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Il modello socratico dell'autarchia

Se il primitivismo, che sia esso di tipo cronologico o culturale, costituisce la principale riflessione sulla consapevolezza dell'imperfezione e della potenziale dannosità della civiltà, esso non è, ovviamente, il solo escamotage che la saggezza antica abbia trovato come critica e fuga da una società in degrado. Esso può essere considerato solo una faccia della medaglia. Il rovescio di tale medaglia è rappresentato da un tentativo, tutto interno alla civiltà stessa, di scoperta di valori morali che permettano all'individuo di raggiungere la stessa eccellenza etica che Omero attribuiva agli Sciti o che Esiodo riscontrava negli uomini dell'età dell'oro. «Scopritore dell'etica» fu Socrate (Diogene Laerzio, Vite dei

filosofi, I, 18), ed è dunque in Socrate che possiamo ricercare il fondamento morale che

possa innalzare l'uomo, così imperfetto, così corrotto dalla storia e dal lusso, ad essere vivente degno della benevolenza divina e della lode dei sapienti. Se anche pensatori precedenti a Socrate avevano comunque dedicato importanti riflessioni alla sfera etica (si pensi a Democrito), solo con Socrate si precisa un interesse sistematico per il comportamento umano e per l'esigenza di indirizzare l'individuo verso l'eccellenza morale. In Socrate, inoltre, come vedremo nel corso della trattazione, l'attenzione all'etica ha un ruolo primario anche perché proprio la virtù, morale ma anche intellettuale, è ritenuta la sola via d'accesso alla felicità dell'individuo. In questo modo, quindi, tenere una condotta virtuosa all'interno della società non solo rende il singolo un buon cittadino, dunque un fautore di una civiltà buona, ma gli permette anche di raggiungere ciò che più preme ad ognuno, la vera felicità.

Ma l'aspetto che più ci interessa dell'etica socratica è l'impronta autarchica che le viene impressa. Soprattutto grazie al concetto di autarkeia, infatti, possiamo rintracciare un filo conduttore che, partendo da Esiodo e dai selvaggi Sciti, ci porta fino alle scuole socratiche (quella cinica e quella cirenaica per prime): si ritrova, infatti, il segreto della felicità e, per gran parte, anche della moralità, nella semplicità dei costumi, nella moderazione e nella capacità di avere bisogno del minimo indispensabile. L'adozione di uno stile di vita autarchico è stata vista da Socrate come la via per concentrarsi su ciò che veramente è bene e giusto, senza subire distrazioni dal mondo esterno.

contribuito a trasformare la critica alla società ed alla civilizzazione dal rimpianto per i tempi andati in una scoperta di modelli di comportamento interni alla stessa società.

1 La saggezza di Socrate tra realtà e idealizzazione

E... io dico questo, che egli è somigliantissimo a quei Sileni che si vedono nelle botteghe degli scultori, che gli artisti atteggiano con zampogne o flauti, e se tu li apri, dentro vedi i simulacri degli dèi. E poi dico ch'egli somiglia ancora al Satiro Marsia. Che, intanto, a questi, almeno nell'aspetto, sei simile, neanche tu, o Socrate, lo puoi negare; come poi gli assomiglia anche nel resto sta a sentire. Insolente sei? No? Se non lo ammetti, ti condurrò innanzi ai testimoni. E non flautista? E molto più meraviglioso di quello? Quello, almeno, per mezzo di strumenti incantava gli uomini, con la potenza che gli usciva dalla bocca;e ancora oggi, chi suoni le sue melodie – perché quelle che suonava Olimpio erano di Marsia che gliel'ha insegnate – quelle melodie, chi le suoni, sia buon flautista o suonatrice di nulla, esse sole traggon le anime al delirio,e ti fan vedere chi ha bisogno degli dèi e di essere iniziato, per la potenza loro che è divina. Tu da lui differisci solo in questo, che, senza strumenti, per mezzo di nude parole, operi il medesimo effetto. (Platone, Simposio, 215a)

Strepsiade: Quello è il pensatoio di spiriti sapienti. Lì abitano uomini che ti convincono che il cielo è un forno e sta attorno a noi, e noi siamo carboni. E' gente che ti insegna a vincere con le parole quando hai ragione e quando non ce l'hai: ma bisogna pagarli.

Fidippide: E chi sono?

Strepsiade: Di preciso, il nome non lo so. Pensatori di idee (merimnophrontistaiί1), persone di

riguardo.

Fidippide: Bha, gentaglia, li conosco: dei fanfaroni con le facce smunte e i piedi scalzi vuoi dire, come quel disgraziato (kakodaimon) di Socrate e Cherofonte. (Aristofane, Nuvole, vv. 94- 104)

Chi è quindi Socrate? Un iniziatore agli dèi oppure un affabulatore, corruttore di giovani? Senza dubbio un uomo che lasciò il segno sia con la propria vita che con la propria morte, un uomo che, amato o odiato che fosse, fu evidente a tutti, istituì un nuovo stile di vita. Socrate riuscì, fra l'altro, a porsi come esempio “moderno” per tutti i suoi contemporanei che ricercavano nell'uomo primitivo il modello ideale: in lui si sposavano delle esigenze di frugalità e di semplicità, un'elevatezza etica esemplare, conseguente ad una continua ricerca dell'eccellenza morale ed intellettuale, ad una coscienza cittadina e politica (della polis) che fece di lui un uomo integrato nel suo tempo e nel suo spazio. E ciò è chiaro nella misura in cui Socrate comprese l'importanza dello sviluppo tecnico e fece della competenza tecnica il metro di giudizio di ogni attività: infatti, l'abile artigiano divenne per Socrate il modello da diffondere ed il faro per tutti coloro che si apprestavano

1 Merimna sta ad indicare più che una semplice idea una preoccupazione, un pensiero caratterizzato dà ansietà. Il termine si ritrova al v. 1404, dove sta ad indicare un ragionamento ingannevole. Dice infatti Fidippide dopo esser stato istruito da Socrate: «Ora sono il compagno di pensieri sottili e di ragionamenti e di riflessioni, e penso proprio di saper dimostrare che è giusto punire il proprio padre», vv. 1404-1405.

ad una qualsiasi attività. La competenza, la scienza, è la variabile discriminante della bontà e della giustezza di un compito svolto, di una decisione presa, di un'azione compiuta. Chi è competente in un'arte è capace di riprodurre continuamente la sua opera al meglio, così Socrate mira a rendere gli uomini competenti al fine di farli vivere al meglio. Nella fiducia nelle tecniche, sentimento figlio della civiltà e del progresso, Socrate trovò il motore per spronare i contemporanei a conseguire una condotta volta alla scienza ed alla morale2.

Come è noto, Socrate stesso non ci ha lasciato niente di scritto e tutto ciò che sappiamo su di lui ci deriva dai suoi allievi o antagonisti; le tre fonti principali che ci parlano di Socrate sono infatti Aristofane nelle sopracitate Nuvole, Platone lungo il corso di tutta la sua opera, e Senofonte che, pur essendo una fonte dal valore discusso, rimane uno dei testimoni fondamentali per la figura socratica. Anche Aristotele cita Socrate in qualche passo delle sue opere ma, essendo nato nel 384 a.C. e giunto ad Atene nel 367, difetta del contatto diretto che è fondamentale per comprendere davvero la dottrina socratica. Aristotele, nella Retorica e nella Poetica, menziona addirittura l'esistenza di un nuovo genere letterario nato intorno alla figura di Socrate, che dunque è già divenuto, al suo tempo, un “personaggio”: i logoi sokratikoi (Poetica 1447 b13, Retorica III 1417a18-21). Stando alla testimonianza di Diogene Laerzio, che comunque va trattata con cautela, un gran numero di discepoli di Socrate avrebbe scritto dei logoi sokratikoi, tra cui per esempio Antistene (VI, 15-18), Eschine (II, 60-63) o Euclide (II, 108), contribuendo a creare un'immagine idealizzata di Socrate3.

Ricostruire il vero Socrate perciò, riconoscere dove finisce la realtà ed inizia il mito, risulta un'impresa assai ardua. Certamente i vari autori da cui attingiamo le notizie ci parlano di un Socrate diverso: Aristofane è il primo che scrive di lui nella sua commedia e sappiamo che questa arrivò terza alle Grandi Dionisie del 423 a.C., dunque quando Socrate era ancora a metà del suo percorso filosofico e probabilmente si era appena avvicinato a quel nuovo modo di fare filosofia che si discostava del tutto dalle precedenti ricerche naturali; Platone e Senofonte invece scrivono di un Socrate più maturo, iniziando a scrivere

2 Nel Lachete platonico la cura dell'anima viene paragonata alla tecnica medica (185 c-e), nell'Apologia solamente gli artigiani sono considerati veri esperti (22 c-d), ed inoltre nei Memorabili di Senofonte si moltiplicano i riferimenti alla comparazione di tecniche prettamente manuali con attività di comando, comparazione sottostante al considerare necessaria una conoscenza tecnica per svolgere qualsiasi compito (I, 1-7; III, 2, 3, 4, 9). Per il rapporto tra Socrate e le tecniche cfr. G. Cambiano, Platone e le tecniche, op. cit. pp. 61 ss.; Maria Michela Sassi, Indagine su Socrate. Persona, filosofo, cittadino, Einaudi, Torino 2015, pp. 133-142.

3 Cfr. Louis-Andrè Dorion, The rise and fall of the socratic problem, in D. R. Morrison (a cura di), The Cambridge companion to Socrates, Cambridge University Press, Cambridge 2010, pp. 1-23

solo dopo la morte del maestro. Diogene Laerzio, poi, tra II e III secolo d.C., racconta per aneddoti, come suo uso, la vita del filosofo attingendo dalle più svariate fonti dell'erudizione ellenistica. Nel caso di Socrate, tuttavia, conoscere la biografia è estremamente importante, perché la sua vita è stata l'incarnazione pratica del suo pensiero filosofico: con Socrate abbiamo la piena realizzazione di una vita filosofica e cercando di ricostruire la sua quotidianità, per quanto filtrata da una tradizione aneddotica ed apologetica, possiamo capire perché quell'uomo così brutto alla vista risultò tanto attraente, perché riuscisse a suscitare sentimenti tanto contrastanti nei suoi contemporanei tanto da essere condannato a morte per gli stessi motivi per cui fu considerato uno degli uomini più saggi ed eccellenti: il suo edificante discorrere con i giovani Ateniesi lo fece bollare come corruttore dei ragazzi, il suo rivolgersi ad un daimon interiore lo condannò alla fama di empio miscredente, introduttore di nuove divinità. Inoltre proprio grazie all'esperienza socratica sarà molto più chiaro cosa sia quell'autarkeia che fu creduta la via per la vera felicità dell'uomo. Iniziamo dunque ad entrare nel personaggio di Socrate attraverso la sua esperienza di vita.

Diogene Laerzio4 afferma che Socrate morì nel primo anno della novantacinquesima Olimpiade a settanta anni, dunque visse presumibilmente tra il 470/469 ed il 399 a.C.. E' celebre la morte di Socrate: egli venne condannato a bere la cicuta dall'assemblea ateniese dei Cinquecento, imputato per corruzione dei giovani e introduzione di nuove divinità. Diogene riporta la notizia di Aristosseno per cui Socrate sarebbe stato il primo filosofo condannato a morte. Ma per capire davvero la sentenza occorre inserirla nel tempo storico in cui venne emessa. Socrate nacque nell'epoca della creazione della grande egemonia ateniese su gran parte della Grecia: Temistocle era stato ormai mandato in esilio e anche Cimone, dopo aver riportato numerose vittorie per la città, subì lo stesso destino, lasciando così la scena politica ai democratici, primo tra tutti Pericle. Socrate dunque è figlio della cultura ellenica più florida ed attiva, ma ben presto la fulgida Atene periclea venne scossa dalla fatale guerra del Peloponneso, al termine della quale, nel 404, vi fu una completa rivoluzione degli assetti politici della città. In quell'anno infatti ad Atene presero il potere i trenta Tiranni che instaurarono un regime oligarchico e repressivo; solo otto mesi dopo vennero deposti da esuli ribelli guidati da Trasibulo e la democrazia fu riportata nella sua patria. Ma tale restaurazione non riuscì a ricreare il clima fiorente e

brulicante di cultura dell'Atene periclea, anzi fu un tentativo zoppicante, troppo timoroso di un ritorno alla degenerazione oligarchica, preoccupato di conservare i principi democratici ad ogni costo: proprio il ritrovato ordinamento sarà quello che manderà a morte uno degli ateniesi più insigni del V secolo. L'opera socratica di concentrazione sull'individuo fu un campanello d'allarme per coloro che avevano riportato il regime democratico, il riferimento ad un daimon interiore fece risorgere la preoccupazione di una rinnovata scossa alla religione tradizionale come si era avuta durante la guerra. Dunque, se Socrate deve ad Atene la possibilità di esser cresciuto a contatto con Protagora, Gorgia, Euripide o Anassagora, se soltanto nell'Atene del V secolo gli sarebbe stato possibile quell'intimo rapporto che aveva costruito con i suoi discepoli ed amici, è anche vero che la sua morte è dovuta proprio a quella stessa città, capace anche di etichettare di pericolosa eterodossia chi distoglieva il cittadino dalla vita pubblica, incitandolo a “conoscere sé stesso”.

Figlio dello scultore Sofronisco e della levatrice Fenarete, veniva dal demo ateniese di Alopece ed in tutta la vita non si mosse mai da Atene. Si dice che le Cariti vestite sull'acropoli fossero una sua opera: nella prima fase della sua vita dunque si sarebbe avvicinato al mestiere del padre, ma successivamente lasciò ogni occupazione per dedicarsi soltanto a dialogare su temi morali con i cittadini ateniesi. Probabilmente da giovane si dedicò alla filosofia della natura, avvicinandosi in particolare al pensiero di Anassagora, dal quale si allontanò ben presto (non è ben chiaro per quali motivi5), incontrando, secondo Diogene Laerzio, un nuovo maestro in Archelao6. Solo in seguito si sarebbe indirizzato verso i problemi della morale: dice Diogene a tale proposito:

Convinto che la speculazione naturalistica non ci riguarda affatto, discuteva delle questioni morali nelle officine e nel mercato: era solito dire che l'oggetto della sua ricerca era «ciò che nella casa si fa di male o di bene». (Diogene Laerzio, II, 21)

Socrate amava trascorrere la maggior parte del tempo nelle botteghe degli artigiani e nei ginnasi, dove poteva parlare con più persone possibile. Personaggi illustri dell'ambiente ateniese gli furono molto vicini: si dice che collaborò con Euripide alla

5 In Fedone 96a-99d pare per la delusione riguardo alla teoria anassagorea del Nous, che sembrerebbe promettere una spiegazione universale ed omnicomprensiva di tutti i fenomeni per poi scadere nel meccanicismo, in Diogene Laerzio II, 19 il distacco è imputato alla condanna di Anassagora.

6 Il IV capitolo del II libro dell'opera di Diogene è dedicata proprio ad Archelao e vi si legge: «Archelao Ateniese o Milesio, figlio di Apollodoro o, secondo altri, di Midone, fu discepolo di Anassagora, maestro di Socrate. Egli per primo dalla Ionia introdusse ad Atene la filosofia naturalistica, e fu chiamato il naturalista, in quanto in lui terminò la filosofia naturalistica; Socrate introdusse l'etica, benché sembri che ad Archelao non fosse estraneo un interesse per i problemi etici. […] Socrate che sviluppò ed ampliò le sue concezioni etiche fu poi considerato come inventore dell'etica.»

stesura di alcune tragedie, è nota la sua amicizia con Alcibiade, che sembrava andare ben oltre il rapporto maestro-allievo, per esprimersi in un'attrazione che Socrate stesso usava a fini educativi. Anche il tiranno Crizia fu suo uditore e, ci dice Senofonte, se ne allontanò quando Socrate criticò il suo interesse per Eutidemo, interesse che lo distraeva da un retto comportamento rendendolo un uomo indegno e schiavo delle passioni (Senofonte,

Memorabili, I, 2). Notoriamente Platone e Senofonte furono suoi allievi, come Antistene ed

Aristippo, tutti nomi che andranno a diffondere ed ampliare il pensiero socratico nel IV secolo.

Sebbene non si fosse mai interessato mai della vita politica, e le sue disquisizioni vertessero sempre sull'etica o su quel famoso “che cos'è? (Ti estì?)” con cui andava importunando i suoi interlocutori7, non si astenne dal servire la patria. Nel 432 combatté a Potidea contro le armate di Corinto ed ebbe l'occasione per dimostrare il proprio valore: dopo aver salvato la vita ad Alcibiade, ricevette una corona al merito, ma la consegnò direttamente nelle mani dell'amico, disinteressandosi di tali onorificenze pubbliche. Di nuovo poi combatté nell'esercito ateniese come oplita8 nelle battaglie di Delio nel 424 e di Amfipoli nel 422, ed in entrambe si distinse per la sua resistenza alla fatica ed alle intemperie. Inoltre, quando dovette partecipare al consiglio dei 500 e fu pritano (Senofonte afferma addirittura epistates), svolse il suo ruolo politico con grande serietà e fu il solo a consigliare di seguire le direttive della legge ateniese durante il processo ai comandanti della spedizione delle Arginuse: al loro ritorno dalle isole, infatti, dove la flotta vinse gli spartani, gli strateghi ateniesi vennero accusati di non aver prestato il dovuto soccorso ai naufraghi e di non aver seppellito i cadaveri, reati per cui era previsto un processo separato per ogni individuo; i giudici della boulè e la folla cittadina incitavano per un processo comune, ed il solo Socrate si oppose a tale volontà, manifestando grande spirito democratico (Diogene Laerzio, II, 24; Platone, Apologia di Socrate, 32b). Con lo stesso temperamento si mosse nel 404 quando si rifiutò di arrestare il ricco Leonte di Salamina per ordine dei trenta tiranni (Diogene Laerzio, II, 24). Se dunque fu quasi nullo il suo coinvolgimento politico, fu però grande il suo senso di giustizia che lo accompagnò fino

7 Senofonte racconta nei Memorabili che Crizia e Caricle, due dei trenta tiranni, convocarono Socrate proprio per proibirgli di discorrere con i giovani e per ordinargli di stare lontano dagli artigiani che ormai saranno stati stufi di lui. (Senofonte, Memorabili, I 2 33-38)

8 La possibilità di procurarsi un'armatura da oplita e di trascorrere la vita senza doversi dedicare a nessuna attività lavorativa fa presumere che la famiglia di Socrate fosse economicamente benestante. E' vero anche che, come si vedrà meglio in seguito, Socrate viveva principalmente di quello che gli offrivano gli amici e che i suoi bisogni erano davvero minimi.

alla morte.

Ed è proprio con la sua morte che Socrate porta a perfetto compimento tutto il suo percorso filosofico. Con la consapevole accettazione della condanna dimostra come il sapiente viva nei proprio principi, come si possa agire veramente anche andando a morire. L'accusa fu avanzata nel 399 da Anito, Meleto e Licone, anche se legalmente fu portata in tribunale da Meleto soltanto. Diogene Laerzio ce ne riporta il testo, come era stata depositata nell'archivio di Stato ateniese, il Metroo, affidandosi alla testimonianza di Favorino:

Meleto, figlio di Meleto, del demo Pito, contro Socrate, figlio di Sofronisco, del demo Alopece, presentò quest'accusa e la giurò: Socrate è colpevole di non riconoscere gli dèe che la città riconosce e di introdurre altre nuove divinità; è colpevole anche di corrompere i giovani. Pena richiesta: la morte. (Diogene Laerzio, II, 40)

Diogene sostiene che Socrate abbia subito tale condanna a causa del risentimento che provocò in Anito. Il filosofo infatti, nelle sue discussioni pubbliche, attaccava, una volta una una volta l'altra, tutte le categorie sociali e professionali di Atene, criticando in sostanza quella presunzione con cui degli uomini creduti sapienti si attribuivano conoscenze che in realtà non possedevano, per cui vivevano compiaciuti della loro fama e del loro ruolo in città. Anito sarebbe stato, infatti, il portavoce della classe degli artigiani, Meleto di quella dei poeti e Licone di quella dei retori (Diogene Laerzio, II, 39). Lisia si propose per scrivere a Socrate il discorso difensivo, ma il filosofo lo rifiutò perché quell'orazione aveva ben poco di discorso filosofico: come aveva sempre rifiutato i bei mantelli ed i bei calzari, anche in questa occasione rifiutò la bella forma del discorso perfettamente redatto dal logografo, preferendo difendersi da solo, parlando come aveva sempre fatto tra le vie di Atene e tra i banchi del mercato (Diogene Laerzio, II, 41). Il processo di Socrate viene narrato nell'Apologia platonica9, nella quale è Socrate stesso a prendere la parola e a pronunciare appunto la propria difesa. L'arringa prende il via dall'interpretazione di Socrate delle motivazioni dell'accusa subita: Socrate non ha fatto niente di male ma ha iniziato a essere malvisto da tanti dal momento in cui interrogava quelli che erano detti saggi per smentire l'oracolo delfico, secondo cui era proprio lui il più sapiente tra gli uomini. Socrate non rinnega il suo compito ed il suo scopo, ma per tutta la

9 Sul testo platonico si è instaurato un dibattito riguardante l'atteggiamento spavaldo ed orgoglioso tenuto da Socrate davanti ai giudici, decisamente inusuale per un imputato che rischia la condanna a morte: gli interpreti si dividono tra chi crede in una consapevole e volontaria ironia di Socrate, volta ad attirare la

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