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Parmenide e l’introduzione all’ ἡσυχία Senofane, Aminia e il pitagorismo

Una buona parte delle fonti tende ad associare la figura di Parmenide a quella di Senofane, designandolo come suo allievo. La prima testimonianza in questa direzione è ricavata da Aristotele Metaph. 986b 18- 28: quest’ultimo esprime un giudizio positivo su Parmenide, affermando che «Παρµενίδης δὲ µᾶλλον βλέπων ἔοικέ που λέγειν», parlerebbe dunque

186Cerri G., Parmenide, Poema sulla natura, cit., pp. 250-251. 187Ivi, p.154.

188Questo è quanto in particolare sostiene Passa in Passa E., Parmenide, tradizione del testo e questioni di lingua, cit. pp. 41-42. Egli condivide peraltro il giudizio di Whittaker, il quale parla espliciamente di una «unintelligent transcription», v. Whittaker J., God, Time, Being, Two Studies in the Trascendental Tradition in Greek Philosophy, Symbolae Osloenses Supplementary, vol. XXIII, Oslo, 1971, p. 21. Passa sostiene che il cosiddetto “inquinamento” del testo non avvenga solo al livello di lingua, ma anche e soprattutto a livello di contenuti. Rispetto a queste proposte si avrà modo di tornare quando si effettuerà un commento ai frammenti stessi; intanto si veda Passa E., Parmenide, tradizione del testo e questioni di lingua, cit. pp. 42-43, con i seguenti riferimenti bibliografici e rimandi.

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«volgendo più lo sguardo»189, rispetto a Senofane e Melisso, definiti «µικρὸν ἀγροικότεροι», «un po’ più grossolani»190; poco sopra egli ha sostenuto che «ὁ γὰρ Παρµενίδης τούτου λέγεται γενέσθαι µαθητής»: «si diceva che Parmenide fosse stato suo discepolo», riferendosi il τούτου al sopra menzionato Senofane; sempre Aristotele, questa volta nella

Retorica191, aggiunge che Parmenide si sarebbe accostato alla filosofia proprio in occasione del soggiorno di Senofane ad Elea, divenendone il più fedele tra i discepoli. La notizia, ben attestata, ha attraversato i secoli, giungendo, attraverso la parola degli scrittori posteriori, fino alla Suida192.

Prima di verificarne l’attendibilità, è necessario volgere l’attenzione al passo da cui tale informazione trae origine. Infatti non a torto, come a breve diremo, le sezioni di Aristotele appena menzionate sono messe in connessione con Platone, Sofista, 242 D 193 : la sezione cosiddetta dossografica del dialogo. Lo straniero passando in rassegna le opinioni dei predecessori, ed in particolare, considerando quali e quante siano “le cose che sono” (τὰ ὄντα), divide tra coloro che ritenevano fossero tre, quelli che ne contavano solo due, ed infine, altri ancora, secondo i quali «ἑνὸς ὄντος τῶν πάντων καλουµένων»: «ciò che viene chiamato “tutte le cose” è uno»194

; in quest’ultima direzione andava il pensiero della “gente eleatica” di cui fa parte lo stesso Straniero; il quale riconosce il capostipite in Senofane («τὸ δὲ παρ᾽ ἡµῖν Ἐλεατικὸν ἔθνος, ἀπὸ Ξενοφάνους τε καὶ ἔτι πρόσθεν ἀρξάµενον»).

Stando così le cose, si presentano due possibilità: o Aristotele ha appreso la notizia (falsa) da Platone, il quale l’avrebbe coniata sullo stampo

189Traduzione di Marcello Zanatta in Zanatta M., Aristotele, Metafisica, BUR, Milano, 2009.

190Ibidem.

191Aristot. Rhet.1399b 5 e 1400b 5 = 21 A 12 e 13 DK.

192Nello specifico la ritroviamo in Ps. Plut. ap. Eus. Praep. Ev., I 8, 5 (= 28 A 22 DK), Alex., in Metaph. 984b 1 (= 28 A 7 DK) in cui si dice che Parmenide successe a Senofane (τούτῳ δὲ ἐπιγενόµενος Παρµενίδης); entrambe le notizie sono fatte risalire senza esitazioni a Teofrasto in Zeller E., Mondolfo R., La Filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit. p.166. Anche Passa (Passa E., Parmenide tradizione del testo e questioni di lingua, cit., p. 16) si dice certo che questa διαδοχή dopo Aristotele si sia fissata nelle Φυσικαὶ ∆οξαὶ di Teofrasto,. Ancora la notizia di Parmenide discepolo di Senofane la ritroviamo in Clem. Al., Strom., I 301 e sempre in Clem. Al., Strom., I 64.2 (= 21 A 8 DK), Diog., IX 21 (= 28 A 1 DK), Simpl., Phys., 22,27 (= 28 A 7 DK), Sext., Math., VII 111 (= 28 B 1 DK) e Suid., Παρµ. (= 28 A 2 DK).

193V. Passa E., Parmenide questioni di lingua e tradizione del testo, cit.,pp. 16-17 e Palmer J. A. Plato’s reception of Parmenides, cit., p. 186 e ss.

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della sua consueta ironia195, e una volta transitata attraverso le opere di Aristotele, si sarebbe normalizzata in tutti gli autori successivi; oppure sia Platone che Aristotele riportano la notizia in quanto certa (senza che questo escluda che entrambi abbiano potuto dare successivamente un’interpretazione del pensiero di Parmenide e Senofane funzionale alle loro dottrine). Tuttavia in ambedue i casi la questione risulta problematica: se effettivamente sia da credere, senza riserve, che Senofane sia stato il maestro di Parmenide ,e colui che iniziò ad orientare il pensiero della “gente eleatica”, cosa intende Platone con Ἐλεατικὸν ἔθνος? Bisogna forse attribuire a questa espressione un significato reificato, ossia pensarla come una vera e propria scuola? E in che termini si può parlare di scuola nell’Elea del VI-V secolo? D’altra parte, se la notizia fosse falsa, costruita ad hoc da Platone, quali sono le ragioni per cui lo ha fatto? quale legame ha intravisto tra i due personaggi? Infine sarà necessario occuparsi di come un eventuale discepolato di Parmenide presso Senofane si possa integrare con altre fonti, secondo le quali non fu l’uomo di Colofone il vero maestro di Parmenide, bensì un tale Aminia, un pitagorico196.

La critica è tutt’altro che unanime nell’accogliere la fondatezza della notizia di un Parmenide allievo di Senofane. In termini decisamente ottimistici si espresse lo Zeller nel 1919197, non vedendo alcuna ragione per dubitare della veridicità di quanto attestato. Ma già in quegli stessi anni, alcune perplessità iniziavano ad essere sollevate198. Reinhardt nel 1916199, basandosi sostanzialmente su un recupero della fiducia circa la genuinità del

MXG (lo scritto attribuito allo Psuedo-Aristotele e denominato De Melisso, Xenophane, Gorgia), posticipa la data dell’attività intellettuale di Senofane

rispetto a quella di Parmenide, incoronando quest’ultimo come il fondatore

195Tesi sostenuta a partire da Burnet in Burnet J., Early greek Philosophy, A. & C. Black, Londra, 1930 pp.126-7; egli riscontra l’ironia di Platone in particolare nell’affermazione dello Straniero secondo la quale la formulazione dell’unità delle “cose che sono” risalga a Senofane e anche a pensatori prima di lui (τε καὶ ἔτι πρόσθεν).

196Cfr. 28 A 1 DK e 27 A DK. 197

«Per il ripudio di un dato così ben testimoniato e in se stesso tanto verosimile non c’è la più lontana ragione» : Zeller E., Mondolfo R., La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, cit., p.16.

198A partire da Burnet per il quale v. supra n. 187. Inoltre una rassegna di tutte le proposte che furono fatte negli anni circa la questione della διαδοχή, a cui accenneremo brevemente, si trova in Palmer J. A., Plato’s reception of Parmenides, cit., pp. 186-190.

199Reinhardt K., Parmenides und die Geschichte der griechischen Philosophie, Choen, Bonn, 1916.

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della scuola Eleatica; quindi di fatto smentendo il discepolato di Parmenide presso Senofane, ma non la fondazione di una scuola eleatica. Sulla scia di questa nuova ipotesi, si colloca quella di Jaeger di vent’anni successiva200; egli, come Palmer evidenzia201, incarna bene l’esempio di chi, al fine di slegare definitivamente Parmenide e Senofane da ogni reciproco rapporto o influenza, è arrivato a sostenere tesi piuttosto discutibili: Jaeger, infatti, nel sostenere l’assoluta originalità di Parmenide, definì il Senofane eleatico “una chimera”; egli sarebbe stato, a suo giudizio, unicamente un pensatore religioso, influenzato dalla filosofia Ionica202.

Nel corso degli anni, questa tendenza a considerare la notizia di Platone come infondata si è accentuata, anche con attacchi più forti. Si è dunque stabilito che il legame riscontrabile tra i due filosofi, qualora non sia del tutto negato, si limiti a delle somiglianze, delle lontane eco che non si rispecchiano, però, in una vicinanza di dottrina203.

Il punto di partenza dell’indagine è evidentemente quello di verificare quanto sia legittimo parlare di un contatto tra i due pensatori. La maggior parte della critica scarta l’ipotesi di un soggiorno di Senofane nella città italica204.Tuttavia Cerri bolla questa tendenza come «ipercritica»205, e si presta ad una nuova interpretazione delle fonti, secondo la quale il passaggio di Senofane ad Elea risulta ben attestato, e dunque certo206; sappiamo infatti che Senofane, abbandonata la città natale di Colofone,

200Jaeger, W., The Theology of the Early Greek Philosophers, trad. Robinson E. S., Gifford Letures 1936, Clarendon Press, Oxford, 1947.

201

Palmer, Plato’s reception of Parmenides, cit., p.186.

202Jaeger, W., The Theology of the Early Greek Philosophers, cit. pp.51-4

203In particolare Tarán in Tarán L., Parmenides: A Text with Translation, Commentary, and Critical Essays, cit. Per un approfondimento sulla biografia al riguardo, v. Palmer, Plato’s Reception of Parmenides, cit., p. 188 n.11. Guazzoni Foà, al contrario, ritiene che l’importanza di Senofane su Parmenide si eserciti sulla dottrina di quest’ultimo, in due direzioni: avendo permesso di postulare l’unità esteriore dell’Essere (tramite l’introduzione dell’unita del dio ravvisabile nel famoso frammento 21 B 23 DK), ma anche quella interiore, tramite il carattere di οὖλος che sarà poi caratteristico dell’Essere parmenideo: v. Guazzoni Foà, V., Senofane e Parmenide in Platone in «Giornale di Metafisica», 16, 1961, p.470. 204Ad esempio Cordero esclude che Parmenide possa essere stato effettivamente discepolo di Senofane, sostenendo che Parmenide probabilmente non avesse mai lasciato Elea, ma soprattutto negando il soggiorno ad Elea di Senofane; v. Cordero N.-L., L’invention de l’école éléatique: Platon, Sophiste, 242 D, in Aubenque P. (gen. ed.), Narcy M.,(ed.), Études sur le Sophiste de Platon, Bibliopolis, Napoli, 1991, pp. 91-124.

205Cerri G., Senofane ed Elea (una questione di metodo), «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» 66 No. 3, 2000, pp. 31-49.

206Cfr. 21 A 2 DK= 78 Gent.-Pr.; 21 A 8 DK= 3; 21 A 30 DK =25; 21 A 31 DK =33; 21 A 32 DK=60 21 A 36 DK=96; inoltre 108 Gent.-Pr.= 29 a 2 DK; 110 Gent-Pr.= 28 A 2 DK; ed infine 12;72;89;94;97 Gent.-Pr. non compresi nella raccolta DK.

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iniziò sicuramente a viaggiare in Occidente207; Elea probabilmente non costituì per lui una fissa dimora208, proprio per la sua natura di pensatore errante209, ma solo un luogo di transito. Quanti si mostrano dubbiosi circa questa notizia potrebbero sostenere, a ragione, che in Diogene Laerzio al IX, 18 (21 A 1 DK), nell’elenco dei soggiorni stranieri effettuati da Senofane in Occidente, non compare il nome della città di Elea:

οὗτος ἐκπεσὼν τῆς πατρίδος ἐν Ζάγκλῃ τῆς Σικελίας διέτριβε δὲ καὶ ἐν

Κατάνῃ.

Tuttavia, come è evidente, il passo è lacunoso: manca il verbo coordinato tramite il καὶ a διέτριβε, e nel mezzo potrebbero esserci uno o più elementi tra cui il nome di Elea210. Inoltre, a far da contrappeso a questo argomento ex silentio, abbiamo un’altra notizia dello stesso Diogene Laerzio in IX, 20; secondo cui Senofane compose anche due operette: La fondazione

di Colofone e la Colonizzazione di Elea d’Italia, per un totale, sembrerebbe,

di duemila versi, della cui autenticità non c’è ragione di dubitare: il genere letterario delle narrazioni di fondazioni di città era, infatti, molto praticato al tempo di Senofane211.

Un’altra occasione per sostenere la tesi di uno o più soggiorni presso Elea di Senofane, è offerta dalla lettura di un suo frammento, il 21 B 22 DK (=13 Gent-Pr.) 212: πὰρ πυρι χρὴ τοιαῦτα λέγειν χειµῶνος ἐν ὥρηι ἐν κλίνηι µαλακῆι κατακείµενον, ἔµλεον ὄντα, πίνοντα γλυκὺν οἶνον, ὑποτρώγοντ’ ἐρεβίνθους· ῾τίς πόθεν εἶς ἀνδρῶν, πόσα τοι ἔτε ἐστι, φέριστε; πηλίκος ἥσθ’, ὅθ’ ὁ Μῆδος ἀφίκετο; 207Cfr. i frammenti 21 B 8 DK e 21 B 45 DK 208

Cerri G., Senofane ed Elea (una questione di metodo), cit., p.40 209V. Nota 197.

210In particolare Diels di inserì dopo Σικελίας <διέτριβε καὶ τῆς εἰς Ἐλέαν ἀποικίας κοινωνήσας ἐδίδασκεν ἐκεῖ>. Tuttavia è stato forse incauto accogliere direttamente nel testo un’ipotesi che non può essere avvalorata da nessun altro supporto. Cfr. Cerri G., Senofane ed Elea (una questione di metodo), cit. pp. 48-49.

211Ne sono un esempio la Smirneide di Mimnermo, poemetto in distici elegiaci e la perduta Archeologia dei Sami di Semonide, oltre che le Ἰωνικά di Paniassi di Alicarnasso. Per ulteriori informazioni sulle due opere di Senofane e per una discussione circa il metro con cui dovevano essere scritte v. Cerri G., Senofane ed Elea (una questione di metodo), cit., pp. 42-44.

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Il frammento, che alla sensibilità del lettore moderno richiama l’accogliente atmosfera delle Odi oraziane, sembra delineare un quadretto domestico; dove due persone si ritrovano a conversare davanti ad un focolare, tra un bicchiere di vino e l’altro, avendo goduto di una buona cena. Ma l’ultima domanda che viene posta, è per il nostro interesse determinante: «quale era la tua età quando sopraggiunse il Medo213?», chiede uno dei due interlocutori; il quesito viene posto con lo stesso tono colloquiale dei due precedenti; dobbiamo quindi immaginare la domanda suonasse famigliare e consueta,nello scenario tratteggiato214. Il componimento potrebbe essere ambientato in una qualsiasi città dell’Asia Minore, che abbia subito l’assedio persiano; tuttavia proprio da un altro frammento di Senofane (cfr. 21 B 8 DK) noi sappiamo che egli abbandonò presto Colofone, intorno ai venticinque anni, probabilmente spinto dall’imminenza della situazione appena citata, e che da quel momento non tornò più in patria, ma si diede a viaggiare nelle città d’Occidente. Esclusa la possibilità dell’ambientazione in una città greca dell’Asia Minore, calza a pennello la proposta di Cerri, secondo la quale questi versi sarebbero stati composti proprio ad Elea215; sappiamo infatti che Elea fu fondata nel 540 a.C. dagli esuli di Focea, in fuga per non sottomettersi al domino persiano; non era dunque stato un normale atto di colonizzazione, quanto piuttosto un esodo di massa, con cui Focea aveva trovato nuova vita nelle coste occidentali216; vicissitudini che dovevano aver colpito particolarmente la memoria degli abitanti della città, e che, impressi, continuavano ad essere raccontati.

La suggestione ad accettare l’interpretazione dei sopracitati versi in questa direzione è forte, e consolidata dal numero di fonti che, abbiamo visto, mettono in relazione Senofane con Elea217; manca però da apporre un ulteriore tassello, di certo molto significativo, per sostenere un possibile discepolato, o comunque un’eventuale influenza, tra Parmenide e Senofane: una vicinanza di dottrina. In entrambi i casi, sia che venisse accettata questa

213Traduzione di Cerri in Senofane ed Elea (una questione di metodo, cit., p.45. 214Ivi pp.46-47.

215 Ibidem.

216Ivi p.35. La narrazione della fondazione di Elea ci viene raccontata in Hdt., I 162-165. 217Cfr. n. 206; per ulteriori connessioni si rimanda direttamente all’articolo sopracitato di Cerri.

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possibilità, sia che si neghi ogni forma di contatto, rimane evidente che già gli antichi dovevano aver ravvisato un collegamento tra i due.

Palmer218, sebbene si schieri con coloro che sostengono che non sia verosimile un incontro diretto tra Senofane e Parmenide, ricercando l’origine da cui gli antichi abbiano voluto vedere un nesso, e in particolare andando a studiare l’influenza che entrambi hanno esercitato in Platone, individua quale sia il campo in cui tale confronto è nato; vediamo dunque di cosa si tratta.

Platone mette in risalto la presunta identità di pensiero, tra Senofane e Parmenide, tramite una coincidenza, anche formale, nel modo di esprimersi: fa attribuire una stessa affermazione una volta a Parmenide, e una volta a Senofane, in due dialoghi distinti. :

Nel Parmenide, 128 A8-B1 Socrate rivolgendosi all’Eleate, dice:

«σὺ µὲν γὰρ ἐν τοῖς ποιήµασιν ἓν φῂς εἶναι τὸ πᾶν»

La traduzione letteraria vorrebbe che si rendesse con: «tu nel tuo poema, affermi che il tutto è uno». Sembra evidente che sarà necessario tornare sull’interpretazione di τὸ πᾶν, per il momento limitiamoci a richiamare alla memoria quanto Platone aveva fatto dire allo Straniero di Elea, in relazione alla stirpe eleatica, e quindi al suo precursore Senofane, in

Soph. 242 D:

«τὸ δὲ παρ᾽ ἡµῖν Ἐλεατικὸν ἔθνος, ἀπὸ Ξενοφάνους τε καὶ ἔτι πρόσθεν ἀρξάµενον, ὡς ἑνὸς ὄντος τῶν πάντων καλουµένων»219

.

218Palmer J. A., Plato’s Reception of Parmenides, cit.

219Da notare peraltro la valenza locativa che suggerisce il παρ᾽ ἡµῖν. Cerri nella sua indagine per dimostrare la fondatezza dei rapporti tra Elea e Senofane sottolinea proprio questo dettaglio (cfr. Cerri G., Senofane ed Elea (una questione di metodo), cit., p.37): qui si starebbe intendendo «la scuola eleatica uscita dal seno della nostra città», per sottolineare che Senofane appartiene al Ἐλεατικὸν ἔθνος, non semplicemente per un’affinità di pensiero che lo potrebbe accomunare ai pensatori italici, ma proprio perché a quel pensiero ha aderito, trovandosi precisamente in quel luogo. Si tratterebbe di un ulteriore elemento a favore di un’entroterra biografico della discepolanza di Parmenide presso Senofane; occorre precisare inoltre che la lezione accolta da Cerri non è παρ᾽ ἡµῖν, ma παρ᾽ ἡµῶν. Sebbene un’analisi attenta della tradizione manoscritta sia a favore della seconda (che è peraltro quella mantenuta da Diels, e che si ritrova nei manoscritti B, T, W, e Y, cfr.Cordero N.- L., L’invention de l’école éléatique.,op. cit., pp. 93-98 e Philip J. A., The apographa of Plato’s “Sophistes”, «Phoenix», 22, 1968 pp. 2289-298) è maggiormente in uso la seconda lectio (attestata solo in Eus. Paris 1808 e i manoscritti da questo dipendenti),

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Anche in questo caso una traduzione letteraria si avvicinerebbe a qualcosa come: «Presso di noi, la stirpe eleatica, iniziando con Senofane, ma anche prima, (sostiene) che le cose che sono chiamate tutte, sono in realtà una sola cosa220», ossia: «ciò che è chiamato “tutte le cose” è uno». Sulla scia di Palmer221, potremmo dunque tradurre, nel caso del Parmenide, come: «tu affermi che l’universo sia uno», ed intendere quel “ciò che viene chiamato tutte le cose” del Sofista come riferito nuovamente al cosmo. Come fa notare sempre Palmer più avanti222, il fatto che in questo secondo passo Platone, per designare l’universo, usi il plurale (τῶν πάντων), piuttosto che il singolare (τὸ πᾶν), forma più comune nei testi della riflessione filosofica greca, non pone difficoltà: il filosofo ateniese sembra infatti utilizzare in modo interscambiabile il plurale “tutte le cose” e il singolare “il tutto” anche in altre sezioni del Sofista, incentrate sullo stesso argomento (cfr. Soph. 242 E5, 243 D8, 243 E3 e 252 B1)223. Platone sta dunque guardando a Parmenide, nel dialogo a lui intitolato, come ad un pensatore della natura e dell’universo, il quale avrebbe sostenuto che in qualche modo il cosmo è uno; di fatto per comprendere in quale senso sia possibile affermare questo, dobbiamo ricorrere al Sofista e al legame che Platone vede tra Parmenide e la filosofia eleatica224; qui Platone, per bocca dello Straniero di Elea, cerca di comprendere cosa abbiano affermato i pensatori precedenti, circa il numero e le quantità delle cose che sono (τὰ ὄντα), Palmer sottolinea come evidentemente non si tratti delle cose intese

in quanto fu quella scelta dall’edizione di Burnet che diventò canonica presso la critica del Novecento e finì per considerare παρ᾽ ἡµῖν la variante genuina. Tuttavia, ai fini dell’interpretazione, la scelta di una variante, piuttosto che l’altra non ne modifica il significato.

220

Ho inteso come soggetto della dichiarativa τῶν πάντων καλουµένων, “le cose che sono chiamate tutte”, ὄντος come copula del predicato nominale della dichiarativa, espresso in participio genitivo neutro singolare, in quanto si trova i una costruzione della infinitiva oggettiva implicita, costruita con il genitivo assoluto; il singolare riferito al soggetto plurale si spiega con il consueto uso del greco di concordare il soggetto plurale neutro con il verbo al singolare.

221Palmer J. A., Plato’s Reception of Parmenides, cit., pp. 185-188. 222Ivi p. 186.

223

Ibidem. Palmer fa inoltre notare che anche Aristotele nel trasporre le tesi eleatiche usa indistintamente l’espressione: “il tutto è uno” e “tutte le cose sono uno”, cfr. Aristot. Ph. I. 2. 185 B 7 e Ph. I. 185 a 22.

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come le cose che esistono225, i particolari in cui ci imbattiamo, ma ci si riferirebbe a quelli che potrebbero essere definiti degli “elementi costitutivi”226, i quali, stando alla base di tutto, consentirebbero ad ogni cosa di poter essere. A partire dall’identificazione di questi elementi, si distinguono tre gruppi di pensatori: coloro che sostengono che vi sia una pluralità limitata di elementi costitutivi, quanti dicono che vi sia un sola cosa, e infine quelli che credono che “ciò che è” è insieme una cosa sola e molte227. Sostenitore dell’unico elemento è Senofane, e la scuola da lui avviata. Questo significa non che le altre cose non esistano, ma che non sono delle entità fondamentali. Non dobbiamo quindi ritenere che Senofane abbia negato l’esistenza del mondo fenomenico, come mette in chiaro Palmer228, ma che Senofane, e conseguentemente Parmenide, si stiano riferendo al numero e alla natura delle entità fondamentali229, nel sostenere che «ciò che è chiamato “tutte le cose” è in realtà uno»230.

Platone quindi nella sezione dossografica considerata, ci offre la sua interpretazione e la sua ricezione della filosofia Eleatica, la quale prendendo le mosse da Senofane, abbraccia anche il pensiero di Parmenide: il punto di partenza è dunque la costituzione dell’universo: Senofane, tramite la sua speculazione teologica, avrebbe sostenuto che fondamento di tutto l’universo fosse un unico elemento, Parmenide condividendo questa visione, definendo questa entità fondamentale come “τὸ ἐὸν” (e non più un dio) ne

225

Ibidem. Una visione opposta a questa, è quella di Bondenson in Bondenson W. B., Some problems about being and predication in Plato’s Sophist 242-249, «Journal of the History of Philosophy», 14, 1976 pp.1-10: Bound sostiene che τὰ ὄντα sianole entità ogggetto del dicorso, sottraendo questa sezione dal contesto generale della dossografia.

226L’espressione è di Cerri in Cerri G., Senofane ed Elea (una questione di metodo), cit., p.34.

227Quest’ultima visione è attribuita nel Sofista a certe musiche Ioniche e Sicule (dove sembrerebbe di riconoscere Eraclito ed Empedocle) subito dopo il passo che abbiamo riportato in cui si parla di Senofane.

228

Palmer, J. A., Plato’s Reception of Parmenides, cit., pp.191-192. Al contrario Cornford in Cornford F. M., Plato’s Theory of Knowledge: The Thaetetus and The Sophist of Plato Translated with a Running commentary, Routledge & Kegan Paul, Londra 1935, sostiene invece che tutto il passo dossofgrafico sia stato costruito proprio per isolare Parmenide da tutti gli altri filosofi che si occupavano della φύσις i quali ricercavano uno o più principi da cui far derivare il mondo fenomenico mentre lui avrebbe negato la molteplicità, affermando

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