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Modelli di tutela ex ante: sistema punitivo, sistema terapeutico, sistema

Nel documento La Vittima nel Sistema Penale (pagine 61-67)

preventivo.

Dopo avere passato in rassegna i possibili effetti derivanti dalla commissione di un reato sulla vittima dello stesso, è giunto il momento di considerare i mezzi invocabili per la tutela di quest‟ultima. Infatti, alla persona offesa dal reato, in qualità di soggetto bisognoso, deve riconoscersi un diritto all‟aiuto, non coincidente solo con il diritto al risarcimento del danno, che può essere soddisfatto grazie all‟operare di strumenti di tutela che devono essere necessariamente predisposti in ottemperanza ad un generale principio solidaristico.

Innanzitutto si debbono prendere in considerazione i mezzi di tutela, definibili ex

ante, ove la tutela si esprime nel senso della prevenzione della vittimizzazione

stessa.

Da un punto di vista teorico possono essere individuati ben tre modelli di tutela ex

ante: quello punitivo, quello terapeutico e quello preventivo147.

a) Il sistema punitivo trova il proprio fondamento nel principio, in base al quale la

minaccia di una pena serve a distogliere i consociati dalla commissione di fatti penalmente rilevanti (c.d. prevenzione generale negativa)148 e l‟inflizione della pena stessa serve ad evitare che il reo ricada nuovamente nel reato (c.d. prevenzione speciale)149; e tale attività di prevenzione dei reati e di punizione dei loro autori rappresenta una delle funzioni principali affidate allo Stato.

Tutto ciò, sul versante della tutela della vittima, si traduce nella conseguente riduzione del numero delle potenziali vittime di reati e nella diminuzione della probabilità di fenomeni di rivittimizzazione.

Autorevole dottrina ritiene che il modello punitivo – coincidente pertanto con il diritto penale – sia quello da privilegiarsi per la prevenzione della vittimizzazione, attraverso interventi che vanno in due direzioni: da un lato, rafforzando la prevenzione generale dei reati, attraverso la previsione di pene di giusta severità, rispondenti al senso di giustizia dei cittadini, e di pronta applicazione; dall‟altro lato, rinvigorendo gli strumenti di prevenzione speciale (ad esempio, attraverso l‟uso dell‟istituto della recidiva), al fine di evitare la reiterazione dello stesso reato o di reati simili da parte del medesimo autore150.

Si tratta di una soluzione, come si vedrà in seguito, frequentemente utilizzata nella politica criminale italiana, ma contestata da altra dottrina, la quale ritiene, avvalendosi di dati statistici, che non sempre a fronte di pene particolarmente severe e all‟utilizzo della recidiva vi sia necessariamente una riduzione del numero dei reati, e, conseguentemente, della vittimizzazione; e una dimostrazione

147 In tal senso cfr. G. GULOTTA, Dalla parte della vittima, Un’introduzione, in Dalla parte della

vittima, a cura di G. Gulotta e M. Vagaggini, Milano, 1980, p. 9 ss.

148 Sulla prevenzione generale negativa si veda, tra gli altri, F. MANTOVANI, Diritto Penale, Parte

Generale, cit, p. 717; G. FIANDACA, E. MUSCO, cit., p. 710; F. PALAZZO, Corso di diritto penale,

Parte generale, Torino, 2008, p. 16.

149 Sulla prevenzione speciale si veda, tra gli altri, F. MANTOVANI, Diritto Penale, Parte Generale, cit, p. 717; G. FIANDACA, E. MUSCO, cit., p.702; F. PALAZZO, Corso di diritto penale, cit., p.33. 150 Cfr. A. PAGLIARO, Tutela della vittima nel sistema penale delle garanzie, in Riv. it. dir. proc.

potrebbe essere data dal fatto che gran parte della popolazione carceraria italiana è rappresentata da recidivi, o, comunque, da soggetti già incarcerati151.

Ad ogni modo, al di là dei diversi punti di vista, è incontestabile che questo rappresenti il modello di tutela ex ante usato in prevalenza e talora abusato, come è dimostrato da massicci fenomeni di criminalizzazione di comportamenti, in realtà non abbisognosi di sanzione penale, e che, spesso sulla base di dati dimostranti l‟ineffettività di quest‟ultima, hanno costretto il legislatore a ricredersi e ad operare interventi di depenalizzazione.

Un modello di tutela, pertanto, non immune da critiche e segnato da elevati tassi di ineffettività, che inducono a rendere necessaria, al fine di un‟adeguata attività di prevenzione della vittimizzazione, la sua integrazione con modelli di tutela preventiva di diversa natura.

b) Il sistema terapeutico, che rappresenta un altro modello di tutela ex ante, si

sostanzia in interventi volti alla rieducazione del reo, vale a dire alla (ri)acquisizione di quei valori fondamentali della convivenza violati con il crimine, al fine di consentire una sua piena reintegrazione nella società. E, in caso di successo di tali interventi terapeutici, il reo non dovrebbe più delinquere, con la conseguente riduzione della criminalità e della vittimizzazione. Come esempio dell‟attività terapeutica, si pensi all‟approccio psicologico, sia individuale sia di gruppo, nei confronti dei detenuti, spesso previsto nei moderni sistemi penitenziari, anche se non ha sempre prodotto i risultati sperati152. Infatti, in primo luogo gli interventi terapeutici non possono essere imposti, ma occorre che vi sia una disponibilità da parte dei potenziali destinatari; e, in secondo luogo, i risultati rieducativi saranno scarsi, se non addirittura nulli, nel caso in cui la propensione a delinquere non sia dovuta a nevrosi, bensì a vere e proprie scelte esistenziali, con il rischio, in quest‟ultima ipotesi, che i detenuti decidano di partecipare ai programmi rieducativi, al solo fine di poter usufruire di quei benefici penitenziari, la cui concessione è subordinata ad un percorso di rieducazione.

151 Cfr. G. GULOTTA, Dalla parte della vittima, Un’introduzione, cit., p. 10. Sull‟inutilità della recidiva a fini preventivi, alla luce di indagini empiriche condotte negli Stati Uniti, si veda, E. DOLCINI, La recidiva riformata, ancora più selettivo il carcere in Italia, in Riv. it. dir.proc. pen., 2007, p.

Al riguardo, sono statti condotte, specie negli Stati Uniti e in Svezia, indagini statistiche dalle quali emergere che le possibilità di delinquere nuovamente sarebbero uguali anche se il reo è stato sottoposto ad un percorso rieducativo153. Senza addentarsi sul problema della rieducazione del reo, pare quindi evidente che la prevenzione della vittimizzazione non possa essere affidata in via esclusiva nemmeno a modelli di tutela di tipo terapeutico.

c) In ultimo, deve essere ricordato il sistema preventivo, la cui funzione è quella

di individuare le cause della criminalità, al fine di poterle eliminare e, di conseguenza, ridurre il numero delle potenziali vittime154. In proposito, giocano un ruolo fondamentale gli studi criminologici: la rimozione dei motivi della criminalità (si pensi, per esempio, alla povertà e all‟emarginazione), individuati proprio grazie agli studi di criminologia, dovrebbe in linea di principio determinare una diminuzione della criminalità stessa, anche se talune indagini hanno dimostrato come non sempre l‟eliminazione dei fattori ritenuti determinanti certi tipi di reati comporti una riduzione della percentuale dei reati in questione155. Orbene, ciascuno dei tre di modelli testè passati in rassegna presenta dei limiti, che impediscono di privilegiare tout court uno di essi, e che impongono un loto utilizzo congiunto. Tuttavia, un ruolo importante per il superamento dei suddetti limiti può essere giocato dalla vittimologia. Infatti, come ormai si sa, lo studio della vittima, al di là dell‟esatta interpretazione del fatto concreto e dell‟accertamento delle responsabilità individuali, mira alla finalità della prevenzione del crimine, e, conseguentemente, della vittimizzazione. Proprio grazie allo studio della vittima, emerge come taluni soggetti siano più esposti al rischio di vittimizzazione per la propria condizione bio-fisiologica (ad esempio, sesso, età, razza, ecc.), sociale (professione, condizione economica o sociale), psicologica (per esempio, tendenze sessuali, tratti della personalità, ecc.);e, in ragione delle succitate caratteristiche del soggetto passivo possono trarsi

153

Sul punto cfr., ad esempio, E. DOLCINI, La «rieducazione del condannato» tra mito e realtà, in

Riv. it. dir. proc. pen., 1979, p. 469 ss.

154

Cfr. G. GULOTTA, Dalla parte della vittima, Un’introduzione, cit., p. 12

155 Ad esempio, nel caso in cui si è ritenuta la povertà fattore determinante la criminalità, gli interventi volti ad eliminare questo fattore non hanno determinato una riduzione della criminalità nel campione studiato, in cui i giovani deviati sono stati alloggiati e avviati agli studi o ad una professione; cfr. R. JEFFER, Crime Prevnction through Enviromental Design, Beverly Hills, 1971, p. 130 ss.

singnificative indicazioni per il potenziamento dei suddetti modelli di tutela e per il superamento dei limiti pocanzi evidenziati.

In primo luogo, per quanto concerne il modello punitivo, dagli studi vittimologici, come si è visto, possono emergere utili elementi per influenzare le scelte di politica criminale, vale a dire nella decisione se incriminare o meno determinati comportanti, ovvero nella previsione di particolari circostanze aggravanti od attenuanti accanto al fatto di reato156.

In secondo luogo, per quanto riguarda il modello terapeutico, i programmi di rieducazione dei condannati potranno essere organizzati e svolti più efficacemente tenendo altresì conto delle caratteristiche personali del soggetto passivo del reato: ad esempio, se le vittime di un determinato soggetto sono in prevalenza o in via esclusiva minori di età, il trattamento terapeutico ad esso riservato dovrà essere diverso rispetto al caso in cui le vittime siano prevalentemente anziani.

In terzo luogo, forse proprio in relazione al modello preventivo, gli studi vittimologici possono fornire l‟apporto più utile: infatti, individuando i fattori vittimogeni, potranno fornirsi alla collettività utili indicazioni, al fine di favorire una responsabilizzazione dei cittadini attraverso l‟adozione di accorgimenti atti a scoraggiare la commissione di reati nei loro confronti. E, in merito a tale funzione preventiva, vi possono essere numerosi esempi: si pensi, in materia di sicurezza sul lavoro, all‟adozione di misure di prevenzione per garantire una maggiore protezione dei lavoratori (ad esempio, l‟obbligo del casco per gli operai nei cantieri) oppure la pubblicazione sui quotidiani o rotocalchi di articoli dei competenti organi contenenti le indicazioni e consigli da adottare per diminuire il rischio di divenire vittime di particolari reati (l‟adozione di sistemi di allarme, evitare orari e percorsi abitudinari per ridurre il rischio di furti e rapine)157; ovvero

156 Cfr. A. SAPONARO, Vittimologia, cit., p. 55; J. DELGADO MARTÍN, La victimización reiterata de

personas vulnerables. Tratamiento del riesgo en el proceso penal, in Panorama actual y perspectivas de la victimología: la victimología y el sistema penal, Madrid, 2007, p. 39.

157 Si pensi alla campagna organizzata in Inghilterra per l‟installazione dell‟occhio cieco nelle porte, al fine di poter vedere chi suona il campanello; oppure in la realizzazione di interventi volti ad aumentare la sicurezza nelle città, come l‟attività di vigilanza delle polizie locali, l‟attivazione di una rete di videosorveglianza in zone a rischio, percorsi didattici di educazione alla legalità nelle scuole; sul punto v.

http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/patti_sicurezza/index.html].

Ad esempio per prevenire la violenza familiare può essere utile: promuovere un processo di socializzazione e

campagne informative di prevenzione dei reati di violenza sessuale, con cui, oltre ad indicazione a carattere preventivo, si invitano le vittime a denunciare gli autori di tali fatti158. Inoltre, lo Stato deve mostrarsi particolarmente attento nella protezione di quelle categorie di vittime (per esempio, gli anziani) privi della capacità di autogestirsi e di predisporre autonomamente idonei mezzi di prevenzione.

Assodata l‟importanza degli studi vittimologici in una prospettiva preventiva, bisogna però evitare un loro utilizzo strumentale – spesso verificatosi – per alimentare l‟ostilità dei cittadini verso il reo e verso il sistema giudiziario nel suo complesso159. Quale esempio di un‟azione orientata in questo senso si pensi all‟attività di propaganda di certi governi, partiti politici o associazioni di diversa natura all‟insegna della sicurezza della collettività, con cui viene denunciata l‟inefficacia dei programmi di rieducazione, la necessità di abbandonare politiche criminali indulgenziali, l‟eccessiva clemenza di certi giudici nella commisurazione delle pene o nella concessione di pene sostitutive e di misure alternative alla detenzione, ovvero la necessità di ridurre i diritti dei rei a favore dei diritti delle vittime; con un conseguente rafforzamento nella collettività della paura del crimine. Tali denuncie, a volte pur corrispondenti alla realtà (per esempio, la necessità di inasprimento del trattamento sanzionatorio per certi reati o l‟eccessiva facilità con cui spesso vengono concessi, anche al di là dei requisiti fissati dalla legge, istituti come la sospensione condizionale della pena), vengono tradotte in scelte di politica criminale, mosse, però, non tanto da un “sincero” interesse verso la tutela della vittima, bensì a sole finalità propagandistiche – specie nella vicinanza di consultazioni elettorali – da parte di governi in calo di consensi o di personaggi politici desiderosi di acquisire visibilità.

Deve altresì essere scongiurato l‟utilizzo delle indicazioni della vittimologia come giustificazione di una generalizzata e pericolosa “privatizzazione” dell‟attività preventiva della criminalità; e, pertanto, in contrasto con i principi fondamentali

sensibilizzare l‟opinione pubblica ad utilizzare modelli educativi non violenti; coinvolgere le strutture scolastiche; cercare di ridurre il disaggio socio- economico; sviluppare servizi sociali che più rispondano allo scopo; sviluppare una maggiore partecipazione all‟attività educativa ed informativa di quegli operatori che sono i primi a venire a conoscenza di maltrattamenti.

158

Cfr. G. GULOTTA, Dalla parte della vittima: un’introduzione, cit., p. 17.

dei moderni Stati liberaldemocratici, in cui la garazia della sicurezza pubblica e della pace sociale spetta in via esclusiva allo Stato, ed è delegabile ai privati cittadini soltanto in via sussidiaria, vale a dire limitatamente ai casi in cui la pubblica autorità non sia in grado di garantire un tempestivo ed efficace intervento. Si pensi, ad esempio, alla formazione, specie negli Stati Uniti, di gruppi di vigilanti, la cui attività è divenuta purtroppo nota per fatti di cronaca causati proprio da un abuso della forza da parte di questi gruppi160.

Nel documento La Vittima nel Sistema Penale (pagine 61-67)