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MODELLI DI PRICING DI UN CDS

Il sempre maggiore sviluppo del mercato dei derivati ha portato come conseguenza naturale la necessità di elaborare dei modelli per poter stimare il giusto prezzo a cui essi dovrebbero essere negoziati sui mercati; ma il compito è alquanto difficile per quanto riguarda i credit derivatives, poiché come abbiamo già descritto in precedenza questi strumenti hanno un sottostante che non è costituito da uno strumento negoziato sui mercati comuni e, conseguentemente, non ha un prezzo di riferimento.

Ad esempio, le opzioni su azioni hanno come sottostante delle normali azioni negoziate sul mercato dei capitali, che hanno un prezzo di riferimento su tali mercati, che permetterà di ricavarne uno anche per lo strumento derivato connesso; al contrario i derivati su rischio di credito, che hanno come sottostante il merito creditizio di un emittente, avranno un prezzo che dipende dai vari fattori che incidono su tale merito, tipicamente la probabilità di default (o la distribuzione di probabilità del credit event), il recovery rate, e il tasso privo di rischio. Se già alcuni di questi elementi sono molto difficili da stimare, a complicare ulteriormente le cose vi è il fatto che oltre al rischio di credito dell’emittente di riferimento, nella valutazione di un credit derivative entra in gioco anche il rischio di controparte, che andrà considerato congiuntamente al primo.

Le criticità relative al pricing dei Credit Default Swaps riguardano tipicamente due elementi: il primo è il fatto che nel momento della negoziazione, ovvero all’origine del contratto, non c’è alcuno scambio di flussi di cassa e il suo valore è pari a zero; sarà quindi necessario calcolarsi lo spread annuo che annulla il valore di mercato del CDS. Il secondo aspetto riguarda invece tutta la vita del derivato, poiché le variazioni dei tassi di interesse e della qualità creditizia dell’emittente di riferimento, così come il semplice passare del tempo, comportano un’oscillazione del valore di mercato del CDS.50

Un aspetto centrale riguarda poi la considerazione dell’evento del default, che nonostante sia un caso piuttosto raro, è la conseguenza di molti fattori, la cui considerazione congiunta risulta essere molto complessa, sia di tipo microeconomico, riguardanti cioè il singolo

soggetto considerato, sia macroeconomico, legati quindi alla situazione economica generale; inoltre, la perdita associata all’eventuale default è alquanto significativa e dipenderà non

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solo dalle caratteristiche dell’emittente, ma anche da quelle del contratto di prestito sottostante.

In generale, alla distribuzione di probabilità associata al verificarsi del default o del credit event, dovrà poi essere aggiunta la valutazione dei futuri cash flows incerti derivanti dallo strumento derivato considerato, e il tutto, per semplicità, verrà infine valutato utilizzando un approccio risk-neutral, ovvero scontando tali flussi ponderati al tasso privo di rischio.

Data la complessità nella stima delle probabilità di default e dei recovery rates e poiché le situazioni dei singoli emittenti sono più o meno uniche, l’utilizzo di dati storici su tali fattori risulta essere inadeguato, e per stimare il prezzo dei derivati su rischio di credito dovrebbero essere utilizzati i prezzi dei titoli negoziati con caratteristiche simili, da cui estrarre le

probabilità e i tassi di recupero che verranno poi inseriti nei modelli di valutazione;

purtroppo però, sarà necessario effettuare alcune assunzioni semplificatrici, che inficeranno sulla stima del fair price degli strumenti in esame.

I modelli di riferimento per il pricing dei credit derivatives possono essere ricondotti a due grandi categorie:

- Nei modelli strutturali, l’idea di fondo è descrivere il default come un evento che incorre in un’impresa, tipicamente il fatto che il valore dei suoi assets si riduca in modo tale da rendere impossibile ripagare i suoi debiti;

- I modelli in forma ridotta, invece, assumono come esogeno il verificarsi del default e conseguentemente non si concentrano sulla valutazione della singola impresa, ma tentano di stimare le probabilità del credit event, tipicamente a partire dai prezzi di mercato.

Il principale modello strutturale, dal quale poi sono sviluppati vari altri studi e

approfondimenti, è il modello di Merton (1974), che assimila l’equity di un’impresa ad un’opzione call sui suoi assets, con il prezzo di esercizio dato dal valore nominale del debito.51

All’altra categoria appartengono invece alcuni modelli semplificati di Philippe Jorion (2003), ma soprattutto i due di Hull (1989) ed Hull e White (2000), il secondo dei quali considerato uno dei riferimenti principali per il pricing dei derivati su rischio di credito, che è stato poi

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ampliato dagli stessi autori successivamente per tenere di conto anche del rischio di controparte.

Vediamo adesso le caratteristiche principali dei modelli appena citati.

4.1 Il modello di Merton

Trattandosi di un modello strutturale, per poterlo applicare sarà necessario conoscere le informazioni relative al bilancio di un’impresa, in modo tale da stabilire un collegamento nella fase di pricing tra i prezzi di equity e debito, e infine giungere a stabilire quale dovrebbe essere lo spread quotato sui mercati relativamente alle obbligazioni emesse da un’impresa con quella particolare struttura interna.52

Cercando di semplificare al massimo il modello in esame, consideriamo un’impresa di valore V che abbia emesso un’obbligazione di valore nominale K che scade in un periodo; se il valore dell’impresa alla scadenza è maggiore di quanto dovuto agli investitori, l’impresa sarà in grado di ripagare sia il nominale che gli interessi. Al contrario però, se V < K l’impresa andrà in default e gli investitori riceveranno solamente una quota del nominale pari proprio a V, mentre il capitale dell’impresa andrà a zero, così come il valore delle sue azioni.

Assumendo costi di transazione nulli, il valore di un’azione alla scadenza sarà dato da: 𝑆𝑇 = 𝑀𝑎𝑥(𝑉𝑇− 𝐾, 0)

che rappresenta esattamente il payoff di un’opzione call.

Dato che il valore di un’impresa è dato dalla somma di debito ed equity, il valore dell’obbligazione si potrà ricavare tramite:

𝐵𝑇= 𝑉𝑇− 𝑆𝑇 = 𝑉𝑇− 𝑀𝑎𝑥(𝑉𝑇− 𝐾, 0) = 𝑀𝑖𝑛(𝑉𝑇, 𝐾)

e conseguentemente il prezzo corrente di un’azione contiene anche una previsione sulla probabilità di default dell’emittente, perché dipende dal suo futuro valore.

63 Componenti del valore di un’impresa, fonte: Financial Risk Manager Handbook, P. Jorion

Come si può notare dalla figura, quindi, fino a che il valore dell’impresa rimane al di sotto di K, le azioni non hanno alcun valore, poiché essa andrà in default e l’intero ammontare V sarà utilizzato per ripagare i debiti contratti; se però V supera il livello K, allora la differenza tra i due è interamente ascrivibile al valore del capitale azionario.

Dato che il valore dell’obbligazione può anche essere scritto come: 𝐵𝑇 = 𝐾 − 𝑀𝑎𝑥(𝐾 − 𝑉𝑇, 0)

possiamo quindi considerare il capitale come un’opzione call sugli assets dell’impresa con prezzo di esercizio pari al valore nominale del debito, mentre il debito aziendale può essere visto come un debito privo di rischio meno un’opzione put sul suo valore.53

Una volta calcolato il valore del debito e del capitale di un’impresa, si possono

successivamente utilizzare per calcolare, tramite il modello di Black e Scholes che permette di stimare il prezzo di equilibrio delle opzioni, le probabilità risk-neutral di default, date dalla possibilità che il valore dell’impresa scenda al di sotto di quello dei debiti alla loro scadenza. I modelli strutturali però sono caratterizzati da tre importanti limiti, che impattano sulla loro efficienza: innanzitutto sono difficili da utilizzare come riferimento poiché i dati relativi ai

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bilanci aziendali vengono resi pubblici solamente poche volte in un anno, rendendo i modelli poco flessibili; questa scarsa flessibilità dipende anche dall’incapacità di riflettere

esattamente una data struttura a scadenza degli spread, e questo rappresenta un secondo limite. Infine, sono difficilmente estendibili al pricing dei credit derivatives.54

4.2 Modelli in forma ridotta

Come già detto in precedenza, i modelli in forma ridotta non si concentrano sulla singola impresa, sfruttando i dati di bilancio, ma hanno l’obiettivo di stimare le probabilità di accadimento di un credit event, assumendolo come esogeno e quindi indipendente dai singoli soggetti, a partire dai prezzi di mercato dei reference assets; una volta ottenuta una distribuzione di probabilità, sarà possibile utilizzarla per effettuare una valutazione del fair price di varie tipologie di derivati su rischio di credito.

Vediamo adesso alcuni modelli per il pricing dei Credit Default Swaps, che rappresentano il derivato più utilizzato sui mercati.

4.2.1 Modelli semplificati di Jorion

Assumiamo alcuni dati per poter effettuare la valutazione: abbiamo un CDS di valore nominale 1000 di durata due anni, in cui il soggetto B è il protection buyer e S è il seller; la copertura riguarda il default dell’impresa X, al cui verificarsi S dovrà pagare alla controparte un ammontare dato dal nominale moltiplicato per (100 – PX), dove PX è il prezzo del bond di

riferimento alla scadenza. Infine, quest’ultimo ha un rating iniziale pari ad A e rende annualmente il 6,6% mentre il tasso privo di rischio è pari al 6%.

Iniziamo col metodo attuariale, in cui data l’esposizione creditizia e le probabilità di default (sfruttando una matrice di probabilità di transizione) possiamo calcolarci la probabilità che l’impresa in esame vada in default nei due anni di contratto.

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Assumiamo quindi una matrice del tipo: Rating finale

Rating iniziale A B C D Totale

A 0.9 0.07 0.02 0.01 1

B 0.05 0.9 0.03 0.02 1

C 0 0.1 0.85 0.05 1

D 0 0 0 1 1

Possiamo calcolare ora le probabilità di default nei due anni di riferimento:

 Nel primo anno, l’impresa X avrà una probabilità di default 𝑃(𝐷1|𝐴0) pari all’1%

 Nel secondo anno invece, questa sarà data da:

𝑃(𝐷2|𝐴1)𝑃(𝐴1) + 𝑃(𝐷2|𝐵1)𝑃(𝐵1) + 𝑃(𝐷2|𝐶1)𝑃(𝐶1) = 0.9 ∗ 0.01 + 0.07 ∗ 0.02 +

0.02 ∗ 0.05 = 1.14%

Se si assume un tasso di recupero del 40%, il costo atteso della protezione nel primo anno sarà pari a 1%(1 – 40%), mentre per il secondo avremo 1,14%(1 – 40%); complessivamente avremo quindi, senza considerare l’attualizzazione, un costo medio annuale pari a:

1000 ∗1% + 1.14%

2 ∗ (1 − 40%) = 7.2

Questo se assumiamo come accurata la valutazione del rating iniziale, della matrice di probabilità di transizione e del recovery rate.

Un altro metodo che potremmo utilizzare per questo tipo di valutazione è quello che sfrutta gli spread creditizi tra il rendimento del bond dell’impresa e quello del titolo privo di rischio; infatti, come abbiamo affermato in precedenza, assumere una posizione lunga su un titolo rischioso è equivalente ad assumerne una lunga sul titolo free-risk più una corta su un CDS della stessa reference entity.

Quindi il differenziale di rendimento tra i due titoli mi darà indicazione su quale sia il premio da pagare nel derivato:

𝐶𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑎𝑛𝑛𝑢𝑎𝑙𝑒 = 1000 ∗ (6.6% − 6%) = 6

Questo valore è diverso dal precedente perché in questo caso possono entrare in gioco anche altri fattori, ad esempio il premio per il rischio o elementi riguardanti la liquidità e la tassazione.

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Come si può intuire, questi due esempi sono molto semplificati a causa delle assunzioni che vengono fatte alla base; vediamo quindi alcuni modelli piò complessi, che permettono una valutazione più accurata dei prezzi dei CDS.

4.2.2 Modello di Hull

Questo primo modello si pone l’obiettivo di calcolare lo spread medio di mercato dei CDS, ovvero la media tra gli spread in acquisto e in vendita quotati dai broker, a partire da una stima delle probabilità di default.

Per illustrare le modalità prendiamo ad esempio la matrice annuale delle probabilità di transizione attese riportata da Moody’s nel suo “Default Report” del Settembre 2019 in cui, tramite un’analisi cross-sector, analizza i vari settori aziendali ed effettua una stima sulle probabilità future di default a partire dai dati osservati.

Prendiamo ad esempio il rating attuale dell’Italia, ovvero Baa3, per effettuare una semplice valutazione; in base alla matrice in esame, un’impresa emittente che abbia tale rating iniziale, ha una probabilità attesa di default in un anno pari allo 0,1%.

Possiamo quindi costruire una tabella in cui riportiamo per vari periodi l’evoluzione delle probabilità di default e sopravvivenza relative alle imprese di rating iniziale Baa3:

Tempo (anni) Probabilità di default Probabilità di sopravvivenza

1 0.01 0.99

2 0.0099 0.98

3 0.0098 0.97

4 0.0097 0.961

5 0.0096 0.912

Per calcolare la probabilità di default nel secondo anno, basterà moltiplicare la probabilità di sopravvivenza alla fine del primo anno per la probabilità di default in un anno (0.99 x 0.01), e così via per le successive.

Supponiamo adesso per semplicità che i default possano avvenire solamente a metà anno e che i pagamenti sul CDS siano effettuati alla fine di ogni anno ad uno spread pari a s; inoltre assumiamo un recovery rate del 40%, un tasso privo di rischio (r) del 2% a cui attualizzare i flussi con capitalizzazione continua e un capitale nominale di riferimento pari a 1.

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Possiamo ora calcolare il valore attuale dei pagamenti previsti dal CDS, che ovviamente saranno effettuati solamente in caso di sopravvivenza dell’emittente ad ogni scadenza:

Tempo (n) Probabilità di sopravvivenza Pagamento atteso Fattore di sconto (𝒆−𝒓∗𝒏) Valore attuale pagamenti attesi 1 0.99 0.99s 0.9802 0.9704s 2 0.98 0.98s 0.9608 0.9416s 3 0.97 0.97s 0.9418 0.9136s 4 0.961 0.961s 0.9231 0.8871s 5 0.912 0.912s 0.9048 0.8252s Totale 4.541s

Allo stesso modo, possiamo calcolare quelli che sono gli eventuali payoff ricevuti dal

protection buyer al verificarsi del default, che saranno dati dal nominale, in questo caso pari a 1, moltiplicato per 1 – RR e ponderato per la probabilità di default di ogni scadenza; in questo modo otteniamo:

Tempo Probabilità di default Recovery Rate Payoff atteso Fattore di sconto Valore attuale payoff 0.5 0.01 0.4 0.006 0.9901 0.00594 1.5 0.0099 0.4 0.00594 0.9705 0.00577 2.5 0.0098 0.4 0.00588 0.9512 0.00559 3.5 0.0097 0.4 0.00582 0.9324 0.00543 4.5 0.0096 0.4 0.00576 0.9139 0.00526 Totale 0.02799

Infine dobbiamo considerare che in caso di default, che come abbiamo ipotizzato avviene a metà anno, il protection buyer deve comunque effettuare un pagamento arretrato per la prima metà dello stesso anno, pari a 0.5s; avremo quindi:

68 Tempo Probabilità di default Pagamento arretrato atteso Fattore di sconto Valore attuale pagamento arretrato 0.5 0.01 0.005s 0.9901 0.004951s 1.5 0.0099 0.00495s 0.9705 0.004804s 2.5 0.0098 0.0049 0.9512 0.004661s 3.5 0.0097 0.00485 0.9324 0.004522s 4.5 0.0096 0.0048 0.9139 0.004387s Totale 0.02333s

Infine, poiché un Credit Default Swap è un contratto in cui il valore attuale netto per

entrambe le parti è nullo, ovvero il valore attuale dei pagamenti dovuti dal protection buyer deve eguagliare quello del payoff ricevuto in caso di default, possiamo mettere insieme i risultati ottenuti per ricavare il valore di s:

4.541𝑠 + 0.02333𝑠 = 0.02799 𝑠 = 0.006

Questo vuol dire che in base al contratto di cinque anni considerato, lo spread medio di un CDS dovrebbe essere pari a 0.6 punti base all’anno, che dovrà essere poi moltiplicato per il valore nozionale del contratto per ottenere il pagamento annuale a carico del protection buyer.

Questo modello è però molto semplificato, poiché ad esempio nella realtà i pagamenti vengono effettuati più frequentemente e il default può accadere in qualsiasi momento dell’anno55; non a caso, lo stesso Hull ha successivamente approfondito l’argomento ed ha

elaborato un ulteriore modello insieme a White per il pricing dei CDS.

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4.2.3 Modello di Hull e White

Nel loro lavoro del 2000 i due economisti elaborano un modello per il pricing dei Credit Default Swaps in cui il payoff dipende dal default di un solo emittente e si assume che non ci sia rischio di controparte; dopo aver valutato quali siano le conseguenze sulla valutazione dovute alle assunzioni iniziali sul recovery rate, essi cercano di dimostrare la validità del principio di non arbitraggio, in base al quale il valore attuale dei pagamenti effettuati dal protection buyer deve essere uguale, in equilibrio, a quello del payoff che scatta al momento del verificarsi del default.

Nell’anno successivo poi, i due ampliano il modello per considerare anche la correlazione tra i default, quando l’obbligo per il protection seller dipende dal default di vari emittenti, e il rischio di controparte.

Ovviamente, per poter valutare un CDS sarà necessario stimare le probabilità di default, che Hull e White effettuano considerando che l’unica causa per cui il rendimento di un titolo rischioso supera quello del titolo privo di rischio è che il primo può andare in default e da ciò, facendo assunzioni sui tassi di recupero, essi ricavano le probabilità di default di un

emittente anche per orizzonti futuri.

Per quanto riguarda il payoff del derivato, si assume che in caso di default il debitore debba rimborsare al protection buyer il valore nominale del titolo più gli interessi arretrati; dalle caratteristiche del CDS sappiamo inoltre che il payoff in caso di default al tempo t è dato dalla differenza tra il valore nominale del titolo e il suo valore di mercato al tempo t, che a sua volta è pari al recovery rate moltiplicato per la somma di valore nominale e interessi arretrati. Il payoff dello Swap può quindi essere scritto come:

𝐿 − 𝑅𝐿(1 + 𝐴(𝑡)) = 𝐿(1 − 𝑅 − 𝐴(𝑡)𝑅)

dove L è il valore nominale del titolo, R il tasso di recupero e A(t) gli interessi arretrati sul nominale.

Sulla base di quanto detto fino ad ora, vediamo nel dettaglio come si struttura il modello in esame: supponiamo che ci siano N bonds, siano essi emessi dal reference entity o da altre imprese con rischiosità simile, che il default possa avvenire in una qualsiasi delle scadenze di tali titoli, e che la scadenza del titolo i sia pari a ti, con t1 < t2 < t3 < … < tN.

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Definiamo poi con:

 Bj il prezzo del titolo j ad oggi;

 Gj il suo prezzo se non ci fossero probabilità di default;

 Fj(t) il prezzo futuro del titolo j per un contratto forward che scade al tempo t < tj,

assumendo che il titolo sia privo di rischio;

 v(t) il valore attuale di 1$ ricevuto con certezza al tempo t;

 Cj(t) la richiesta fatta dai possessori del titolo j se avviene il default al tempo t < tj

 Rj(t) il tasso di recupero riconosciuto ai possessori del titolo j;

 αij il valore attuale della perdita, relativa al valore che il titolo avrebbe se non ci fosse

possibilità di default, in caso di default al tempo ti;

 pi la probabilità risk-neutral di default al tempo ti.

Assumendo per semplicità che i tassi di interesse siano costanti e che sia il tasso di recupero sia la richiesta fatta dai possessori siano noti, avremo che il prezzo del titolo se non ci fossero probabilità di default è pari a Fj(t) e che se il default avviene, il possessore del bond recupera

un ammontare pari al prodotto tra la richiesta e il recovery rate. La perdita in caso di default sarà quindi pari a:

𝛼𝑖𝑗 = 𝑣(𝑡)[𝐹𝑗(𝑡𝑖) − 𝑅𝑗(𝑡𝑖)𝐶𝑗(𝑡𝑖)]

che si verificherà con probabilità pari a pi; il valore attuale complessivo delle perdite sul

titolo j sarà perciò dato da:

𝐺𝑗− 𝐵𝑗 = ∑ 𝑝𝑖𝛼𝑖𝑗

𝑗

𝑖=1

e da quest’ultima equazione possiamo ricavare la probabilità di default pi.

Per semplificare le cose, assumiamo ora che il tasso di recupero effettivo sia pari a quello che si può verificare in un contesto di neutralità al rischio, di modo che esso sarà ricavabile dai dati storici; inoltre, assumiamo anche che tutte le obbligazioni abbiano la stessa seniority e che il recovery rate sia indipendente dal tempo, così che possiamo scrivere 𝑅𝑗(𝑡) = 𝑅, ovvero che il valore atteso di tale tasso è uguale per tutte le obbligazioni e non dipende più dal fattore tempo.

Nella realtà, il default non può avvenire solamente alle scadenze dei titoli, ma in qualsiasi momento e 𝑞(𝑡)∆𝑡 sarà la probabilità che questo avvenga tra t e t+∆𝑡, vista dal tempo 0 (essa sarà la funzione di densità delle probabilità di default); assumendo che 𝑞(𝑡) sia costante e pari a qi per ti -1 < t < ti e definendo:

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𝛽𝑖𝑗 = ∫ 𝑣(𝑡)[𝐹𝑗(𝑡) − 𝑅𝐶𝑗(𝑡)]𝑑𝑡

𝑡𝑖 𝑡𝑖−1

possiamo ricavare come in precedenza la densità di probabilità, ovvero: 𝑞𝑗 =𝐺𝑗− 𝐵𝑗− ∑ 𝑞𝑖𝛽𝑖𝑗

𝑗−1 𝑖=1

𝛽𝑗𝑗

Fatte queste premesse, possiamo passare alla valutazione di un normale Credit Default Swap di nozionale pari a 1$ in cui si assume che i default, i tassi di interesse privi di rischio e i recovery rates siano indipendenti tra loro e che in caso di default, la richiesta fatta dai possessori del titolo è pari al suo valore nominale più gli interessi arretrati; definiamo con:

 T la durata del CDS;

 q(t) la funzione di densità delle probabilità di default risk-neutral al tempo t;

 R il tasso di recupero atteso;

 u(t) il valore attuale dei pagamenti al tasso di 1$ all’anno effettuati nelle date di pagamento tra 0 e t;

 e(t) il valore attuale di un pagamento arretrato al tempo t, che vale per un intervallo di tempo pari a t – t*, dove quest’ultima è la data di pagamento immediatamente precedente a t;

 v(t) il valore attuale di 1$ ricevuto con certezza al tempo t;

 w i pagamenti totali annuali fatti dal protection buyer;

 s il valore di w che rende pari a 0 il valore del CDS;

 π la probabilità risk-neutral che non si verifichi alcun credit event durante la vita dello

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