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Si verifica, alla fine degli anni Novanta, un processo e un mutamento sociale dovuto soprattutto all’avvento di nuove tecnologie, le quali sono state capaci di entrare nelle case di ciascun individuo e mutare il senso che questi ha della realtà.

Rapporto dell’uomo con i nuovi media e con il mondo della realtà virtuale, così descritto da Sherry Turkle

Le opere che Turkle ha dedicato a tale processo sono tre: Il secondo sé (1984), La

vita sullo schermo: nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di internet (1995)

e Insieme ma soli (2008). Osservando le date di pubblicazione di queste opere, è possibile vedere come l’analisi di Sherry Turkle si sia evoluta nel tempo. Ciò è dovuto al fatto che le continue evoluzioni sociali hanno visto, come protagonista, l’uomo in continua relazione con tecnologie sempre più avanzate. A questo punto è interessante osservare l’analisi che la sociologa statunitense fa del grande macrotema delle dinamiche riguardanti la costruzione dell’identità.

Quando l’individuo, tramite una cornice di senso, accede ad un mondo intermedio caratterizzato da un determinato contesto, cerca sempre di percepire con la coda

dell’occhio quel confine che: da un lato, gli permette di dotare di senso quella data

situazione e, dall’altro, di uscire da quel contesto ed entrare in un mondo altro. L’uomo possiede questa capacità, ossia quella di saper entrare ed uscire dai diversi contesti.

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Sulla base di quest’affermazione, Turkle analizza il comportamento umano, del singolo individuo, nel momento in cui è chiamato a presentare se stesso e ad esprimere il proprio io individuale all’interno di una comunità virtuale, ossia all’interno di un mondo intermedio di cui è cosciente. Egli sa di esservi entrato, percepisce la cornice, ma, a lungo andare, preferirebbe non percepirla più perché scopre di aver assunto un’identità virtuale che (a volte) risulta anche migliore di quella che si ha nella realtà quotidiana.

In La vita sullo schermo Turkle presenta un personaggio, realmente intervistato da lei, che afferma: “La vita reale non è altro che una finestra in più, e in genere nemmeno la migliore”65

.

È possibile comprendere al meglio questa affermazione nel momento in cui si coglie l’importanza del ruolo che ha assunto la vita, intesa come insieme di esperienze, nel mondo virtuale, in relazione alla vita del mondo reale. L’individuo che vive ed esperisce una determinata realtà, scopre che questa non è l’unica di cui può fare esperienza: egli si ritrova a far parte di un mondo che è circondato da finestre, e l’accesso a queste ultime è determinato dall’attraversamento di cornici di senso. Le finestre, di cui si è appena parlato, permettono all’uomo di passare dalla propria realtà ad un’altra e, così facendo, di passare da un mondo dotato di senso ad un altro. La cornice, che delimita la finestra che permette questo attraversamento, determina un contesto che è diverso da quello proprio del mondo quotidiano. L’individuo, attraversando questa finestra, diventa cosciente del fatto di essere intorno ad un mondo intermedio, ossia intorno ad uno spazio avente un suo proprio tempo e contesto.

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Sherry Turkle, La vita sullo schermo: nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di internet, Apogeo, Milano 1996, p.7

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L’uomo, nel momento in cui accede al mondo intermedio del virtuale, assume un ruolo molto significativo: egli, spinto dal bisogno di relazionarsi con persone che, come lui, vogliono esprimere se stessi in un mondo altro, decide di assumere determinate caratteristiche comportamentali e psicologiche, tali da sentirsi appartenente ad un certo tipo di comunità online. L’uomo che naviga nel web è spinto dal suo crescente bisogno di appartenenza ad una comunità virtuale. Egli mantiene la relazione tra i due mondi (quello virtuale e quello reale), ma non è detto che la realtà quotidiana sia il luogo e lo spazio a cui lui stesso sente di appartenere in maniera esclusiva. L’uso che l’intervistato (il cui nome è Doug) fa delle differenti finestre, gli consente di “accendere e spegnere”66 parti diverse della sua mente, tanto che confessa alla Turkle:

“Posso dividere la mia mente in più parti, e funziona sempre meglio. Riesco a vedere me stesso scomposto in due, tre o anche più entità diverse. E passando da una finestra all’altra ogni volta accendo una parte della mia mente. In una finestra sto partecipando ad una complicata discussione, mentre in un’altra sto andando dietro a una ragazza […], e in un’altra ancora potrei occuparmi di una particolare ricerca scolastica… E a un certo punto mi vedo arrivare un messaggio [che lampeggia sullo schermo non appena viene inviato da un altro utente del sistema], che immagino abbia a che fare con la vita reale. Che è soltanto una finestra in più”67

.

Questa confessione, fatta da Doug alla psicologa, esprime al meglio il senso di questo costante relazionarsi con molteplici mondi intermedi. Infatti, la realizzazione di finestre per l’interfaccia dei computer è stata un’innovazione tecnica motivata dal desiderio di poter lavorare più efficientemente tra le varie

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Ivi, p. 6

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applicazioni. Ma, nella praticità della vita quotidiana, le finestre sono diventate dei concetti fondamentali per poter pensare il proprio sé come un sistema multiplo. Nel momento in cui si attraversa una finestra, non si impersonano tipi diversi di identità, ma si dà la possibilità al proprio sé di vivere secondo la cornice di senso dei mondi intermedi a cui l’uomo decide di accedere. La Turkle, per l’appunto afferma:

“La pratica di vita delle finestre è quella di un sé decentrato che esiste in molti mondi e impersona ruoli diversi nello stesso istante. Nel teatro tradizionale e nei giochi di ruolo che accadono nello spazio fisico si entra e si esce dal personaggio scelto; il [web]68, al contrario, offre la possibilità di assumere identità e vite parallele. L’esperire tale parallelismo fa in modo che sia la vita sullo schermo sia quella fuori vengano considerate con un sorprendente livello di uguaglianza. E le esperienze su Internet ampliano la metafora delle finestre – la stessa vita reale, afferma Doug, non è altro che una finestra in più”69.

Inoltre, anche se l’uomo sceglie di assumere varie identità nei mondi intermedi/virtuali a cui egli stesso decide di accedere, si presenta la possibilità di assumere un ruolo molto simile a quello del sé “reale”. La maggior parte degli utenti, che vive la propria vita online, assume su Internet (o nelle chat) un ruolo molto diverso da quello che assume nel mondo reale; altri, invece, ritengono che occorra dare una qualche priorità alla vita reale e, di conseguenza, il loro sé virtuale non si scosta molto da quello reale.

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Mia aggiunta e modifica del termine originale, che sarebbe “MUD”.

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Evoluzione del processo identitario e coinvolgimento emotivo sempre

più profondo nel mondo virtuale: graduale scomparsa della consapevolezza della cornice

Conseguenza di ciò è la tendenza, sempre più emergente, ad assumere un nuovo senso di identità: decentrata e molteplice.

L’identità, anche senza fare riferimento al virtuale, è di per sé duplice. Essa si distingue in identità personale e identità sociale. La prima è quella propria di ciascuno di noi, mentre la seconda assume sfumature e sfaccettature diverse in base agli ambienti e alle identità sociali che ci circondano.

L’identità personale si definisce in base al proprio io: essa è la definizione del nostro essere e permette all’uomo di comprendere meglio la propria essenza e le attitudini comportamentali. È la determinazione di questo tipo di identità che permette all’individuo di entrare in relazione con il prossimo: l’affinità della nostra identità personale, con quella di un altro individuo, è uno dei motivi alla base della relazionalità tra gli uomini. L’uomo si accosta ad un altro uomo perché, in qualche modo, si sente a lui affine. L’identità personale di ciascuno di noi è, dunque, strumento di definizione del nostro io.

L’identità sociale, invece, non smette mai di definirsi, perché legata ai contesti sociali in cui viviamo. Il reciproco relazionarsi degli uomini determina una continua crescita ed evoluzione del processo identitario. Se l’affinità tra individui è dettata dall’identità personale, l’adattamento al contesto sociale in cui si vive è invece dettato dall’identità sociale. Così come afferma Aristotele, nell’Etica

Nicomachea, l’uomo determina se stesso in relazione alle persone di cui si

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deve esprimere. Quindi, ciò che l’individuo mostra agli altri è l’identità sociale, modellata sull’identità personale, ma adattata all’ambiente e contesto sociale in cui vive. Questa è tipica di ogni uomo che, in quanto ζῷον πολιτικόν, vive in una società, ossia in una realtà caratterizzata da relazioni tra gli uomini.

Nonostante questa prima divisione, con l’avvento e lo sviluppo delle tecnologie sociali, l’identità si scinde ulteriormente. Infatti, da una prima distinzione tra identità personale e sociale, si passa ad ulteriori scissioni, fino a che la tendenza emergente diventa un nuovo senso di identità, intesa come decentrata e multipla. A questo punto, è legittimo chiedersi se tutto ciò sia un rischio evolutivo, poiché un’identità multipla potrebbe indebolire l’identità originale da cui questa deriva. L’unità dell’io potrebbe perdersi, e il soggetto si ritroverebbe in un labirinto di caratteri “non autentici”, ma soprattutto “non reali”. A causa di ciò, l’uomo potrebbe non avere più consapevolezza e coscienza della cornice che separa il mondo reale da quello virtuale, dal momento che considererebbe la sua esperienza sullo schermo più “vissuta” rispetto a quella del vivere quotidiano nella realtà esistente.

In tal modo, si potrebbe assistere ad una graduale perdita del senso della cornice a favore di una totale sovrapposizione dei diversi mondi in cui egli “vive”. Con la determinazione del mondo del web e con tutto ciò che ne deriva, si sta assistendo ad un fenomeno di particolare importanza per la società contemporanea, ossia lo sdoppiamento e la moltiplicazione dell’io. Tale particolare processo identitario si contestualizza all’interno di un determinato tipo di società, che è quella tecnologicamente avanzata. Infatti, il computer ad esempio, da essere strumento di comunicazione, diventa luogo in cui far “vivere” e in cui rifugiare una parte del

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proprio io. Così facendo, si assiste ad una scissione e ad una partizione del proprio sé.

L’individuo del XX e XXI secolo detiene la capacità di definire se stesso intorno al mondo reale, o intorno ad un mondo intermedio: egli attraversa continuamente finestre e cornici per viaggiare tra i suoi sé identitari e assumere, con ciascuno di essi, ruoli simili o molto diversi dal suo sé reale. La consapevolezza dell’uomo contemporaneo di attraversare o meno finestre, dipende e deriva dalla sua intima volontà di cogliere il carattere reale dei mondi che esperisce. In altre parole, l’uomo sa di aver attraversato una finestra e, di conseguenza, una cornice dotata di senso. Facendo ciò, percepisce quest’ultima come ciò che mette in comunicazione i due mondi che sono venuti a delinearsi e attribuisce ad uno dei due il carattere di realtà, all’altro il carattere di mondo intermedio del virtuale.

A questo punto, il passaggio da un mondo ad un altro diventa sempre più facile e disinvolto. Le molteplici identità che si determinano nei mondi intermedi raffigurano l’io che si desidera essere, e l’accettazione di queste particolari identità (che allo stesso tempo sono altro da me e il vero me) risulta molto più semplice che nella vita sociale reale. La Turkle si sofferma molto su quest’ultimo aspetto, ed è proprio su questo che intendo concentrarmi.

Alla base di queste analisi, è però fondamentale considerare che: “L’informatizzazione, la diffusione del personal computer cambiano le regole del gioco. Sono queste tecnologie a proporsi come attori protagonisti del cambiamento e come vere e proprie strutture attive della società mondiale: la uniformano e la formano direttamente secondo le modalità inscritte nel loro codice genetico che è al tempo stesso di straripante potenza tecnologica, ma anche

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di insinuante e pervasiva rivoluzione mentale e culturale”70

. Dunque, con il processo di informatizzazione, si assiste ad un mutamento di ruoli, che vede i mezzi informatici non più come semplici media/strumenti, ma come veri e propri protagonisti del cambiamento verso cui la società è continuamente spinta. Lo schermo dei dispositivi elettronici non viene più definito solamente una superficie sulla quale si riproducono una serie di immagini, ma diventa un vero e proprio

spazio tecnologico, a cui l’individuo è capace di accedere. Ciò che viene a

determinarsi con l’evoluzione informatica è, per l’appunto, una evoluzione del

ruolo che i nuovi mezzi digitali assumono nel mondo reale. Essi determinano e

delineano, nel contesto del mondo quotidiano, un nuovo senso del concetto di

spazio. Così facendo, lo spazio tecnologico diviene il luogo virtuale intorno al

quale l’individuo si pone, e al quale accede in seguito all’attraversamento di una cornice di senso. Questo tipo di spazio si definisce perciò: un mondo intermedio, in questo caso virtuale, che differisce da quello reale, ma con cui è in stretta relazione.

La tecnologia perde così il suo carattere materiale e meccanico e, sulla base di ciò, si assiste ad un processo di trasformazione del computer da macchina da calcolo a strumento di comunicazione e a connessione in rete. Tutto ciò ha permesso il mutamento del rapporto degli uomini con questi strumenti e con loro stessi. Infatti la stessa Turkle afferma: “al centro […] c’è il teatro degli umani, lo scambio tra i soggetti non è più istituzionale o normativo, non dipende cioè da regole

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riconosciute dalla società […]. È dunque lo schermo la superficie piatta che si anima e si arricchisce: vince la dinamica dell’interfaccia”71

.

A tal proposito, è necessario soffermarsi sul significato effettivo del titolo dell’opera di Sherry Turkle, quale Life on the screen, analizzando la scelta dell’autrice nell’usare il termine on in relazione a life e screen.

Nel titolo originale dell’opera Life on the screen, la parola on diventa il concetto chiave della tensione che sussiste tra i due termini life e screen. Si tratta di una tensione tra l’esperienza di vita vissuta e il nuovo luogo in cui ci si immerge per essere e sentirsi se stessi; a mediare e organizzare questa tensione vi è il termine

on, che si può tradurre in due modi: “in superficie” o “dentro” lo schermo. La

prima possibilità di traduzione non rende molto bene il concetto che in questa sede si vuol far emergere perché, se il mondo reale rimanesse in superficie rispetto al mondo dello schermo, non si avrebbe comunicazione e relazione tra i due. Mentre, il secondo modo di tradurre on, ossia usando la parola “dentro”, risulta più appropriato per il tema che si intende affrontare, ossia l’evoluzione dell’identità nella compenetrazione dei due mondi.

Passando dentro lo schermo, è come passare attraverso uno specchio, ossia attraverso un mondo immateriale che ritraduce la nostra vista. Il significato stesso del termine “dentro” si collega perfettamente al nuovo ruolo dello schermo in una società computerizzata. Se si afferma che qualcosa avviene “sullo” schermo, ne consegue che, con l’uso del termine su e non del termine dentro, ciò che accade rimane sulla superficie, ossia non ci si addentra oltre il semplice visibile. Se lo schermo è una finestra intersoggettiva, allora, per comprenderne l’effettiva

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importanza relazionale che esso detiene, bisogna passare attraverso di esso. La Turkle ha utilizzato il termine on per designare tutto ciò, ossia per esaltare la relazione tra ciò che viene da lei definito vita e schermo. Lo schermo è ciò che stimola l’uomo a passare oltre la realtà che esperisce nel quotidiano (espressione del termine life a cui l’autrice fa riferimento), ed è ciò che gli permette di accedere, e quindi di entrare dentro, ad un mondo intermedio che si definisce spazio relazionale e di conforto.

La cornice dello schermo diventa l’elemento grazie al quale si verifica il contatto e la relazione tra le due realtà, tanto che essa stessa diviene un’interfaccia. Il computer, ad esempio, diventa un medium sociale che mette in comunicazione e relazione molteplici identità virtuali. Il computer diventa sede del mondo intermedio in cui creare e sperimentare l’identità umana: in tal modo l’uomo si sente sulla soglia tra mondo reale e realtà virtuale. Il mondo dell’interfaccia si definisce così il mondo in cui il sé viene costruito man mano e dove le regole d’interazione sociale vengono plasmate gradualmente senza essere già prestabilite. L’uomo si sente sempre più in grado di passare dal mondo reale a mondi virtuali, e viceversa, attraverso finestre che sono sempre più presenti nella pratica quotidiana. Esse diventano, secondo Turkle, delle metafore per pensare il proprio sé come un sistema multiplo distribuito: assumere diverse identità nei diversi contesti sociali virtuali non significa impersonare ruoli diversi, ma significa che ognuna di esse è parte di un sé decentrato. Si assiste alla divisione del sé unitario in tante parti che, però, derivano sempre dall’io più intimo di ogni uomo e a cui fanno sempre riferimento.

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Il sé decentrato fa sempre parte di un sé unitario, che è proprio di ogni uomo: infatti, i vari tipi di identità non sono indice di un’anomalia mentale umana, ma sono stati determinati dalla capacità umana di relazionarsi con altri uomini in ambienti diversi. Come affermava Aristotele, osservare le persone di cui un uomo si circonda può dire molto sull’identità sociale e personale di quel particolare tipo di uomo. Allo stesso modo, dar voce a vari sé, nei diversi mondi intermedi, diviene un processo identitario tipico di ciascun uomo: questi, ad esempio, nel mondo virtuale dà voce ad una parte del proprio io che definisce una sua specifica identità mentale, che, a sua volta, può essere più o meno diversa dall’io del mondo reale.

Per questo motivo, Internet è un altro elemento della cultura informatica che ha contribuito al pensiero dell’identità come molteplicità: è, infatti, a partire dall’epoca post-moderna che le identità multiple non sono più così nettamente ai margini della vita quotidiana. Lo stesso Internet è diventato un tipo di laboratorio sociale che risulta significativo, soprattutto per sperimentare l’esperienza della costruzione e ricostruzione del sé: “ci modelliamo e ci ricreiamo all’interno della realtà virtuale. Che tipo di personaggi diventiamo? Quale rapporto hanno con la persona completa come l’abbiamo pensata tradizionalmente? […] I nostri sé reali imparano veramente dai personaggi virtuali?”72.

È così che, all’inizio del nuovo millennio, sono stati creati dei luoghi virtuali a cui gli utenti potevano accedere, e in cui gli stessi potevano relazionarsi. Questi spazi diventano il luogo virtuale in cui, i diversi utenti, possono realmente vivere e fare

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esperienza, e la loro denominazione è quella di MUD, ossia di Multi-User Domains, oppure di Multi-User Dimensions.

Nel web ci sono principalmente due tipi di MUD a cui è possibile accedere: il tipo di avventura, costituito da uno scenario fantastico e di ambientazione medievale, e il secondo tipo di MUD (che è quello su cui si sofferma la Turkle) è, invece, caratterizzato da spazi relativamente aperti a cui si può dare libero sfogo alla fantasia e all’immaginazione. La Turkle a tal proposito afferma: “in questi MUD, spesso denominati MUD sociali, bisogna interagire con altri giocatori e, in alcuni di essi, collaborare alla costruzione di un mondo virtuale. […] L’attività di “costruzione” di un MUD consiste in una specie di ibrido tra la programmazione su computer e la scrittura di un romanzo”73

. Ciò che affascina e conquista l’interesse dei giocatori e degli utenti del MUD consiste nel manovrare il proprio personaggio nell’interazione con gli altri.

L’uomo, nel web, cerca utenti con cui relazionarsi e, allo stesso tempo, cerca di dar vita a comunità virtuali, per poi farne parte. È in questo modo che nasce il MUD, ossia un luogo virtuale abitato da vari utenti che lo vivono come fosse una