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Le modifiche comuni alle tipologie di contratto di apprendistato

Nel documento La politica del lavoro del Governo Renzi (pagine 178-181)

Le modifiche al contratto di apprendistato

2. Le modifiche comuni alle tipologie di contratto di apprendistato

2.1. La nuova veste del piano formativo individuale

La natura formativa del contratto di lavoro ha richiesto da sempre un documento allegato, considerato parte essenziale dello stesso nella versione originaria del testo normativo, che ne descriva il contenuto dell’obbligazione formativa; per questo motivo ne è richiesta la forma scritta (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 167/2011). Anche la circ. Min. lav. n. 35/2013 contemplava il Piano formativo come principale riferimento del contratto.

Il d.lgs. 167/2011 originariamente stabiliva che il piano formativo individuale dovesse essere elaborato entro 30 giorni dalla stipulazione del contratto, anche sulla base di modelli e formulari fissati dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali; la maggior parte dei contratti collettivi hanno previsto modelli di piano formativo da compilare da parte del datore di lavoro. La norma prevedeva che il documento fosse formulato dal datore di lavoro in relazione al percorso e alla ripartizione dell’impegno formativo tra formazione professionalizzante ovvero di base e trasversale, ma il d.l. n. 76/2013 aveva già adottato una particolare modifica per quanto riguarda il contratto professionalizzante: l’art. 2, comma 2, del decreto citato aveva demandato alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano l’adozione di linee-guida che prevedessero derogando al decreto del 2011 che il piano formativo individuale fosse obbligatorio esclusivamente in relazione alla formazione professionalizzante.

È intervenuta sul punto la Conferenza Stato Regioni 21 febbraio 2014 le cui linee guida hanno espresso il principio in base al quale il piano formativo individuale è obbligatorio, dunque, solo per la formazione per l’acquisizione

(21) Parlando di «addestramento professionale», la giurisprudenza ha riconosciuto, tuttavia, anche che «non necessariamente deve consistere in un’attività formalmente didattica, costituita da lezioni e corsi di insegnamento, ma ben può consistere nella sola continua assistenza e sorveglianza dell’apprendista da parte di persone incaricate dal datore di lavoro al fine di assicurare il graduale inserimento nell’organizzazione aziendale», così Cass. 15 dicembre 1987, n. 9269.

delle competenze tecnico-professionali e specialistiche. Di fatto, quindi, il piano formativo individuale era diventato già “facoltativo” in relazione alla formazione di base e trasversale.

Venendo ora a trattare l’ultima modifica che si commenta, il d.l. n. 34/2014 escludeva addirittura la forma scritta del piano formativo individuale, mentre la legge di conversione la ha reintrodotta, prevedendone però una formula semplificata (anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali); viene poi meno la possibilità di redigere il Piano formativo entro 30 giorni dalla firma del contratto, previsione che facilitava per certi versi l’assunzione senza dover immediatamente predisporre il percorso formativo dell’apprendista.

Pertanto, il Piano formativo deve avere forma scritta ed essere redatto in forma sintetica (art. 2, comma 1, lett. a); tuttavia, non sussistono linee interpretative su ciò che significhi “sintetica”, dunque è forse consigliabile formulare il Piano formativo in modo comunque dettagliato, al fine di non incentivare il contenzioso.

È ad ogni modo da accogliere favorevolmente la reintroduzione in fase di conversione della forma scritta, in quanto ciò è a garanzia dell’impresa che ha certezza riguardo al percorso formativo ed anche in fase di indagine ispettiva il personale addetto può usufruire di un importante documento che descriva l’attività formativa (22).

Deve poi considerarsi che il piano formativo in alcune Regioni viene dapprima redatto dagli enti formativi a cui il datore ha iscritto l’apprendista per l’effettuazione del percorso formativo, per poi essere approvato dal datore di lavoro. La norma che prevedeva la redazione dello stesso entro i 30 giorni era così utile per dar modo al datore di lavoro di far proprio il piano formativo redatto dagli enti accreditati. È possibile, dunque, in tali ipotesi, che il datore possa redigere il Piano formativo individuale in modalità sintetica nel contratto di lavoro, rimanendo ferma la possibilità di integrarlo nel dettaglio in un momento successivo.

La circ. Min. lav. n. 18/2014 ha precisato, inoltre, che resta ferma la validità delle vigenti clausole della contrattazione collettiva che, sulla scorta della precedente formulazione della norma, già prevedono il termine dei 30 giorni, nonché la possibilità per le parti sociali di reintrodurlo (art. 2, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 167/2011).

(22) M.TIRABOSCHI, op. cit., 36.

2.2. Il regime delle clausole di stabilizzazione

La l. n. 92/2012 aveva già aggiunto alla disciplina del contratto di apprendistato il regime delle c.d. clausole di stabilizzazione, presente nella disciplina di altre tipologie contrattuali, quali il contratto a tempo determinato, il contratto di inserimento (la cui disciplina è stata abrogata dalla stessa l. n.

92/2012), il contratto di formazione e lavoro; si consideri che per l’apprendistato le clausole di stabilizzazione erano previste da parte di molti contratti collettivi.

La nuova formulazione prescrive che «ferma restando la possibilità per i contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, di individuare limiti diversi, esclusivamente per i datori di lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione, a tempo indeterminato, del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 20 per cento degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro» (23).

Non si computano nella predetta percentuale i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa, nonché, secondo la dottrina, a commento della riforma del 2012, quei rapporti cessati per giustificato motivo soggettivo (24). Qualora non sia rispettata la predetta percentuale, è consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, ovvero di un apprendista in caso di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi. Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti di cui alla norma di cui sopra, sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto.

Occorre raccordare questa previsione aggiuntiva rispetto all’impianto originario con quella di cui all’art. 2, comma 1, lett. i, che prevede la possibilità per la contrattazione collettiva di determinare «forme e modalità per la conferma in servizio […] al fine di ulteriori assunzioni in apprendistato».

(23) Il d.l. n. 34/2014 aveva eliminato ogni obbligo di conversione per nuove assunzioni in apprendistato. La modifica al regime delle clausole di stabilizzazione deve considerarsi il principale intervento in materia ad opera della l. n. 78/2014, cfr. T.NOTO, A.RUSSO, Non si dimentichi l’apprendistato, in E.BORTOLAMEI, L.DI STEFANO, L.MATRUNDOLA (a cura di), La riforma infinita alla prova del Jobs Act, Quaderni Fondazione Marco Biagi – Ricerche, 2014, n. 2, 28.

(24) F.CARINCI, op. cit., 82; M.SALA CHIRI, Il tirocinio (artt. 2130-2134 c.c.), cit., 67.

Pertanto, sino a 49 dipendenti non vi sarebbe alcun obbligo di stabilizzazione.

Sul punto occorre soffermarsi, infatti, e chiedersi se al di sotto di tale numero di dipendenti, possa intervenire o meno la contrattazione collettiva a disciplinare limiti alle assunzioni. Dal tenore della norma ciò non sembrerebbe possibile; sul punto, tuttavia, è intervenuta la circ. Min. lav. n. 18/2014 lasciando intendere tale possibilità, precisando oltretutto che la violazione di eventuali clausole collettive che dovessero prevedere limiti percentuali non produrrebbe l’effetto della conversione del contratto di apprendistato in lavoro a tempo indeterminato standard.

In ordine al periodo transitorio, va considerato che molti contratti collettivi dispongono le c.d. clausole di stabilizzazione; occorre, dunque, chiedersi, qualora le percentuali di conferma in sede collettiva siano differenti da quelle stabilite dalla legge, quale percentuale applicare al caso concreto. Sul punto era intervenuta per la previgente disciplina la circ. Min. lav. 18 luglio 2012 che aveva ritenuto prevalere tra disciplina collettiva e disciplina legale, la seconda delle due, in quanto “disciplina specifica” e, dunque, prevalente, anche se normalmente le disposizioni dettate dalla contrattazione collettiva dovrebbero essere per definizione “specifiche”, e dunque applicabili al caso concreto.

Sul punto, si ritiene che ove la clausola collettiva preveda percentuali di stabilizzazione più alte, più favorevoli ai giovani lavoratori, ai quali sarà garantito un impiego stabile, in quanto confermati dall’impresa, debbano trovare applicazioni le clausole collettive (25).

Nel documento La politica del lavoro del Governo Renzi (pagine 178-181)

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