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STRATEGIE ANESTESIOLOGICHE NEL TAGLIO CESAREO E OUTCOME MATERNO-FETALI

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Academic year: 2021

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STRATEGIE ANESTESIOLOGICHE NEL

TAGLIO CESAREO E OUTCOME

MATERNO-FETALI

FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Scuola di specializzazione: Anestesia, Rianimazione, Terapia intensiva e del Dolore

Correlatori:

Relatore:

dott.ssa Paola Del Chiaro prof. Francesco Forfori

dott. Luigi De Simone

Candidato:

dott.ssa Elisa Gasperin

(matr. 527406)

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La frase più pericolosa in assoluto è:

abbiamo sempre fatto così

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INDICE:

1) Il taglio cesareo

2) Fisiologia e fisiopatologia delle alterazioni emodinamiche e laboratoristiche in

gravidanza

3) Progetto e scopi:

- criteri di inclusione

- criteri di esclusione

- procedure assistenziale

- end-point primario

- end-point secondario

4) Materiali e metodi:

- tecniche di anestesia loco-regionale

- farmaci, farmacocinetica e farmacodinamica materno-fetale

- monitoraggio del benessere materno intraoperatorio

- monitoraggio del benessere fetale/neonatale

- monitoraggio del benessere materno post-operatorio

5) Studio statistico e analisi dei dati

6) Discussione e aspetti medico-legali

7) Conclusioni e studi futuri

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1. IL TAGLIO CESAREO

Il taglio cesareo è l’intervento chirurgico tramite il quale uno o più feti e gli annessi fetali vengono estratti attraverso un’ incisione della parete addominale e della parete anteriore dell’utero.

“La donna benefica del cesareo quando l’indicazione e la tecnica sono buoni. La donna e il bambino patiscono dal cesareo quando l’indicazione è mal posta”

(J.M. thoulon, D. Randrant, “taglio cesareo” di L. Gagliardi, G. Cerruti – Torino 1986) INDICAZIONI AL TAGLIO CESAREO: [tab. I]

MATERNE:

- Precedente TC

- Anomala placentazione - Richiesta materna - Precedente isterotomia

- Cicatrice uterina pregressa di sconosciuta localizzazione - Deidescenza di incisione uterina

- Precedente miomectomia interessante tutta la parete - Neoformazione ostruente il canale vaginale

- K cervicale

- Precedente trachelectomia

- Presenza di cerchiaggio permanente - Pregressa chirurgia pelvica ricostruttiva - Anomalie del bacino

- Infezioni da Virus Herpes Simplex o HPV

- Patologia che richiede un contemporaneo intervento chirurgico addominale - Taglio cesareo perimortem.

MATERNO-FETALI:

- Sproporzione cefalico- pelvica

- Fallimento del parto operativo vaginale - Placenta previa o distacco di placenta FETALI:

- Stato fetale non rassicurante - Anomalie della presentazione - Macrosomia

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- Anomalie congenite

- Flussimetria ombelicale patologica - Trombocitopenia

- Precedente trauma neonatale alla nascita

[tab.I: indicazioni ginecologo-ostetriche per il taglio cesareo]

MATERNE MATERNO-FETALI FETALI

Precedente TC Sproporzione cefalico-pelvica CTG non rassicurante Richiesta materna Fallimento del parto

operativo

Flussimetria ombelicale patologica

Anomalia della placentazione Placenta previa Anomalapresentazione Pregressa isterotomia Distacco di placenta Macrosomia

Cicatrice uterina di sconosciuta localizzazione

Anomalie congenite

Deidescenza incisione uterina Trombocitopenia

Precedente miomectomia interessante tutta la parete

Precedente trauma neonatale alla nascita Neoformazione ostruente il canale vaginale K cervicale Precedente trachelectomia Presenza di cerchiaggio permanente

Pregressa chirurgia pelvica ricostruttiva

Anomalie del bacino Infezioni da HSV e/o HPV Patologia che richiede un contemporaneo intervento chirurgico addominale TC perimortem

La frequenza di tale tecnica è andata aumentando negli ultimi anni e alcune spiegazioni potrebbero essere:

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- Età materna in aumento

- Presenza di “tracciato non rassicurante” alla cardiotocografia eseguita durante il travaglio

- Presentazione podalica - Riduzione di parti operativi

- Aumentata incidenza di induzione al travaglio (nelle nullipare aumenta il rischio di taglio cesareo)

- Aumento del tasso di obesità

- Riduzione del numero di donne affette da preeclampsia che vengono sottoposte all’induzione al travaglio

- Riduzione delle donne che scelgono il parto vaginale dopo un TC (VBAC) - Aumento della frequenza dei TC indipendentemente dalle indicazioni

- Medicina difensiva (evitare conseguenze medico-legali a causa di lesioni materne e fetali).

E’ stato stimato che circa il 1-7% dei TC sono eseguiti su richiesta materna.

L’analisi dell’incidenza del taglio cesareo evidenzia come essa sia strettamente correlata con la frequenza delle diverse indicazioni che portano all’esecuzione dell’intervento stesso. È quindi importante definire gruppi di categorie mutuamente esclusivi e totalmente inclusivi, rilevanti da un punto di vista clinico, al fine di rendere possibile una comparazione di risultati nel tempo. La classificazione di Lucas, nonostante sia oggi ancora poco utilizzata nella pratica clinica, è l’unica accettata ufficialmente dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists e dal National Institute for Health and Clinical Excellence. Nel 2009 uno studio ne ha elaborato una versione modificata introducendo un codice-colore per la definizione delle quattro categorie.

[tab. II: codice colore per gli interventi di taglio cesareo]

CODICE DESCRIZIONE

ROSSO pericolo immediato per la vita della madre e/o del feto

GIALLO compromissione delle condizioni materne e/o fetali che non

costituisce un immediato pericolo di vita

VERDE assenza di compromissione delle condizioni materne e/o fetali, ma

necessità di anticipare il parto

BIANCO parto da inserire nella lista operatoria in base alle disponibilità del

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Un’ulteriore classificazione dei tagli cesarei è basata sui criteri di Robson (Fonte Oms “Who Statement on Cesarean Section Rates. Human Reproduction Programme”). Tale classificazione divide le pazienti sottoposte a taglio cesareo in 10 classi mutuamente esclusive, definite in base alla parità, al numero di feti, alla presentazione fetale, all’età gestazionale e al decorso del travaglio e del parto.

[Fig. 1: i criteri di Robson] Le strutture sanitarie che cercano di ottimizzare il ricorso al TC e hanno bisogno di valutarsi e

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Robson. Si tratta di un approccio metodologico già raccomandato nell’accordo Stato-Regioni del 2010 insieme ad altre misure, come la razionalizzazione della rete assistenziale e la diffusione di linee guida evidence-based, per promuovere una maggiore appropriatezza nell’assistenza al percorso nascita e una riduzione dei TC.

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2. FISIOLOGIA E FISIOPATOLOGIA DELLE ALTERAZIONI EMODINAMICHE E

LABORATORISTICHE IN GRAVIDANZA

Durante la gravidanza quasi ogni apparato materno è interessato da una serie di cambiamenti anatomici e fisiologici. Tali modifiche di natura nervosa e ormonale, associate alle alterazioni funzionali e strutturali, sono indotte da ormoni prodotti nel corpo luteo e dalla placenta. Ogni cambiamento è finalizzato all’ adeguamento funzionale dell’unità utero-placentare e quindi allo sviluppo fetale. Inoltre, l’effetto meccanico dell’utero gravido e la compressione da esso esercitata sulle strutture circostanti giocano un ruolo crescente durante il secondo e il terzo trimestre. Il tutto è gravato da una sempre maggiore necessità di apporto di ossigeno in condizioni in cui le richieste metaboliche sono fortemente aumentate. [fig. 2] [Tab. III] [10-11-12]

[fig. 2: variazione dei parametri emodinamici durante le settimane di gestazione] Poiché il consumo di ossigeno aumenta durante la gravidanza di circa il 40% rispetto ai valori basali (sia da parte della gestante che dall’unità feto-placentare), il sistema cardiocircolatorio materno si adatta per far fronte alle richieste metaboliche del feto in crescita. È quindi fondamentale conoscere le implicazioni anestesiologiche correlate a tali modificazioni, in modo tale da poter assistere al meglio la paziente nel peripartum e garantire la sicurezza della madre e del feto.

[Tab. III: variazione dei parametri vitali, emodinamici ed emogasanalitici]

PARAMETRO VARIAZIONE

OUTPUT CARDIACO + 40-50 %

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GC + 20 % (dal 3° trimestre)

VOLEMIA + 45 % (dalla 34a settimana)

RESISTENZE VASCOLARI PERIFERICHE - 20 %

P.A. SISTOLICA - 5 %

P.A. DIASTOLICA - 20 % (dal 2o trimestre)

PCV INVARIATA Hb - 3 - 5 g/dL FR + 40 - 50 % Vt + 30 - 40 % Volume residuo - 30 - 40 % CONSUMO DI O2 + 30 - 40 % VO2 + 15 - 20 % PaO2 + 102 - 108 mmHg

PaCO2 - 25 % (dal 3° trimestre)

Ph + 0,1 - 0,2

Bicarbonati - 4 - 6 mEq/L

ALTERAZIONI CARDIOCIRCOLATORIE:

FUNZIONE SISTOLICA:

Le modificazioni della funzione sistolica e del sistema renina-angiotensina-aldosterone portano ad un rimodellamento ventricolare, allo scopo di garantire una migliore performance miocardica [13-14]. A questo consegue un aumento della compliance vascolare, una diminuzione del post - carico e un aumento del pre-carico. Tali alterazioni terminano con l’aumento della portata cardiaca (il prodotto della frequenza cardiaca, FC, per la gittata, GC), in quanto dalla 5° alla 24° settimana la stessa fa registrare un aumento del 45% rispetto allo stato pregravidico. Circa il 70% di questo aumento si ha entro la 16° settimana, quindi molto prima che aumenti il flusso placentare. [15-16-17]

La frequenza cardiaca (FC) aumenta tra la 5°e la 32° settimana. Tali variazioni sono estremamente difficili da quantificare in modo preciso e attendibile, tuttavia, si ritiene che l’aumento sia di circa il 20% e che si verifichi a partire dalla quarta settimana di gestazione. Il

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fattore più influente è il volume sistolico cha aumenta dal 20% al 50% a termine rispetto ai valori delle non gestanti.

La gittata cardiaca (GC) aumenta gradualmente ma precocemente dall’ 8° alla 20° settimana di gestazione quando raggiunge il valore massimo. Seguono pareri discordanti su quello che accade nel terzo trimestre: [11-12-13]

- progressivo aumento della frequenza cardiaca fino al termine con conseguente riduzione della gittata cardiaca [13-14]

- aumento della GC fino al termine del II trimestre [18]

- riduzione della GC dopo la 35° settimana con successiva riduzione della portata cardiaca. L’incremento finale può arrivare fino al 50% (l’equivalente del 1,5 L/min) in più rispetto ai valori basali ed è sostenuto da un aumento della frequenza cardiaca e del volume sistolico.

VOLUME PLASMATICO:

Il volume plasmatico, per effetto della secrezione ormonale materna e fetale, subisce un aumento di circa il 50% (pari a 1,5 L), riuscendo così a soddisfare la crescente domanda metabolica. L’aumento iniziale del 10 - 15%, a partire dalla 4a settimana, è veicolato dalle crescenti necessità fetali; solo successivamente, tra la 6°e la 12° settimana, ci sarà un ulteriore nuovo aumento fino ad un picco del 50% entro la 28°- 34° settimana. A seguire, si registra una fase di plateau fino al termine della gestazione. [19]

La contemporanea ritenzione sodica (900-1000 mEq/L) e di acqua (6 - 8 L) è provocata dall’aumento di attività della renina plasmatica, mentre la riduzione delle concentrazioni plasmatiche di peptide natriuretico atriale porta ad una vasodilatazione sistemica e all’aumento della compliance vasale. Tale assetto ormonale provoca un miglioramento della circolazione renale e facilita la circolazione uterina senza significative alterazioni dei valori di pressione venosa centrale (PVC). Inoltre, permette alla partoriente di tollerare perdite ematiche abbondanti. [fig. 2]

RESISTENZE VASCOLARI SISTEMICHE:

Il fisiologico aumento della portata cardiaca e la riduzione della pressione arteriosa media sono associate alla riduzione delle resistenze vascolari sistemiche (RSV), determinate dal diametro trasversale dei vasi arteriosi. Ne è stata dimostrata una riduzione di circa il 20% in conseguenza della caratteristica bassa resistenza del distretto utero-placentare, dovuta all’escrezione di estrogeni e progesterone e all’aumento dei livelli circolanti di alcune prostaglandine, in particolare la prostaciclina (PGI-2), prodotta dalla placenta, dalle membrane amniotiche e dai

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La riduzione del tono vasale è la causa principale dell’aumento della distensibilità vascolare (anche se, secondo alcuni autori si riscontrerebbe anche un rimodellamento dei componenti della parete). [17]

DIMENSIONI E FUNZIONI DELL’ATRIO SX:

L’aumento del pre-carico, associato all’aumento del volume plasmatico, provoca l’incremento progressivo (a partire dalla 30°-34° settimana) delle dimensioni dell’atrio sinistro. [13-15-21] Tale cambiamento è correlato al, seppur minimo, aumento di inotropismo atriale e al successivo incremento del riempimento ventricolare sinistro nella stessa unità di tempo. Pertanto, sembra essere correlato all’aumento della gittata e della portata cardiaca durante la gravidanza, suggerendo quindi un loro diretto legame con le modificazioni del pre-carico.

FUNZIONE DIASTOLICA:

[40]

In letteratura sono riportati solo pochi dati relativamente ai cambiamenti della funzione diastolica durante la gravidanza. [18-21-22] Tali alterazioni sono state riscontrate in concomitanza alle modificazioni di struttura, funzione e dimensioni delle camere cardiache.

Durante il I e il II trimestre si riduce il tempo di rilasciamento isovolumetrico del ventricolo sinistro. Ciò comporta la diminuzione del tempo utile per il calo della pressione ventricolare sinistra rispetto alla pressione atriale. [18]

Di conseguenza, l’aumento del pre-carico porta all’aumento della pressione di riempimento dell’atrio sinistro, ad una precoce apertura della valvola mitrale e ad un adeguato riempimento diastolico ventricolare. Tale modificazione è inoltre favorita dalla riduzione del post -carico, delle resistenze vascolari uterine e sistemiche.

In conclusione, si riscontrano l’aumento delle dimensioni atriali sinistre, una concomitante riduzione delle resistenze vascolari e le modificazioni morfologiche e funzionali cardiache anche in fase diastolica. [18-21]

MASSA VENTRICOLARE:

Non c’è tuttora certezza riguardo l’aumento della massa ventricolare sinistra durante la gravidanza. [12-13-17-23]

In letteratura sono state riportate diverse opinioni:

- l’aumento a partire dalla 12° settimana di gestazione di circa il 52%, fino alla 38° [17] - l’ipertrofia ventricolare sinistra “fisiologica” durante tutta la gravidanza [12-13-17-23]

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- l’aumento progressivo e proporzionale delle pareti ventricolari e dimensioni telediastoliche delle camere cardiache da cui ne consegue l’ipertrofia (simile all’ipertrofia cardiaca degli atleti che regredisce al termine dell’attività agonistica). [17]

PRESSIONE ARTERIOSA:

[41]

La riduzione delle resistenze vascolari periferiche e il concomitante aumento della portata cardiaca conducono al mantenimento della normale pressione arteriosa o al riscontro di una lieve diminuzione della stessa. [24-25]

Durante il III trimestre la pressione arteriosa dipende dalla posizione materna. Si parla di “sindrome da ipotensione supina” per indicare la compressione uterina sulla vena cava inferiore materna. L’effetto che ne consegue è la riduzione del ritorno venoso al cuore e della gittata cardiaca che si traduce, in circa il 10% delle donne, in un vero e proprio stato di shock all’assunzione della posizione supina. La sintomatologia correlata è caratterizzata da sudorazione, tachicardia, debolezza, vertigini, pallore, nausea e vomito e, nei casi più gravi, da insufficienza circolatoria acuta e distress fetale. Pertanto, è necessario far posizionare la donna in decubito laterale sinistro con un angolo di almeno 15-20°, utilizzare un cuneo da posizionare sotto il fianco destro oppure provocare una dislocazione manuale dell’utero. [26-27]

La posizione supina potrebbe comprimere anche l’aorta materna, provocando un’ulteriore importante riduzione della perfusione utero-placentare e una sofferenza fetale. [26-27-28]

MECCANISMO DI CONTROLLO DELL’EMODINAMICA:

Il più potente stimolo all’aumento della portata cardiaca è l’aumento del fabbisogno di ossigeno e del suo consumo. Tale alterazione si ripercuote a livello del diaframma, renale e dell’unità feto placentare, tutto per far fronte all’ aumentata necessità metabolica. [29]

Come già accennato, gli ormoni steroidei sessuali provocano le prime modifiche emodinamiche. I fisiologici cambiamenti dell’assetto ormonale alterano il pre e il post-carico. [31-32] Il progesterone porta all’ipertrofia cardiaca, mentre gli estrogeni hanno un ruolo nell’aumento della gittata e della portata cardiaca. [30-31] Con la ridistribuzione ormonale degli estro-progestinici si ha la diminuzione dell’attività dei neurotrasmettitori vascolari, una riduzione del potenziale di membrana a riposo, un’alterata funzione dei recettori endoteliali, una riduzione della risposta vasocostrittrice e una vasodilatazione periferica. [29-33-34] Si verifica inoltre l’aumento del volume plasmatico, il rimodellamento del miocardio e la regolazione del flusso utero-placentare. [34]

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una diminuzione delle resistenze vascolari periferiche con un rilasciamento delle cellule muscolari parietali e le alterazioni strutturali della parete vasale, tali da alterare la geometria del vaso (un cambiamento del contenuto proteico della matrice). [7-16] Ne consegue un aumento della compliance vascolare.

Si aggiunge inoltre il controllo del sistema nervoso autonomo, in quanto la funzionalità del sistema nervoso simpatico rimane simile tra le pazienti gravide e non (solo in caso di pre-eclampsia si avrà un aumentato tono). [30] Più precisamente, si riduce l’attività vasocostrittrice del simpatico come risposta all’ ipotensione arteriosa ma la risposta tachicardica rimarrà conservata in modo da favorire il mantenimento di un costante flusso utero-placentare. [31] Per di più, si avrà un aumento dell’attività inibitoria simpatica cardiaca che si instaurerà in risposta ai livelli pressori.

GLOBULI ROSSI ED EMOGLOBINA MATERNA:

[Fig. 3: variazione dei parametri emodinamici, della volemia e della concentrazione di emoglobina durante le settimane di gestazione] A causa dell’effetto degli ormoni estro-progestinici si ha una riduzione fisiologica di emoglobina ed ematocrito materni. Inoltre, come accennato precedentemente, l’attività estrogenica porta ad un aumento del sistema renina-angiotensina-aldosterone e alla successiva ipervolemia. Il progesterone e la prolattina favoriscono l’attività eritropoietica già a partire dall’ 8° settimana di gestazione. L’aumento della quota dei globuli rossi è più lento rispetto all’instaurarsi dell’ipervolemia: pertanto, agli esami ematochimici verrà riscontrata un’anemia relativa.

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L’aumento della gittata cardiaca, con l’aumento contemporaneo della pressione parziale di ossigeno, provoca uno spostamento verso destra della curva di dissociazione dell’emoglobina. Ne consegue un trasporto di ossigeno (DO2) stabile e una rapida dissociazione dalle catene dell’emoglobina. [Fig. 4] [Fig. 5] [35-36]

[fig. 4: alterazioni fisiologiche della curva di dissociazione dell’emoglobina]

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APPARATO RESPIRATORIO:

Durante la gravidanza si assiste ad una graduale riduzione della capacità respiratoria con maggiore suscettibilità all’ipossia. Tale condizione è correlata ad un maggiore consumo di ossigeno e ad una più spiccata tendenza all’ostruzione delle prime vie aeree (per l’imbibizione sistemica dei tessuti). Ne consegue una tendenza alla difficile intubazione e alle relative complicanze (con un’incidenza di 7 volte maggiore tra le pazienti ostetriche piuttosto che in altre categorie). [fig. 6]

In aggiunta, un maggiore rischio di sviluppare la sindrome di Mendelson, così come l’aumento della probabilità di inalazione e di polmonite ab-ingestis trova il proprio razionale in un rallentato svuotamento gastrico (per aumento del progesterone ematico e per compressione meccanica dell’utero gravido sul piloro), in un’aumentata secrezione acida gastrica (per ipergastrinemia) e in un aumento della pressione endoaddominale.

[fig. 6: studio degli scambi respiratori nelle donne in gravidanza a termine]

UNITÀ FETO – PLACENTARE:

Le circolazioni materna e fetale si fondono a livello placentare, dove tessuti materni e fetali si uniscono a formare una lamina basale e una coriale. [39] [Fig. 7]

L’unità strutturale della placenta è il villo, una proiezione vascolare del piatto coriale. Il sangue materno si propaga dalle arterie spirali nello spazio intervilloso, dove bagna i villi coriali che contengono i capillari ombelicali fetali: tra la circolazione materna e quella fetale non vi è quindi

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una comunicazione diretta, ma una membrana semipermeabile che fornisce un’interfaccia.

[Fig. 7: la circolazione materno-fetale] Il 40–50% della gittata del feto arriva alla placenta attraverso le due arterie ombelicali, una quantità analoga ritorna al cuore attraverso l’omonima vena. Il flusso ematico uterino aumenta progressivamente durante tutta la gravidanza e raggiunge un valore medio di 500 – 700 ml al termine della stessa (circa il 12% della portata cardiaca materna, contro valori pregravidici inferiori al 5%). Circa l’85% di questa quota arriva alla placenta e proviene principalmente dalle arterie uterine, dalle quali originano le arterie arcuate che circondano l’utero, che a loro volta si dividono per formare le arterie spirali: da queste ultime il sangue si propaga nello spazio intervilloso.

In condizioni normali, l’unità feto-placentare presenta una circolazione caratterizzata da un alto flusso uterino e basse resistenze vascolari. Il letto vascolare uterino è dilatato con scarsissima capacità di autoregolazione. Ne consegue che il flusso nelle arterie uterine è totalmente dipendente dalla gittata cardiaca e dalla pressione arteriosa materne[37] e qualsiasi fattore in grado di alterare il flusso uterino influenzerà negativamente anche l’apporto ematico fetale. L’ipotensione materna, che può verificarsi in seguito a compressione aorto-cavale, ipovolemia, emorragia o blocco simpatico, può compromettere il flusso sanguigno uterino; allo stesso modo, un’ipercontrattilità uterina, o condizioni che aumentino la durata o la frequenza delle contrazioni, possono portare a una riduzione del flusso.

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3. PROGETTO E SCOPI

CRITERI DI INCLUSIONE:

- Pazienti candidate a taglio cesareo in regime di elezione (o codice bianco) con rischio anestesiologico ASA 1 o 2

- Pazienti senza controindicazioni alle procedure di anestesia neuroassiale

CRITERI DI ESCLUSIONE:

- Taglio cesareo in regime di emergenza/urgenza

- Pazienti con controindicazioni assolute alle procedure di anestesia neuroassiale

- Complicanze procedurali della metodica (mancato avanzamento del catetere peridurale, blocco segmentario o unilaterale, puntura della dura accidentale)

- Madri con gravidanza complicata da patologie non compensate nel pre -operatorio - Feti con ritardo di crescita e flussimetria cordonale patologica

PROCEDURE ASSISTENZIALI:

- Accoglienza alla paziente: identificazione, controllo della cartella clinica, colloquio informativo

- Pazienti da sottoporre a taglio cesareo in regime di elezione su indicazione ginecologico-ostetrica e gravidanza a termine

- Pazienti con rischio anestesiologico ASA 1 o 2 e senza controindicazioni alle procedure di anestesia neuroassiale (gruppo di 20 pazienti sottoposte ad anestesia spinale, ALR-S, vs. gruppo di 20 pazienti in anestesia combinata, ALR-CSE)

- Preparazione all’anestesia: posizionamento di ago-cannula 18 G sulla mano destra e preidratazione (soluzione Ringer Lattato, 1 fiala di Ranitidina 50 mg o Pantoprazolo 40 mg e 1 fiala di Metoclopramide 10 mg)

- Preparazione della sala operatoria: preparazione dello strumentario chirurgico e del campo operatorio

- Preparazione del materiale per l’anestesia (per anestesia sub-aracnoidea: ago tipo Whitacre, VYGONⓇ, per anestesia spinale con punta a matita e foro laterale, 25 G x 90 mm; per anestesia spino-periduale: kit EspocanⓇ con ago epidurale punta Tuohy dal diametro 1.30 x 88 millimetri G 18, ago spinale PencanⓇ o SpinocanⓇ, 27 G, catetere epidurale PerifixⓇ, materiale poliammide, diametro 0,85 x 0,45 millimetri, lunghezza totale 100 cm)

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- Sistemazione della partoriente in sala operatoria e inizio del monitoraggio standard (ECG, saturimetria e bracciale della pressione con misurazione automatizzata ogni 3 minuti) e della cardiotocografia pre procedurale

- Registrazione delle ore di digiuno pre-operatorio e monitorizzazione della fluidoterapia (infusione endovenosa di cristalloidi, soluzione Ringer Lattato) prima della procedura anestesiologica

- Assistenza all’anestesista nelle procedure anestesiologiche, aiuto al mantenimento della posizione della paziente (seduta o in decubito laterale)

- Registrazione delle strategie di controllo dell’ipotensione arteriosa (correzione della compressione aorto-cavale, somministrazione dei vasoattivi e dei cristalloidi negli intervalli di tempo che intercorrono tra le misurazioni) nei primi minuti post-anestesia - Posizionamento del catetere vescicale e posizionamento di cannule nasali per la

somministrazione di ossigeno (3-5 L/min)

- Posizionamento del cuneo sotto il fianco destro della paziente per evitare la compressione aorto-cavale

- Ripresa del monitoraggio CTG per il controllo del battito fetale fino ad inizio intervento (tempo minimo 10 minuti)

- Assistenza alla preparazione del campo operatorio e all’intervento chirurgico - Somministrazione di terapia antibiotica con Cefazolina 2 g ev

- Monitorizzazione dell’intervallo di tempo tra incisione uterina e clampaggio del cordone ombelicale (maggiore o minore di 3 minuti)

- Registrazione dello stato di benessere fetale (Apgar a 5 minuti e risultati emogasanalitici cordonali)

- Ricerca di relazione tra l’ipotensione e/o sintomi correlati, strategie di controllo della stessa ed outcome fetale

- Sistemazione della partoriente alla fine dell’intervento

- Esecuzione delle procedure assistenziali di controllo della partoriente nell’immediato post-operatorio.

- Controlli seriati post-operatori del benessere materno nelle prime 48 ore (controllo del dolore, effetti collaterali farmacologici).

END-POINT PRIMARIO:

- Valutazione del benessere materno periprocedurale (eventuale ipotensione e sintomi correlati) e relative risposte alle manovre terapeutiche

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- Valutazione del benessere neonatale (punteggio Apgar e risultati emogasanalitici cordonali)

END-POINT SECONDARIO:

- Controllo del dolore materno (NRS ≤4) e del benessere percepito nelle prime 24 e 48 ore dall’intervento chirurgico (terapia antalgica tradizionale con Paracetamolo 1 g x 3 ev ed Ibuprofene 600 mg per os x 3 vs. terapia antalgica tramite catetere peridurale con pompa antalgica in modalità PCEA + PIEB Levobupivacaina 0,625 mg/ml (o Ropivacanina 0,1 mg/ml) + Sufentanyl 0,5 mcg/ml con associato Paracetamolo 1 g ev x 3), verifica della comparsa di possibili effetti collaterali ed eventuale ricorso a terapia rescue.

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4. MATERIALI E METODI:

TECNICHE DI ANESTESIA LOCO-REGIONALE:

[43, 86, 87]

“Neuraxial anesthesia for cesarean delivery: what criteria define the "optimal" technique?” (Anesth Analg. 2009 Nov;109(5):1370-3. Benhamou D, Wong C.)

Attualmente l’approccio anestesiologico al taglio cesareo risulta essere l’anestesia loco-regionale. Una serie di motivazioni internazionalmente condivise giustificano tale scelta:

- Riduzione mortalità materna/neonatale (16 volte minore per le tecniche loco-regionali piuttosto che per l’anestesia generale)

- Nessuna necessità di controllo di vie aeree difficili (1:300), annullando i rischi di aspirazione del contenuto gastrico e del rischio di ipossia intra-operatoria

- No awareness

- Le madri sono coscienti e possono condividere l’evento con conservazione dell’affettività e dell’emotività materna (interazione precoce madre-neonato)

- Miglior mantenimento dell’omeostasi materno-fetale - Miglior flusso placentare

- Miglior outcome post-operatorio

- Ridotto o nullo passaggio di farmaci al nascituro, migliori punteggi neurocomportamentali del nascituro senza un’azione depressiva farmacologica

- Ottimali condizioni di lavoro per l’equipe chirurgica - Possibilità di ottimale analgesia post-operatoria. Le tecniche utilizzate in ambito ostetrico nei tagli cesarei sono:

- Anestesia subaracnoidea (ALR-S)

- Anestesia combinata (spino- peridurale, ALR-CSE) Le controindicazioni assolute alla tecnica neuroassiale sono:

- Rifiuto della paziente - Ipertensione endocranica

- Coagulopatie (genetiche o acquisite, paziente pre- eclamptica affetta da sindrome HELLP, anemia microangiopatica emolitica con piastrinopenia)

- Trombocitopenia grave (< 80.000 piastrine x mm3)

- Trattamento eparinico ad alte dosi (30.000 - 40.000 UI/die).

La paziente, durante l'esecuzione della tecnica anestesiologica, si trova seduta o in decubito laterale. Le posizioni che assume la paziente sono caratterizzate da una differente difficoltà di esecuzione ed incidenza di complicanze (es. ipotensione arteriosa). Alla paziente viene chiesto

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mantenuta una posizione che permetta a spalle e bacino di mantenersi su due rette parallele. Si disegna immaginariamente una linea che unisce idealmente le due creste iliache (linea di Tuffier) che attraversa il corpo di L4 (assumendo un rapporto più cefalico in quanto, al termine della gravidanza, la pelvi è ruotata sull’asse longitudinale della colonna). L’identificazione dello spazio intervertebrale, seguendo come repere la linea di Tuffier, ha un’accuratezza di circa il 50% (nell’ulteriore 50% dei casi corrisponde allo spazio intervertebrale superiore).

E’ opportuno, inoltre, monitorizzare i parametri materni (la saturazione di ossigeno, la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa con modalità non invasiva ogni 3 minuti) e controllare il tracciato cardiotocografico (per almeno i 10 minuti successivi, sino alla preparazione del campo operatorio). E’ necessario eseguire la disinfezione chirurgica della cute con Betadine o Clorexidina in soluzione alcolica al 2%.

ANESTESIA SUB-ARACNOIDEA:

L' anestesia subaracnoidea (o spinale, ALR-S) consiste nella somministrazione di anestetico locale, con l’aggiunta di oppioidi, direttamente nel liquor cefalo-rachidiano (Ropivacaina oppure Levobupivacaina 5 mg/ml, 7.5-8 mg, Sufentanil 1 mcg/ml, 1 ml, e Morfina 0.1 mg/ml, 1 ml). L' ago da spinale utilizzato maggiormente è un ago Whitacre 25 G X 90 mm con punta conica ("pencil point"). [Fig. 8]

[Fig. 8: ago da spinale tipo Whitacre] Quando la dura madre viene perforata con questi aghi, le sue fibre inizialmente vengono respinte lateralmente e successivamente si richiudono, bloccando la liquorrea ed evitando la cefalea post puntura durale. Si palpano i processi spinosi sulla linea mediana al di sotto di L2 (termine cono midollare) e si inserisce l'ago introduttore sino al legamento interspinoso. Poi, attraverso l'introduttore, l'ago spinale oltrepassa il legamento spinoso, legamento giallo, spazio

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epidurale e dura/aracnoide fino allo spazio subaracnoideo (quando viene percepito il classico "scatto durale"). Si rimuove il mandrino contenuto all'interno dell'ago Whitacre e dal foro distale si avrà la fuoriuscita di liquor cefalo-rachidiano. Si somministra quindi la miscela anestetica. Un blocco spinale, con una marcata riduzione della sensibilità termica fino a livello di T4, è predittore di taglio cesareo “painless”.

ANESTESIA SPINO-PERIDURALE:

L’esecuzione della tecnica combinata (o spino-peridurale, ALR-CSE), invece, implica l’esecuzione, durante la stessa procedura, di un blocco spinale e di uno peridurale attraverso l’apposito cateterino. Questo si può ottenere con due modalità:

- due aghi in due interspazi differenti;

- due aghi nello stesso interspazio: “ago sotto l’ago” o “ago nell’ago”

[Fig. 9: Set di cateteri per anestesia epidurale/spinale combinata (CSE)] La tecnica “ago nell’ago” è attualmente la più diffusa. [Fig. 9] A seguito dell’anestesia locale con Lidocaina 2% nel sottocute, si introduce l’ago di Thuoy per circa 2 cm attraverso i tessuti e a livello dello spazio intervertebrale predefinito. Questo ago è del tipo “Black-eye” (18 G X 88 mm), dalla punta incurvata in alto e poco tagliente, per ridurre al minimo il rischio di puntura della dura e caratterizzata da due diversi orifizi, uno per l’ago da spinale e uno per il catetere. A tal punto, si raccorda l’ago ad una siringa riempita con soluzione fisiologica sterile (“tecnica del mandrino ad acqua”) o con dell’aria (“tecnica del mandrino ad aria”). Con la prima tecnica è necessario procedere in modo continuo facendo avanzare l’ago, sfruttando solo la pressione

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una contropressione sulla schiena della paziente. Con la tecnica del mandrino aereo, invece, si effettua una pressione intermittente sul pistone. Quest’ultima modalità è associata a un maggior rischio di puntura accidentale della dura e, qualora si fosse iniettata quantità abbondante di aria, possono comparire: dolore alle spalle, alla nuca, analgesia incompleta o a chiazze. Dalla netta perdita di resistenza dei tessuti attraversati dall’ago di Thuoy si ha il primo segno che è stato reperito lo spazio epidurale. Quando la punta del secondo ago, per la procedura spinale, passa all’interno dell’ago di Thuoy e raggiunge il legamento giallo si percepisce un nuovo aumento della resistenza. Successivamente si inserisce l'ago spinale Whitacre (27 G) e, dopo averlo bloccato con il “docking system”, si inizia a somministrare la miscela anestetica (Levobupivacaina 5 mg/ml, 5-6 mg + Sufentanyl 1 mcg/ml, 2 ml). L’ago da spinale deve superare di almeno 13 mm l’ago di Thuoy per evitare la mancata puntura della dura madre (fenomeno di “tenting”). A seguito della rimozione del solo ago da spinale, si inserisce il catetere attraverso l'ago di Thuoy nello spazio peridurale. E’ opportuno inserirlo nel suddetto spazio per non più di 5 cm, altrimenti si avrà un aumentato rischio di malposizionamento con la lateralizzazione dello stesso e, quindi, l’inefficacia della tecnica stessa.

I metodi per l'identificazione di un corretto posizionamento del catetere sono due:

- “test di aspirazione”: consiste nel mantenere la pressione negativa nel cateterino con una siringa vuota da 2,5 ml per almeno 30 secondi. Tale test è definito negativo quando vengono aspirate solo poche gocce di liquido chiaro. E’ buona norma ripetere tale procedura prima di ogni utilizzo.

- “dose test”: prevede la somministrazione di una piccola quantità di anestetico locale, seguita da un lasso di tempo sufficiente di osservazione e, successivamente, la verifica della motilità degli arti inferiori. Qualora si instaurasse un blocco motorio (es. deficit nella flessione del piede) vorrebbe dire che il cateterino si trova nello spazio sub-aracnoideo.

TECNICHE A CONFRONTO:

- ANESTESIA SUB-ARACNOIDEA vs. EPIDURALE: VANTAGGI 1. maggiore facilità e tempi ridotti di esecuzione 2. breve onset

3. possibilità di predire il recupero funzionale 4. facile riproducibilità

5. bassa incidenza di cefalea 6. costi bassi

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7. no rischio di tossicità sistemica con passaggio transplacentare minimo. SVANTAGGI

1. effetto sull’emodinamica materna (ipotensione arteriosa), talora troppo brusco per un eccessivamente rapido onset del blocco simpatico

2. impossibilità di nuova somministrazione di anestetico intraoperatorio 3. maggiore incidenza di ipotermia

4. non ottimale analgesia post-operatoria - ANESTESIA EPIDURALE vs. SUB-ARACNOIDEA:

VANTAGGI 1. gradualità degli effetti

2. possibilità di nuova somministrazione di anestetico durante e post-procedurale con boli incrementali (“Low-dose combined spinal-epidural”)

3. onset più lento con minore effetto ipotensivo 4. minor disconfort intraoperatorio

5. minore incidenza di riduzione del flusso utero-placentare 6. efficace analgesia post-operatoria.

SVANTAGGI

1. rischio di puntura accidentale della dura (e conseguente maggiore rischio di cefalea) 2. onset time talvolta incompatibile con la necessità di intervento in regime di

urgenza/emergenza

3. necessità, talvolta, di somministrare dosaggi maggiori di anestetico locale con conseguente maggiore rischio di tossicità sistemica e passaggio placentare.

- ANESTESIA COMBINATA vs. SPINALE:

VANTAGGI

1. velocità dell’effetto anestetico pari a quello della spinale con possibilità di completamento come per epidurale

2. possibilità di prevedere la durata della dose anestetica somministrata

3. possibilità di somministrare basse dosi anestetiche intratecali e tritare la dose con blocchi incrementali per mantenere la stabilità emodinamica

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5. analgesia epidurale post-operatoria.

SVANTAGGI

1. necessari tempi più lunghi per l’esecuzione della procedura

2. possibile passaggio intratecale di farmaci epidurali (per la somministrazione di volumi maggiori)

3. aumentato rischio di assorbimento sistemico

4. possibile passaggio errato del catetere epidurale (intratecale, intravascolare) 5. incidenza di insuccesso della tecnica (4-14%)

6. aumento dei costi

7. lenta curva di apprendimento.

FARMACI, FARMACOCINETICA E FARMACODINAMICA MATERNO-FETALE:

Sono ampie le variazioni della farmacocinetica, dovute alle normali variazioni ormonali, presenti all’interno della popolazione di donne in stato di gravidanza, seppur sia presente un’importante variabilità interpersonale. Le alterazioni tipiche della gravidanza sono caratterizzate da un’accentuata durata ed intensità dell’effetto analgesico/anestetico. Inoltre, i cambiamenti del peso corporeo (per l’ipervolemia) e della capacità di legame delle molecole a livello plasmatico (per le alterazioni nella concentrazione di proteine e di pH) portano ad una condizione caratterizzata da un aumento del volume di distribuzione, in cui il liquido amniotico può essere considerato come terzo spazio. Nello specifico, probabilmente a causa dell’azione del progesterone, a partire dal II trimestre, si ha sia un’ipoalbuminemia da diluizione, sia una riduzione dello spazio subaracnoideo per un aumento della pressione endoaddominale. Il metabolismo epatico è altrettanto alterato a causa dell’iperattivazione del citocromo P450 progesterone-indotta, associata all’attività estrogenica che induce la glucuronidazione.

Successivamente, data la veloce filtrazione glomerulare (aumentata del 50%) e la maggiore attivazione del trasporto tubulare (sostenute da un aumentato flusso ematico del 25-75%), si avrà un’eliminazione più rapida. Inoltre, l’effetto colestatico degli estrogeni interferisce con l’eliminazione farmacologica attraverso il sistema biliare.

I pH materno e fetale sono determinanti sul trasferimento placentare, specialmente per i farmaci chimicamente acidi e basi deboli con pKa vicino al valore di pH plasmatico. Il pH fetale è di solito lievemente minore di quello materno, di conseguenza, le basi deboli rimangono non ionizzate e passano con facilità la barriera placentare (nella maggioranza dei casi per diffusione passiva). Nel torrente ematico fetale, invece, relativamente acido, tali molecole diventano ionizzate con una relativa riduzione delle concentrazioni molecolari a livello ematico fetale (“ion trapping”). Talvolta la placenta si comporta come sito di metabolismo di primo passaggio

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farmacologico. L’eliminazione avviene più frequentemente per diffusione dal compartimento fetale al materno.

Nelle tecniche di anestesia loco-regionale, nonostante i numerosi studi eseguiti, ancora non sono stati definiti i dosaggi standard da somministrare, soprattutto se consideriamo le ampie variabilità interindividuali.

ANESTETICI LOCALI:

ROPIVACAINA

Nome IUPAC: (2S)-N-(2,6-dimethylphenyl)-1-propylpiperidine-2-carboxamide - Formula bruta o molecolare: C17H26N2O

- Massa molecolare (u): 274.4g/mol

- Modalità di somministrazione: sistema nervoso centrale e periferico, epidurale o subaracnoidea

- Soluzione isotonica con pH tra 4,0-6,0 - Emivita: 2 ore circa

La ropivacaina è un anestetico locale contenente un legame di tipo amidico. La soluzione in commercio è una miscela di un enantiomero destro e levogiro.

E’ una molecola fortemente liposolubile. Il pKa è di 8.01, il pH 6 con un legame alle proteine plasmatiche molto elevato (89-95%) e un’alta resistenza all’idrolisi.

Può essere impiegato nell'anestesia sia per blocchi periferici, che centrali. Provoca un blocco persistente dei canali del sodio presenti nella membrana cellulare dei miociti, con successiva lenta dissociazione, per un fenomeno conosciuto come “fast-in-slow-out”. Produce un blocco differenziale delle fibre nervose: ciò consente di anestetizzare le fibre sensitive senza influenzare quelle motorie. La ropivacaina possiede anche un effetto di vasocostrizione che prolunga l'azione nell'anestesia per infiltrazione e nel blocco dei nervi periferici. Inoltre, tale anestetico è meno cardiotossico rispetto ad altri (es. Bupivacaina). E’ caratterizzato da una bassa tossicità

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ad altri anestetici locali dalla lunga durata d’azione. L’eliminazione è prevalentemente epatica, avviene tramite l’idrossilazione aromatica e il metabolita è la 3-idrossi-ropivacaina, mentre, solo l’1% è escreto nelle urine immodificato.

LEVOBUPIVACAINA (o CHIROCAINA)

Nome IUPAC: (2S)-1-butyl-N-(2,6-dimethylphenyl)piperidine-2-carboxamide - Formula bruta o molecolare: C18H28N2O-HCl

- Massa molecolare (u): 288,43 g/mol

- Modalità di somministrazione: sistema nervoso centrale e periferico - Soluzione isotonica con pH tra 4,0-6,0

- Osmolalità: 267-310 mOsm/Kg - Emivita: 2-2,5 ore

La levobupivacaina è l’enantiomero levogiro (S) della bupivacaina racemica, proposto in sostituzione della bupivacaina stessa in virtù di un migliore profilo di sicurezza sul sistema cardiovascolare. Il pKa è 8.2, il pH 4-6.5, il legame proteico nel plasma è del 93.4%. La potenza è simile a quella della bupivacaina.

Al pari degli altri anestetici locali, la levobupivacaina blocca la conduzione nervosa nei nervi sensitivi e motori, interagendo con i canali del sodio della membrana cellulare (sensibili agli stimoli elettrici), ma blocca anche i canali del potassio e del calcio. L'effetto compare entro 15 minuti e ha una durata dose-dipendente.

La levobupivacaina è metabolizzata nel fegato da parte dei citocromi CYP3A7 e CYP1A2 a desbutyl- levobupivacainal e 3- idrossi- levobupivacaina, mentre l’eliminazione avviene per il 70% a livello renale sotto forma di acido glicuronico ed estere solfato. L’escrezione si verifica nella forma degradata (libera e coniugata) e, in maniera marginale, non degradata (indissociata e ionizzata).

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OPPIOIDI:

SUFENTANYL

Nome IUPAC: N-[4-(metossimetil)-1-[2-(2-tienil)etil]-4-piperidinil]-N-fenilpropanamide - Formula bruta o molecolare: C22H30N2O2S

- Massa molecolare (u): 386,552 g/mol

- Modalità di somministrazione: Intramuscolare, endovenosa, intratecale, nasale - Emivita: 265 minuti

Il Sufentanil è un oppioide sintetico, derivato tienilico del fentanyl con un effetto 7-10 volte maggiore. È indicato per l'induzione e il mantenimento dell'anestesia generale, la neuroleptoanalgesia e l'analgesia epidurale.

Tale farmaco è caratterizzato da una maggiore liposolubilità rispetto al fentanyl e, con un più forte legame per i recettori “µ”, produce il tipico spettro di effetti degli oppioidi, ed è caratterizzato da un rapido onset. La distribuzione ai tessuti avviene ampiamente e rapidamente, ma con legame aspecifico a livello del sistema nervoso centrale. Per l’alto grado di ionizzazione e il forte legame alle proteine plasmatiche, il volume di distribuzione è piccolo e l'emivita di eliminazione è più breve rispetto ad altri oppioidi (circa 164 minuti). Il farmaco è metabolizzato principalmente a livello epatico. Il sufentanil è biotrasformato per opera del citocromo P450 CYP3A4 tramite reazioni di N-dealchilazione, de-etilazione ossidativa, demetilazione ossidativa e idrossilazione aromatica. Solo una piccola percentuale, approssimativamente l'80% di una singola dose, viene escreta entro 24 ore e solo il 2% circa è eliminato in forma immodificata.

Per quanto riguarda la tossicità e gli effetti collaterali si è rilevato che nel topo la DL50 dopo somministrazione per via endovenosa è pari a 18,7 mg/kg. La somministrazione endovenosa di Sufentanil non determina rilascio di istamina.

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MORFINA

Nome IUPAC: (5α,6α)-7,8-dideidro-4,5-epossi-17-metilmorfinan-3,6-diolo - Formula bruta o molecolare: C17H19NO3

- Peso molecolare: 285.34g/mol

- Solubilità in acqua: 149 mg/L (60 mg/mL per il solfato)

- Modalità di somministrazione: Intramuscolare, endovenosa, intratecale, nasale - Emivita: 3-6-12 ore

La morfina è il più abbondante e principale alcaloide contenuto nell'oppio, estratto dalla linfa essiccata fuoriuscita dalle capsule immature prodotte dal papavero da oppio (Papaver Somniferum). La morfina instaura rapidamente una fase di assuefazione e tolleranza con l’instaurarsi di una dipendenza sia fisica che psicologica già dopo alcune settimane di uso quotidiano.

E’ un analgesico oppiaceo che agisce come agonista su specifici recettori, siti nel sistema nervoso centrale e nel plesso mesenterico della parete addominale. Agisce rapidamente e può essere somministrata in via endovenosa o sottocutanea, per via orale in forma di sciroppo o compresse. I suoi effetti principali si manifestano sul sistema nervoso centrale con analgesia, depressione respiratoria, cambiamenti d'umore, obnubilamento mentale; sul sistema gastroenterico con nausea o vomito, sulla muscolatura liscia con miosi, aumento del tono intestinale con riduzione della forza propulsiva, aumento della pressione biliare e del tono dell'uretere e dello sfintere vescicale.

La morfina è una sostanza idrofila e perciò ha un volume di distribuzione minore rispetto alla maggior parte degli oppioidi comunemente impiegati. Il valore del volume di distribuzione apparente allo steady-state è di 2-3 L/kg. Ne consegue un inizio d’azione maggiore rispetto ad

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altri oppioidi lipofilici, in quanto l’ingresso del farmaco nel sistema nervoso centrale è ostacolato in maniera significativa dalla barriera ematoencefalica.

La morfina si lega per il 25-35% alle proteine plasmatiche perciò i fattori che alternano tale legame influiscono in modo trascurabile sul profilo farmacodinamico. La quantità di farmaco che si ritrova nel latte materno a seguito di somministrazione endovenosa è inferiore all’1% della dose stessa.

La morfina viene estesamente biotrasformata sia a livello epatico che a livello intestinale già prima dell’assorbimento: il 3-glucuronide è il metabolita principale (circa il 45% della dose), mentre il 6-glucuronide, quantitativamente minore (5%) è circa 40 volte più attivo della morfina stessa. Altri prodotti di degradazione sono la normorfina (1-5%), la normorfina- 3- glucuronide (3%), la morfina 3,6- biglucuronide, e la morfina- etere- solfato ed altri glucuronidi della normorfina.

Il tempo di dimezzamento della molecola nel sangue e nel plasma è rispettivamente di 2,7 e di 2,95 ore. Gli elevati valori della clearance (con una media di 1.16 L/min) rappresentano il 75% del flusso sanguigno epatico (HBF). Ne consegue che essendo la clearance flusso-dipendente, farmaci e fattori ambientali che agiscono da induttori metabolici non alterano di molto la clearance e il tempo di dimezzamento della morfina pur influenzando la biodisponibilità orale. Soltanto una piccola percentuale di morfina viene escreta immodificata nelle urine. Per questo motivo, sebbene un’insufficienza renale non modifichi il metabolismo e l’eliminazione della morfina come tale, nei pazienti nefropatici in fase terminale può verificarsi un accumulo dei metaboliti della morfina, in particolare del metabolita attivo 6- glucoronide, con conseguente prolungamento dell’effetto oppioide e rischio di intossicazione.

L’età è risultata essere un fattore importante nel determinare la dose efficace di morfina: gli anziani, infatti, manifestano una maggiore sensibilità alla dose standard di farmaco e, pur non differendo nel picco di azione analgesica, mostrano una risposta più protratta. Nell’anziano la morfina ha una clearance ridotta, concentrazione plasmatica maggiore ed una più lunga durata d’azione.

MONITORAGGIO DEL BENESSERE MATERNO INTRAOPERATORIO:

DEFINIZIONE DI IPOTENSIONE

[81]

Nelle tecniche neuro-assiali la complicanza più comune è l’ipotensione arteriosa, definita come diminuzione della pressione sistolica sotto i 100 mmHg o del 25% rispetto al valore basale. Le cause sono:

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intra-- brusco calo delle resistenze vascolari sistemiche - blocco del simpatico

- compressione aorto-cavale [42]

Tra i segni, i sintomi e le conseguenze è importante porre l’attenzione su: - nausea e vomito

- perdita di coscienza fino all’arresto cardio-circolatorio - riduzione della perfusione placentare

- anossia e compromissione fetale - acidosi fetale

Secondo alcune casistiche, circa il 70-80% delle pazienti presenta episodi ipotensivi. L’incidenza di ipotensione varia nei differenti studi da 1,9% al 70%, ciò vuol dire che ogni studio definisce un valore pressorio critico al di sotto del quale si può parlare di ipotensione. Si passa da una calo dell’80 % rispetto alla linea basale ad un valore assoluto di riduzione di pressione al di sotto di 100 mmHg. Altri Autori pongono l’accento sui sintomi correlati all’ipotensione come la nausea e il vomito, più che alla misurazione di per sè.

Si ritiene che la compressione aorto-cavale predisponga ad un aumentato rischio di ipotensione, mediata da una riduzione del ritorno venoso e quindi della gittata e della frequenza cardiaca. Il blocco neuroassiale e il successivo effetto simpaticolitico comportano la riduzione delle resistenze vascolari sistemiche (SVR) e del ritorno venoso di sangue al cuore. Queste variazioni emodinamiche non sempre si accompagnano ad una riduzione della gittata cardiaca (o cardiac output, CO) in quanto si instaura un meccanismo di compenso parziale dovuto all'aumento della frequenza (FC) e del volume di eiezione. Quando il compenso non è sufficiente, si può sviluppare ipotensione: più alto è il blocco simpatico (superiore a T4), con inibizione dei barocettori cardiaci, maggiore è questo rischio con associata comparsa di nausea e vomito intraoperatorio. Tuttavia, il blocco del simpatico può riflettersi anche sul versante venoso, causando dilatazione dei vasi di capacitanza, con riduzione del precarico.

La circolazione uterina manca di autoregolazione e il letto vascolare, al termine della gravidanza, è completamente dilatato.

Le conseguenze sul feto variano in base alla durata ed alla severità dell’ipotensione che può indurre una riduzione della perfusione utero-placentare con conseguente bradicardia fetale. Negli episodi ipotensivi gravi e prolungati (maggiori di 4 minuti) sono stati osservati cambiamenti comportamentali a 4-7 giorni nei neonati. Negli episodi transitori (minori di 2 minuti), sono stati osservati valori di pH fetali ridotti alla nascita senza variazioni cliniche e comportamentali significative. [44; 45]

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Episodi prolungati di ipotensione e di bassa gittata materna sono quindi deleteri per il feto: ne consegue che il tempestivo riconoscimento e il trattamento o la prevenzione di questi eventi si associano, inevitabilmente, a migliori outcome materno-fetali.

CONTROLLO DELL’IPOTENSIONE:

[77, 80, 88]

Gli effetti dell’ipotensione durante l’intervento di taglio cesareo sono stati, da più di 50 anni, oggetto di studio. A tutt’oggi resta una sfida cercare la migliore strategia per mantenere la stabilità emodinamica.Numerosi studi hanno concentrato l’attenzione su differenti metodi per trattare tale fenomeno, incluso riempimento con cristalloidi e colloidi, sollevamento delle gambe, rotazione del letto o utilizzo del cuneo per la dislocazione dell’utero, impiego di vasopressori. Attualmente la strategia per la gestione di tale complicanza si basa su alcuni punti fondamentali facenti parte di un approccio multimodale nel mantenimento della pressione arteriosa e dell’emodinamica:

- dislocazione uterina (con posizionamento del cuneo) - pre- o co-loading con cristalloidi o colloidi

- low-dose CSE

- somministrazione di vasopressori o fenilefrina (bolo ev 50-100 mcg oppure infusione continua a 25-100 mcg/min).

POSIZIONAMENTO DEL CUNEO

Si ritiene, come precedentemente accennato, che la compressione aorto-cavale predisponga le partorienti a un maggiore rischio di ipotensione arteriosa, mediata da una riduzione del ritorno venoso e quindi della gittata e della frequenza cardiaca. Pertanto, si utilizza un cuneo da posizionare sotto il fianco destro della paziente, al fine di evitare tale evento e mantenere un adeguato flusso a livello dell’unità utero-placentare.

FLUIDOTERAPIA (CRISTALLOIDI vs. COLLOIDI)

Attualmente il tema del trattamento dell’ipotensione arteriosa con il riempimento volemico è molto controverso e non si ha una decisione unanime circa il tipo di fluido da impiegare, la tempistica e la velocità di somministrazione. [46; 47]

Il mantenimento dell’euvolemia, già dal preoperatorio, sembra avere effetti positivi sulla riduzione del numero di episodi ipotensivi. Si possono utilizzare sia cristalloidi che colloidi con un’espansione volemica più efficace e duratura. Secondo alcuni studi, i cristalloidi somministrati in pre-loading sembrano siano inefficaci; il co-loading con gli stessi potrebbe risultare

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ultimi, in pre-loading, potrebbero essere la strategia più affidabile. Secondo una review Cochrane, i colloidi hanno un’efficacia maggiore rispetto ai cristalloidi, indipendentemente dal timing e dalla velocità di flusso nella somministrazione. Nonostante ciò, vengono utilizzati con parsimonia nella pratica clinica a causa dei possibili effetti collaterali in termini di anafilassi, coagulopatie acquisite e disfunzioni renali.

Inoltre, i cristalloidi somministrati hanno un’efficacia dubbia a causa della loro breve emivita a livello del circolo ematico: a 30 minuti solo 400 ml dei 1000 ml somministrati si trovano ancora a livello dell’apparato circolatorio, i restanti nel terzo spazio. [82] L’influenza di tale volume sul circolo materno non è completamente irrilevante in quanto può provocare un marcato aumento della pressione venosa centrale (PVC), soprattutto se somministrato rapidamente, con associata riduzione della osmolarità ematica e rischio di edema polmonare. In aggiunta, l’infusione rapida di colloidi può essere causa di rilascio del fattore natriuretico atriale, un potente vasodilatatore che potrebbe peggiorare ulteriormente lo stato ipotensivo già instaurato. Un’eccessiva somministrazione volemica perioperatoria potrebbe inoltre provocare imbibizione dei tessuti che hanno subito un insulto chirurgico e causare deiscenze di ferite e anastomosi.

Alcuni studi hanno mostrato un’inefficacia della preidratazione dal momento che l’ipotensione materna è dovuta a vasodilatazione e non all’ipovolemia.

In conclusione, si può affermare che tutti i metodi di pre-idratazione possono ridurre ma non eliminare completamente il rischio di ipotensione materna, o la gravità della stessa, durante procedure di anestesia neuroassiale. E’ quindi necessario sottolineare come nessuna di queste strategie si dimostri, da sola, efficace e pertanto occorrerà associare l’impiego di farmaci vasoattivi da somministrare per via endovenosa. [45, 83]

FARMACI VASOATTIVI:

[78, 79]

EFEDRINA

E’ stato il farmaco di prima scelta in caso di ipotensione materna per diversi anni. Ha un’azione simpaticomimetica, risultante da meccanismi diretti ed indiretti. I primi consistono nell’ effetto

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agonista sui recettori vascolari α-adrenergici e su quelli cardiaci β-adrenergici; i secondi derivano invece dalla stimolazione delle terminazioni nervose presinaptiche al rilascio di noradrenalina. L’efedrina è quindi un efficace vasocostrittore, con parziale attività sui recettori cardiaci, la cui stimolazione produce un aumento della frequenza cardiaca (utile quindi in quei casi in cui la vasodilatazione provoca ipotensione e bradicardia). Questo farmaco ha un effetto vasopressorio ritardato, dovuto ad una maggiore latenza d’azione e aumenta la frequenza e la gittata cardiaca materne mediante stimolazione β-adrenergica. Questo effetto non è generalmente richiesto in quanto è già presente un aumento compensatorio della portata cardiaca, dovuto alla riduzione delle resistenze periferiche. Inoltre, la maggiore latenza nell’insorgenza dell’effetto vasocostrittivo con la prolungata durata d’azione sono le due principali caratteristiche per le quali sarà difficile titolare il suo dosaggio in modo adeguato, senza il rischio di provocare aumenti importanti della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Ciò, inoltre, rende ragione di una più alta incidenza di nausea e vomito nelle partorienti a seguito della somministrazione. [48; 49] Tale farmaco possiede, in aggiunta, una maggiore selettività nell’ effetto vasocostrittore dei vasi sistemici rispetto ai vasi uterini.

E’ inoltre risaputo che questo farmaco attraversa liberamente la placenta e si associa a bassi valori di pH fetale nell’arteria ombelicale. Questo effetto è probabilmente dovuto alla stimolazione del metabolismo fetale tramite l’effetto β-adrenergico diretto, con aumento del rischio di insorgenza di acidosi. Se la gravidanza è a basso rischio tuttavia tale acidosi è transitoria e benigna e l’Apgar non ne sembra influenzato.

FENILEFRINA

[85]

La fenilefrina è un’amina simpaticomimetica 3-hydroxy-phenylethanolamina, con un potente effetto vasocostrittore α-selettivo a breve durata d’azione. Esso determina un aumento delle resistenze vascolari periferiche materne, riportandole ai valori basali e in questo modo,

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quindi il farmaco perfetto per il trattamento dell’ipotensione da anestesia spinale, essendo in grado di mantenere o ristabilire il tono della muscolatura vascolare, limitando lo sviluppo di ipotensione arteriosa.

Inoltre, l’uso di fenilefrina non è stato associato allo sviluppo di acidosi fetale, nemmeno a dosi tanto elevate da causare ipertensione materna. Questo dato potrebbe dipendere da due motivi: innanzitutto gli α-agonisti hanno un effetto molto limitato sul flusso ematico placentare a causa della particolare conformazione anatomica e fisiologica della placenta; inoltre il flusso uterino è più alto rispetto a quello che sarebbe necessario per le richieste fetali di ossigeno e questo conferisce un discreto margine di sicurezza, in condizioni che provocano rapide variazioni del flusso sanguigno uterino. [39]

I principali problemi relativi alla fenilefrina sono dovuti allo sviluppo di ipertensione e ai suoi effetti sulla gittata cardiaca. L’aumento delle resistenze vascolari periferiche può associarsi a bradicardia materna e a riduzione della gittata cardiaca. [50; 51; 52]

Tuttavia, questi effetti avversi sono stati segnalati in risposta a elevate dosi di fenilefrina: è stato dimostrato che dosi più basse hanno invece un effetto positivo sulla gittata cardiaca, probabilmente dovuto alla stimolazione della muscolatura dei vasi venosi, soprattutto della circolazione splancnica, che esita in un aumento del ritorno venoso al cuore e in un miglioramento della performance cardiaca.

Una metanalisi sulla prevenzione dell’ipotensione materna in corso di cesareo in anestesia subaracnoidea considera gli effetti sull’ emogasanalisi cordonale della somministrazione, come vasocostrittore, dell’efedrina vs. fenilefrina. I neonati di madri trattate con fenilefrina presentavano pH dell’arteria ombelicale più elevato rispetto ai risultati emogasanalitici di neonati di madri trattate con efedrina. Nei primi risultavano superiori anche i valori di BE dell’arteria ombelicale. [53]

MONITORAGGIO DEL BENESSERE MATERNO POST-OPERATORIO:

VALUTAZIONE DEL DOLORE POST-OPERATORIO:

“Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata ad un danno tissutale reale o potenziale, o descritto in termini di tale danno”

International Ass. Study of Pain IASP

È un fenomeno psico-emotivo complesso, è una sensazione soggettiva di natura strettamente personale in quanto influenzata da numerosi fattori individuali: preesistenti e situazionali. Tale condizione non deve essere considerata come ineluttabile e neppure l’obbligatoria conseguenza di interventi chirurgici, procedure diagnostiche, parti, eventi morbosi acuti o cronici. Di

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conseguenza, deve essere trattato in entrambi i sessi e in tutte le età, non solo per motivi etici, ma anche perché la sofferenza può diventare una sindrome autonoma con pesanti effetti psicologici e sulla vita di relazione. Il trattamento del dolore postoperatorio è ormai un imperativo, permette una più veloce mobilizzazione, con conseguente minor rischio di trombosi venose profonde, riducendo anche le complicanze polmonari, cardiache e i tempi di ricovero. Le scale unidimensionali misurano esclusivamente l’intensità del dolore:

- Scala di valutazione numerica (NRS) - Scala visivo-analogica (VAS)

- Scala di valutazione verbale (VRS) - Facies pain scale (FPS)

Mentre, le scale multidimensionali valutano anche altri aspetti, come il sensoriale-discriminativo, il motivazionale-affettivo e il cognitivo-valutativo:

- Mc Gill pain questionnaire (MPQ) - Brief Pain Inventory (BPI)

- Painad

Non vi sono prove di superiorità di una scala rispetto ad un’altra. E’ fondamentale scegliere la scala che risulti comprensibile al malato. Le scale multidimensionali, per la caratteristica complessità, hanno un uso nella pratica clinica molto limitato. Vengono, invece, più spesso utilizzate scale unidirezionali come la VAS e la NRS (con una maggiore frequenza di utilizzo di quest’ultima) che offrono facilità nell’utilizzo e nella riproducibilità. Tali metodiche di valutazione, tuttavia, non offrono un’immediata misurazione della sensazione dolorosa da parte del paziente che per convenzione viene così sintetizzata:

- Dolore lieve: 1-3 - Dolore moderato: 4-6 - Dolore severo: 7-10

Al fine di evitare la sovra - o la sottostima del dolore, è essenziale che la valutazione sia condotta da medici e infermieri esperti, in quanto, un efficace controllo del dolore inizia da una corretta valutazione. In tal modo, si avranno una lettura oggettiva e confrontabile dei fenomeni assistenziali, un’omogenea valutazione qualitativa e quantitativa dell’assistenza al paziente e uno scambio di informazioni tra discipline diverse.

Secondo Landau R. (International Journal Obstetric Anesthesia 2013), il dolore post-operatorio acuto grave è il più importante fattore di rischio associato a dolore cronico con predisposizione allo sviluppo di dolore pelvico cronico.

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plasminogeno. Inoltre, è stato riscontrato come l’ossitocina ha un potenziale effetto protettivo durante la gravidanza. Sintetizzata da nucleo paraventricolare e sopraottico dell’ipotalamo, rilasciata nel midollo spinale dove determina l’eccitazione di interneuroni glutamatergici nelle corna dorsali, trasmessa a neuroni GABA-ergici, inibisce i messaggi afferenti nocicettivi provenienti da fibre C e Aδ. Ciò suggerisce che il rilascio di ossitocina spinale nel periodo postpartum ha un ruolo chiave nella reversibilità dell'ipersensibilità secondaria al danno nervoso.

Durante il taglio cesareo, il danno tissutale è provocato non solo dall’incisione chirurgica, ma anche dalla trazione dei muscoli addominali, dal secondamento manuale e, a volte, dalle compressioni addominali per facilitare l’estrazione fetale. Inoltre, sembrerebbe che l’ansia perioperatoria nelle puerpere sottoposte a taglio cesareo sia associata ad una sensazione dolorifica del postoperatorio moderata-severa. Bisogna anche ricordare che esistono delle condizioni anamnestiche della paziente che possono precedere e/o insorgere durante la gravidanza che possono influire sulla percezione dolore post-operatorio.

E’ pertanto d’obbligo il controllo antalgico nei primi giorni, al fine di ridurre il rischio di dolore cronico dopo un taglio cesareo. A differenza del dolore cronico post-chirurgico (CPSP), il dolore cronico dopo il parto cesareo è stato considerato solo di recente come un'entità a sé e viene definito come:

“Un dolore a livello della cicatrice addominale, insorto da minimo due mesi dopo il parto, che persiste per più di sei mesi dopo il parto, non correlato al dolore mestruale, nè ad altre cause di

dolore insorte precedentemente o durante la gravidanza”

In conclusione, è doveroso ricordare come un dolore post-operatorio non efficacemente controllato è causa di alcune conseguenze non del tutto trascurabili e già verificabili nell’immediato post-operatorio, come: una rallentata ripresa post-operatoria, un alterato rapporto con il feto e un rallentato inizio dell’allattamento, la necessità di terapia antalgica rescue (con un aumento del rischio di comparsa di effetti collaterali) e ricoveri prolungati. In aggiunta a questi aspetti è opportuno considerare anche altri che potrebbero comparire nell’arco dei mesi o degli anni successivi come: un aumentato rischio di depressione post-partum e alterati aspetti motivazionali anche nei confronti delle procedure chirurgiche routinarie.

MANAGEMENT DEL DOLORE DOPO TAGLIO CESAREO:

Una gestione del dolore perioperatorio subottimale è associata a: - un dolore cronico

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- un maggiore uso di oppioidi - un ritardato recupero funzionale

- una compromissione del legame materno-fetale - un maggior rischio di depressione postpartum

E’ necessario prendere in considerazione alcuni punti cardine relativi alla gestione del dolore post-operatorio in questa categoria di pazienti. Innanzitutto, è opportuno valutare il trasferimento di farmaci a livello fetale se somministrati prima della nascita e il trasferimento al bambino attraverso il latte materno successivamente. D’altra parte non si può ignorare che, se il dolore materno è ben gestito dopo la chirurgia, l'allattamento al seno e l'adesione materno-neonatale possono essere facilitati.

Nello specifico, la gestione post-operatoria del dolore deve seguire i seguenti punti: - è preferibile l'analgesia multimodale che riduce l’utilizzo degli oppioidi

- gli oppioidi neurassali sono preferibili rispetto alla somministrazione per via endovenosa, intramuscolare o orale

- è raccomandata la somministrazione di dose analgesica più efficace

- è da considerare come la concentrazione del farmaco nel latte materno è proporzionale ai livelli ematici materni dello stesso

- sono consigliati i farmaci a breve emivita, con metaboliti inattivi e una buona evidenza di un utilizzo sicuro

- i farmaci lipofili hanno più probabilità di passare nel latte materno, mentre i farmaci con un forte legame alle proteine plasmatiche (per esempio i FANS, gli anestetici locali) passano meno facilmente nel latte materno

- i farmaci con bassa biodisponibilità orale hanno un passaggio limitato al latte materno - la quantità di colostro nei primi giorni dopo il parto è scarsa, quindi la quantità di

farmaco trasferito è relativamente piccola

- le donne dovrebbero essere informate del potenziale rischio di trasferimento di farmaci antidolorifici al neonato allattato al seno.

L’identificazione delle donne a rischio di un non ottimale controllo del dolore nel postoperatorio porterebbe un maggiore beneficio con interventi analgesici mirati.

L’analgesia è considerata ideale quando: - è efficace

- è sempre applicabile

- riduce al minimo i rischi di effetti collaterali - favorisce una buona compliance della paziente

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