• Non ci sono risultati.

Parmenide, un'introduzione. Studio sulla tradizione del testo e sul contenuto del Poema sulla Natura.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Parmenide, un'introduzione. Studio sulla tradizione del testo e sul contenuto del Poema sulla Natura."

Copied!
88
0
0

Testo completo

(1)

1

Indice

Introduzione...3

I.

Per una comprensione di Parmenide

I.1 Le fonti indirette sulla vita e la dottrina...4

I.1.1 Platone...5

I.1.2 Aristotele...10

I.1.3 Teofrasto...12

I.1.4 Diogene Laerzio e il genere delle “biografie”...14

I.2 Le citazioni del testo...16

I.2.1 La prima fase della trasmissione: l’Accademia e il Peripato...17

I.2.2 Dal silenzio dell’età ellenistica alle citazioni dell’età Imperiale: Plutarco e Sesto Empirico...19

I.2.2.1 Plutarco...20

I.2.2.2 Sesto Empirico...33

I.2.3 La fase Neoplatonica e l’età Tardo antica...34

I.2.3.1 Proclo e Simplicio...37

I.3 Parmenide e l’introduzione all’ ἡσυχία

. Senofa

ne, Aminia e il pitagorismo...43

(2)

2

II.

Il proemio

II.1 La forma: la scelta dell’esametro...58 II.1.1 I modelli letterari e la molteplicità dei registri espressivi ...62 II.2 Il dialogo con Esiodo...64

(3)

3

Introduzione

Parmenide di Elea, vissuto tra il VI e il V secolo a.C., ci ha lasciato tramite il suo Poema sulla Natura una delle testimonianze più vive del suo tempo; uno spaccato della forza dirompente della speculazione filosofica ai suoi esordi e allo stesso tempo un’opera letteraria intessuta della raffinatezza dei suoi predecessori, sfortunatamente giunta in modo frammentario unicamente tramite la citazione di autori successivi .

Il fine del presente lavoro è quello di fornire un’interpretazione del contenuto dell’opera mediante gli strumenti che ci sono forniti, in modo congiunto, dalla filologia e dagli studi sulla storia della filosofia antica.

Il punto di partenza sarà dunque un’analisi delle fonti indirette sulla vita dell’autore, che ne restituiscano un’immagine ben inserita nel contesto culturale a lui appartenente, e delle fonti di testo, per delineare quale sia stato il percorso della sua ricezione.

Si potrà passare quindi, nel secondo capitolo, alla lettura del proemio e ad un confronto con i modelli letterari, in particolare Esiodo.

(4)

4

Capitolo I

Per una comprensione di Parmenide

Nel momento in cui ci si accosti alla comprensione del pensiero di Parmenide, si deve preventivamente tener conto di due fattori: dei contorni non sempre definibili con certezza della poliedrica figura in questione; e soprattutto dello stato lacunoso in cui è stato conservato il suo poema filosofico sulla natura, di cui sono pervenuti circa 160 esametri 1; comprendendo in questo secondo aspetto anche la necessità di considerare la scelta della forma espressiva dell’esametro, i modelli letterari di riferimento ed altre questioni legate al testo, su cui avremo modo di tornare più avanti.

In definitiva ci troviamo di fronte a pochi frammenti superstiti di uno scritto denominato convenzionalmente Περὶ Φύσεως, titolo che con ogni probabilità non fu scelto dall’autore2, il quale, a sua volta, presenta alcuni lati oscuri circa le sue vicende biografiche.

Tuttavia disponiamo di numerose fonti sulla vita e la dottrina di Parmenide, le quali congiunte al numero ridotto, ma fondamentale, delle

1

Secondo Cerri il poema nella sua totalità doveva contare almeno qualche migliaio di versi, e gli esametri superstiti sarebbero stati tratti da parti diverse del poema (v. Cerri G., Parmenide, Poema sulla Natura, BUR, Milano

, 1999, p.11); Secondo Fronterotta, invece, il numero complessivo dei versi doveva essere compreso tra i duecento e i duecentocinquanta, e gli esametri in nostro possesso coprono circa i quattro quinti della prima sezione, mentre della seconda, rimangono porzioni di testo difficili da situare con esattezza (v. Fronterotta F., Parmenide e gli “Eleati”, in Bonazzi M., (a cura di), Storia della filosofia Antica, I,. Dalle origini a Socrate, Carocci Editore, Roma, 2016, p. 124.

2Il titolo Περὶ Φύσεως è attribuito allo scritto da Sesto Empirico ( v. fr.28 B 1 DK), da Simplicio (v. fr. 28 A 14 DK) e in Schol. in Arist. 509a 38. Per una discussione sull’autenticità di tale denominazione v. Untersteiner M., Parmenide, Testimoninaze e frammenti. Introduzione, traduzione e commento, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1958, p. 26 ss. Cfr. anche Zucchello D., Parmenide e la Περὶ Φύσεως ἱστορία, in Pozzoni I., Elementi Eleatici, Limina Mentis, Villasanta (MB), 2012, pp. 79-82.

(5)

5

citazioni del testo operate da parte di altri autori, permettono di guidarci verso un’interpretazione almeno plausibile dell’ articolazione, del contenuto dell’opera e del profilo del suo autore. Entrambe, fonti su vita e dottrina e citazioni, sono alla nostra portata grazie all’intramontabile lavoro di Diels e Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker3.

Data questa premessa, si potrà passare all’analisi delle fonti e della tradizione del testo, per poi occuparci in un secondo momento del suo contenuto.

I.1 Le fonti indirette sulla vita e la dottrina

Siamo in possesso di numerose testimonianze sulla vita e la dottrina di Parmenide. Tali notizie ci giungono per lo più attraverso l’attività di ricerca e i dibattiti filosofici alimentati nell’antichità da personaggi illustri, a partire da Platone e Aristotele; e dallo sviluppo di generi letterari specifici come le dossografie, le biografie e le successioni4. Gli autori resisi garanti della circolazione di queste informazioni coprono un arco temporale molto ampio compreso tra il IV sec. a.C, e il VI d.C.

L’attendibilità di queste fonti deriva dalla combinazione di fattori molteplici, che richiederanno di essere valutati di volta in volta, quali la finalità ed il contesto in cui tali autori si sono occupati del pensatore di Elea.

3L’edizione qui utilizzata è la sesta: Diels H., Kranz W., Die Fragmente der Vorsokratiker, Weidmann, Berlino, 1952. Parte della critica discute circa la possibilità di considerare ancora valida questa edizione. Il punto di partenza per un riesame critico del pionieristico lavoro di Diels è negli studi di Burkert: Burkert W., Diel’s Vorsokratiker. Rückschau und Ausblick, in Calder III W. C., Mansfeld J., (a cura di), Hermann Diels (1848-1922) et la science de l’antiquité, Fondation Hardt,Vandœuvre-Genève, 1999.

4Per una sintesi dello stato delle testimonianze dirette e indirette sui presocratici v. Bonazzi M., Fonti, trasmissioni e critica di testi, in Bonazzi M. (a cura di), Storia della filosofia antica I, Dalle Origini a Socrate, Carocci, Roma, 2016.

(6)

6

I.1.1 Platone

Possiamo definire Platone come il più antico commentatore dei Presocratici5; numerose sono, infatti, le occasioni in cui rivolge la propria attenzione alle indagini fisiche del V secolo6. Ιn particolare a Parmenide dedica ampio spazio, intitolandogli un intero dialogo7; oltre ad affidargli un imponente ruolo all’interno del Sofista8.Consideriamo dunque quanto e cosa

ci dica sulla sua vita e sulla sua dottrina; e se sia da ritenere una fonte affidabile o meno.

Stando a Kirk9, il problema della credibilità delle notizie ricavate da Platone risiederebbe nel fatto che i suoi commenti e i suoi riferimenti sarebbero per la maggior parte casuali e ispirati da «ironia e divertimento»10. Se anche sembri eccessivo valutare l’ironia come l’unico e determinante

5

Per questa definizione, e per un’ulteriore trattazione sommaria delle fonti della filosofia presocratica v. Kirk G. S., Raven J. E., The Presocratic Philosophers, Cambridge University Press, Cambridge 1957, pp. 1-7.

6Ibidem. Kirk cita in particolare il passo del Fedone 96a-99d in cui Socrate prende la decisione di elaborare un nuovo metodo di indagine per scoprire «la vera causa delle cose»; essendo stato deluso dai risultati raggiunti dagli altri pensatori e dai propri. Si tratta della cosiddetta τὸν δεύτερον πλοῦν ἐπὶ τὴν τῆς αἰτίας ζήτησιν. In quest’occasione Platone ha modo di inserire una breve rassegna di quelle che erano state le preoccupazioni fisiche del V secolo. Altra sezione fondamentale, in questo senso, è quella del Sofista 242d, in cui egli, per bocca dello straniero di Elea, fa un riepilogo delle opinioni dei predecessori, circaquali e quante siano “le cose che sono” (τὰ ὄντα), realizzando un resoconto dossografico vero e proprio. In particolare su questo locum del testo platonico, avremo modo di ritornare; v.infra I§3 Parmenide e l’introduzione all’ ἡσυχία. Senofane, Aminia e il pitagorismo. 7I problemi legati all’interpretazione e allo studio di questo dialogo meriterebbero un’ampia trattazione; tuttavia non rientrano nel nostro campo di indagine, in quanto non concorrono a delineare la dottrina di Parmenide, quanto piuttosto l’influenza che egli ha esercitato nel’elaborazione del pensiero di Platone; per uno studio approfondito del dialogo, ci limitiamo a rimandare alle edizioni e traduzioni, tra le numerose: Moreschini C., Migliori M., Marcellino C., Platone, Parmenide, Rusconi, Milano, 1994; Gambino G., Fronterotta F., Platone, Parmenide,Laterza, Roma-Bari, 1998; Ferrari F., Platone, Parmenide, BUR, Milano, 2004.

8Per un approfondimento della figura di Parmenide nel Sofista v. Centrone B., Platone, Sofista, Einaudi, Torino, 2008; in particolare paragrafo VIII dell’introduzione: “ Il padre Parmenide” pp. XXVI-XXVIII; e le note alle sezioni 237a, 244d 14-e. Sulla dipendenza di Platone dal pensiero parmenideo nel dialogo Sofista, cfr. anche Seligman P., Being and not- Being. An Introduction to Plato’s Sophist, Nijhoff, The Hague, 1974, pp..5-11. 9

Kirk, in Kirk G. S., Raven J. E., The Presocratic Philosophers, cit., p.3. 10Ibidem.

(7)

7

ostacolo per l’inclusione di Platone tra le fonti attendibili, non possiamo non prestare attenzione ad uno di quei fattori di cui si è in precedenza parlato: il contesto; il quale suggerisce che Platone introduca l’immagine, e il personaggio del “venerando e terribile padre”11, per fini funzionali al dispiegamento della propria dottrina, più che per delinearne un ritratto fedele. Vediamo brevemente di cosa si tratta.

La prima interessante notizia che ricaviamo dai testi di Platone è quella fornitaci dalla sezione 127b del Parmenide, dove l’ Eleate, in età avanzata, in visita con Zenone ad Atene, si imbatte in un Socrate giovanissimo (πάνυ νέος); quest’ultimo dettaglio sembrerebbe alludere ad un’età intorno ai vent’anni per Socrate, il che collocherebbe l’incontro tra i due nel 450 a.C; e farebbe conseguentemente pensare al 515 a.C. per la nascita di Parmenide: nel dialogo viene infatti detto che egli aveva intorno ai sessantacinque anni (περὶ ἔτη µάλιστα πέντε καὶ ἑξήκοντα)12.

Il dato contrasta, però, con quanto affermato nella Vita dei Filosofi di Diogene Laerzio13; costui, infatti, pone l’akmé di Parmenide nella sessantanovesima Olimpiade (ossia tra gli anni 504-501 a.C.); sapendo che gli eruditi antichi facevano coincidere l’akmé, ossia “il culmine dell’attività”, con il trentacinquesimo anno di vita, dovremmo anticipare la data della nascita al 540 a.C. Diogene Laerzio con ogni probabilità ricava tale informazione da Apollodoro di Atene, autore nel II a.C di un’opera intitolata Χρονικά. Se da una parte si ha ragione di dubitare di quest’ultima datazione proposta14; dall’altra non avremmo certo molte esitazioni a considerare l’incontro narrato nel dialogo platonico una finzione letteraria15.

11 Plat., Theaet., 183e 6.

12Cerri G., Parmenide, Poema sulla Natura, cit., p.51. 13Diog., IX, 23 (= 28 A 1 DK).

14

Non solo il 540 a.C. coincide con la fondazione della colonia di Velia (Elea), ma l’akmè 504-501 è la stessa assegnata ad Eraclito; non sono a noi sconosciute le attitudini degli antichi a forzare i dati, per far emergere sincronismi tra personaggi considerati agli antipodi nel panorama culturale: nel nostro caso si tratterebbe di far corrispondere l’anno di nascita di Eraclito, pensatore associato al concetto del divenire; con quello di Parmenide, colui che sostenne la concezione dell’unità del τό ἐόν; v. Cerri in Cerri G., Parmenide, Poema sulla Natura, cit., p.52. Sui criteri poco affidabili di composizione deiΧρονικά di Apollodoro v. Kirk G. S., Raven J. E., The Presocratic Philosopher, cit. p. 6.; Sulla cronologia di Apollodoro e in particolare sul sincronismo tra Eraclito e Parmenide cfr. anche anche Diels, H., Cronologische Unterschungen über Apollodors Chronika, in«Rheinisches Museum für Philologie», XXXI, 1876, p. 34 ss.

15Tanto più che, in questo caso, lo stesso dialogo viene presentato come riportato, e a più livelli: Glaucone, voce narrante, racconta di come una volta, ad Atene, si sia fatto introdurre ad Antifonte, per conoscere i contenuti di un dialogo avvenuto tra Socrate, Zenone e

(8)

8

Le altre sezioni degli scritti platonici aventi come protagonista Parmenide non veicolano notizie biografiche, ma concentrano l’attenzione sulla dottrina, spesso riportando anche citazioni testuali. Tuttavia, come anticipato, non è possibile, nel caso di Platone, scindere quanto ci dice circa Parmenide dal proprio sistema di pensiero; si apre dunque la difficoltosa e ampia parentesi della ricezione di Parmenide in Platone16. Come ribadito più volte, non sarà questa la sede in cui ci si dedicherà a un problema tanto delicato, che ha costituito il campo di indagine di numerosi e autorevoli studi17. Tuttavia un passo merita di essere richiamato alla mente, in quanto, più di altri, esplicita il rapporto tra Platone e Parmenide: si tratta del famoso “parricidio”. Si tratta in particolare della sezione 241d del Sofista:

Ξένος: τόδε τοίνυν ἔτι µᾶλλον παραιτοῦµαί σε. Θεαίτητος: τὸ ποῖον;

Parmenide, a cui lo stesso Antifonte non aveva assistito in prima persona, ma riguardo al quale aveva sentito parlare Pitodoro. Friedländer, sostenitore convinto del fatto che Platone non lasci mai nulla al caso, avvalora la proposta di Proclo, secondo cui l’intento sarebbe quello di far incontrare ad Atene le due “scuole”: quella dei “filosofi ionici” che si occupavano della natura delle cose e del loro divenire, e quella degli “italici” che, al contrario, erano «sostenitori della teoria delle forme» e negavano la realtà del mondo delle apparenze (Proclo, In Platonis Parmenidem Commentarium, in Cousin V., Procli Philosophi Platonici Opera Inedita, Aug. Durand Parigi 1864, col. 660). Inoltre, secondo Friedländer, sarebbe determinante il ruolo giocato dalla provenienza del narratore Cefalo: Clazomene; città che riporta subito alla mente il suo cittadino più illustre Anassagora, il quale fu «il primo che cercò di dare all’intelletto un primato sul mondo delle cose», dunque il primo ad avviarsi nella direzione del Parmenide; v. Friedländer P., Platon, vol. II: Die platonischen Schriften, de Gruyter, Berlino,1930 (trad. it. a cura di Le Moli, A., Paul Friedländer, Platone, Bompiani, Milano, 2014, pp.917-918). Kingsley crede invece che l’impianto generale del dialogo sia tutto incentrato a incoronare Socrate, e con lui Platone, come i degni eredi di Parmenide (Kingsley P., In the dark Places of Wisdom, Duckwoth, Londra, 1999, p.40) Altre esaustive prove del fatto che sia perfettamente nelle corde di Platone l’aver inventato l’incontro tra Socrate e Parmenide, oltre ad un approfondimento su chi abbia sostenuto la fondatezza della notizia di Platone in Zeller. E., Mondolfo R., La Filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, Parte I: I presocratici, volume III: Eleati, a cura di Reale G., La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1950 pp. 167 ss.

16In particolare Palmer si è occupato di questa questione, cfr. cfr. J. A. Palmer, Plato’s reception of Parmenides, Clarendon Press, Oxford,1999. Palmer più precisamente parla di “ricezioni”, al plurale, di Parmenide da parte di Platone; mettendo in evidenza come un processo di maturazione della dottrina di Platone, si rispecchi anche in un’evoluzione nel modo di pensare il “venerando e terribile padre”. In particolare individua due fasi: una dei dialoghi della maturità (Simposio,Fedone, Repubblica) dove Platone attribuisce alle idee le caratteristiche che erano state proprie dell’Essere parmenideo; ed una seconda fase, testimoniata nei dialoghi tardi (Sofista e Parmenide), dove si va incontro ad una nuova identificazione, questa volta tra l’Essere parmenideo e l’Uno di Platone. Altri importanti contributi sull’argomento sono quelli di: Conford F. M., Plato and Parmenides: Parmenides' Way of Truth and Plato's Parmenides, e K. Paul, Trench, Trubner & Co. Ltd, London, 1939.

(9)

9 Ξένος: µή µε οἷον πατραλοίαν ὑπολάβῃς γίγνεσθαί τινα. Θεαίτητος: τί δή; Ξένος: τὸν τοῦ πατρὸς Παρµενίδου λόγον ἀναγκαῖον ἡµῖν ἀµυνοµένοις ἔσται βασανίζειν, καὶ βιάζεσθαι τό τε µὴ ὂν ὡς ἔστι κατά τι καὶ τὸ ὂν αὖ πάλιν ὡς οὐκ ἔστι πῃ.

Dunque lo Straniero di Elea, protagonista del dialogo, prega Teeteto, con il quale sta conducendo la sua indagine per “catturare” il sofista, di non considerarlo un patricida. Tale accusa potrebbe essere mossa per il fatto che lo Straniero teme proprio che, alla fine della loro ricerca, si dovrà contravvenire ai dettami del padre Parmenide, arrivando a sostenere che «ciò che non è, sotto qualche rispetto è, e ancora, che ciò che è, a sua volta, in qualche modo non è»18. Alla luce di queste parole, c’è chi ha interpretato il passo come una scissione insanabile tra la filosofia di Platone e Parmenide19. Tuttavia, se si compie lo sforzo di prestare ascolto alla preghiera dello Straniero di Elea, emergerà come di fatto le tesi del padre Parmenide, da una parte andranno incontro ad una smentita, ma per altri versi verranno confermate20 . Il campo di indagine si apre con la messa in discussione della possibilità del discorso falso. Per il legame inscindibile tra verità ed essere, presente alla coscienza arcaica, dire il falso corrisponde a dire ciò che non è21; si mostra dunque il dissidio con quanto aveva sostenuto

18Traduzione di Centrone in Centrone B., Platone, Sofista, cit., p. 119. 19

Di questo parere è, fra gli altri, Passa; il quale giudica questo passaggio così cruento e netto, da sostenere che solo grazie a tale sacrificio è possibile il trasferimento dalla Ionia e dalla Magna Grecia ad Atene, della riflessione filosofica, di cui la città nel V secolo, sostiene Passa, era sprovvista; o comunque non possedeva un tradizione paragonabile in termini di dignità. Il giudizio si presenta, forse, eccessivo, sotto due aspetti: nel ritenere il parricidio come una scissione totale tra il pensiero di Platone e Parmenide (senza che venga considerata la preghiera rivolta dallo Straniero a Teeteto, di allontanare proprio questa accusa, meriti una riflessione maggiore); e soprattutto nel negare una tradizione filosofica all’Atene del V secolo, prima dell’avvento del Platone del Sofista. V. Passa E., Parmenide tradizione del testo e questioni di lingua, «Seminari Romani di cultura greca», 12 2009, pp. 13-14. Ugualmente Seligman crede che si stia assistendo, in questa sezione, ad un superamento della dottrina eleatica, possibile solo attraverso il parricidio di Parmenide. D’altra parte l’introduzione dello Straniero di Elea, come interlocutore, evidenzierebbe la diversa attitudine nei confronti di Parmenide, e allo stesso tempo della teoria delle idee, come era stata pronunciata da Socrate nel Teeteto. Cfr Seligman P., Being and not- Being. An Introduction to Plato’s Sophist, p. 11. Sulla stessa linea di pensiero si mantiene anche Kingsley, il quale sostiene che per capire chi fosse Parmenide, bisogna partire dal comprendere perché Platone abbia dovuto ucciderlo: v. Kingsley P., In the Dark Places of Wisdom, cit., p.45.

20V. Centrone B., Platone, Sofista, cit. pp. XXVI-XXVII. 21Per il valore veritativo del verbo essere, ivi, p. XXVIII.

(10)

10

Parmenide: cioè che ciò che non è, non è in alcun modo né pensabile né dicibile (fr. 28 B 2.6-7 DK) ; ma dire il falso è proprio dire ciò che non è, di fatto determinando che ciò che non è, in qualche modo sia; perché dire è sempre dire qualcosa22. D’altra parte il fatto che sia possibile pronunciare “ciò che non è” e “le cose che non sono” (distinguendo tra τὸ µὴ ὄν e τὰ µὴ ὄντα) rende evidente come si stia riferendo una determinazione, in particolare la quantità, a qualcosa che si era detto non poterne averne23. Sotto questo aspetto si realizza il superamento dei dettami parmenidei; ma d’altra parte, nel discorso, rimane falso anche dire che ciò che è non sia, e viceversa, di modo da stabilire un collegamento che per primo Parmenide aveva ritenuto impossibile (fr. 28 B 2 DK). Dalla convergenza di ambedue queste valutazioni, sia da quanto è stato ritenuto concorde con i precetti paterni, sia da quanto è stato invece identificato come uno strappo, emerge la necessità di volgere l’indagine a stabilire in che modo si possa parlare di ciò che non è; ma questo sarà possibile solo determinando anzitutto cosa si intenda, quando si parla di ciò che è, e in cosa consista l’essere delle cose24;

si assiste così alla nascita del problema ontologico.

Più che ad un parricidio, in definitiva, sembra di assistere alla partenza di un figlio che si avvia per la propria strada, memore di quella da cui è provenuto.

I.1.2 Aristotele

Sebbene possiamo affermare che la dossografia debba la sua veste di genere letterario sistematizzato a Teofrasto25, già prima di lui se ne intravedono le origini. Platone si era dedicato sporadicamente, in passi come quelli sopra citati26, a rassegne ed excursus sulla filosofia precedente27;

22 Centrone B., Prima lezione di filosofia antica, Laterza, Roma-Bari, 2015 pp. 62-63. 23

Ibidem.

24Centrone B., Platone, Sofista, cit. XXIX. 25Vedi infra I § 1.3 Teofrasto.

26V. supra n. 6. 27

In realtà ancor prima di Platone, l’origine della dossografia può essere ravvisata nei sofisti Ippia e Gorgia. Al primo è fatta risalire una sorta di antologia che accoglieva testi di filosofi e poeti in versi e prosa, e che probabilmente doveva essere utilizzata per fini retorici; del secondo, invece, si ricorda come, nell’avanzare polemiche contro i suoi predecessori,

(11)

11

Aristotele aveva seguito ed incrementato lo stesso modus operandi, introducendo, all’interno delle sue opere, intere sezioni dedicate alla classificazione di quanto appurato dall’indagine svolta da coloro che vissero e scrissero prima di lui, come attesta bene il primo libro della Metafisica. Tuttavia, ancora una volta Kirk mette in evidenza come lo Stagirita abbia viziato i propri giudizi28, ritenendo, nel complesso, la filosofia precedente un segnavia orientato nella direzione della verità, che lui stesso «ha rivelato nelle sue dottrine fisiche, specialmente quelle della casualità»29; egli stabilisce di fatto un “canone” costruito sulle proprie determinanti prese di posizione, orientate dall’intento di interpretare la filosofia come studio delle cause e dei principi30.

Aristotele ci consegna un buon numero di testimonianze indirette su Parmenide (oltre che dirette, sulle quali sarà necessario tornare in seguito)31. Non si dilunga su aspetti biografici, ma si concentra perlopiù sulla dottrina, secondo le modalità che abbiamo sopra descritto.

Tra i pochi ragguagli lasciatici sulla vita dell’Eleate, troviamo la testimonianza secondo la quale egli fu allievo di Senofane; lo leggiamo nella Metafisica, libro I a 986b 18-28 e nella Retorica, II libro 1399b 5 e 1400b 5. Nel primo caso, la notizia viene inserita all’interno di una sezione dove Aristotele si sta occupando di quanti parlarono del τοῦ ἑνὸς; nel secondo, egli designa esplicitamente Senofane come colui che introdusse Parmenide alla filosofia. Dell’attendibilità di tale affermazione avremo modo di parlare più avanti32.

Un’altra notizia proveniente da Aristotele, e di cui rimane traccia solo nel Protrettico (fr. 5 Ross), sembra alludere al fatto che Parmenide si sarebbe dedicato esclusivamente ad interessi teoretici:

riportasse le loro teorie, da lui giudicate assurde aporie: v. Bonazzi M., Fonti, trasmissioni e critica di testi, cit. p. 24; per la possibile esistenza di una dossografia antecedente a Platone e di matrice pitagorica v. Mansfeld J., Aristotle, Plato and The Preplatonic Doxography and Chronography, in Cambiano G., (a cura di), Storiografia e dossografia nella filosofia antica, Tirrenia Stampatori, Torino, 1986 pp. 1-45.

28Kirk, in G. S. Kirk, J. E. Raven, The Presocratic Philosophers, cit., p.3. 29

Ibidem.

30Bonazzi M., Fonti, trasmissioni e critica di testi, cit., p. 25.

31V. in particolare 28 A 6, 28 A 24, 28 A 25, 28 A 27,28 A 35, 28 A 52 DK.

(12)

12 «[...] οἱ δὲ τὴν περὶ φύσεώς τε καὶ τῆς τοιαύτης ἀληθείας φρόνησιν οἵαν οἵ τε περὶ Ἀναξαγόραν καὶ Παρµενίδην εἰσηγήσαντο. ∆εῖ δὴ µὴ λεληθέναι τὸν µέλλοντα περὶ τούτων ἐξετάζειν ὅτι πάντα τὰ ἀγαθὰ καὶ τὰ πρὸς τὸν βίον ὠφέλιµα τοῖς ἀνθρώποις ἐν τῷ χρῆσθαι καὶ πράττειν ἐστὶν ἀλλ’ οὐκ ἐν τῷ γιγνώσκειν µόνον.»

Secondo Passa33, tale testimonianza potrebbe indicare la volontà, da parte dello stagirita, di demistificare l’immagine politicizzata di Parmenide, diffusasi in ambiente accademico: sappiamo infatti, da alcune fonti34, di un Parmenide legislatore di Elea. Tra queste fonti vi è in particolare uno scolio all’Alcibiade primo (119 a) in cui, oltre ad essere enfatizzato il ruolo politico dell’Eleate, viene sottolineato che tematiche politiche fossero ravvisabili anche all’interno dell’opera. Si potrebbe dunque pensare che non sia tanto la figura di Parmenide che si vuole depoliticizzare, quanto piuttosto una lettura della sua opera in questa direzione35. Peraltro un’interpretazione politica del poema, diffusa, anche se parzialmente, nell’antichità, confermerebbe la attendibilità delle fonti che assegnano a Parmenide un ruolo attivo nella città di Elea36.

Sebbene certe prese di posizione possano costituire visibili distorsioni delle dottrine dei predecessori37, la testimonianza aristotelica nel suo complesso costituisce un canale di trasmissione di preziose notizie, del quale si fece garante il suo successore Teofrasto.

33Passa E., Parmenide tradizione del testo e questioni di lingua, cit., pp. 14-15. 34

Cfr. 28 A 1 DK; 28 A 12 DK.

35Non sembra assurdo pensare che qualcuno nell’antichità abbia potuto leggere il poema in chiave politica considerando che, ancora oggi, una tale interpretazione è ritenuta plausibile: v. Capizzi A., La porta di Parmenide: due saggi per una nuova lettura del poema, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1975 e Capizzi A., Introduzione a Parmenide, Laterza, Roma-Bari,1975; Altri parziali tentativi sono stati compiuti da Vlastos in Vlastos G., Equality and Justice in Early Greek Cosmology, in «Classical Philology», 42, 1947, pp.156-78; e Minar in Minar E. L., Parmenides and the World of Seeming, in «The American Journal of Philology», 70, 1949, pp. 41-55. Il primo, in particolare, ha pensato ad un’interpretazione democratica della costituzione elaborata da Parmenide, basandosi sulla caratteristica di omogeneità attribuita da Parmenide al τό ἐόν; il secondo invece favorì una lettura “aristocratica” dell’intero poema a partire dalla considerazione dell’origine altolocata dell’autore, dai presunti legami con l’oligarchia pitagorica di Crotone, e dalla divisione in due sezioni del poema.

36V. n.34.

(13)

13

I.1.3 Teofrasto

Se la definizione di un canone, che decidesse definitivamente chi dovesse far parte di quella che noi oggi definiamo filosofia presocratica, deriva da Aristotele38, è Teofrasto che fissa nella tradizione quanto il maestro ha stabilito39. Da qui la tendenza ad incoronarlo come il primo autore appartenente al genere letterario della Dossografia, termine coniato dal filologo tedesco Diels, per indicare quel genere letterario che racchiude insieme le opinioni filosofiche dei pensatori e autori antichi sulle diverse questioni40. Teofrasto persegue questo fine nelle Φυσικῶν δόξαι41, concepite come una raccolta sistematica delle dottrine e dei problemi sollevati dai cosiddetti φυσιολόγοι, i pensatori della natura,42

e nella monografia Sui

sensi43. Anche grazie al suo lavoro, dunque, ci pervengono numerose testimonianze sulla dottrina e la vita di Parmenide: secondo l’ipotesi di Diels44, infatti, l’opera di Teofrasto, in cui si erano fissate tutte le tesi del maestro, tra cui in anche quella della διαδοχή tra Senofane e Parmenide45, fu poi utilizzata negli ambienti peripatetici per fini didattici e polemici, venendo così trasmessa in linea diretta, e senza eclatanti alterazioni, nei

38Ibidem.

39

Per l’ipotesi secondo cui Teofrasto deriva il proprio metodo di analisi critica dei presocratici, in particolare nel De Sensibus, principalmente dalle strategie dialettiche dei Topica di Aristotele, cfr. Baltussen H., Teophrastus against Presocratics & Plato: Peripatetic Dialectic in De Sensibus , Brill, Leiden, 2000; Mansfeld J., Aristote et la structure du De Sensibus de Théophraste, in «Phronesis», 41.2, 1996, pp.158-87; e Bonazzi, Fonti, trasmissioni e critica dei testi, cit. pp. 24-25.

40Bonazzi, Fonti, trasmissioni e critica di testi, cit., p. 25

41Sempre Passa in Passa E., Parmenide tradizione del testo e questioni di lingua, p. 16 afferma che sia Dottrine Fisiche il vero titolo dell’opera di Teofrasto; egli deriva tale certezza dagli studi effettuati al riguardo da Mansfeld in Mansfeld J., Deconstructing doxography, «Philologus» 146, 2002, pp.277-286.

42Mansfeld J., The Sources, in Long A. (a cura di), The Cambridge Companion to Early Greek Philosophy, CUP, Cambridge-New York, 1999, pp. 23-44. In questo contributo Mansfeld avvalla l’ipotesi che vi fosse anche un’altra sezione dell’opera dedicata alla raccolta delle opinion dei medici.

43Per uno studio sui contenuti dell’opera cfr. Baltussen H., Teophrastus against Presocratics & Plato: Peripatetic Dialectic in De Sensibus, cit.

44Diels H.,Doxographi Graeci, Weidmann, Berlino, 1879.

45Simplicio, nel VI d.C, afferma esplicitamente di ricavare la notizia di Parmenide allievo di Senofane da Teofrasto, dice infatti in Phys.22 (=21 A 31 DK): «Σενοφάνην τὸν Κολοφώνιον τὸν Παρµενίδοθ διδάσκαλον ὑποτίθεσθαί φησιν ὁ Θεόφραστος». Per le connessioni specifiche tra Teofrasto e Simplicio, cfr. Baltussen H., The Presocratics in the Doxographical Tradition. Sources, Controversies, and Current Research, in «Studia Humaniora Tartuensia», 2005 (rivista on-line), pp. 1-26.

(14)

14

successivi autori, fino a trovare una sorta di codificazione nel lavoro di Aezio (I d.C)46.

I.1.4 Diogene Laerzio e il genere delle “biografie”

Un autore imprescindibile, qualora ci si occupi della ricostruzione delle biografie dei pensatori antichi, è Diogene Laerzio. Vissuto a cavallo tra il II ed il III secolo d.C., scrisse un’opera in dieci libri intitolata Vita dei

filosofi. Il piano dell’opera, come era stato anche per la Successione dei Filosofi di Sozione di Alessandria (II a.C) 47, era volto a rintracciare l’origine delle scuole filosofiche ellenistiche, indietro nel tempo, giungendo agli esordi della filosofia, quando ancora era lontano il concetto stesso di scuola48. Il capitolo dedicato a Parmenide si trova così collocato nel IX libro, insieme ai restanti pensatori che la tradizione voleva discepoli della “scuola eleatica” (Senofane, Zenone e Melisso). Tra gli aneddoti riportati da Diogene, trovano spazio anche quelli inventati, creati ad hoc in mancanza di

46Su tale ipotesi, tuttavia, la critica si è divisa. Se da una parte il lavoro di Diels è stato sottoposto ad attenzione, per individuarne eventuali mancanze ed inesattezze circa le testimonianze dei presocratici (cfr. n.3); ancora di più si discute circa l’esattezza del metodo utilizzato nello studio della tradizione dossografica. Mansfeld, Runia e Baltussen, avendo riesaminato gli studi compiuti in questa direzione da Diels, hanno messo in evidenza alcuni aspetti della generale teoria di Diels ritenuti scorretti: il ricondurre tutta la tradizione all’unica fonte di Teofrasto, non considerando possibili altre tradizioni; la sconfinata fiducia in Aezio, autore pressoché sconosciuto, e nella possibilità che le notizie si siano mantenute incorrotte ed identiche per un così lungo periodo di tempo; la trascuratezza con cui il filologo tedesco sembrerebbe non essersi domandato quale fosse il fine di tali raccolte di dottrine, che secondo loro è da ricercare nella dialettica peripatetica; ed infine la poca attendibilità concessa agli autori più tardi. (v. Mansfeld J., Runia D., Aëtiana. The Method and Intellectual Context of a Doxographer, vol. III: Studies in the Doxographical Tradition of Ancient Philosophy, Brill, Leiden, 2009 e Baltussen H., The Presocratics in the Doxographical Tradition. Sources, Controversies, and Current Research, cit.). A tali accuse risponde Zhmud in un articolo del 2001 (Zhmud L., Revising Doxography: Hermann Diels and his Critics, «Philologus», 145, 2001, pp.219-243) in cui analizza tutti i punti delle teorie di Diels che sono, a suo parere, presi «sotto attacco»; sostenendo che si sia assistito alla nascita di una nuova scuola dossografica, la quale ha delegittimato la stessa «integrità di studioso» di Diels e tutta la scuola filologica tedesca del XIX secolo. Il motivo per cui le teorie di Diels sono rimaste inverate fino ad oggi, è, a suo parere, da ricondurre al fatto che non c’è stata alcuna prova sufficiente per screditare il suo fondamentale lavoro. Zhmud in definitiva riabilita le teorie di Diels, sostenendo che la nascita della dossografia sia originata dall’interesse degli antichi per gli aspetti storiografici (restituendole dunque una veste letteraria, al contrario di chi, secondo la sua opinione, aveva cercato di interpretarla come un «philosophical method»); senza tuttavia escludere che ci sia sempre posto per nuove ricerche, scoperte e correzioni.

47Bonazzi M., Fonti, trasmissioni e critica di testi, cit., p.27 48Ibidem.

(15)

15

fonti49, o suscitati dalla passione degli antichi per i τόποι letterari e l’aneddotica. Preziosa è la sua scelta di non prendere posizione rispetto alle diverse varianti di una stessa notizia, cosicché sono state conservate molte interessanti divergenze circa alcuni particolari delle biografie dei filosofi antichi, su cui vale la pena soffermarsi50. In particolare, nel caso di Parmenide, Diogene ci dice che fu uditore di Senofane, (Σενοφάνους δὲ διήκουσε), come confermano numerose altre fonti51

, ma che non fu lui ad introdurlo alla serenità filosofica, quanto un certo Aminia, a cui fu molto fedele e a cui alla morte eresse un sacello, come ad un eroe52; di tale Aminia non si sa pressoché nulla, se non il fatto che, a detta di Sozione, fu un Pitagorico povero, ma di assoluta rettitudine53. Quest’ultima notizia è interessante perché trova una corrispondenza in Giamblico, neoplatonico del III-IV secolo, il quale nel suo catalogo dei Pitagorici (una folta appendice alla fine della biografia di Pitagora, in cui sono riportati i nomi dei seguaci che in ogni città perpetuarono l’insegnamento del maestro), sotto la voce Elea54, inserisce proprio Parmenide. E d’altra parte non è l’unica fonte a parlare di un’adesione dell’eleate al pitagorismo55. Resta dunque da capire quale sia il nesso tra Parmenide e Aminia ed in generale tra Parmenide e il Pitagorismo, e in che modo eventualmente questo possa combinarsi con la notizia circa il discepolato presso Senofane, che è quanto ci prefiggiamo di stabilire più avanti56.

Oltre alle importanti informazioni circa l’attività filosofica, Diogene Laerzio rende noto anche un ruolo attivo dell’eleate nella vita pubblica. Secondo Diogene infatti57, il quale dichiara a sua volta di rifarsi all’opera

Dei Filosofi di Speusippo58, Parmenide avrebbe dato un corpo di leggi ai

49Ibidem.

50 Ibidem.

51Sul rapporto di discepolato tra Senofane e Parmenide cfr. infra § I.3 Parmenide e l’introduzione all’ἡσυχία. Senofane, Aminia e il pitagorismo.

52Diog., IX, 21. 53

Cfr. l’unica testimonianza su Aminia 27 A 1 DK. 5458 A DK.

55Altre significative testimonianze sono ravvisabili in 27 A 1 DK, 28 A 4 DK, 28 A 12 DK; in generale sul problema dell’adesione di Parmenide al pitagorismo cfr. infra § I.3.

56 Ibidem. 57Diog., IX, 23.

58Sulla testimonianza di Speusippo cfr. il fr. 3 Táran in Táran L., Speusippus of Athens. A Critical Study with a Collection of the Related Texts and Commentary, Brill, Leiden, 1981.

(16)

16

suoi concittadini59. Strabone (I a.C.-I d.C.), sebbene fornisca un resoconto meno dettagliato, afferma che, proprio grazie al buon governo di Parmenide e poi di Zenone, gli abitanti di Elea riuscirono a difendersi dall’aggressività dei popoli vicini60. D’altra parte Parmenide proveniva da una famiglia aristocratica e di alto lignaggio61, fatto che, unito ad una sua eventuale adesione al pitagorismo, lo rendeva un candidato perfetto per svolgere un ruolo di prim’ordine nell’amministrazione della sua città62.

I.2 Le citazioni del testo

La trasmissione dei testi dei presocratici ci deriva in minima parte per ritrovamenti papiracei63; per lo più tali testi ci giungono, invece, attraverso le citazioni “alla lettera” che gli autori antichi ne fecero; fortunatamente, questi pensatori furono oggetto di profondo interesse per un tempo molto lungo, e l’interesse per le loro dottrine fu sistematico e costante.

Per quanto riguarda Parmenide, anche in questo caso, il primo a costituire una fonte del testo è Platone, mentre il termine estremo è costituito dal neoplatonico Simplicio, che opera nel VI d.C. Proprio sulla

59La stessa notizia di Parmenide legislatore la ritroviamo in Plutarco: Plut., Adv. Col., 32,3= 28 A 12 DK. Plutarco afferma inoltre che i magistrati di Elea per generazioni continuarono a giurare fedeltà all’ordinamenti da lui stabilito.

60Strab. 6, 1.1= 28 A 12 DK. Nel passaggio del testo di Strabone «δοκεῖ δέ µοι καὶ δι᾽ ἐκείνους καὶ ἔτι πρότερον εὐνοµηθῆναι» Westman legge una polemica circa il fatto che Parmenide abbia dato delle leggi ad Elea, v. Westman R., Plutarch gegen Kolotes, Seine Schrift «Adversus Colotem» als philosophgeschichtliche Quelle, in «Acta Philosophica Fennica» 7, 1955 p. 242; Hershbell replica che, in mancanza di elementi certi che indichino una polemica, il δοκεῖ δέ µοι si possa in realtà intendere come la dichiarazione di Strabone di non avere informazioni dettagliate circa la storia politica di Elea, v. Hershbell J. P., Plutarch and Parmenides, in «Greek, Roman and Byzantine studies», 13, 1972, p. 195. Un’ulteriore soluzione potrebbe essere quella di intendere il passo come una dichiarazione di Strabone circa la sua convinzione che Elea fosse ben amministrata e godesse di buone leggi sia grazie al contributo di Parmenide e Zenone, sia anche grazie a quanti vennero prima, e per l’insieme di queste congiunzioni positive, la città si poté difendere dai vicini. 61Diog. IX, 21.

62Cerri G., Parmenide, Poema sulla Natura, cit. p.51. Alla sua natura di legislatore e di uomo politico di primo ordine, crede in particolare Capizzi che legge, in una visione forse troppo fuorviante, tutto il poema in questa direzione; in particolare Capizzi intravede nel proemio un’ allusione alla situazione politica di Elea e al ruolo di mediatore svolto da Parmenide; esasperando questa ipotesi fino a sostenere che Parmenide parli di filosofia del diritto. Cfr. Capizzi A., Introduzione a Parmenide, cit. e Capizzi A., La porta di Parmenide. Due saggi per una nuova lettura del Poema, cit. Cfr anche n.33.

63Nessun ritrovamento papiraceo ha ancora interessato Parmenide; per una panoramica dei papiri riguardanti opere filosofiche, è disponibile il Corpus dei papiri filosofici greci e latini, III voll. Olschky, Firenze 1989-99.

(17)

17

base di quanto ci dice quest’ultimo64, sappiamo che il poema di Parmenide, al suo tempo, era ormai raro. Vediamo più nel dettaglio le principali fasi della tradizione del testo attraverso i secoli.

I.2.1 La prima fase della trasmissione: l’Accademia ed il

Peripato

Il merito di aver posto un limite, oltre al quale era impossibile risalire, per trovare una copia del poema di Parmenide, è ancora una volta di Diels. Egli sostenne, infatti, che l’origine della trasmissione del Poema sulla

Natura si dovesse collocare non prima del IV secolo, immaginando come

ambiente quello attico65. Di fatto è verosimile che gli appartenenti all’Accademia e al Peripato avessero accesso ad una o più copie di Parmenide, a cui si rifacevano per i loro riferimenti testuali; anche se probabilmente la consuetudine era quella di citare i passi a memoria66. Tuttavia Passa, rifiutando una prospettiva colpevole67, a suo giudizio, di eccessivo “atticocentrismo”68, ipotizza anche l’esistenza, in questo periodo, di eventuali altre tradizioni non attiche, sopravvissute negli autori più tardi69. Per quanto riguarda l’Attica, ancora Passa tenta di guardare la situazione più nello specifico70, e contempla la possibilità di due tradizioni distinte, una definita “accademica”,destinata a costituire la tradizione più prestigiosa, all’origine del più alto numero di copie71: un testo che nel IV secolo, al tempo di Platone, o immediatamente dopo, avrebbe subito una

64

Phys. 144,25 ss.. Simplicio in questa sezione del testo afferma di copiare direttamente dal testo di Parmenide anche in ragione delle ormai pochissime copie del poema che circolavano al suo tempo.

65Diels H., Parmenides Lehrgedicht, Griechisch und Deutsch. Mit ein Anhang über grieschische Thüren und Schlösser, Druck und Verlag Von Georg Reimer, Berlino, 1897 p.26.

66Passa E. Parmenide, tradizione del testo e questioni di lingua, cit., p. 25. 67Ivi, p.26 e ss.

68

Ivi p.26.

69Ibidem. In particolare è convinto che Sesto Empirico si rifaccia ad una fonte non attica.

70Ibidem.

(18)

18

parziale atticizzazione nella forma, pur rimanendo in sostanza accurato72; ed un’altra tradizione, definita “dossografica”, nata in ambiente peripatetico, che farebbe capo a Teofrasto e non ad Aristotele, utilizzata da tutti coloro che avevano interessi appunto dossografici, o che attingevano, nel citare i frammenti di Parmenide, a fonti dossografiche73. A sostegno di tale tesi vi sarebbe la deduzione, operata da più parti74, per la quale, a partire da una lettura del fr. 28 B 16 DK, risulterebbe che Teofrasto e Aristotele abbiano utilizzato due testi diversi. In linea generale, sarebbe da ascrivere alle due diverse tradizioni la tendenza del discepolo a dare molte più notizie sulla biografia e maggiori ragguagli sulla dottrina di Parmenide, rispetto ad Aristotele, il quale si mostra più cauto75.

L’ipotesi è legittima, sebbene non possa essere verificata con certezza. Tuttavia quello che sembra maggiormente interessante è cercare di capire quanto, e se, un’effettiva diversa tradizione possa influire nell’interpretazione del pensiero di Parmenide e questo è possibile solo valutando caso per caso ogni frammento che presenti forme divergenti

72

Per i dettagli circa le modifiche che l’atticizzazione avrebbe portato nel testo di Parmenide cfr Passa, E., Parmenide, tradizione del testo e questioni di lingua, cit. in particolare III.1: Atticcismi della tradizione p. 119 e ss. Per quanto riguarda il problema della ricezione del pensiero di Parmenide da parte di Platone, e il contesto in cui egli inserisce le citazioni v. supra I §1.1 Platone, in particolare la n. 15.

73Ibidem.

74Già lo stesso Diels in Diels H., Parmenides Lehrgedicht, cit., p.26; Coxon in Coxon A. H., The Fragments of Parmenides.A Critical Text with Introduction, Translation, the Ancient Testimonia and a Commentary, Van Gorcum, Assen-Maastricht, 1986 p.4 e Cordero N.-L., L’Histoire du texte de Parménide, in Aubenque P. (a cura di), Études sur Parménide, II, Problèmes d’interprétation, Vrin, Parigi 1987, p. 5 n.13..

(19)

19

I.2.2 Dal silenzio dell’età Ellenistica alle citazioni della prima

Età Imperiale: Plutarco e Sesto Empirico

76

Come spesso avviene, talvolta sembra necessario interrogare non solo le testimonianze, ma anche i silenzi; e di silenzio si può parlare constatando che, tra il III a.C e il I a.C., non possediamo più alcuna testimonianza diretta del testo di Parmenide77. Un arco temporale che dunque coincide con l’età ellenistica; di certo quest’ultima non fu un periodo di staticità, per quanto riguarda la vita intellettuale e il dibattito filosofico; al contrario furono secoli in cui i libri ebbero una straordinaria diffusione, grazie anche all’alto numero di biblioteche presenti. Forse è proprio in direzione della maggiore reperibilità dei testi, che dobbiamo leggere questo dato: fu solo successivamente, a causa della scarsità delle copie superstiti, che i testi dei pensatori precedenti vennero, per così dire, allegati, tramite la citazione diretta, alle opere in cui venivano richiamati78.

In quest’arco di tempo, fu un particolare avvenimento a segnare una svolta importante: si tratta dell’assedio di Atene da parte di Silla nel 86 a.C.,

76Da notare la diversa appartenenza filosofica dei due personaggi a cui è maggiormente affidata la seconda fase della trasmissione del testo di Parmenide. Mentre infatti Plutarco di Cheronea si può considerare un medio platonico, appartenente alla cerchia di coloro che esaltarono la vicinanza tra il pensiero del maestro e motivi e temi pitagorci (Ferrari F., L’antichissima sapienza e la tradizione dell’Accademia in età imperiale, in Eco U., Fedriga R. (a cura di), La filosofia e le sue storie, vol. I, L’Antichità e il Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 2017 p. 264); dall’altra parte Sesto Empirico rappresenta l’ultimo esponente dello scetticismo pirroniano (per la complessa ricostruzione della figura di Sesto Empirico cfr. Spinelli E., Sesto Empirico, in in Chiaradonna R., (a cura di), Storia della filosofia Antica, IV, Dalla filosofia imperiale al tardo antico, Carrocci Editore, Roma, 2016, pp. 129-135). Passa, che suddivide i testimoni del testo di Parmenide in tre gruppi, sottolinea proprio la difformità del secondo: mentre nel primo sono inclusi gli appartenenti alle due maggiori scuole filosofiche dell’ Atene del IV secolo; nel terzo coloro che, seppur dislocati in parti diverse del mondo, e vissuti in periodi diversi, furono collegati al neoplatonismo; nel secondo gruppo questa omogeneità manca, sia a livello cronologico, sia geografico, sia anche di appartenenza. Infatti a Plutarco e Sesto Empirico (qui di seguito trattati), Passa affianca anche il cristiano Clemente Alessandrino ( II-III secolo d.C.) e il biografo Diogene Laerzio (III d.C.); cfr. Passa E., Parmenide, tradizione del testo e questioni di lingua, cit., p.21.

77Passa E. Parmenide, tradizione del testo e questioni di lingua, cit., p. 22.

78Ibidem. Passa, inoltre, sottolinea come tuttavia il periodo ellenistico fu fondamentale per la normalizzazione di tutte le tradizioni che si erano andate formando nei secoli precedenti.

(20)

20

durante la prima guerra mitridatica; a seguito di questo, l’Accademia, il Liceo, il Giardino e la Stoa cessarono per sempre di esistere nella forma originaria; Silla trasferì la voluminosa biblioteca del Liceo a Roma, e importanti intellettuali e filosofi, come Filone di Larissa e Filodemo di Gadara, si spostarono alla volta dell’Italia, portando al loro seguito i libri posseduti, fondamento del loro sapere79. Si assistette, in sostanza, ad un decentramento della filosofia80, che tuttavia non significò la fine di Atene come centro filosofico: se da una parte, infatti, fu possibile l’emergere di nuovi centri culturali, come Alessandria, Roma, e successivamente Amapea, Antiochia, Pergamo e Costantinopoli; dall’altra, questo concatenamento di eventi concorrerà alla volontà di riportare in auge nella città greca il sapere antico, duramente colpito dall’assedio romano.; volontà concretizzatasi nell’istituzione di vere e proprio cattedre pubbliche di filosofia, come quelle istituite da Marco Aurelio nel 176 d.C.; e nello sviluppo dell’esegesi dei testi degli antichi maestri81. Cosicché Atene, nonostante i forti cambiamenti avvenuti con il sopraggiungere del potere di Roma, non rimase sprovvista dei testi letterari e filosofici, che lì avevano visto il loro primo fiorire82.

Ma ripartiamo dal riemergere della tradizione del testo di Parmenide nella prima età imperiale, con Plutarco.

I.2.2.1 Plutarco

79V. Chiaradonna R., La filosofia nell’età imperiale, in Chiaradonna R., (a cura di), Storia della filosofia Antica, IV, Dalla filosofia imperiale al tardo antico, cit., pp. 21-28.

80

In particolare su questo aspetto ha riflettuto Sedley, in Sedley D. N., Philodemus and The Decentralisation of Philosophy, in «Cronache Ercolanesi», 33, 2003, pp.31-41. Sedley considera la presa di Atene da parte di Silla come il punto culminante della climax del decentramento filosofico. I segni di tale fenomeno iniziavano ad essere visibili già tra la fine del II sec. a.C., e l’inizio del I a.C.: Roma aveva accompagnato la crescita del suo potere ad un maggiore interesse per la filosofia, intuibile dal successo riscosso dalla visita dei tre filosofi ateniesi (Critolao, Carneade e Diogene di Babilonia) nel 155 a.C. Questa congiunzione di aspetti (una buona disposizione per la filosofia, ed un sempre maggiore accentramento del potere politico) aveva reso la città una meta ambita per molti filosofi. Ed inoltre anche Rodi e Mileto iniziavano ad essere oggetto del trasferimento di filosofi da Atene. Con l’anno 86 a.C., a questo stato di cose si aggiunsero: i danni propriamente fisici che la città di Atene e le scuole riportano a causa dell’assedio, le implicazioni politiche di tale assedio, e, soprattutto, la dispersione del patrimonio librario dovuto agli scippi operati dai generali romani (in particolare da Silla). Cosicché il decentramento filosofico fu ormai un fatto compiuto.

81V. Chiaradonna R., La filosofia nell’età imperiale, in Chiaradonna R., (a cura di), Storia della filosofia Antica, IV, Dalla filosofia imperiale al tardo antico, cit., pp. 22.

82In questo senso si comprende come Sidley parli del fenomeno del decentramento filosofico come di un’eclissi che non estinse la filosofia tutta insieme dalla città greca, Sedley, in Sedley D. N., Philodemus and The Decentralisation of Philosophy, cit. p.34.

(21)

21

Con Plutarco, nel I d.C., abbiamo nuove testimonianze del testo di Parmenide. Ci giungono infatti i frammenti 28 B 1.29-30, B 8.4, B 13, B 14, B 15 DK; per gli ultimi due egli costituisce l’unico testimone.

Un’attenta e puntuale rilettura di Plutarco come fonte risulta fondamentale perché, ribaltando, grazie anche agli strumenti offerti dalla filologia, i giudizi a lungo tempo sostenuti circa la sua scarsa conoscenza di Parmenide83, permette di far emergere aspetti della dottrina dell’eleate, tralasciati da tutte le altre testimonianze, e dagli studi di antichi e moderni.

Sulla validità della testimonianza plutarchea si è dunque molto discusso; le questioni maggiori possono essere riassunte in due ordini di problemi, nota Hershbell84, fautore di un recupero di Plutarco come fonte autorevole: Plutarco conosceva il pensiero di Parmenide in modo da darne un’interpretazione verosimile? E su cosa basava la propria conoscenza, aveva a disposizione una copia del testo di Parmenide per intero, o ricavava le informazioni, come dichiara di fare talvolta nelle sue opere, da ὑποµνήµατα85

?

Per risolvere il problema del testo di riferimento di Plutarco, sembra dunque necessario partire dal determinare quale e quanto approfondita fosse la conoscenza di questo autore circa Parmenide: qualora, infatti, si arrivasse a postulare una sua buona dimestichezza con la dottrina del filosofo di Elea, sarebbe consequenziale pensare che egli avesse accesso ad una copia dell’intera opera.

Oltre alle brevi citazioni dirette del testo, su cui a breve torneremo, Plutarco fornisce anche delle notizie sulla biografia dell’eleate, parlandoci, come abbiamo visto86, del ruolo politico svolto nella sua città, e formulando commenti generali sul suo poema. In particolare, nel Quomodo adolescens

83

A partire da Fairbanks in Fairbanks A., Plutarch’s Quotations from the Early Greek Philosophers, in «Transactions of the American Philological Association», 28, 1897, pp. 75-87; ma ancora questo giudizio perrmane nell’edizione di Parmenide di Táran, v. Táran L., Parmenides. A text with Translation, Commentary and Critical Essays, Princeton University Press, Princeton, 1965, p.88.

84Hershbell J. P., Plutarch and Parmenides, cit., p.193.

85Sull’uso da parte di Plutarco degli ὑποµνήµατα v. Martin Jr H., Plutarch’s citation of Empedocles at Amatorius 756D, in «Greek Roman and Byzantine Studies», 10, 1969, p. 70 n. 32; per l’ipotesi dell’impiego di uno ὑπόµνηµα di matrice stoica per la citazione di frammenti di Parmenide, v. Fairbanks A., Plutarch’s Quotations from the Early Greek Philosophers, cit, p. 82.

(22)

22

poetas audire debeat, egli, riflettendo sul tema e sulle finalità della poesia,

constata che di necessità, a causa dello sforzo che gli autori compiono in direzione del τέρπον, i versi finiscono per contenere delle falsità (16 A). A tal proposito Plutarco nomina anche Empedocle, Parmenide, Nicandro, autore dei Theriaca, e Teognide; affermando che essi siano ricorsi alla poesia per impreziosire i propri discorsi (16 C-D). Parmenide è così inserito in un gruppo di autori che Plutarco dimostra di conoscere bene87: numerose sono le citazioni di Empedocle contenute nei Moralia, e nel catalogo di Lampria una copiosa opera sul filosofo in questione è attribuita all’autore di Cheronea88; sempre dal Catalogo, alla voce 120, sappiamo che un altro lavoro era stato dedicato ai Theriaca di Nicandro, e d’altra parte Stephanus Byzantius cita Plutarco tra gli ὑποµνηµατίσαντες αὐτόν (di Nicandro)89; infine, è ragionevole pensare che, sebbene non sembra che egli avesse uno spiccato interesse per Teognide, di cui ci lascia pochissime citazioni, ne avesse nozione in modo almeno sufficiente, coerentemente allo spessore culturale che gli appartiene.

Nella sezione 45 A-B del De recta ratione audiendi, indirizzata allo studente Nicandro, Plutarco scrive:

Μέµψαιτο δ ἄν τις Ἀρχιλόχου µὲν τὴν ὑπόθειν Παρµενίδου δὲ τὴν στιχοποιίαν [...]

Gli altri autori citati (oltre ad Archiloco e Parmenide) sono Focilide, Sofocle ed Euripide, personaggi fondanti della tradizione culturale greca, rispetto ai quali Plutarco doveva sicuramente possedere una preparazione

87Hershbell J. P., Plutarch and Parmenides, cit., p.196-197. 88

Per un resoconto dettagliato circa la conoscenza di Empedocle da parte di Plutarco cfr. Hershbell, J. P., Plutarch as a Source for Empedocles Re-examined, in « The American Journal of Philology», 92, 1971, pp. 156-84. Anche Fairbanks, fautore della tesi che Plutarco si serva di una fonte di seconda mano per le citazioni dei primi filosofi, ammette però che le estese citazioni di Empedocle inserite nella Adversus Colotem 1111 e 1113, e alcune altre sparpagliate nei Moralia, siano state fatte senza alcun dubbio a partire dal libro di Empedocle. Questo non lascia dubbi circa la buona conoscenza che Plutarco doveva avere di questo filosofo. Cfr. Fairbanks A., Plutarch’s Quotations, cit, p.82.

89

Hershbell J.P., Plutarch and Parmenides, p.196. Per le citazioni di Nicandro in Plutarco cfr. Helmbold W. C., O’

Neil, E. N., Plutarch’s Quotations, American Philological Association B.H. Blackwell, Baltimore Oxford, 1959, sotto la voce Nicandro.

(23)

23

accurata90. Hershbell, inoltre, evidenzia che, per quanto il giudizio negativo sulla poetica di Parmenide era opinione diffusa tra gli antichi91, per riportare tale critica, Plutarco doveva aver avuto un riscontro del poema sicuramente più ampio di quello che poteva essere basato su pochi versi citati in qualche compendio92.

La menzione dell’opera di Parmenide insieme a quella di altri personaggi ben noti a Plutarco, si trova anche in una sezione dell’opera De

Pythiae Oraculis, la 402 F93, dove uno degli interlocutori, Diogeniano, si domanda per quale motivo gli oracoli abbiano cessato di dare responsi in versi. Filino risponde che anche i filosofi hanno trattato delle loro dottrine in versi, in particolare lo hanno fatto Orfeo, Esiodo, Parmenide, Senofane, Empedocle e Talete94; il fatto che si sia passato a scrivere di filosofia in

90Per i legami specifici che legano Plutarco con ciascuno di questi autori v. Hershbell J. P., Plutarch and Parmenides, cit. p. 197.

91

Per una rassegna dei giudizi di antichi e moderni sull’opera di Parmenide cfr. Wöhrle G., War Parmenides ein schkechter Dichter? Oder: Zur Form der Wissensvermittlung in der frühgrieschischen Philosophie, in Kullmann W., Althoff J. (a cura di), Vermittlung und Tradierung von Wissen in der grieschischen Kultur, ScriptaOralia, Tubinga, 1993,pp.167-180. Già Diels sosteneva che fosse impossibile negare che i versi fossero tra loro sconnessi, la prosodia insolita, l’espressione poetica goffa e che le poche metafore poetiche si ripetessero troppo assiduamente, v. Diels H., Parmenides Lehrgedicht, cit., p.7; Mourelatos trova questo giudizio troppo duro, ma parla anche lui di poca disinvoltura metrica ed espressiva, v. Mourelatos A., The Route of Parmenides, Yale University Press, New Haven, 1970, pp. 3-4,35-36 e 246-247; ancora in modo negativo si esprime Nannini sostenendo che si tratti di un esametro impacciato e poco fluido, fatta eccezione nella sezione del proemio, e ritiene che la ragione sia da ricercare non solo nel tramonto della oralità, ma anche nelle minori doti poetiche di Parmenide, rispetto a quelle, ad esempio, di Empedocle, v. Nannini S.,Il poema filosofico, in Eco U., Fedriga R. (a cura di), La filosofia e le sue storie, vol.I, L’Antichità e il Medioevo, cit. p.37. Al contrario Cerri enfatizza il fascino dell’opera e ritiene che questa visione negativa della poetica di Parmenide sia causata da «una aprioristica divisione di competenze tra scienza e poesia, tra filosofia e letteratura», che ha permeato il giudizio sia degli gli antichi, influenzati dalla dottrina aristotelica della mimesi, sia dei moderni, i quali la ereditano, invece, da una nozione di “categoria estetica” scaturita dalla visione romantica e idealistica; v. Cerri G., Parmenide, Poema sulla natura, cit. p.93 92

Ibidem. 93Ivi, p.198.

94Solamente circa Orfeo e Talete non abbiamo la certezza che scrissero in versi. Tuttavia nel caso del primo, era un luogo comune nell’antichità sostenerlo, cfr Hershbell J. P., Plutarch and Parmenides,cit. p.198; circa invece Talete è piuttosto discussa la questione dei suoi scritti. Infatti secondo Diogene Laerzio, I.23 secondo alcuni non lasciò scritti, secondo altri scrisse invece un’ Astronomia Nautica, secondo altri ancora sono da ricondurre a lui solo due opere: Del Solstizio e Dell’Equinozio. Non avendo altre notizie al riguardo, è difficile, se non impossibile, desumere se tali opere fossero mai state composte , ed eventualmente in che forma, se in poesia o prosa; per un’ipotesi di ricostruzione del personaggio di Talete e dei suoi scritti cfr. O’Grady P., Thales of Miletus: The Beginnings of Western Science and Philosophy, Ashgate, Londra, 2002. O’ Gadry in questo testo afferma la grandiosità di Talete come primo scienziato e primo filosofo, non solo per quello che ha fatto, ma anche per quello che ha scritto. Infatti l’autore compie un tentativo di ricostruire anche la storia degli scritti di Talete, muovendo dal presupposto che già al tempo di Aristotele non dovevano più circolare.

(24)

24

prosa non determina la fine della filosofia, e lo stesso vale per l’arte profetica (403 A). Anche in questo caso, Plutarco non fornisce alcun indizio circa il fatto di aver sottomano una copia di Parmenide, ma ci dà prova di conoscere accuratamente il panorama filosofico- letterario in cui egli si inserisce.

Alla luce di quanto affermato, sembra piuttosto verosimile attribuire a Plutarco una buona conoscenza di Parmenide, basata, probabilmente, anche sulla lettura del suo poema. D’altra parte immaginare che egli abbia avuto accesso al testo non è difficile: sebbene, infatti, sappiamo proprio da lui che la biblioteca della sua città natale, Cheronea, non era molto fornita95, altresì ci sono noti i suoi viaggi ad Atene, Alessandria e Roma96. Mentre circa le ultime due città possiamo solo supporre che egli ne abbia frequentato le biblioteche97, riguardo Atene è lui stesso che, in De E apud

Delphos 384 E, parla dei vantaggi offerti dai numerosi libri lì reperibili.

Quanto rimane da verificare, per dar fondamento a questa ipotesi, è una conferma testuale. I versi che Plutarco riporta sono pochi e brevi ; a partire da questo dato, le maggiori critiche mosse all’ipotesi che Plutarco avesse a disposizione una copia dell’opera di Parmenide98, sono state che, non solo il numero di frammenti è ridotto, ma si tratta anche di citazioni molto comuni nell’antichità, e quindi reperibili anche senza avere il testo del Περί Φύσεως sotto gli occhi; tanto più che non sembrano poi essere molto accurate99. Infine è stata contestata un’influenza troppo incisiva di Platone nel caso del frammento 28 B 13 DK, e più in generale in tutti i luoghi dei testi dove si discute di Parmenide, per attribuire a Plutarco una conoscenza indipendente del filosofo di Elea100.

Circa i due frammenti che ci rimangono solo grazie a Plutarco, ossia il 28 B 14 e il 28 B 15 DK ne rimandiamo la trattazione, in quanto necessitano preventivamente di una interpretazione della sezione del poema di cui facevano presumibilmente parte, ossia quella della δόξα; argomento

95V. Plut., Demosth., 2.1 e Plut. De E a. Delph. 384 E. 96Hershbell J. P., Plutarch and Parmenides,cit. pp.198-199. 97

Ibidem. Cfr. anche Jones C. P. Plutarch and Rome, Clarendon Press,Oxford, 1971. 98

Hershbell J. P., Plutarch and Parmenides,cit. p. 199. 99Ibidem.

(25)

25

sul quale avremo modo di tornare più avanti. Consideriamo invece ora le citazioni che sono state oggetto di attenzione da parte della critica.

I frammenti 28 B 1.29-30 e B 8.4 DK sono annoverati fra quelli ripetutamente citati dagli antichi, e poco curati nella forma. Circa il primo aspetto, è necessario evidenziare come gli altri autori che li citano siano tutti posteriori a Plutarco101: si tratta infatti, per quanto riguarda il primo, di Clemente Alessandrino, Sesto Empirico, Proclo e Simplicio; per quanto riguarda invece il secondo di Clemente Alessandrino, Teodoreto, Giovanni Filopono e Simplicio102. È dunque possibile che fossero stati citati anche in opere di autori precedenti a Plutarco, poi andate perdute, ipotesi sostenuta in particolare da Fairbanks103; questa supposizione tuttavia è comunque più impegnativa dell’affermare che Plutarco avesse citato questi versi, o perché avesse una copia del poema sulla natura di Parmenide sotto gli occhi, o perché, dopo averlo studiato a fondo, era in grado di trarne citazioni a memoria. D’altra parte nemmeno la questione sollevata circa la poca cura del testo sembra determinante per sostenere la necessaria presenza di una fonte di seconda mano, da interporre tra Plutarco e i versi parmenidei: deve infatti essere ricordato che entrambe le citazioni provengono dall’ Adversus

Colotem, opera di Plutarco trasmessa unicamente dai manoscritti E e B, i

maggiormente interessati da lacune e contaminazioni104. Ma analizziamoli più da vicino:

i vv. 28 B1.29-30 DK sono citati nella Adversus Colotem a 1114 D, il B 1.29 probabilmente come:

ἠµὲν Ἀληθείες εὐπειθέος ἀτρεκὲς ἦτορ

dove ἀτρεκ [ ] è seguito da una lacuna di sette lettere105; è interessante soffermarsi sulla variante che Plutarco riporta: εὐπειθέος. Le varie fonti del

101Ivi p.200.

102Ibidem. Per un prospetto completo e un commento delle fonti di Parmenide v. Tarán L., Parmenides: A text with Translation, Commentary, and Critical Essays, cit.; e O’ Brien D., Problèmesd’établissement du texte, in Aubenque P. (a cura di), Études sur Parménide, II, Problèmes d’interprétation,cit.

103Fairbanks A., Plutarch’s Quotations, cit. pp. 81-82. 104

Hershbell J.P., Plutarch and Parmenides, cit. p.200. Per la tradizione manoscritta di Plutarco v. Westman, R., Plutarch gegen Kolotes, Seine Schrift «Adversus Colotem» als philosophgeschichtliche Quelle, in «Acta Philosophica Fennica» 7, 1955 cit. pp. 15-17. 105Ibidem.

Riferimenti

Documenti correlati

The typology of modes of protection against statelessness follows the logic of a more general typology on modes of acquisition of citizenship

The reliance on protective custody and the increasing tightening of border controls along the Eastern Mediterranean route have encouraged many unaccompanied and separated children

The current changes in East Europe perhaps represent an invitation to think again the links between politics and society, in order to create new forms

Come si può osservare in Tabella 6.15 e in Tabella 6.16 nei modelli di forecasting costruiti per prevedere l’occupazione del segmento corporate si sono

Quando l’aria dentro il pallone viene scaldata, essa diventa meno densa e leggera a causa della fuoriuscita di materia; ciò riduce la massa complessiva della mongolfiera e, nel

non troverai il pensiero: nient’altro infatti è o sarà al di fuori dell’essere, poiché di fatti la Moira lo vincolò ad essere un tutto ed immobile; perciò non sono che puri nomi