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I modelli letterari e la molteplicità dei registri espress

II 1 La forma: la scelta dell’esametro

II.2 I modelli letterari e la molteplicità dei registri espress

Abbiamo dunque visto come Parmenide si sia dimostrato un’ innovatore della poesia epica sul piano della forma, e abbiamo detto di come questa necessità fosse legata al contenuto dell’opera. Egli, in fondo, dovette da sempre percepire sé stesso come un intellettuale, e come tale voleva presentarsi286; tuttavia affinché emergesse la novità che lo distanziava dai suoi predecessori, e affinché tale novità fosse comprensibile a chi ascoltasse

281Ibidem.

282Ivi, p.4 . 283

Secondo Cerri la novità dello stile parmenideo si evince da un confronto tra il proemio, di contenuto narrativo e ancora «molto vicino alla fluidità ritmico-sintattica della dizione epica», e il fr. 28 B 8 DK, il quale si configura come l’esposizione di un teorema ed è per questo caratterizzato da un’ asprezza espressiva e da un ritmo continuamente frammentato in grado di guidare l’attenzione dell’ascoltatore «verso le singole articolazioni del pensiero»; v. Cerri G., Parmenide, Poema sulla Natura, cit., p. 92. Al contrario, Mourelatos afferma che non sussiste alcun rilevante contrasto metrico tra le parti mitologiche-narrative del poema e quelle logiche; v. Mourelatos, The Route of Parmenides, cit., p .2.

284

Per una rassegna dei giudizi negativi sull’opera di Parmenide cfr. supra I§2.2.1 Plutarco n. 91.

285Boodin, The Vision of Parmenides, cit. p.589.

286«Parmenides’ own achievement is to be an intellectual one» così Havelock in Havelock E. A., Parmenides and Odysseus, in «Harvard Studies in Classical Philology», vol. 63, 1958, pp. 133-143. Sull’eccezionalità della figura di Parmenide e sul rapporto con i πολλοί v. Tulli M., Il rapporto di Parmenide con i πολλοί, in Arrighetti G., Poesia greca, Giardini, Pisa, 1995, pp. 171-187,

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o leggesse il poema, proprio ai loro modelli doveva attingere287 . Cercheremo di seguito, dunque, di ravvisare tutti gli elementi del proemio che pongono l’opera in aperto dialogo con i modelli letterari ad essa precedenti.

Già nel tracciare il suo profilo e nel delineare quale fosse il panorama culturale in cui egli visse, abbiamo visto come Parmenide fosse esposto a molteplici suggestioni288, le quali sembrano da lui perfettamente recepite e trasposte nel suo Poema sulla Natura. Se infatti lo schema di cultura a cui egli fa riferimento, per la forma espressiva, è quello della poesia epico-religiosa289, l’universo linguistico da cui il filosofo-poeta di Elea attinge non si limita alle immagini dell’epos e a quelle di tipo mitico religioso, ma porta alla luce una molteplicità di «sottouniversi linguistici di significato» di diversa origine290, dalla poesia orfica, alla letteratura orfico- apocalittica, al pitagorismo, al contesto dell’iniziazione291.

I modelli privilegiati sembrano comunque essere, grazie anche al maggior numero di testimonianze letterarie di cui disponiamo per poter instaurare il confronto, quelli della poesia epica precedente; se nel caso di

287

Questa ipotesi è sostenuta in particolare da Dolin (Dolin E. F., Parmenides and Hesiod, in «Harvard Studies in Classical Philology», vol. 66, 1962, pp. 93-98): egli suggerisce che l’intento di Parmenide sia quello di attaccare il pensiero arcaico mostrando sé stesso come il rappresentante di una nuova sapienza che, tuttavia, affonda le sue radici nell’ideale omerico dell’individuo eroico: Dolin in definitiva afferma che il libero uso da parte di Parmenide dell’immaginario mitico e di motivi epici sia congeniale a sradicare la mentalità arcaica, in quanto tali elementi della tradizione fungono per lui da alleati nella comunicazione con i il popolo greco.

288V. supra I§3 Parmenide e l’introduzione all’ ἡσυχία. Senofane, Aminia e il pitagorismo. 289Ruggiu L., Parmenide, Marsilio Editori, Venezia-Padova,, 1975, p.9.

290Ivi, p.11.

291Va a Diels il merito di aver indicato tutti i possibili influssi riscontrabili nell’opera, in particolare nel proemio, e di aver impostato il problema delle fonti (cfr. Diels H., Parmenides Lehrgedicht cit., pp. 7-22), come mette in luce Reale (v. Zeller E., Mondolfo R., La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I, : I presocratici, volume III: Eleati, a cura di Reale G., cit., p. 324.). Sul pitagorismo e sui richiami orfici ha insistito, tra gli altri, anche Bowra (Bowra C. M., The Proem of Parmenides, in Classical Philology, 32, No. 2, 1937, pp. 97-112); Bowra, nel sottolineare il carattere religioso del poema, ha specificato come, tuttavia, Parmenide non facesse riferimento a precise “sette” religiose, ma riteneva la propria esperienza come unica; anche per tale motivo, a parere di Bowra, la dea che nel proemio affida la rivelazione a Parmenide non ha un nome, affinché non potesse essere confusa con divinità comuni ad altri uomini; di conseguenza egli interpreta i riferimenti parmenidei all’orfismo e al pitagorismo come un espediente per esplicitare il contenuto divino del poema e per orientare il lettore, o colui che ascolta, tramite elementi noti, verso la comprensione dell’unicità e la novità della sua esperienza. Questo, tuttavia, a parere di Bowra, non preclude la possibilità che Parmenide possa essere stato vicino ai circoli pitagorici, a condizione che si consideri il pitagorismo prima di tutto come un indirizzo generale di vita, interpretazione, questa, che abbiamo visto essere condivisa anche da Cerri in Cerri G., Parmenide, Poema sulla Natura, cit. p. 51; cfr. I§3 Parmenide e l’introduzione all’ ἡσυχία. Senofane, Aminia e il pitagorismo.

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Omero i legami riscontrabili si trovano nell’utilizzo di alcuni temi di fondo dell’epos, il rapporto con Esiodo sembra intensificato, non solo nell’uso di temi, ma anche nella struttura compositiva292. Passiamo dunque ad analizzare il rapporto che lo lega al poeta di Ascra.

II.2.1 Il dialogo con Esiodo

Abbiamo visto come Jaeger sostenne che la scelta della veste poetica del Poema sulla Natura fu dovuta alla volontà di Parmenide di doppiare e superare Esiodo293, colui che per primo aveva affrontato i problemi dell’origine (ἀρχή)294, a partire dalla divisione di competenze tra le divinità295. Seguendo questa pista, Cerri ha pensato al prologo di Parmenide come ad un’imitatio cum variatione del proemio esiodeo. Vediamo nei dettagli di cosa si tratta.

292 Ruggiu L., Parmenide, cit., pp. 9-10.

293Jaeger W., The Theology of the Early Greek Philosophers, cit. pp. 92 ss. Cfr. Supra n.18. 294Cerri interpreta l’origine come «inizio nel tempo, ma anche come sostrato eterno», v. Cerri G., Parmenide, Poema sulla Natura, cit.,p.89. Già a partire da Aristotele si era stabilita una continuità storica tra le più antiche teogonie e i «filosofi naturalistici dell’età presocratica» (v. supra n.14); in Esiodo questo passaggio da teogonia a cosmogonia sembra iniziare a delinearsi già dai primi versi: la narrazione, è stato notato da Cerri, si apre con un proemio innico in onore delle muse a struttura tripartita: si configura, cioè, come una giustapposizione di tre proemi equipollenti (vv. 1-21; 36-79 e 105-114), ciascuno dei quali è individuato dal riferimento alle muse; la particolarità è che in ogni sezione compare un esplicito richiamo alla sfera semantica dell’ ἀρχή (veicolante ancora, ovviamente, un significato in prevalenza temporale-narrativo): nella prima sezione abbiamo subito al v. 1 il verbo ἀρχώµεθα, che delinea il modulo incipitario tipico dell’inno («cominciamo con il cantare le muse») che torna pressoché identico nella seconda, al v. 36 («cominciamo dalle muse»); nella terza sezione Esiodo si rivolge alle muse, per l’ultima volta, secondo la struttura dell’invocazione-protasi epica, chiedendo che gli venga concesso l’«amabile canto» (v.104) e che elle celebrino «ἀθανάτων ἱερὸν γένος»: «la sacra stirpe degli immortali» (v.105); nel chiudere l’invocazione ai vv. 114-115, Esiodo riprende il contenuto dei versi iniziali, operando però un’importante modifica, infatti leggiamo:

«ταῦτά µοι ἔσπετε Μοῦσαι, Ὀλύµπια δώµατ᾽ ἔχουσαι

ἐξ ἀρχῆς, καὶ εἴπαθ᾽, ὅτι πρῶτον γένετ᾽ αὐτῶν.»

Cerri, giustamente, evidenzia come, mentre nelle prime due invocazioni l’oggetto del canto era stato il γένος degli dei e delle dee, ora il γένος in questione è «delle cose» come sottolinea il pronome relativo neutro ὅτι, che reca tale genere ovviamente perché concordato con ταῦτά, ma che allo stesso tempo veicola il significato di raccontare «quale tra queste cose sia nata prima», sancendo di fatto il passaggio dalla teogonia alla cosmogonia. (v. Cerri G., La nozione di “materia” nella Grecia arcaica, 1: il Khaos/Aèr di Esiodo, in «Peitho, Examina Antiqua», 9, No. 1, 2017 p.58). Anche Lombardi ravvisa in Esiodo un punto d’incontro tra «mitopoiesi alimentata dalla fantasia del poeta e speculazione cosmologica» in particolare nelle similitudini con valore dimostrativo, come quelle dei vv. 723a-725 e 741-743; v. Lombardi M., Chaos e Ade in Hes. Th. 720-819, in «Hermes», 140 No. 1, 2012, p.7.

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Abbiamo già parzialmente visto come l’utilizzo dell’esametro abbia esatto da parte di Parmenide il soddisfacimento di alcuni adempimenti legati alla forma epica296; il più importante dei quali è l’avvio della narrazione a partire da un proemio. Sono ben noti infatti quelli di Omero ed Esiodo; nel caso del primo, in apertura viene invocata le musa, vera ispiratrice del canto, al cui favore il poeta si appoggia per poter avviare la narrazione, nell’Iliade delle cause che scatenarono l’ira di Achille297 , e nell’Odissea del lungo viaggio affrontato da Odisseo per tornare in patria298; in Esiodo, invece, sono le muse stesse, la cui invocazione avverrà solo al v. 114299, ad incaricare il poeta di narrare «la stirpe dei beati, sempre viventi»300, spostando la narrazione dal piano umano a quello divino301.

Dall’incipit di Parmenide, singolarmente privo di invocazione, punto su cui dovremo tornare, desumiamo che egli si trova su di un carro trainato da puledre e guidato da fanciulle302; sembrerebbe naturale pensare che si

296V. supra pp.4-5.

297Hom., Il., vv 1-7. 298

Hom., Od., vv.1-21.

299Sulla particolare struttura del proemio esiodeo v. supra n. 37. 300Hes., Theog. v. 33.

301Ivi, vv. 22-23. Sembra interessante notare che, mentre nell’Iliade abbiamo il vocativo singolare θεὰ, e nell’Odissea il vocativo singolare µοῦσα, Esiodo si rivolge alle muse già dal primo verso, dove troviamo attestato µουσάων, considerandole nella loro pluralità. Secondo McClintock (v. Scalera McClintock G., Dalle personificazioni di Esiodo alla thea di Parmenide. Consideraizoni sul rapporto tra femminile e astratto, in «AION (fil.)» 28, 2006, pp.25-48) nell’ambito della teologia greca, e in particolare nella Teogonia di Esiodo, esiste una connessione diretta tra il femminile astratto e la pluralità indistinta: la tendenza dei greci a considerare figure divine al plurale è riscontrabile sia per divinità maschili che per divinità femminile, ma sussiste una differenza: mentre per quanto riguarda quelle maschili ci si riferisce sempre a «società organiche o confraternite specializzate (Ciclopi, Centimani e Giganti)»; per quanto riguarda quelle femminili ci si rifà piuttosto ad una «pluralità monotona ed omogenea», la cui identità è percepita simultaneamente sul piano dell’uno e del molteplice e per questo vi è la possibilità di nominarle al plurale o al singolare, indifferentemente (da notare infatti che nell’Iliade, nel II libro al verso 484, l’inizio del Catalogo delle navi, il poeta invoca non più la musa, ma le muse al plurale:«ἔσπετε νῦν µοι Μοῦσαι Ὀλύµπια δώµατ᾽ ἔχουσαι»). Tale stato di cose rispecchierebbe la tendenza a considerare il mondo divino come uno specchio della società; e si comprende bene come nella società antica, sia greca che poi romana, la situazione delle donne fosse ben diversa da quella degli uomini; sostanzialmente scorporate dalla loro identità, le donne furono definite nell’Eretteo di Euripide (=fr. 5 Austin v.2) «mere parvenze della città». Questo tipo di ragionamenti verranno richiamati dalla McClintock nello studio delle divinità femminili presenti nel proemio di Parmenide, su cui avremo modo di tornare.

302Kingsley, dopo aver dato una dettagliata interpretazione della figura del κοῦρος, su cui avremo modo di tornare più avanti nell’analisi del discorso della dea, vede nella denominazione di κοῦραι, data alle Eliadi, un richiamo diretto alla figura del κοῦρος del v.24; e sostiene che il legame tra questo e le fanciulle figlie del sole sia da enfatizzare, perciò alla tradizionale traduzione che, a suo parere, è data dalla critica («Welcome, young man, accompanied by immortales charioteers»), egli sostituisce : «Welcome young man,

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tratti delle muse, e invece al v. 9 scopriamo che elle sono le Eliadi, figlie del sole. L’innovazione non è di poco conto; già dall’antichità si è cercato di comprendere per quale motivo Parmenide abbia scelto tali divinità, e se si dovesse ravvisare in loro un’allegoria303. Per il momento ci limitiamo a considerare un dettaglio che sembra alludere alla Teogonia di Esiodo; infatti ai v. 9-10 il poeta di Ascra descrive le muse così:

«ἔνθεν ἀπορνύµεναι, κεκαλυµµέναι ἠέρι πολλῷ,

ἐννύχιαι στεῖχον περικαλλέα ὄσσαν ἱεῖσαι»

dunque elle vengono dette «nascoste da molta nebbia» e «notturne»; da cui desumiamo che l’incontro con il poeta avvenga di notte. Andiamo ora a confrontare quanto Parmenide dice sulle figlie del Sole, in 28 B 1 DK vv. 9- 10:

«Ἡλιάδες κοῦραι, προλιποῦσαι δώµατα Nυκτός

εἰς φάος , ὠσάµεναι κράτων ἄπο χερσὶ καλύπτρας.»

Al contrario, le divinità che accompagnano il viaggio del poeta- filosofo, in questo caso, hanno lasciato la casa della Notte, si sono scoperte

partnered by immortal charioteers», sottolineando appunto l’« intimacy of partnership». V.

Kingsley P., In the dark Places of Wisdom, cit. p. 75.

303Sesto Empirico in Math. VII 11-114 offrì una lettura allegorica del proemio di Parmenide nella quale le Eliadi (distinte dalle κοῦραι del v. 5) corrispondono ai sensi, in particolare agli occhi; altre interpretazioni allegoriche sono state fornite poi dall’inizio del XX secolo: Kranz considerò le Eliadi secondo il ruolo che elle ricoprivano nel mito, cioè come le sorelle di Fetonte, infatti egli interpreta la figura di Parmenide come un Fetonte dal destino capovolto: mentre l’impresa del personaggio mitico di guidare il carro del sole non andò a buon fine, il filosofo di Elea è destinato ad avere successo (v. Kranz W., Ueber Aufbau und Bedeutung des Parmenideischen Gedichte, in «Sitzunngsbrichte der koeniglich preussischen Akademie der Wissenschaften», 47, 1916, pp. 1159-1160 ); Bowra le ritiene essere le forze che sono in Parmenide e che lo spingono verso la luce (v. Bowra C.M., The Proem of Parmenides, cit., p. 98); similmente Verdenius sostiene che elle corrispondano alle personificazioni della luce in relazione alla mente di Parmenide, rappresenterebbero, cioè, la sua capacità di pensare (cfr. Verdenius W. J., Parmenides: some comments on his poem, A. M. Hakkert, Amsterdam, 1964, p.12); infine Capizzi, convinto che tutti gli elementi citati nel proemio trovino riscontro nella topografia della città di Elea, pensa alle Eliadi come ai pioppi che fiancheggiavano la strada del Nume ad Elea, richiamando, quindi, anche lui il mito di Fetonte dove, alla morte del fratello, le sorelle vengono trasformate in pioppi da Zeus (v. Capizzi A., Introduzione a Parmenide, cit. pp. 12-13.). Sembra opportuno specificare che il campo d’indagine, circa altre possibili connessioni tra il poema parmenideo e queste divinità, è ristretto a causa delle poche testimonianze letterarie che ci rimangono su di esse: abbiamo, infatti, solo la citazione di due di loro nel XII dell’Odissea ai vv. 131-133; i frammenti 68-73 Nauck di una tragedia denominata Eliadi e attribuita ad Eschilo, e i frammenti 771-786 Nauck del Fetonte di Euripide.

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il capo, prima velato, e si recano verso la luce. L’incontro parrebbe avvenire quindi all’alba. Ci sono buone ragioni per sostenere che l’Eleate abbia qui voluto istituire un preciso confronto col testo esiodeo304, contrapponendo alle notturne muse velate le disvelate figlie del Sole, in grado di condurre il giovane sulla strada dell’ «analisi razionale»305; questa ipotesi sembra tanto più plausibile se si considera che il medesimo «legame di puntuale dipendenza e ad un tempo di grande innovazione» si manifesta anche in relazione ad altri aspetti306, quali il rapporto istaurato tra il poeta e il divino, l’elezione stessa del poeta, il contenuto della rivelazione e coinvolge, infine, anche lo sfondo generale della narrazione; ma procediamo con ordine.

Per comprendere a pieno la novità costituita da Parmenide, sia nella forma che nel contenuto della sua opera, dobbiamo fare un passo indietro e ripercorrere a ritroso il tragitto da lui compiuto, fino a scorgere le innovazioni che Esiodo, a sua volta, apportò al modello omerico; a partire dal mutato rapporto tra poeta e divino307. Nell’Iliade e nell’Odissea abbiamo visto essere il poeta ad invocare la musa, affinché ella, elevandolo dalla sua condizione umana attraverso l’ispirazione divina, gli consenta di narrare gli avvenimenti; c’è dunque, da parte del poeta, una totale dipendenza dalla divinità, ed è proprio su questo punto che interviene Esiodo: egli infatti viene predestinato direttamente dalle muse, sono loro a sceglierlo in un giorno qualunque in cui egli pasceva gli armenti sotto il monte Elicone308; si configura così quella che può essere definita un’investitura poetica per «grazia divina»309; l’inserimento di questa vicenda personale all’interno del tema della divina ispirazione ci spinge a vedere in Esiodo un’«embrionale

304Oltre a quanto già evidenziato, c’è da aggiungere che nella Teogonia Esiodo al v. 25, nominando nuovamente le Muse, le definisce κοῦραι, come le κοῦραι figlie del Sole del v. 9 di B 1; Cerri fa poi notare come, sia in Esiodo che in Parmenide, i versi interessati siano i vv. 9-10; Pellikaan-Engel infine sottolinea che, a richiamare il parallelismo tra le muse di Esiodo e le Eliadi di Parmenide, concorre anche il fatto che in entrambi i casi il loro primo muovere sia descritto con un participio (rispettivamente ἀπορνύµεναι per Esiodo e προλιποῦσαι per Parmenide). Cfr. Pellikaan-Engel, M. E., Hesiod and Parmenides. A new view on their Cosmologies and on Parmenides proem, Hakkert, Amsterdem, 1978, p.7. 305Cerri G.,Parmenide, Poema sulla Natura, cit. p. 103.

306

Tulli M., Esiodo nella memoria di Parmenide, in Arrgihetti G., Tulli M. (a cura di), Letteratura e riflessione sulla letteratura nella cultura classica, Giardini, Pisa, 2000, p. 65. 307Sul concetto di eredità e innovazione riflettono in particolare Arrgihetti in Arrighetti G., L’eredità dell’epica in Parmenide, in Handel P., Meid W. (a cura di), Festschrift für Robert Muth, Amoe, Innsbruck, 1983, pp. 9-16 e Tulli M., Esiodo nella memoria di Parmenide, cit, pp. 65-81.

308Hes. Theog., vv..22-23.

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coscienza di sé»310. Se dunque il cammino verso l’autocoscienza prende le mosse ai piedi del monte Elicone, è ad Elea che questo processo giunge a destinazione. Infatti con Parmenide l’investitura non è più frutto di una predestinazione, ma, poggiando sui meriti del destinatario, si realizza come un incontro tra iniziativa umana e divina311. Come attesta il v. 3 del fr. 28 B 1 DK, Parmenide si trova sul carro in qualità di εἰδότα φῶτα312, egli è destinato a ricever la rivelazione della dea, non perché lui stesso l’ha invocata, non perché sia un prescelto dalla dea, ma per merito del patrimonio di conoscenze da lui già acquisite313.

310Tulli M., Esiodo nella memoria di Parmenide, cit., p. 69. 311Ruggiu L., Parmenide, cit.p.16,

312La critica ha molto riflettuto sul tema dell’εἰδὼς φώς; in particolare Burkert ha ricollegato l’espressione “colui che sa” alla terminologia misterica con cui viene designato l’iniziato (v. Burkert W., Das Proömium des Parmenides und die Katabasis des Pythagoras, in «Phronesis» 14, 1969, pp.1-30.) ; Precedentemente anche Bowra aveva sottolineato l’equivalenza tra le parole con cui Parmenide aveva descritto il suo κοῦρος e quelle che al tempo dovevano essere utilizzate comunemente per desiggnare un iniziato appartenente a qualche setta religiosa; così come i βροτοὶ εἰδοτες οὐδεν che compaiono al fr.28 B 6.4 DK sarebbero potuti essere facilmente identificati con coloro esclusi dai misteri; tuttavia secondo Bowra, che abbiamo visto interpretare il proemio come una narrazione dell’esperienza religiosa vissuta in prima persona da Parmenide (v. supra n. 35), queste espressioni devono essere lette in senso letterale alla luce della contrapposizione tra l’uomo che avendo vissuto l’esperienza divina era venuto a contatto con la verità (cioè Parmenide) e tutti coloro che, non avendo vissuto la stessa esperienza, sono rimasti vincolati all’apparenza; egli dovette, in definitiva, percepire la sua esperienza divina come vicina a quella descritta nelle sette religiose, ma rispetto a quelle superiore; v. Bowra G.M., The Proem of Parmenides, cit., pp. 109-110. Di opinione differente è invece Cosgrove: l’espressione εἰδότα φῶτα è, secondo lui, utilizzata da Parmenide in senso ironico; dietro non vi si celerebbe Parmenide, bensì il φυσικός, il« pre-Parmenidean investigator of nature»: Parmenide, ben conscio della novità apportata dal suo pensiero, e attento all’uso delle parole, avrebbe infatti utilizzato il verbo εἰδείν secondo la eco determinata dalla sua etimologia di “sapere per aver visto”, stabilendo così un legame con il tema della δόξα, e quindi dell’apparenza; a supporto di questa tesi Cosgrove sottolinea che tale verbo ricorre solo nella seconda sezione del poema (v. 28 B 10,1, 10,5 DK); mentre nella sezione di testo sull’ ἀλήθεια la dea si esprime sempre in termini di νόος e νοεῖν (cfr. 28 B 2.2, 3,6.1, 6.6, 8.8, 8.34-36 DK.). Tuttavia questo presuppone una connotazione negativa, in termini di conoscenza, non solo del verbo εἰδείν, ma anche di tutta la sezione della δόξα Cfr. Cosgrove M. R., The Unknown “Knowing Man”: Parmenides B 1.3, in «Classical Quarterly», 61 No. 1, 2011, pp. 28-47.

313Così Cerri in Cerri G.,Parmenide, Poema sulla Natura, cit., pp. 169-170. Parte della critica crede che vada letta nella direzione dei meriti personali del poeta anche l’espressione del v. 1: «ὅσον τ΄ ἐπἱ θυµὸς ἱκάνοι». Casertano traduce: «conformemente allo slancio della mia mente» (v. Casertano G., Parmenide, il metodo, la scienza, l’esperienza, Lofredo Editore, Napoli, 1989, p.13; per il commento al verso v. p. 47 ss.) A tal proposito, egli nota

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