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pH FETALE/BE FETAL

MODESTA ACIDOSI RESPIRATORIA

7.0 - 7.15 -8/-12 mmol/L

L’ossigenazione fetale dipende da: - l’ossigenazione materna - il flusso placentare

- il trasferimento attraverso la placenta e l’ossigenazione fetale - il rilascio di ossigeno ai tessuti

Esistono due importanti ragioni per attuare la misurazione del pH sul sangue di funicolo: - la possibilità di avere a disposizione un metodo oggettivo per valutare se le decisioni in

sala parto siano state corrette

- la possibilità di dimostrare prelievi alla nascita con valori normali, in caso di neonati che successivamente sviluppino sequele neurologiche.

Il limite inferiore di pH al quale il feto è considerato acidotico varia a seconda dei diversi autori tra 7,10- 7,20; per valori al di sotto di 7,00 si parla di acidosi severa, così come per un deficit di basi maggiore di -12 mmol/L. La misura più attendibile di danno è risultato essere l'eccesso di basi, anche perché è stata dimostrata una correlazione negativa tra età gestazionale e pH; i valori di eccesso di basi, invece, non si modificano con l'età gestazionale. Nei feti che mostrano decelerazioni ripetitive variabili severe per ore, l'eccesso di basi diminuisce di circa 4 mmol/L nelle due ore precedenti il parto; nei feti con ipossiemia intrapartum la diminuzione è 1 mmol/L ogni 6 minuti, mentre nei casi di asfissia terminale il calo è di 1 mmol/L ogni 2 minuti.

Se la placenta è funzionante e le eventuali contrazioni uterine si mantengono fisiologiche per ritmo, durata ed intensità, gli effetti sull’ossigenazione intrauterina fetale saranno il risultato del bilancio tra:

- i fattori che tendono a migliorare l’ossigenazione fetale - i fattori che tendono a peggiorare l’ossigenazione fetale.

I primi agiscono anche durante la contrazione uterina a seguito dei seguenti meccanismi: - il rallentamento della circolazione nelle lacune consente un progressivo aumento della

superficie di scambio

- il maggior tempo da utilizzare per gli scambi gassosi rende più semplice il passaggio dell’ossigeno dalla madre al feto grazie al “doppio effetto Bohr”

- ad ogni contrazione uterina si ha un aumento dell’apporto di sangue ossigenato verso il feto, proveniente dai villi coriali, attraverso la vena ombelicale

- la contrazione o il maneggiamento del miometrio facilita il ritorno venoso nel circolo materno, aumentando la pressione venosa nelle vene uterine.

Invece, tra i fattori che peggiorano l’ossigenazione fetale ci sono: - la riduzione del flusso ematico utero-placentare

- l’aumento della pressione intra-amniotica e delle resistenze periferiche fetali a cui consegue un ipertensione fetale con azione diretta sui barocettori carotidei. Ne consegue una bradicardia fetale con successiva riduzione della gittata cardiaca

- la Supine hypotensive syndrome - l’”Effetto Poseiro”.

Le ultime due condizioni descrivono una condizione fisiopatologica secondo la quale il peso dell’utero a termine di gravidanza, in posizione supina, può comprimere non solo la cava inferiore ma anche, o soltanto, l’aorta addominale, comportando un’interruzione di afflusso di sangue a livello delle arterie ovariche e uterine. Per effetto del calo pressorio materno, il flusso intervilloso diminuisce. Si realizza la condizione di anossia acuta nota come “Effetto Poseiro”. L’evoluzione può essere la morte fetale improvvisa per infarto acuto del miocardio.

L'ipotensione materna deve essere prontamente riconosciuta e corretta per evitare effetti negativi sul benessere fetale. I vasi utero-placentari a termine sono un sistema a bassa resistenza privi di autoregolazione e un'ipotensione prolungata può comportare distress fetale (basso indice di APGAR, pH neonatale <7,2). [67]

L’interruzione degli scambi tra madre e feto determina un'acidosi respiratoria, da accumulo di anidride carbonica, che è seguita da un'acidosi metabolica per l'attivazione della via anaerobica del catabolismo glucidico. Il feto possiede dei meccanismi di compenso, in quanto, in presenza di acidosi, aumenta il rilascio di ossigeno da parte dell'emoglobina, che funge anche da sistema tampone. L’acidosi metabolica fetale è così dovuta all’ipossigenazione fetale che comporta l’attivazione del metabolismo anaerobico. Inoltre, l’aumento dell’acido lattico, come prodotto della glicolisi anaerobica, causa un calo del pH tamponato dagli ioni bicarbonato che, riducendosi, produrranno un alto deficit di basi. L’ipossiemia acuta determina, oltre ad un’acidosi respiratoria, anche un’acidosi metabolica dovuta all’attivazione della glicolisi anaerobica. Si parlerà perciò di acidosi mista respiratoria e metabolica.

Il cervello fetale, benché consumi più ossigeno di quello di un adulto, resiste meglio all'ipossia grazie ai suoi meccanismi di compenso che permettono sia di ritardare il passaggio di potassio nello spazio interstiziale, sia di produrre energia in anaerobiosi. In presenza di acidosi severa e prolungata (pH <7), tuttavia, tali meccanismi di compenso vengono meno e possono instaurarsi le lesioni cerebrali.

Ulteriore dato di studio del metabolismo anaerobio sono i lattati ma soprattutto il difetto di basi tissutale (BEecf), calcolato mediante la formula di Siggaard-Andersen, il quale è ritenuto dagli esperti il miglior indicatore della concentrazione di idrogenioni di origine metabolica a livello tissutale. Più specificatamente, sin dalla fine degli anni ‘70, è stata riscontrata una relazione tra

deficit di basi e durata dell’ipossia, ponendo un cut-off pari a 6 punti di differenza tra BE arterioso e venoso per definire se l’asfissia sia definibile di breve o di lunga durata.

Invece, la soglia di lattati predittiva per un outcome avverso a breve termine è controversa e varia a seconda che sia calcolata su sangue intero o emolizzato e in base al tipo di POCT in dotazione.

In uno studio si è valutata l'acidosi neonatale in tre diversi processi patologici: disturbi vascolari intrauterini, infezione intrauterina ed eventi acuti intrapartum. Un pH acidotico si evidenziava nel 38% dei nati a termine con basso punteggio Apgar alla nascita e ciò è stato riscontrato principalmente in caso di alterazioni della perfusione placentare cronica antepartum, mentre non vi era significativa associazione in caso di infezione intrauterina e/o eventi acuti intrapartum. [68]

Dal momento che un'acidosi metabolica potrebbe avere maggiori correlazioni con la vitalità del neonato rispetto all'acidosi respiratoria sarebbe utile valutare tale dato anche alla luce della concentrazione della PaC02 cordonale per avere informazioni più complete, in grado di guidare la migliore gestione e assistenza neonatale. [69]

L’acidosi riduce notevolmente l’affinità dell’emoglobina per l’ossigeno (effetto Bohr), favorendone la liberazione. L’emoglobina liberata funge così da tampone acido- base, capta gli ioni idrogeno e frena la caduta del pH. Ma questo efficace processo per contrastare l’acidosi non dura a lungo, poiché quando il sistema tampone è saturo, il pH cala ulteriormente e rapidamente. Questo spostamento dei tamponi conduce ad un lieve aumento della PaCO2 e ad una diminuzione di bicarbonato, aggiungendo una componente metabolica all’ acidosi. E’ stato quindi recentemente studiato che la più corretta determinazione dell'acidosi metabolica (onde valutare una possibile relazione con l'encefalopatia neonatale e/o la paralisi cerebrale e l'asfissia peripartum) non andrebbe effettuata con la semplice determinazione del pH e/o determinazione dei deficit di basi, ma è opportuno aggiustare i valori di pH secondo i criteri di Eisenberg, in modo da valutare tali livelli in eucapnia. [70]

Sono stati inoltre identificati alcuni criteri necessari per stabilire l'eziologia dell’acidosi cordonale e determinare di conseguenza la causa riferibile alla sofferenza fetale acuta. Essi sono:

- l’evidenza di acidosi metabolica sul sangue cordonale dell'arteria ombelicale alla nascita (pH <7 e deficit di basi di -12 mmol/L o maggiore)

- i segni precoci di severa encefalopatia neonatale in bambini nati dopo le 34 settimane di gestazione

- la paralisi cerebrale di tipo discinetico e/o quadriplegia spastica

- l’esclusione di altre cause eziologiche identificabili (trauma, disordini della coagulazione, infezioni, insufficienza feto-placentare, disordini genetici).

La presenza contemporanea di questi quattro criteri è un requisito fondamentale, mentre l'assenza di uno solo esclude, automaticamente e senza alcun ulteriore dubbio, la sofferenza fetale acuta come causa di paralisi cerebrale.

I parametri per la definizione di asfissia fetale/neonatale: - la concentrazione ematica di ossigeno (PaO2)

- la concentrazione ematica di anidride carbonica (PaCO2) - l’acidità del sangue (pH)

- la capacità di tampone del plasma: deficit o eccesso di basi (BE). Criteri di definizione dell’asfissia intrapartum:

- Severa acidemia metabolica/mista: pH arteria ombelicale < 7.00 e BE < -12 - Depressione neonatale severa: indice di Apgar 0-3 per più di 5 minuti - Manifestazioni neurologiche fetali: ipotonia, crisi convulsive, coma - Disfunzione multisistemica

- Lesioni evolutive cerebrali: edema, cavitazioni. [71] Il trattamento della sofferenza fetale acuta prevede:

- dislocamento dell'utero a sinistra con cuneo sotto il fianco destro per evitare la compressione aorto-cavale

- calze elastiche agli arti inferiori (favorire il ritorno venoso) - adeguato e controllato riempimento volemico

- corretto trattamento farmacologico con vasocostrittori (fenilefrina da 50 a 100mcg ev ed efedrina da 5 a 10 mg ev).

5. STUDIO STATISTICO E ANALISI DEI DATI:

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