno in Repubblica Ceca ed il georadar impiegato è un EKKO 1000 con una frequenza di 450 MHz, usando come software EKKO Tools 42 (Sensors and Software Inc., Mississauga, Ontario, Canada) e Reflex 3 (K.J. Sandmeier, Karlsruhe, Germany). Le misurazioni del flusso linfatico sono state fatte in prossimità del colletto della pianta sfruttando il principio della variazione della temperatura in corrispondenza del passaggio della linfa (Nadezhdina e Cermak, 1998). Dallo studio è emerso che il georadar ha una grande efficacia nel determinare la posizione delle radici sia sul piano orizzontale sia su quello verticale, mentre sotto a 2-3 cm di diametro non rileva bene le radici. La misurazione del flusso linfatico ha concordato con quanto determinato dal georadar sulla posizione delle radici principali, sembra inoltre che le radici più profonde (fino a 1,7 m) siano collegate con i fasci più interni del tronco, mentre le radici superficiali con i fasci più esterni.

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1.8) MODALITA’ E CAUSE DI CEDIMENTO

Essendo una pianta ampiamente diffusa in ambito urbano il pino domestico è stato molte volte oggetto di una valutazione di stabilità. I problemi legati alla valutazione del pino domestico sono dovuti soprattutto al fatto che piante prive di difetti strutturali ed in buono stato di salute sono crollate in modo imprevisto (questo vale anche per branche primarie o comunque di grosse dimensioni nel periodo estivo ed in assenza di vento), per motivi che non sono tuttora ben noti.

Figura 1.14 - Questa branca è caduta durante il mese di luglio 2010, durante una giornata calda e senza vento, con grande stupore delle persone presenti, in località San Rossore (PI).

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Ancora una volta il pino domestico si è rivelata una pianta poco studiata, infatti gli unici autori presenti in bibliografia ad aver studiato il problema per cercare i motivi di crolli inaspettati sono Morelli e Raimbault (2010), che hanno collaborato nella valutazione dei problemi in ambito urbano, e Sani (2009), che ha studiato il problema in modo più ampio.

Le due modalità di cedimento che Morelli e Raimbault hanno individuato in ambito urbano sono:

a) Sradicamento con parziale rotazione della semisfera radicale e fuoriuscita delle radici traenti, che appaiono integre.

b) Delaminazione longitudinale del colletto e della parte prossimale del fusto senza fuoriuscita delle radici dal suolo con loro rottura trasversa a pochi cm dall’inserzione.

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In entrambi i casi il cedimento è accompagnato dallo sprofondamento del colletto nel suolo. Nei casi di processi degenerativi del legno il cedimento evidenzia la natura notevolmente spiralizzata di tale legno.

Morelli e Raimbault concordano nell’affermare che “nel caso del Pinus pinea, evidentemente, la scarsa comprensione tanto della morfologia di base che delle implicazioni statiche e soprattutto dinamiche di quest’ultima, rendono particolarmente aleatorio il processo diagnostico stesso e non danno conto dei numerosi cedimenti strutturali asintomatici o comunque non associabili ad eventi meteorologici estremi, insorgenze patologiche o danneggiamenti specifici arrecati alla struttura”.

Anche Sani (2009) si è trovato di fronte ad un argomento poco studiato, per questo ha analizzato i vari elementi che compongono la pianta cercando i punti critici. I tipi di cedimento che ha individuato a livello di tutte le parti della pianta sono:

a) Cedimenti per ribaltamento della zolla

b) Cedimenti del fusto o di sue parti per la presenza di morfologie errate c) Cedimenti per l’uso di materiale vegetale mal conformato

d) Cedimenti di rami per potature errate, che favoriscono lo sviluppo di code di leone sbilanciate

e) Cedimenti di rami appesantiti o sollecitati dai carichi aggiuntivi quali neve e ghiaccio

f) Cedimenti improvvisi al termine del ciclo di vita, prima del decadimento fisiologico

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La stabilità dei rami può essere valutata, secondo Sani, con un’attenta analisi biomeccanica, osservando come prima cosa il rapporto L/D, per capire oltre quale valore il ramo è propenso al cedimento. Ovviamente manca un database per tale specie, comunque per valori superiori a 0,6 – 0,7 è opportuno valutare con attenzione la stabilità di tale ramo. Un altro aspetto chiave nel determinare la stabilità di una branca o di un ramo è l’osservazione del suo punto di inserzione. Esclusi i casi con degradazione del legno, un difetto molto comune nel pino è un angolo di inserzione sotto i 20 – 30° con presenza di corteccia inclusa, inoltre in prossimità dell’inserzione anche la presenza di nasi di pinocchio, pieghe da carico, cretti, curvature, strozzature sono da valutare attentamente poiché sfuggono ai tradizionali metodi di valutazione.

Uno dei difetti più frequenti che caratterizzano il fusto del pino, secondo Sani, è la presenza della biforcazione costituita da due branche principali codominanti con inserzione stretta e corteccia inclusa; i due fusti si separano poiché oscillano con frequenze diverse e si strappano divaricandosi. Ogni segno in tale regione che possa destare sospetti va quindi valutato con analisi strumentali per capire se è possibile mettere l’albero in sicurezza e come. È raro invece trovare pini domestici con un elevato rapporto H/D, e la corteccia della pianta manifesta molto bene gli sforzi che la struttura sopporta, per cui in tal caso è opportuno compiere le prove strumentali (Sani, 2009).

Dalla meccanica del cedimento dell’apparato radicale si vede come la resistenza di ancoraggio è data in primo luogo dalle radici sopravento, ma poiché l’albero oscilla le radici sopravento o sottovento si scambiano vicendevolmente di ruolo. Per effettuare la valutazione di stabilità bisogna quindi controllare se il terreno in prossimità del colletto presenta delle discontinuità, se ci sono cretti

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concentrici attorno al fusto ad un raggio fra 1 e 3 volte il diametro del fusto a petto d’uomo e se vi sono sollevamenti del terreno sopravento e depressioni sottovento (Sani, 2009).

Altri autori hanno analizzato simili problematiche sia su specie affini, come Harris (1983), Stokes (1999), Spatz (2000), Gardiner (2000), Sellier (2005); sia in senso lato come Wessolly (1996), Mattheck (2000), Peltola (2006), James (2006).

Stokes et al. (1999) hanno studiato su Pinus pinaster Aiton la ripartizione degli sforzi durante il crollo (generato mettendo in trazione la pianta) su esemplari dai 5 ai 17 anni di età. La dinamica del cedimento sembra cambiare in base all’età della pianta: le piante più giovani si sono piegate senza spezzarsi, le piante attorno ai 13 anni si sono rotte all’altezza del colletto oppure sottoterra per stroncamento del fittone. Le piante più vecchie (17 anni) invece sono crollate tutte con lo stroncamento del fittone. Lo sforzo meccanico è risultato da due a tre volte più elevato nel fusto che nelle radici, con un divario crescente in base all’avanzare dell’età. Inoltre la forza necessaria ad abbattere la pianta è risultata direttamente proporzionale al cubo del diametro del fusto dalle misurazioni effettuate.

Spatz et al. (2000) invece hanno studiato le forze gravitazionali e del vento su Picea abies L., partendo dal presupposto che le forze subite sono i determinanti nella forma di una pianta a portamento arboreo. Sia il vento che la forza di gravità inducono dei momenti flettenti che la pianta deve riuscire a sopportare; il limite della struttura si raggiunge quando i momenti flettenti ricevuti eguagliano o superano il momento flettente critico (massimo sopportabile) di tale pianta.

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Questo a sua volta dipende da parametri strutturali e da proprietà meccaniche del legno. Un parametro importante per l’economizzazione della crescita è la spinta del vento, che va calcolata tenendo conto della superficie effettiva della chioma e del coefficiente di permeabilità. Le piante riescono ad avvicinarsi durante la crescita al punto critico per la loro sicurezza, mantenendo un margine di distanza che tuttavia può risultare insufficiente nel caso di eventi eccezionali, portando la pianta a cadere. Questo comportamento è stato dimostrato a livello qualitativo, ma non è stato ancora spiegato da un punto di vista fisiologico.

Gardiner et al. (2000) hanno analizzato due modelli matematici (GALES e HWIND) utilizzati per determinare la velocità critica del vento su alcune conifere e per calcolare il momento ribaltante necessario a sradicare queste piante. In seguito i risultati dell’elaborazione di tali modelli sono stati confrontati con quanto rilevato in campo. Questi modelli usano database leggermente differenti, tuttavia inserendo i dati relativi alle piante prese in esame hanno mostrato poca differenza nei risultati, con minore scarto su Picea abies L. rispetto a Pinus sylvestris L. Con piante più affusolate il GALES ha stimato una velocità critica del vento superiore al HWIND, mentre con piante poco affusolate avviene il contrario.

Harris (1983) si è interessato ad un fenomeno che riguarda numerose specie di alberi, fra cui anche il pino domestico, studiandolo però su specie nordamericane. Rami apparentemente sani ed in buono stato vegetativo cadono all’improvviso producendo spesso danni consistenti, solitamente durante caldi pomeriggi estivi o durante un periodo di tranquillità che segue un’interruzione della siccità del terreno dovuta ad un forte temporale estivo.

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Sembra inoltre che questo comportamento sia più frequente in piante mature piuttosto che in giovani esemplari. Il punto di rottura solitamente sta fra 1 e 4 metri dall’inserzione del ramo, ma a rompersi non sono solo questi, infatti si sono verificati episodi in cui lo stroncamento ha interessato tutta la sommità della pianta. La dinamica del cedimento è di varia natura: in alcuni casi il legno della branca caduta appare molto asciutto mentre in altri casi chi ha assistito allo stroncamento ha detto di aver visto “scoppiare” il punto di inserzione del ramo con abbondante fuoriuscita di linfa. Ci sono due possibili spiegazioni per questa pressione linfatica:

1) Batteri che vivono nel legno verde di molte specie che perdono rami hanno creato pressioni di gas fino a 414 kPa (misurati su alcuni olmi).

2) In condizioni di aria ferma l’evapotraspirazione viene ridotta a causa della forte umidità atmosferica, al tempo stesso la pressione creata dalle radici fa innalzare il livello di umidità (e quindi anche il peso e la pressione) all’interno dei rami.

Un’ altra teoria prende in esame l’innalzamento di temperatura all’interno del ramo dovuto alla diminuzione dell’evapotraspirazione, che ha come conseguenza un incremento della produzione di etilene ed altre sostanze. Queste potrebbero indebolire l’inserzione del ramo ed a causa dell’incremento di peso per la poca evapotraspirazione portarlo alla rottura.

Lo studio condotto da Sellier et al. (2005) cerca di mettere in relazione l’architettura di giovani pini marittimi (Pinus pinaster Ait.) con il loro comportamento dinamico in presenza di vento. Lo studio è stato condotto su tre piantine di 4 anni di età, di cui sono state prima misurate le varie parti, poi rimosse procedendo per gradi per stabilire l’influenza di queste sulle

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caratteristiche dinamiche della pianta. I dati relativi alla dimensione ed alla forma degli elementi della chioma hanno permesso di ottenere una ricostruzione 3D delle varie piante. Durante l’oscillazione sono state individuate due tipologie di deformazione e la frequenza di oscillazione è risultata fra 0,6 e 0,8 Hz. I rami del terzo ordine hanno mostrato forti effetti negativi sull’assorbimento della deformazione naturale della pianta durante l’oscillazione, contrariamente il fogliame è stata la parte che ha maggiormente attutito le oscillazioni e che ha distribuito meglio lo sforzo sull’intera pianta.

Figura 1.16 - Ricostruzione delle piante usate nello studio.

Fra gli autori che si sono occupati di stabilità meccanica in senso lato, Lothar Wessolly è sicuramente una delle figure di maggior rilievo, insieme a Claus Mattheck ed Alex Shigo. Dai suoi numerosi studi, Wessolly ha elaborato un protocollo di valutazione di stabilità degli alberi denominato SIA.

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SIA è l’acronimo di Static Integrated Assessment, in questo metodo la struttura di un albero viene paragonata a quella di un edificio, per cui la determinazione della sicurezza statica e dinamica segue le regole della tecnica ingegneristica. Secondo questo approccio, tale determinazione è calcolata in base al cosiddetto “triangolo della statica” che considera l’inseparabile connessione fra carico, materiale e geometria.

Il carico che agisce sull’albero è dovuto principalmente alla spinta del vento messa in relazione con l’altezza della pianta, le differenti forme di chioma (cilindro sottile, ellissoidale, sfera e cuore) ed il loro coefficiente di turbolenza aerodinamica (Cw).

Quest’ultimo valore esprime il modo con cui un albero si deforma sotto il carico del vento, in funzione anche della permeabilità più o meno accentuata della sua chioma in habitus estivo pienamente fogliato.

Il SIA assegna ad una chioma fitta e sana un carico massimo corrispondente ad un uragano, con la velocità di 32,5 m/s. L’esposizione dell’albero al vento è differenziata, individuando tre ambienti in cui può essere cresciuta una pianta:

 aperta campagna, con completa esposizione al vento;

 area periurbana, ossia paese o territorio con edifici bassi, con parziale protezione;

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Tuttavia anche in città si possono verificare situazioni di esposizione al vento tali che alcune piante non riparate dagli edifici vengano sollecitate come se fossero in aperta campagna.

Un albero di determinata altezza, in aperta campagna, ha bisogno di un diametro del fusto maggiore del 10% di uno stesso albero in una posizione protetta dal vento.

Il materiale, ossia la componente che svolge un ruolo determinante nel resistere alla forza del vento, è il cosiddetto GREEN WOOD, cioè il legno vivo, dei rami, del fusto e delle radici primarie. Si tratta quindi degli ultimi anelli di accrescimento, privi di difetti, aventi umidità superiore al 30% e caratterizzati da un notevole comportamento elastico: di fatto sono quelli che sopportano le maggiori sollecitazioni secondo le leggi della statica. La geometria è intesa come la forma e le dimensioni della chioma, del fusto e delle radici.

Affinché una pianta sia in grado di resistere, all’aumento del carico deve corrispondere un incremento delle dimensioni, in particolare quelle del fusto; inoltre, considerando le caratteristiche del materiale, il tronco di un ippocastano dovrà avere un diametro maggiore a parità di altezza e carico rispetto al tronco di una farnia.

Considerando le diverse forme di chioma e il loro differente Cw al vento, secondo gli standard tedeschi DIN 1055, il rapporto tra il momento flettente e il diametro del fusto può variare di un fattore pari a 8, ossia fusti dello stesso diametro, ma di diverse specie, e con chiome differenti possono sostenere sotto lo stesso carico di vento sollecitazioni assai variabili. Questo fa sì che il carico individuale per ciascuna pianta debba essere determinato in funzione della

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posizione, della forma della chioma e delle dimensioni dell’albero. La profondità e la larghezza della chioma sono considerate meno influenti dell’altezza della pianta nei confronti del carico del vento e, nell’applicazione pratica, viene pertanto esaminata la sola forma della chioma.

Va ricordato che la velocità del vento cresce in maniera esponenziale nel progressivo alzarsi da terra. Nelle formule utilizzate entrano comunque in gioco una serie di fattori e coefficienti come la frequenza di oscillazione, il coefficiente aerodinamico, ecc. che considerano anche il peso della pianta e delle sue parti.

Partendo sempre dai dati raccolti ed inserendo tutti i fattori coinvolti nelle formule, sono stati elaborati alcuni grafici per rendere applicabile in maniera semplice ed immediata il SIA sulle principali specie arboree.

Figura 1.17 - Il grafico seguente ci mostra un esempio di elaborazione dei dati secondo la specie e la forma della chioma dell’esemplare in esame.

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Nella pratica, per stabilire la sicurezza di un albero situato in un determinato ambiente con chioma riferibile alle forme definite,occorre procedere alla misura esatta dell’altezza e del diametro sotto corteccia.

Si individua poi dal grafico la curva corrispondente alla forma della chioma più somigliante a quella della pianta esaminata e, in funzione dell’altezza misurata, si riconosce in ascissa il diametro corrispondente, ovvero quello teoricamente richiesto.

Il rapporto tra il diametro misurato e quello determinato dal grafico permette di individuare un valore in percentuale definito come sicurezza statica di base dell’albero. Valori assai elevati (400-600%) garantiscono una notevole stabilità. Valori prossimi o inferiori a 100% individuano, invece, situazioni in cui la pianta non dà garanzie di sicurezza.

In presenza di cavità o carie all’interno del tronco, si procede dividendo 100 per il valore di sicurezza statica di base trovato: il quoziente permette di individuare un coefficiente in un nuovo grafico:

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Moltiplicando questo coefficiente per il diametro misurato sottocorteccia si determina il valore minimo della parte residua di cui la pianta deve disporre per poter resistere al carico del vento.

In situazioni dove non esista parete residua in uno o più punti, è prevista un’ulteriore riduzione del valore di sicurezza statica di base.

Infine, qualora necessario, un ulteriore grafico permette di calcolare l’effetto della riduzione della chioma sulla sicurezza statica di base:

Figura 1.19

Viene individuato un coefficiente per il quale va moltiplicato il valore percentuale trovato inizialmente, in funzione dell’intensità di taglio, di 2 metri per volta da A a D.

Riduzioni di soli 2 metri d’altezza portano a notevoli incrementi del valore di sicurezza statica di base.

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Va sottolineato che il tipo di potatura da adottare viene definita falciforme e consiste nel taglio della sola porzione alta della chioma, evitando il rilascio di rami isolati, senza intervenire sulle parti più basse in quanto meno influenti per la riduzione del carico del vento.

La potatura ovviamente deve tener conto dello stato di salute generale della pianta affinché l’intervento non generi un’eccessiva riduzione di superficie fogliare.

Wessolly, oltre al SIA, ha ideato anche il metodo SIM (Static Integrated Method).

Consiste in una prova statica che utilizza l’elastometro e l’inclinometro per valutare la resistenza alla rottura ed allo sradicamento di un albero sottoposto a trazione.

L’idea di usare un elastomero nasce dall’osservazione del comportamento delle fibre legnose: esse si estendono dalla parte del fusto da cui proviene il vento e si comprimono nella zona diametralmente opposta, ma i valori di resistenza alla trazione sono circa il doppio di quelli di resistenza alla compressione.

Pertanto, il criterio che permette di stabilire qual è la resistenza di un albero alla spinta del vento si basa sulla massima resistenza alla compressione del suo legno. Ovviamente si intende massima resistenza alla compressione senza superare il limite di elasticità, oltre il quale ha luogo una deformazione permanente (anche detta plastica).

Il sistema, non invasivo, misura le risposte delle fibre legnose superficiali sottoponendole ad un carico controllato (usando un dinamometro) tramite un

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paranco manuale, collegato ad una fune fissata sulla parte alta del fusto o sui singoli rami della chioma.

Figura 1.20

L’elastometro viene posizionato in diverse zone del tronco, cercando di individuare i punti potenzialmente più deboli. È importante che la corteccia sia solidale al fusto, altrimenti non si possono misurare correttamente i movimenti delle fibre sottostanti. I valori ottenuti sono confrontati, mediante appositi programmi informatici, con quelli del limite di elasticità, secondo la legge di Hooke. Essi permettono l’individuazione del carico corrispondente alla deformazione, che, secondo la curva carico/deformazione, rappresenta il limite elastico del legno e l’inizio di una sua deformazione plastica.

Da uno studio condotto su oltre 200 faggi si è visto che, nonostante i valori del modulo di elasticità e di resistenza alla compressione abbiano una grande variabilità, il valore del limite di elasticità rimane pressoché costante nei vari punti dell’albero.

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L’elastometro perciò risulta essere uno strumento assai affidabile, anche se esistono delle situazioni in cui il suo utilizzo si dimostra problematico, come in presenza del fungo Ustulina deusta, in quanto tende a circondare ampie zone di durame ed a trasformarlo rapidamente in carie bianca per poi spostarsi verso il cambio. Qui le zone circondate diventano sempre più piccole, fenomeno in grado di compromettere una corretta lettura dell’elastometro (ovviamente ciò dipende anche dall’esperienza del professionista).

Con l’inclinometro, di fatto una livella verticale posizionata al colletto della pianta, si verifica la resistenza dell’apparato radicale allo sradicamento dell’albero sottoposto a sollecitazione.

Valori assai elevati possono evidenziare delle anomalie delle radici come tagli o carie, permettendo in questo modo di avere un’indicazione reale sull’ancoraggio della pianta.

Poiché il carico applicato nella trazione è sempre molto inferiore a quello teorico di rottura del legno considerato, non c’è il rischio di danneggiare le fibre sollecitate. Il SIM, per arrivare a definire in maniera precisa il carico di vento sopportabile dalla pianta, si avvale di un apposito programma grafico integrato dall’uso di immagini digitali atte a calcolare l’area della chioma della pianta e il conseguente carico del vento ad una velocità di 32,5 m/s.

Claus Mattheck invece ha ideato un altro protocollo di valutazione di stabilità, chiamato appunto VTA, ovvero Visual Tree Assessment.

Il VTA (Mattheck, 1994) è una metodologia di indagine, riconosciuta in molti paesi, che viene eseguita per la valutazione delle condizioni strutturali dell’albero.

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Il VTA, le cui esperienze di campo che ne stanno alla base sono state compiute presso il Centro di Ricerche Nucleari di Karlsruhe (D), basa il sistema di controllo visuale tradizionale su fondati principi biomeccanici e definisce i criteri

di valutazione del pericolo di crollo o rottura.

Esso si basa sulla identificazione degli eventuali sintomi esterni che l’albero evidenzia in presenza di anomalie a carico del legno interno; anche laddove non esistano cavità o evidenze macroscopiche del decadimento in corso (funghi che si sviluppano sui tessuti legnosi) è possibile, attraverso il riconoscimento di tali sintomi, cogliere il segnale della presenza di difetti meccanici e fisici all’interno dell’albero.

Se vengono individuati dei sintomi di difetto, questi devono essere confermati da metodi di analisi approfonditi e devono poi essere dimensionati. Così, alberi sani vengono esaminati in modo non invasivo, e solo se i sospetti vengono confermati si procede ad un’indagine più approfondita dell’albero.

Il metodo VTA si svolge in tre fasi:

1. Controllo visivo dei difetti e della vitalità. Se non si riscontrano segnali preoccupanti, l’esame è terminato. L’indagine visiva viene effettuata considerando l’albero nella sua interezza e prendendo in considerazione la sua morfologia, il suo aspetto fisiologico e le sue caratteristiche biomeccaniche.

2. Identificazione del difetto. Se vengono riscontrati sintomi di difetti, essi vengono esaminati per mezzo di un’indagine più approfondita (percussione con martello tradizionale, percussione con martello ad impulsi, penetrometro) per stimare la localizzazione del punto debole e la sua espansione assiale.

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Il metodo VTA prevede quindi un’analisi più approfondita solo per i soggetti che manifestano uno o più difetti tra quelli sopra elencati.

1. Dimensionamento dello spessore della parete residua. Se il difetto rilevato è preoccupante deve essere dimensionato per valutare lo spessore residuo della sezione trasversale della parete. Come fattore di sicurezza per alberi con piena vegetazione viene assunto il valore t / R maggiore od uguale a 0,3 (dove t è lo spessore di parete residua sana e R è il raggio del tronco nel punto della misurazione). Se dimensionando il difetto si ha la prova di un'alta probabilità di rottura e l'albero è scarsamente vitale, allora è da sostituire. Se deve essere assolutamente risparmiato, perché è un esemplare raro o carico di storia, è in alcuni casi possibile ridurre i rischi di danneggiamento con opportuni interventi di tipo manutentivo. Mattheck inoltre ha studiato i possibili modi di ribaltamento di un albero, partendo dall’analisi delle forze che agiscono contro l’albero e di quelle che lo stabilizzano, come si vede nella figura seguente:

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La tensione tangenziale trasmissibile dipende fortemente dalle condizioni del terreno, oltre che dal peso che vi grava sopra, infatti le particelle del terreno cambiano i loro attriti interni in base alle condizioni di umidità:

Figura 1.22

In presenza di acqua quindi le particelle si trovano ad avere una minore coesione e dunque la pianta si trova in condizioni di minore stabilità.

La dinamica vera e propria del cedimento dell’apparato radicale varia in base all’architettura di quest’ultimo, come mostrano chiaramente le figure seguenti:

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Con questo tipo di apparato il cadimento inizia dalle radici in trazione, che solitamente si sfilano, talvolta rompendosi, mentre le radici in compressione si flettono fino a rompersi mentre la zolla con l’apparato radicale si solleva dal terreno rovasciandosi da una parte.

Figura 1.24 - Apparato radicale con fittone e radici superficiali (come nel pino domestico):

In questo caso si vede come il cedimento inizi dalle radici superficiali in trazione, che si sfilano o si rompono, seguite dalla flessione ed infine stroncamento del fittone con una rotazione della zolla attorno a queste radici che “scivola” sul terreno sottostante.

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Un altro autore che si è interessato alla stabilità degli alberi è Peltola (2006), specialmente ai possibili effetti negativi del vento su un popolamento arboreo quale una fustaia per la produzione di legname, in cui il danno prodotto dagli alberi caduti è di carattere economico. Inoltre gli alberi morti in una fustaia attirano insetti xilofagi che possono attaccare anche gli alberi sani con ulteriore perdita di legname. Per studiare gli effetti del vento su un popolamento arboreo Peltola ha messo a punto un modello sfruttando i principi della fisica e della matematica, considerando gli aspetti dinamici e non solo statici legati al comportamento delle piante.

Per far questo è stato ricostruito un modellino in scala 1:75 di un gruppo di alberi e poi studiato in galleria del vento.

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Secondo Peltola questi modelli possono aiutare, ma non sono sufficienti a prevedere il comportamento degli alberi in condizioni di campo, mentre possono determinare la velocità critica del vento per una pianta ed altre grandezze critiche quali peso della neve o gelate forti. Peltola quindi propone di migliorare ed integrare maggiormente questi modelli con prove in campo che ne verifichino l’affidabilità.

Un interessante approccio alla stabilità degli alberi che studia sia gli aspetti statici sia dinamici è quello di James et al. (2006), che hanno analizzato l’oscillazione degli alberi cercando di comprendere le dinamiche che la regolano. L’albero viene visto come un sistema composto da più elementi collegati fra di loro, le cui grandezze fondamentali sono la massa m, la costante elastica del legno k e degli ammortizzatori c.

Figura 1.26

La forza del vento viene intercettata dalla parte più esterna della chioma, poi trasmessa fino alle radici, ma nel fare questo le parti che compongono la pianta si comportano come degli ammortizzatori, per cui la forza trasmessa al livello di

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ramificazione successivo è sempre inferiore. Le varie parti hanno tuttavia una massa, per cui il modello di albero di James dovrebbe essere fatto da tante masse collegate fra di loro con molle ed ammortizzatori.

È chiaro perciò che il movimento oscillatorio complessivo di tale struttura differisce non poco da quello di un semplice palo con una massa all’estremità. Infatti la frequenza e l’ampiezza delle oscillazioni misurate sono ben diverse da quelle previste per un palo con una massa:

Figura 1.27

Dalla figura 1.27 si vede chiaramente come all’aumentare del numero di masse oscillanti (ed ammortizzate) in gioco l’ampiezza delle oscillazioni si riduca drasticamente. Per questo non si può studiare il movimento di un albero se non considerando questa struttura complessa, inoltre tale comportamento è stato verificato in campo su diverse piante di differente forma. La quantità di energia che la chioma riceve viene efficacemente dissipata dalla chioma stessa, infatti la strategia di sopravvivenza degli alberi dipende strettamente da tale dissipazione. La massa del fusto, anche se elevata, ha mostrato scarsa rilevanza sull’azione oscillatoria rispetto alla chioma, quindi James suggerisce di rispettare la forma della chioma di una specie poiché l’albero si è evoluto in base a tale forma che ne determina i movimenti oscillatori.

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Gli studi in campo hanno permesso di misurare anche il momento ribaltante di numerosi alberi, in modo da poter dare dei valori di riferimento come nella seguente tabella:

Tabella 1.1

I valori calcolati si sono rivelati più alti di quelli misurati, tuttavia si può stimare il range probabile entro il quale avviene il crollo della pianta (failure zone). Questi valori permettono di capire il fattore di sicurezza di una pianta in un determinato contesto, sapendo i valori del vento in quella zona.

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2) SCOPO DELLA TESI

Questo lavoro ha lo scopo di studiare alcuni aspetti biomeccanici strettamente correlati alla stabilità meccanica del pino domestico, caratteristica peculiare di quest’albero dovuta ai numerosi schianti improvvisi e talvolta disastrosi di piante apparentemente senza difetti strutturali ed in buono stato di salute, da cui la difficoltà nell’esprimere un giudizio in merito alla sua sicurezza.

Come già affermato in precedenza il pino domestico è una pianta protagonista del paesaggio italiano, soprattutto nelle zone prossime al mare, dove viene comunemente usato per le alberature stradali e nei giardini pubblici e privati. Purtroppo però, il pino è una pianta che si comporta in modo strano per quanto riguarda la sua stabilità, quindi necessita sicuramente di studi approfonditi che ci permettano di fruire della sua presenza in totale sicurezza.

A questo proposito abbiamo deciso di studiare: - La curva di crescita di giovani pini

- L’architettura dell’apparato radicale osservandolo con Georadar ed Air Spade - La dinamica e le forze in gioco nello stroncamento di branche deperienti simulando uno sforzo gravitazionale

- Le proprietà meccaniche del legno verde di alberi senescenti.

Ovviamente queste non sono le uniche conoscenze necessarie a valutare correttamente ed in modo esauriente la stabilità di una pianta, tuttavia costituiscono elementi chiave nel capire le dinamiche strutturali in gioco e nel prevedere il comportamento di quest’albero in condizioni di sforzo critiche.

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3) MATERIALI E METODI

3.1) Studio sulle prime fasi di crescita

Oltre a studiare la pianta adulta abbiamo voluto monitorare la crescita di giovani semenzali di pino nell’arco di un triennio partendo da cento piantine provenienti dal Vivaio del Corpo Forestale dello Stato di Cecina (LI), fornite in fitocella. Al loro acquisto le piantine avevano circa un anno, fra queste ne sono state scelte dieci in maniera casuale, sono state numerate da 1 a 10, poi è stata rimossa con cura la terra attorno alle radici ed è stato lavato l’apparato radicale.

Una volta finito di lavare le radici ed averle sommariamente asciugate, usando uno scanner sono state acquisite delle immagini di ogni piantina.

Appena asciugato l’apparato radicale, prima che avesse il tempo di disidratarsi, sono state prese le seguenti misure da inserire in un database:

1) La lunghezza totale della piantina espressa in cm, dalla gemma apicale alla fine delle radici;

2) La lunghezza della parte aerea (dal colletto in su) in cm; 3) La lunghezza dell’apparato radicale in cm;

4) Il numero di apici meristematici o piccole ramificazioni; 5) Il numero di radici principali;

6) Il peso totale fresco della piantina in grammi con precisione centesimale; 7) Il peso fresco della parte aerea in grammi con precisione centesimale; 8) Il peso fresco dell’apparato radicale in grammi con precisione centesimale.

Figura

Figura 1.5 - Una pineta da produzione quasi secolare a San Rossore (PI), ormai giunta a fine turno.
Figura 1.8 - Notare come diminuisce il diametro del fusto dopo ciascun verticillo.
Figura 1.9 - Dall’immagine si può osservare la strozzatura sul colletto a livello delle radici.
Figura 1.12 - Una branca deperiente a “coda di leone” che la pianta sta abbandonando.
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